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I TEMPI CHE VIVIAMO, QUELLI CHE VIVREMO di F.S.

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[ domenica 21 luglio 2019 ]

Scrivevo pochi giorni fa come il “Deep state” occidentale, di cui espressioni politiche son tanto i neo-cons quanto la frazione Clinton, punti a disarcionare la Lega a trazione salviniana di cui non può tollerare l’apparente volontà strategica di legare Roma mediterranea alla Russia. In questo senso, Salvini, come hanno scritti i reazionari fautori dell’ordine globale liberale ed unipolare occidentale, è “il politico più pericoloso che oggi vi sia”. Questo elemento dà anche modo di comprendere i tempi che viviamo e che vivremo.


Alexander Svechin e la guerra non ortodossa


Non fu la scuola tedesca l’ideatrice della guerra lampo, come erroneamente si tramanda nell’ambito della storiografia militare; fu invece il generale russo Aleksey Brusilov (1853-1926) il quale dopo aver elaborato il concetto di offensiva strategica, lo sperimentò con successo nell’estate 1916 nei frangenti della prima guerra mondiale, in quella che sarà tramandata alla storia come l’ultima coraggiosa iniziativa vittoriosa dell’esercito zarista. Allo stesso modo, non sono stati gli americani, né tantomeno i cinesi, i teorici della guerra ibrida ed asimmetrica di cui oggi si fa un gran parlare: fu Alexander Svechin (1878-1938), cristiano ortodosso nato ad Odessa e fervido patriota russo, ucciso impietosamente ed inspiegabilmente dal terrore staliniano, oscura fase a cui solo la “grande guerra patriottica” mise fine riconciliando il popolo russo con lo stato sovietico;“i russi ritrovarono finalmente la Patria…” disse ricordando quei tragici giorni Alexander Solzenicyn, che cita peraltro in più contesti Svechin con notevole ammirazione, ad esempio nel ciclo della “Ruota Rossa”.


Alexander Svechin
Svechin è probabilmente il genio strategico del XX secolo. Gerasimov lo considera una personalità eccezionale, con idee rivoluzionarie e anticipatrici, appartenente al piccolissimo novero dei “fanatici” (nell’accezione positiva del termine) pronti a dare la vita per la santa Russia. 

«Il nostro paese ha pagato con fiumi di sangue il non aver dato ascolto alle profezie di questo professore dell’Accademia dello Stato Maggiore». (V.Gerasimov, Il valore della scienza nella previsione). 

Con decenni d’anticipo rispetto alla “Guerra senza limite” di Liang Qiao-Xiangsui Wang o a quanto finirà per esporre in Occidente il più dotato teorico del realismo liberale che ha sviluppato anni fa l’idea globale di “superimperialismo benigno”, l’ebreo-americano “neokautskyano” Richard Haas; con decenni d’anticipo rispetto alle successive rivoluzioni tecnologiche e alla Cyberwar, Svechin, solitario, intuì la superiorità della tattica sulla strategia. Ciò significa non solo necessità del superamento del vuoto o del brevissimo limite spazio/temporale tra fase di guerra e fase di apparente stasi, ma anche, in contrapposizione alla scuola giacobina-napoleonica e a quella prussiana allora dominanti, ridimensionamento della guerra d’assalto. L’onda lunga dell’insigne pedagogia storica politica di Suvorov (1729-1800) e Kutuzov (1745-1813), della quale la miglior e più vivida rappresentazione ci è data in Guerra e pace di Tolstoj, finisce così per ispirare Svechin.

Elaborando la visione della grande retrovia interna e dello spazio territoriale di profondità, da cui conservare e estrarre le strategiche materie prime, Svechin nei primi Anni Trenta, critico moderato di Clausewitz ma deciso ammiratore di Helmuth Von Moltke (1800-1891), si contrappone al neobonapartismo del maresciallo Tuchacevskij, che verrà anch’egli ucciso dal regime sovietico nel giugno del 1937, teorizzando, ormai certo dell’arrivo della seconda guerra mondiale, che la vittoria militare potrebbe anche corrispondere ad una misera sconfitta geopolitica e politica o viceversa. 

