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USCITA DALL’EURO E FILOSOFIA POLITICA di Moreno Pasquinelli

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[ venerdì 21 giugno 2019 ]

«Quelli che mi vedono, raramente si fidano della mia parola: devo aver l’aria di uno troppo intelligente per mantenerla». J. P. Sartre


Il mio recente articolo LA PROFEZIA DI BAGNAI E IL DILEMMA SOVRANISTA, come si è visto da certi commenti ha suscitato perplessità e aspre critiche. Su quelle stupide mi sarà concesso soprassedere. Su quelle che invocano per noi, “traditori”, la ghigliottina, stendo un velo pietoso. A chi sostiene che anche ove si giungesse all’italexit — siccome la politica economica della Lega è liberista e trumpiana —occorrerebbe combattere su due fronti —ove non valga la massima per cui è inutile spiegare i colori ai ciechi e la musica ai sordi — rispondo: 

(1) chi immagina che in queste condizioni sia fattibile una lotta su due fronti, è meglio che cambi mestiere invece di perdere tempo con la politica; (2) che il nemico principale, oggi come oggi, per il popolo lavoratore italiano, non è Trump, bensì la potente oligarchia ordoliberista euro-tedesca e (3) ove la casa Bianca, per ipotesi, offrisse un assist a Roma per rompere con l’euro-dittatura, esso, per quanto ciò sia indigesto a quelli che soffrono di dispepsia, andrebbe colto al volo per fare gol all’oligarchia di cui sopra e vincere possibilmente la Champion league. La  super coppa intercontinentale con l’imperialismo statunitense, la giocheremo semmai dopo, a condizione di aver vinto la partita con l’euro-germania.


Primum vivere. Usciti dalla gabbia dell’euro, ognuno può facilmente comprenderlo, si aprirebbe una fase nuova per l’Italia, ed a quella la sinistra patriottica è tenuta a prepararsi. Essa è oggi troppo debole? A maggior ragione occorre non commettere errori per rafforzarci ed essere in partita domani. 

V’è infine chi ci chiede quale sia il “limite” oltre il quale porremo fine al nostro sostegno critico e tattico al governo. Per quanto mi riguarda: quando e se questo governo cesserà di resistere all’attacco della Ue, ove cioè si tirasse giù le braghe. Quando lo sapremo? Molto presto, forse entro l’inverno.

Salvini e il “momento Polany”


Che questo governo faccia acqua da ogni parte, mi è chiaro. A maggior ragione  l’aggressione eurocratica è temibile e può avere successo. E’ questo un argomento per fare spallucce o associarsi al nemico facendo fuoco sul governo? Cero che no. 
Ma andiamo al nocciolo della questione. Cosa in realtà pensano molti di coloro che criticano P101? che saremmo già passati dal “momento Polany” al “momento Tsipras”, dalla resistenza populista all’élite eurocratica alla capitolazione
Questa tesi, mi ripeto, è sbagliata. 
Malgrado limiti, oscillazioni ed errori, in condizioni difficilissime — la potenza del nemico, la gravità inaudita delle sua minacce, avere nel governo il Cavallo di Tr(o)ia — la capitolazione non c’è stata. 
Vedo anzi i segni che difficilmente ci sarà. 
Così ci spieghiamo la minaccia della “procedura d’infrazione” dell’eurocrazia la quale così spera, se non di mettere in ginocchio il governo, di spaccare la maggioranza che lo sostiene, nella recondita speranza di un altro ribaltone.

Bisogna capirsi sul fenomeno populista e sul “momento Polany”
Il triangolo polanysta ha tre lati: 

(1) c’è quello della crisi sistemica (che porta con se il declino dell’egemonia politica dell’élite oligarchica dominante);
(2) c’è quello della rivolta delle masse popolari — che fino a prova contraria ha una sostanza democratica e non reazionaria;
(3) c’è infine il lato della direzione carismatica o populista che quella rivolta vuole rappresentare.

Strabico è chi vede (o vuole vedere) solo uno di questi lati. 
Conta la risultante, che è prodotta dall’interazione di questi tre fattori principali. 
Tre lati a cui corrispondo tre domande e relative risposte:

(1) la crisi di egemonia dell’élite oligarchica è forse terminata? Sono forse in rimonta i partiti storici dell’élite? Non ci pare proprio, direi anzi che la crisi tende ad approfondirsi; 

(2) si è forse esaurita l’onda lunga della rivolta dal basso? No, e dato che la crisi sistemica si aggrava, questa alimenta e non trattiene l’insubordinazione popolare; 

(3) e che dire dal lato della direzione carismatica e populista? Dopo che questo rivoltismo democratico aveva premiato, grazie anzitutto a Beppe Grillo, i 5 Stelle, ora esso alimenta il salvinismo. Chiediamoci: per questo la spinta è più debole? O, al contrario, è più forte? Io dico che, sparito dalla scena Grillo e venuto al suo posto Di Maio, la pressione popolare per una svolta anti-sistemica è più forte, non più debole. Salvini lo sa, e deve tenerne conto. 

