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IL NOSTRO DONBASS di Willi Langthaler

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[ martedì 21 maggio 2019 ]

Giorni addietro davamo conto della partecipazione di Fabio Frati, del Cc di Programma 101, alle celebrazioni per il quinto anniversario della fondazione delle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. Con Fabio c’erano altri compagni europei: francesi, tedeschi, austriaci, serbi, polacchi, ecc.

Di seguito le considerazioni di viaggio di Willi Langthaler, della sinistra patriottica  austriaca e portavoce del Campo Antimperialista.
*  *  *

In occasione delle celebrazioni della liberazione dall’occupazione nazista (9 maggio) e del quinto anniversario della fondazione delle Repubbliche del Donbass (11-12 maggio), una delegazione di 9 membri del movimento austriaco per la pace e la neutralità si è recata nei giorni scorsi nelle zone ribelli dell’Ucraina orientale.

Malgrado una visita di pochi giorni, ogni osservatore ha potuto rendersi conto che alcune narrazioni, diffuse dai media occidentali sui cosiddetti territori separatisti, sono smentite in modo sfacciato. Almeno nelle capitali, Donetsk e Lugansk, prevale la normale vita di tutti i giorni. Non si può dunque parlare di situazione di guerra o stato di emergenza. Le tracce della guerra le si deve andare a vedere. Si pensi a Parigi, davvero militarizzata. D’altra parte, si vedono in Donbass le difficoltà economiche, le conseguenze sociali della situazione incerta e la mancanza di investimenti.

Politicamente e culturalmente, si potrebbe parlare di una sorta di Risovietizzazione politica, anche se le basi e le cause sociali sono completamente diverse. Due momenti stanno creando l’identità per le repubbliche popolari: da un lato, la centralità della classe operaia nell’industria del carbone e dell’acciaio, che da centralità ad un “proletariato” inimmaginabile nel nostro paese. Non c’è mai stata un’élite borghese e gli oligarchi che sono emersi negli ultimi decenni, sono scappati con la guerra civile. I protostati nacquero da una rivolta popolare vera che ha partorito una nuova leadership. Soprattutto a Lugansk, dove il carbone e l’acciaio sono ancora dominanti, qui i sindacati la fanno da padrone. Si potrebbe quindi parlare di una repubblica sindacale. Donetsk aveva più industria meccanica e una realtà metropolitana più importante.

D’altra parte, c’è la vittoria sul nazismo tedesco, che è stato vinto soprattutto in questa regione con un bilancio particolarmente elevato. Ecco perché la connessione del nazionalismo ucraino alla tradizione nazista con Bandera & Co causa controreazioni particolarmente violente. Non per niente i numerosi monumenti sovietici sono intatti e continueranno ad essere onorati. Lenin lo si vede dappertutto.


Il 9 maggio è certamente un’alta priorità anche nella Federazione Russa, ma nel Donbass abbiamo a che fare con un’enorme mobilitazione dal basso, ancor più del 1° maggio, di cui molti degli altri partecipanti ci avevano parlato, oltre che i giorni fondatori delle repubbliche popolari. Tre volte in meno di due settimane, le masse scendono in piazza. Sebbene, ovviamente, le autorità sovrintendono all’organizzazione della partecipazione, un elemento di volontarietà spontanea è molto evidente. A questo proposito, il termine rivolta popolare è ancora valido, anche per quanto riguarda il 2014 militare e gli anni successivi. Se la Russia può aver sostenuto la rivolta, il punto di forza è stata la resistenza popolare. 


Un elemento nazionalista grande russo, che noi davamo per scontato, non è in alcun modo apprezzabile. La Chiesa ortodossa non giocò praticamente alcun ruolo, a differenza della stessa Russia, dove invece ha un grande peso. Persino i cosacchi, che si presentano nella regione come un momento di identità potenzialmente conservatrice nel senso di una meccanica culturale di stato, appaiono poco più che folklore, tranne che in un senso antifascista, non è un caso che, ad esempio, il monumento di Shevchenko — il poeta nazionale ucraino usato dai nazionalisti — non è stato rimosso. Si tratta del segnale consapevole che si è avuta una rivolta democratica e antifascista, non nazionalista. Senza dimenticare che il Donbass era un crogiolo sovietico, a differenza della Crimea russo-imperiale.