In epoca contemporanea, perciò, la fase strategica per il Nostro non è tanto decisa dall’abbagliante lampo dei missili o dalla fulmineità della pianificazione militare, quanto invece lo possa essere dal profondo intimo possesso di un pensiero politico tattico. Diversamente dall’opera di G.S. Isserson, Nuove forme di combattimento
Un saggio di ricerca sulle guerre moderne (1940), Svechin considerava già dai primi Anni Trenta politicamente superato l’esempio della guerra lampo o le modalità offensiviste e

strategiche. Il concetto di “guerra non ortodossa” implica anzitutto una possibile attenuazione politica e diplomatica della dimensione militare. 


L’apparato profondo industrial-militare americano ha saputo utilizzare per i propri fini, nel corso della guerra fredda, il concetto di “guerra non ortodossa” ben più di quanto abbia saputo fare lo stato profondo sovietico, che soprattutto nella tarda epoca brezneviana ha puntato erroneamente sul militare convenzionale, sbagliando obiettivo. La dottoressa finlandese Rauni Kilde prima di deviare in astrazioni ufologiche, dette la contezza di vari esperimenti indirizzati in tal senso dallo stato profondo occidentale, anche sul piano del controllo mentale di massa. 

La regolazione della bilancia


Tentando di applicare oggi l’immortale lezione di Svechin, ci dobbiamo perciò per forza di cose ricollegare alla teoria della “regolazione” della bilancia di Haas. La regolazione della bilancia interimperialista globale ha l’obiettivo esplicito di una ordinata gestione del declino relativo degli USA. Lo stesso Craig Van Grasstek, specialista americano del commercio con decenni di esperienza accademica e professionale, agente della globalizzazione unipolare per conto di istituzioni come la Banca Mondiale e OCDE, grande cultore del pensiero realista di Tucidide, ha scritto di recente: “Si può immaginare che nel corso di 10 anni i rapporti di forza tra le potenze imperialiste rimangano immutati? Assolutamente no”. Anche per i realisti liberali, l’ordine liberale, dogmaticamente imposto, ha messo in crisi tutto l’Occidente.

L’ineguale sviluppo politico e economico porterebbe all’erosione del primato globale nord-americano, generato da un lato dalla stabilizzazione policentrica di altre potenze, dall’altra dall’indebolimento strutturale interno statunitense. Hass sostiene a tal riguardo che è quindi necessario prevenire una combinazione ostile di elementi in Europa, nel Golfo Persico, nell’Asia, stabilizzando “bilance accettabili” per l’interesse globale statunitense, prevenendo nella tattica oppositiva o antagonista ogni alterazione eccessivamente sovversiva del quadro geopolitico e geoeconomico tollerabile.
Tuchačevskij, Michail Nikolajevič

La dottrina Haas è una variante, ma realistica, almeno nelle intenzioni, della globalizzazione gestita. Ciò che però oggi emerge a Washington nelle nuove dottrine dell’amministrazione Trump è la tesi centrale che proprio la linea dell’internazionalismo liberale avrebbe consentito ad avversari sistemici dell’Occidente come Russia e Cina di ritornare al centro della contesa globale. All’internazionalismo liberale, tra le righe, nella lotta di frazioni sistemiche occidentali, viene in definitiva anche addebitata la responsabilità politica e economica delle due guerre mondiali: l’ordine liberale globale avrebbe avuto bisogno di far crescere e avanzare le forze che poi lo avrebbero voluto spazzare via, come oggi sta avvenendo con la Cina socialconfuciana. E’ quello che VanGrasstek definisce “il paradosso dell’egemonia”: il mercato mondiale aperto, di cui la superpotenza egemone ha bisogno per rafforzare il proprio pluspotere strategico, non sarebbe affatto garanzia di pace ed equilibrio sistemico. VanGrasstek studia economicamente i due conflitti mondiali, deideologizza gli stessi movimenti storici di tipo fascista e bolscevico e rileva una certa costanza fenomenica in tale ciclo. 