Ritengo forse Salvini il “salvatore della Patria”? Un “Principe” all’altezza del momento storico che vive l’Italia? 
No, non lo penso. 
Temo anzi che egli stesso sia consapevole del dilemma che consiste nella consapevolezza della sproporzione tra la grandezza della battaglia a cui anch’egli è chiamato dalla storia — coi i rischi e le incognite che essa porta seco — ed i mezzi e le modeste capacità sue e della sua squadra. 

Il futuro scioglierà questo dilemma, sapendo che in certi frangenti, all’assenza di grande saggezza politica e arguzia strategica si può sopperire con la follia
Si, sto proprio parlando della follia. Non nel senso elegiaco di Erasmo da Rotterdam, ma in quello machiavelliano per cui “dove c’è una grande volontà non possono esserci grandi difficoltà”, nel senso che ci si deve liberare del freddo razionalismo che si inginocchia davanti ai dati di fatto, che si deve sfidare ciò che esso considera impossibile. 
Per quanto possa sembrare sconsiderato è vero ciò che afferma il protagonista Jake Sully in Avatar: “A volte tutta la vita si riduce ad un unico, folle gesto”. 

Come la rivoluzione, certo su una scala più piccola, la rottura con l’Unione, è in effetti un gesto folle e ciò non di meno necessario per il nostro Paese. 
Sarà solo nel fuoco della battaglia che potrà nascere il machiavelliano “Principe”, il Profeta per chi crede, che forse verrà da dove il nemico meno se lo aspetta.

«Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa». [ Matteo 10,32-11,5 ]

La scommessa pascaliana

Ma niente. I critici vogliono certezze. Scienziati e ingegneri che per hobby hanno scelto la politica, partigiani del metodo cartesiano, le certezze le esigono addirittura matematiche. 
Per questo, mi ripeto, la politica — che come scrisse Lenin è un’arte — non fa per loro, poiché nella sfera del Politico certezze non se ne danno mai. 
Le rotture, non solo quelle rivoluzionarie, tutte quelle che chiedono audacia, tirano in ballo il fattore della decisione, e ogni decisione, nella politica come nella vita, è presa in condizioni di rischio e di incertezza. 
Vinceremo o perderemo? 
La verità è che nel momento in cui si entra in battaglia non è dato saperlo con sicurezza. Come disse Napoleone — un’altro che di decisioni temerarie se ne intendeva —, “On s’engage et puis… on voit”.

I medesimi dicono che per questa battaglia il popolo non è pronto, anzi, che questa battaglia non la voglia. Ove non sia il volgare disprezzo profondo per le masse popolari — “Francia o Spagna basta che se magna” —, questo concetto (come ogni discorso politico) ha una sua base filosofica, ed è la concezione élitista della storia — i popoli sarebbero solo folla, gregge di pecore condannate a seguire e ubbidire al pastore (élite) di turno. 
Un pensiero, questo, a cui occorre strappare la maschera del realismo politico e denunciarne invece il suo carattere metafisico e reazionario. Non Hobbes o Bodin quindi, bensì Machiavelli, per cui il “tumulto” popolare e il conflitto tra chi sta sotto e chi sta sopra sono non solo costitutivi di ogni “ordine politico”, ma la loro vera e più profonda e dinamica forza propulsiva. 

La maggioranza, in battaglia, qui come altrove, oggi come ieri, ci sarà trascinata da una minoranza ben preparata e agguerrita, come dai dominanti che non si faranno scrupoli e vorranno ottenere la vittoria ad ogni costo. In queste condizioni “fattuali”, lo diciamo a chi spaccia la versione irenica e contraffatta dell’egemonia gramsciana, questa egemonia si decide sul terreno della forza. 
Come scrisse George Sand:

«Non nel dolce mormorio delle lodi,
ma nelle urla selvagge del furore
sentiamo le note del consenso».


Non è certa l’analogia tra il credere in Dio e credere nella rivoluzione, tuttavia il credere è per sua natura un atto di fede. Bestemmia in questi tempi di scetticismo e relativismo segnati dal discorso postmodernista tanto funzionale alla rivincita capitalistica e neoliberale. 
Il matematico e filosofo Pascal, contro gli atei, fece ricorso al calcolo delle probabilità: anche se ammettiamo che tra le due opzioni — che Dio esista oppure no — avessimo la stessa probabilità, dovremmo scommettere su quella più utile affinché la nostra linea di condotta sia virtuosa. 
La tesi di Pascal era più o meno la seguente: se Dio esiste saremo ricompensati con la beatitudine perpetua, se invece non esiste avremo perduto solo cose effimere e insostanziali. 
Di qui la sua affermazione per cui conviene vivere come se Dio ci fosse.