Le questioni della situazione economica e le prospettive di sviluppo non possono essere messe a fuoco con la necessaria profondità in una visita di pochi giorni. Tuttavia, il ruolo schiacciante dello Stato è chiaro. Gli oligarchi sono scomparsi. Sebbene la loro proprietà sia stata formalmente preservata, la maggior parte dei governi ha dovuto intervenire e organizzarsi, senza dimenticare che non esiste un regolare sistema bancario e quindi nessun credito commerciale.

Formalmente, tutte le relazioni economiche con l’Ucraina di Kiev sembrano interrotte. Tuttavia senti dire che un qualche scambio commerciale c’è ancora. Il carbone del Donbass trova ancora la strada per raggiungere le sue vecchie aree di vendita. Il fatto che i nazionalisti ucraini e i radicali di destra abbiano accusato i propri oligarchi di continuare le relazioni economiche nel corso dell’imposizione del blocco della Donbass indica che ciò è avvenuto.

L’opportunità annunciata da Putin di rilasciare passaporti russi è stata accolta con entusiasmo. Grazie a questo è finalmente tornato disponibile per i cittadini del Donbass un documento di viaggio utilizzabile a livello internazionale, visto che non è possibile rinnovare i passaporti ucraini nelle Repubbliche popolari.


Anche se Mosca stessa non ne vuole sapere, e per questo motivo anche i vertici delle repubbliche popolari stanno frenando, praticamente tutti vogliono la connessione con la Russia — anche per ragioni piuttosto pragmatiche. Sia che si tratti dell’enorme differenza sociale: un minatore del Donbass guadagna 25.000 Rubli (circa 350 €), nel Kuzbass russo due o tre volte più — sia in vista della normalizzazione della situazione economica che dell’integrazione dell’industria pesante e metallurgica.

Nessuno crede davvero alla “pace di Minsk” e all’autonomia in seno all’Ucraina in essa prevista, Kiev ha dimostrato di essere militarista ed estremista. La guerra fratricida imposta dagli estremisti di destra della regione perpetrata dal regime di Maidan appare fratricida e priva di senso. Tuttavia, l’ipotesi dell’autonomia resta sul tappeto come ipotesi politica, almeno finché non è esclusa una rivoluzione democratica vittoriosa a Kiev.

Da notare le differenze tra Donetsk e Lugansk: Donetsk è più vicina alla Russia putiniana, mentre Lugansk affianca l’emblema nazionale ai simboli sovietici. A Donetsk le celebrazioni sono state organizzate dal ministero, a Lugansk dei sindacati.

Per quanto riguarda certe destre dell’Europa occidentale, non si può incolpare le repubbliche isolate di accettare il loro sostegno simbolico. Inoltre, le porte per la sinistra sono aperte, e lo saranno di più in futuro. Quando Werner Murgg, membro del parlamento della Stiria, ha presentato la grande delegazione austriaca con un totale di quattro comunisti stiriani al ministero degli esteri di Donetsk, tutti erano contenti. Lugansk ha già fatto diversi inviti per il futuro.

In vista del 9 maggio 2020, un’altra delegazione austriaca per la pace è stata concordata dai sindacati di Lugansk. Alcuni articoli sono già stati discussi. Visite nelle fabbriche per capire meglio la situazione sociale ed economica. La lotta antifascista continua.



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Un pensiero su “IL NOSTRO DONBASS di Willi Langthaler”

  1. Anonimo dice:

    Questo il quadro di Lugansk, pure oggettivo. Nelle altre zone l'atmosfera, la maggioranza di volontari internazionali è eurasiatista, "rossobruna" o esplicitamente fascista, il peso dell'Ortodossia è visibile e forte, l'antisemitismo pure.

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