«Negli anni dal 1917 al 2017, gli USA hanno combattuto 9 guerre dichiarate che si sono combattute per 41 anni. Hanno attraversato 18 recessioni durate 38 anni. Essendo le guerre frequenti la metà ma lunghe il doppio delle recessioni, ci si potrebbe aspettare che gli economisti dedichino tanta attenzione a questi fallimenti politici quanta ne dedicano ai fallimenti di mercato. Viceversa, le opere di scienza economica dedicata alla guerra non riempiono nemmeno il più modesto tra gli scaffali».

VanGrasstek, legato allo stato profondo, sostiene però che il trumpismo nazionalpopolare e nazionalizzato durerà molto più a lungo dell’uomo politico Trump e che anche se Cina ed Usa non si impegnassero in conflitti diretti, i tempi che verranno saranno assai caotici.
Secondo la linea trumpiana, le due guerre mondiali sarebbero state precedute da una mondializzazione liberoscambista per molti versi simili a quella odierna. Se ciò può esser vero per quanto riguarda la prima guerra mondiale, di assai ardua definizione complessiva è il quadro caotico che precede la seconda guerra mondiale. 


Equilibrio e rottura dell’equilibrio, nello sviluppo ineguale, non possono che concretamente tradursi nella lotta per l’egemonia politica imperiale o imperialista e proprio il contesto strategico tipico dell’internazionalismo liberale favorirebbe, più di ogni altro, la logica della spartizione ineguale e dello sfruttamento, come mostrerebbe appunto la politica strategica migratoria mediante la quale si sottrae la “catena del valore” e la forza lavoro al continente africano. La trumpiana guerra mondiale dei dazi e delle sanzioni sembra per il momento ridisegnare l’ordine globale, rimettendo momentaneamente al centro l’Impero. Un eventuale fallimento del trumpismo riporterebbe però in auge il partito della guerra mondiale, la frazione Clinton o una nuova frazione neo-cons (che è del resto presente anche se non centralmente nella stessa amministrazione Trump), espressioni dirette del “Deep State” e della dottrina Haas. La frazione Clinton è quel partito elitista che sta provocando oltre modo l’Iran in questi giorni. Quello che è arrivato a Kiev nel 2014 sperando che Putin cadesse nel tranello dell’invasione russa per legittimare la terza guerra mondiale basata sul termonucleare – e in questa ottica si spiega l’ulteriore, enorme rafforzamento russo nel settore nucleare in questi ultimissimi anni. L’apparato militare-finanziario-mediatico occidentale è infatti, nonostante Trump, quasi totalmente diretto da clintoniani e ha fatto della UE l’agente tattico di una aggressiva e suicida politica russofoba.

Momento Craxi della storia italiana


Ispirandosi a un filone del pensiero risorgimentale, Bettino Craxi propose dalla metà degli anni ’80 la tattica della “pace nel Mediterraneo” con l’Italia in posizione centrale: apertura all’Urss e graduale disinnesco del progetto sionista e americano, basato sulla guerra di civiltà alla Palestina allora socialista e cristiana, ai regimi baathisti e alla Libia gheddafiana. Come noto, lo stato profondo occidentale fece fuori il craxismo, costringerà Gorbacev alla catastrofe di civiltà, imporrà il ciclo liberista globale su base transatlantica europea ed avrebbe infine reso il Grande Medio Oriente una polveriera, radicalizzando la borghesia sunnita, portando ancora più instabilità e sangue nella fascia mediterranea. Ho tentato di precisare nei vari articoli precedenti che il Mediterraneo è il centro strategico della nuova contesa globale, non lo è l’Asia né l’Eurasia. 