Ecco signori, come conviene credere che la rivoluzione sarà, occorre credere che l’uscita dall’euro, oltre che auspicabile è nell’ordine necessario delle cose. 
Per come la vedo io, anzi, l’Italia (di nuovo peculiare laboratorio storico) ha già imboccato quella via. 
Il populismo? 
Non è che il momentaneo rivestimento di questo processo di sganciamento dalla Ue e dalla mondializzazione, come il bruco che diventato crisalide, simbolo di rinascita, a certe condizioni, diventerà farfalla. 


A certe condizioni diciamo, poiché la crisalide potrà essere uccisa, così che nessuna rinascita veda luce. Chi vede solo il bruco e pensa che data la sua bruttezza non valga la pena aiutarlo nella sua metamorfosi, è colluso con chi vuole la morte sua, e con esso quella del nostro Paese.

Non convinceremo scettici incalliti, dottrinaristi e sovranisti della cattedra. 
Ci rivolgiamo a chi possiede quella oramai rara dote che è l’indole rivoluzionaria e patriottica. 
Chi ce l’ha, deve non solo augurarsi ma fare ogni cosa sia nelle sue facoltà affinché si vada in battaglia, scongiurando quindi la resa stile Tsipras, poiché essa sarebbe un disastro catastrofico, se non proprio un secondo “8 settembre”. 
E dopo l’8 settembre non avremo da giocare alcun campionato, la squadra dell’Italia sarebbe annientata e gettata nell’abisso.

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8 pensieri su “USCITA DALL’EURO E FILOSOFIA POLITICA di Moreno Pasquinelli”

  1. Gaetano dice:

    La sinistra patriottica non c'è.Penso che ciò sia vero.Ma la frase va rimodulata: non c'è la sinistra.Esistono, è vero, decine di migliaia di individualità disperse atomizzate e, soprattutto, in preda ad una inevitabile confusione da ritirata allo sbando pluridecennale.Sono aperto a tutte le osservazioni ma vorrei fossero costruttive. Dopo la presa d'atto razionale del fatto che siamo insignificanti e che moriremo tutti, deve venire il passo successivo: scelgo di agire o mi ritiro nel mio guscio?E questo il nodo fondamentale. La responsabilità è individuale: cosa decido di fare.Personalmente scelgo di agire. Sempre.Di conseguenza le critiche incentrate sul "tanto non serve a nulla, cosa ti illudi di influire sulla storia, cosa vuoi imitare Lenin, cosa credi che il potere si lascerà scalzare, cosa ti illudi che ritornino gli anni 70."Di questo tipo di critiche proprio non so che farmene.

  2. Anonimo dice:

    La risposta è pure condivisibile, ci mancherebbe che se Donaldo Briscola offre una sponda non si approfitti della cosa. Ricordo però che ho scritto:"non considero l'entrismo un male assoluto, ma bisogna avere una propria posizione ideologica, almeno in embrione"Vogliamo fare il solito esempio? Gli MMT che adesso stanno in molti partiti. Ce ne stanno al governo (*), ce ne stanno vicini a Fassina, ce ne stanno anche vicini ad Antonio Maria Rinaldi (**). Cosa dimostra questo? Che si può fare una scelta tattica ma avendo una propria teoria sociale. La proposta di P101 (facciamo un sacco di assunzioni fra pubblico impiego e settori strategici nazionalizzati), pur andando nella giusta direzione, è primitiva rispetto alla proposta MMT (***), anche solo per il fatto che non esprime certo una teoria ma un rattoppo allo status quo.Insomma, non mi pare che sia una incompatibilità fra le necessità tattiche e lo sviluppo di un propria posizione teorica. Anzi, la prima senza la seconda comporta una debolezza. E dire che la MMT di vuoti da riempire ne avrebbe. Ma i socialisti, nonostante siano eredi di una tradizione grande anche se ormai passata, proprio non riescono a scuotersi. Giovanni(*) È il caso di Bracci. Io nonostante abbia espresso le mie critiche (che confermo) al suo articolo con Tridico che voi avete ripreso non ho rinunciato a pensare che la sua possa essere solo una posizione tattica. Ci dira la storia se è così o se invece è un giovane talmente capace a tutto da esser capace di tutto. Io confermo le critiche ma mantengo sospeso il giudizio.(**) En passant, nonostante io non abbia votato per A.M.R. (non sono andato a votare proprio) considero da tempo questo gruppo MMT a lui vicino uno dei migliori venuti fuori da quella esperienza.(***) In questo senso sarebbe interessante lo sforzo di Zhok se non fosse che anche lì manca di affrontare il solito punto (è mio il commento sotto nel suo articolo) dell'allocazione della forza lavoro. I marxisti discettano dei massimi sistemi, che è pure giusto, ma come pensano di parlar con noi del popolo se i nostri problemi concreti non li affrontano mai direttamente ma solo come trickle down da un discorso sui massimi sistemi?