Oggi, a differenza di quanto pensa certo “sovranismo”, ma in parte la stessa corrente elitista liberale — che finisce per essere l’altro volto della stessa medaglia del sovranismo — non si sta riaffacciando in Italia né la “fase Mussolini” né la “fase Cavour”. Se l’Italia avesse oggi un ruolo effettivamente globale, potrebbe essere proprio all’insegna di un nuovo “momento geopolitico Craxi”. Depotenziare la supremazia americana e sionista nel Mediterraneo sarebbe una azione di notevole prassi politica e di nuova civilizzazione, al servizio e in difesa della pace globale, nella prioritaria strategia dell’Indipendenza nazionale dalla NATO e dai franco-tedeschi, fanatici partigiani dell’imperialismo a stelle e strisce come abbiamo visto nelle recentissime nomine di Bruxelles, con la fondamentale designazione di E. McCauli al board BCE passata stranamente sotto silenzio. 

Sigonella, 1985: quando il governo Craxi sfidò gli USA
Ciò significherebbe inevitabilmente coinvolgere direttamente la Russia in un grande e decennale disegno geopolitico e diplomatico, caratterizzato da una leale collaborazione funzionale alla missione di pace mediterranea. Il ventre molle cinese è caratterizzato dal ritardo sul piano del nucleare ed in tal senso si spiega l’abbocco anti-occidentale con il putinismo, a sostegno del quale è sceso in campo anche il Patriarcato di Mosca con la teoria della legittimità della “difesa nucleare ortodossa” contro l’imperialismo razzista antirusso degli occidentali. In tal senso, G. Chiesa, uno dei rarissimi analisti italiani che non risponde ad altro se al proprio pensiero, ha ben mostrato in Putinofobia come il presidente russo sia stato il politico e lo statista a cui dobbiamo il fatto storico odierno che ha fatto sì che la guerra ibrida ancora non è deflagrata in guerra mondiale aperta. Le Vie della Seta nel Mediterraneo e il sostegno franco e diretto alla politica imperiale russa nel Grande Medio Oriente, contro ogni suicida tentazione arabofoba, sarebbero perciò il compito di civiltà che uno statista italiano che abbia a cuore il futuro strategico del Paese, la pace e la autentica regolazione della bilancia dovrebbe perseguire con prudenza, abilità ma assoluta determinazione. Avrebbe ben poco senso evocare in tal senso una nuova strategia della tensione o i rischi che una tale missione comporterebbero. Proprio il presidente Putin, al FT, ha detto: “non tutti i rischi sono uguali. E, quando se ne corre uno, bisogna saper prevedere le possibili conseguenze”. 

Questa è politica e arte di governo. Alla luce del pensiero tattico di Svechin, il coraggio senza prudenza è un eccesso di idealismo che ci porta fuori strada; ma la prudenza senza coraggio è un falso realismo che si degrada in basso pragmatismo che non lascia il segno. Fare politica significa perciò cogliere il momento tattico nel particolare momento storico e concentrare lì tutta la forza d’azione. Del resto, negli anni recenti il nostro popolo ha sperimentato una insipienza culturale, morale, politica — alle soglie dello stato di coma profondo — ben peggiore dei pur problematici Anni Settanta.

19 pensieri su “I TEMPI CHE VIVIAMO, QUELLI CHE VIVREMO di F.S.”

  1. Anonimo dice:

    P101 sta forse slittando verso posizioni euroasiatiste alla Alain de Benoist e Alexander Dughin?Ma F.S. chi e' il nuovo ideologo della nuova svolta?Quando rimetterete al centro il tema dell'anticapitalismo, che avete sostituito con giochi tattico strategici delle frazioni dominanti nella contesa globale, con la geopolitica delle potenze, sempre a caccia di un male minore che ci dispensa dal pensare al male peggiore?Roberto

  2. SOLLEVAZIONE dice:

    Caro Roberto,si vede che no leggi con assiduità SOLLEVAZIONE.Non te ne facciamo una colpa.Diverse volte abbiamo scritto in polemica con l'auroasiatismo, compreso quello versione Dughin.Lo stesso F.S. ha scritto su questo.Per il resto vale sempre la precisazione che gli articoli firmati non esprimono necessariamente il punto di vista della redazione e di P101.SOLLEVAZIONE ha dato e darà voce non solo a coloro che hanno opinioni diverse dalla nostre, ma anche a chi le critica apertamente ma costruttivamente.

  3. Anonimo dice:

    FS ha scritto più volte contro Dughin. Roberto è un provocatore sistemico e sinistrato

  4. Anonimo dice:

    Tranquillizzo Roberto: non sono ideologo di nessuna nuova svolta.Bastava tra l'altro leggere anche superficialmente taluni tra i precedenti articoli (es. https://sollevazione.blogspot.com/2019/05/il-mediterraneo-al-centro-della-contesa.htmlhttps://sollevazione.blogspot.com/2019/03/la-cina-e-il-mediterraneo-di-fs.htmlhttps://sollevazione.blogspot.com/2019/06/putin-primakov-la-russia-e-il.html) per ben vedere come non solo non aderisco alla dottrina Dughin o alla dottrina De Benoist, ma ho una visione completamente diversa, a tratti antagonista direi. Premesso pure che Dughin e De Benoist (e pure Roberto) sono grandi intellettuali, io un semplice e modesto osservatore. A differenza di Roberto, Dughin, De Benoist, estrema destra e estrema sinistra, sinistra anticapitalista sinistrata e occidental-europeistica, tento di sviluppare un approccio non ideologico ma realistico ai problemi contemporanei.FS

  5. Anonimo dice:

    Infatti non mi sembra proprio che Fs sia dughiniano, tutt’altro, l’analisi che fa è ben più economicistica e marxista di quella della nuova destra per poi precisare che precisa sempre che non vi è l’esistenza dell’aurasia ma quella del cono mediterraneo. Antonio

  6. Anonimo dice:

    Approccio non ideologico ma realistico? Sono ormai quarantanni che ci propinano l'idea (sbagliata) del non ideologico perché non esistono ideologie ma solo la realtà, dobbiamo ancora continuare così? Invece di dire post ideologico si dice non ideologico ma la zuppa mi sembra sempre quella.Io non sono Roberto però 'sta accusa di sinistratismo con cui alcuni liquidano sommariamente qualsiasi critica è solamente indice di un settarismo speculare ma identico a quello dei presunti sinistrati.

  7. Anonimo dice:

    La sinistra massimalista e complottista italiana soffre del solito morbo che ha afflitto gruppettari e settari. Ossia pensare a un grande disegno strategico mascherato con immagini fulminee e irresolubili (la civiltà anticapitalista, l'estinzione dello stato, tutto il potere a tutto il proletario che votava però la Dc) mentre il paese se lo pappava prima un certo Benito Mussolini, poi appunto la DC, infine Salvini.Se non ci fosse questa sinistra, anche quella del nè nè, del terzo impossibile fronte, del leninismo puro e duro, Salvini non sarebbe al 40 per cento.

  8. Anonimo dice:

    L’anonimo delle 16,19 addirittura nega l’esistenza del sinistrismo. Parla di presunto sinistrismo. Praticamente è il clone del sinistrato Roberto. Si fanno sentire ora che sta avanzando la sinistra patriottica antieuropea Antonio

  9. Anonimo dice:

    Purtroppo Roberto o chi per lui confonde l'approccio realistico con il liberalismo post-ideologico, che è quantomai ideologico – dalla catastrofe europea ai genocidi umanitari americanisti e sionisti lo abbiamo ben visto, proprio negli ultimi anni 40 anni citati.Il realismo politico nasce con Machiavelli e non c'entra niente nè con il decisionismo neomarxista schmittiano, nè con il liberalismo postideologico dei sinistrati tipo Roberto, altro volto della medesima medaglia dell'imperialismo sionista o liberale o neocons, ovvero con le forme centrali dell'Imperialismo occidentale.FS