  3. SOLLEVAZIONE dice:

    sgomentoGiovanni ( o chiunque tu sia) per quanti sforzi faccia non comprendo cosa c'entri il tuo commento con quanto ho scritto.Mi sono spiegato male o sei tu che non comprendi?Moreno Pasquinelli

  4. Anonimo dice:

    I due pilastri di questa tesi sono:1) Crisi sistemica irreversibile2) rivolta del popolo in corso o incipienteSul primo punto siamo daccordo. Ma sul secondo ti chiedo dove la vedi questa rivolta? Basta un voto a Salvini per dire che c'e' una rivolta incipiente? Soprattutto che popolo è quello che vota Salvini? È una polvere di umanita' o è un popolo con una storia di lotte, una identita', un senso di appartenenza, tradizione e comune sentire? E dove sarebbe il moderno principe che guiderebbe all'assalto di Bruxelles tutte queste masse ribelli inesistenti?La follia mi puo' star bene ma che non diventi mitomania! È vero che l'arte della politica non è legata meccanicamente e weberianamente ai fatti ma neanche allo spirito visionario e avventurista!

  5. Anonimo dice:

    Il senso è che va bene fare delle scelte tattiche ma bisogna sviluppare una posizione ideologica.Senza una proposta ideologica, con la sola scelta tattica, si sarà trascinati dagli eventi.Le necessità tattiche ci precludono forse iniziare lo sviluppo di una posizione ideologica? Io non credo.La parola socialismo, avete risposto qualche articolo fa, è bruciata. E dunque che si fa? Solo tattica? Ma se si fa solo tattica non si finisce dritti dritti dentro "l'abbandono della postazione ideologica"?Giovanni

  6. Anonimo dice:

    E ridiciamola con l'esempio degli MMT. Molti di essi, dopo avere detto peste e corna (ed anche giustamente) del reddito di cittadinanza sembrano aver cambiato idea ed adesso lo sostengono. Stanno forse abbandonando la postazione ideologica? Io non lo so ma ancora ancora spero di no. Il punto è che loro hanno una postazione ideologica da difendere e propongono il lavoro garantito.Voi invece dite facciamo un sacco di assunzione e manteniamo il socialismo come stella polare. Fare un sacco di assunzione non debella la disoccupazione ma semplicemente la riduce ed in via temporanea. Invece il socialismo come stella polare mi sembra molto simile al comunismo di Marco Rizzo, una petizione di principio rinviata ad un indefinito tempo futuro. Questo può considerarsi posizione ideologica? Io mi rispondo di no.Io con l'affermazione fatta da Fraioli nel suo commento al precedente articolo sono d'accordo ma solo in parte. Lui esclude qualsiasi tipo di tattica e probabilmente pensa che come posizione ideologica basta il richiamo alla costituzione, io invece penso che il richiamo alla costituzione non basta.E' giusto dunque porsi la domanda "quale socialismo?" come fa l'articolo di Zhok che ho linkato? Io penso di sì, ma voi mi sembrate dire che per ora non si può porsi questa domanda perché ci si deve dedicare solo alla tattica.Le necessità tattiche precludono lo sviluppo di una teoria sociale? Io penso di no ma voi mi sembrate pensar di sì.Giovanni

  7. Anonimo dice:

    Per dirla in un altro modo, rifacendomi sempre all'espressione del Fraioli: in che modo la scelta tattica (anche se necessaria dalle avverse circostanze) non implica un abbandono della postazione ideologica? Tu a questa domanda mi pare che non hai risposto.Giovanni

  8. Anonimo dice:

    Ho riletto adesso e penso che differenza stia in questo. Tu scrivi:"Sarà solo nel fuoco della battaglia che potrà nascere il machiavelliano "Principe""Vedi il principe potrà nascere nel fuoco della battaglia ma solo se l'embrione sarà concepito prima. Qui purtroppo stiamo messi male male male.GiovanniPS. Vedo che il governo adesso sembra piegarsi, ma io continuo a pensare che sia ancora presto per sciogliere la riserva. Cercano di superare Luglio e non saranno pronti se prima non si saprà come finisce la telenovela dei Tories in UK. Lì si vedrà cosa vorrà fare Trump (che deve decidere pur qualcosa prima delle sue elezioni) e lo scontro interno ai dominanti è arrivato o no al punto di rottura. Ovviamente, fermo restando il nostro grosso problema con l'embrione.

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