  10. Anonimo dice:

    Ho letto molti scritti fs, sono tutti molto saggi e documentati, da leggere più volte, non direi siano dughiniani non mi pare, ma nemmeno marxisti. non condivido però Roberto, io sto con la Sinistra patriottica e non con gli euristi sinistrati Michele

  11. Giacomo-bergamaschi dice:

    Roberto parla di frazioni dominanti ma non capisco cosa c’entra con il tono dell’articolo che è in continuità con lo sganciamento mediterraneo dalla NATO, forse è rimasto contrariato da questo

  12. Anonimo dice:

    https://sollevazione.blogspot.com/2019/07/la-strategia-di-putin-di-fs.html?m=1 p101 e il Dottor De Bellis sono auriasatisti non fs vedasi commenti link

  13. Anonimo dice:

    Anonimo del 23 luglio 2019 10:44Se A dice che B è sinistrato mi pare che si possa solo presumere che B sia sinistrato, qualsiasi cosa vada oltre questo si chiama giudizio sommario.A me che commentatore Roberto sia sinistrato o meno mi importa assai poco.Ciò detto io non ho negato l'esistenza dei sinistrati come tu sostieni, anzi ho detto che essi esistono e purtroppo esistono anche quelli ad essi specularmente (e pavlovianamente) contrapposti che si credono diversi ma sono ahimè identici a loro.Del resto è particolarmente comodo (ed anche settario) ragionare in termini di due sole categorie. Evita la grande fatica di dover pensare e consente di farsi ragione in maniera sbrigativa.Però questa fregola a distinguersi dalle sinistre massimaliste a me ricorda qualcosa di molto infausto. Mi ricorda la fregola con cui dopo il crollo del muro di Berlino le sinistre fecero a gara a prendere le distanze dal sovietismo. Abbiamo visto dove ha portato questa strada, dritta dritta fra le braccia del centrismo bipolare e della sinistra tanto tanto pragmatica che ha derubricato rapidamente il socialismo a libro dei sogni (massimalisti) di cui non si doveva più parlare.Capisco che qualcuno ci ha il dente avvelenato coi sinistrati avendoli frequentati tutta la vita ma io non voglio finire in braccio ad un nuovo e diverso centrismo (magari più adatto alla fase multipolare) solamente per questo.

  14. Anonimo dice:

    Per anonimo 17.44Roberto è sinistrato in quanto non pone come centrale l'opposizione populista ad Ue e Nato, oggi questione centrale.E' evidente che una affermazione di un mondo policentrico non aprirà spazi al centrismo, ma a eventuali altri poli (filocinese filorussi) che sgancino il Mediterraneo dalla Nato.

  15. Anonimo dice:

    Non c’entra niente che uno li frequentava avendo militato a sinistra per una vita, il fatto è che questa gente mistifica la realtà è la storia rinnegando decenni di battaglie sociali

  16. Anonimo dice:

    "una affermazione di un mondo policentrico non aprirà spazi al centrismo"Il potere ha sempre bisogno di aver coperto il fianco sinistro e lo avrà anche nella fase policentrica, certo in un modo diverso da prima ma lo avrà. Questo potrà aprire lo spazio a prospettive che potremmo chiamare centriste ma non sarebbe ovviamente lo stesso centrismo degli '90.Non conosco bene la storia ma scommetto che anche il fascismo deve aver avuto una sua specie di sinistra interna che rispetto ai rivoluzionari in esilio era in posizione centrista. Ma è solo un mia supposizione.Sottovalutare il rischio di restare intrappolati in una nuova area collaterale al potere solo perché accecati dai sinistrati (sinistratiii, sinistrati ovunque) mi sembra davvero un pessima idea.Non c'entra il fatto che uno li ha frequentati per una vita? E come altro spiegare la maniera quasi compulsiva con cui il tema continua a ripresentarsi nonostante che il fenomeno sia talmente minoritario che nessuno lo conosce. Prova a chiedere per strada a chiunque se sa cosa sia un sinistrato, ti risponderà che è qualcuno che ha subito un sinistro. Il popolo neppure li conosce ed infatti non riescono a mobilitare proprio nessuno.In questo post stiamo parlando di un solo commento che poteva anche essere bellamente ignorato oppure vi si poteva rispondere come ha fatto la redazione, cioè entrando nel merito e senza tirar fuori la redutio ad sinistratum. Ma se alcuni preferiscono così pazienza.

  17. Anonimo dice:

    "Però questa fregola a distinguersi dalle sinistre massimaliste a me ricorda qualcosa di molto infausto. Mi ricorda la fregola con cui dopo il crollo del muro di Berlino le sinistre fecero a gara a prendere le distanze dal sovietismo. Abbiamo visto dove ha portato questa strada, dritta dritta fra le braccia del centrismo bipolare e della sinistra tanto tanto pragmatica che ha derubricato rapidamente il socialismo a libro dei sogni (massimalisti) di cui non si doveva più parlare.Capisco che qualcuno ci ha il dente avvelenato coi sinistrati avendoli frequentati tutta la vita ma io non voglio finire in braccio ad un nuovo e diverso centrismo (magari più adatto alla fase multipolare) solamente per questo"Commento molto interessante ma che non ritengo complessivamente corretto.Nel Togliattismo vivevano due anime: una che definirei, come fa Giorgio Galli, “socialista nazionale” e machiavellica, un’altra di derivazione marxista, dunque socialdemocratica, elitista e alto borghese (intellettualità, magistratura, fazioni di forze armate). Ritengo che la prima fosse strategica, la seconda tattica. Sino a quando è stato in vita Togliatti il compromesso si è risolto a vantaggio di una linea Nazionale e Neo-Risorgimentale al socialismo, dunque antagonista rispetto alle stesse componenti gappiste secchiane che, indirettamente forse, favorivano il partito della guerra civile e il disegno reazionario americano. Il massimalismo è stato storicamente un fenomeno prepolitico ed inconcludente, il complottismo che ha preso piede nella sinistra dopo il crollo dell’Urss è l’altro volto della medesima medaglia.La catastrofe, a sinistra, non è iniziata con il crollo del Muro di Berlino ma con la graduale consapevolezza che con il proletariato non fai la rivoluzione; che la rivoluzione non è un fenomeno sociale ma politico; che in Italia una “rivoluzione” può essere, per molteplici ragioni, solo Soft, non ultimo per il fatto che l’Italia è il paese più povero al mondo di materie prime e con la politica Chiesa cattolica al centro dell’universo religioso, solo soft e te la puoi giocare sulla linea geopolitica. Cavour lo insegna! E Cavour era il maestro politico di Togliatti. Da qui al ripararsi sotto l’ombrello della Nato il salto fu davvero nell’abisso e solo una cattiva lettura prepolitica può arrivare a tanto.

  18. Anonimo dice:

    Per l’anonimo delle 18,56Non direi che hai presenti i sentimenti e gli impulsi dell’uomo della strada. L’uomo della strada ha compreso molto meglio di te la equivalenza tra sinistrume (globalismo dirittista Lgtbq imperialismo della deportazione ecc) e Stato profondo occidentale. Per questo questo proletariato occidentale è trumpiano. Se non si parte da qui l’analisi sfasa anche su centrismo e multilateralismo

  19. Anonimo dice:

    "In questo post stiamo parlando di un solo commento che poteva anche essere bellamente ignorato oppure vi si poteva rispondere come ha fatto la redazione, cioè entrando nel merito e senza tirar fuori la redutio ad sinistratum. Ma se alcuni preferiscono così pazienza"Sei certo di questo? Io ho dei dubbi in proposito, la realtà dice che si definisce di sinistra è contro ogni patria, per la discriminazione della famiglia tradizionale, per replicare a livello globalle il modello epstein.

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