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PER UNA CRITICA DEL POPULISMO (3) di Mauro Pasquinelli

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[ giovedì 25 luglio 2019 ]


Non sono poche le occasioni in cui SOLLEVAZIONE ha ospitato riflessioni sulla questione del “populismo”. Anni addietro, non solo noi, promuovemmo sul tema convegni di studio. Una categoria politica, quella del “populismo”, polisemica e insidiosa quant’altre mai. Il terremoto elettorale del 4 marzo 2018, l’avvento al potere di due formazioni considerate populiste, il fatto dunque che l’Italia diventa il principale laboratorio politico europeo, obbliga a tornare sul punto ed a riaprire la discussione. Pubblichiamo la terza parte del contributo di Mauro Pasquinelli. QUI la prima e QUI la seconda.
Inutile ricordare che pubblicare un contributo non significa che la redazione lo condivida, nel caso di specie dissentiamo da quanto scrive l’autore.

*  *  *

POPULISMI SENZA POPOLO per una critica marxista del populismo 

Crisi colossale di legittimazione delle classi dirigenti mondialiste, sfaldamento del blocco storico che le univa alle borghesie nazionali (uscite perdenti dal confronto mondiale) e ai ceti medi abbandonati ed in via di pauperizzazione. Ecco il quadro socio-politico, la miscela che ha dato vita alla ribellione populista in occidente e che ha trovato espressione in Trump, Le Pen, Salvini, Movimento 5s, Iglesias in Spagna, Tsipras in Grecia, Farage in Inghilterra etc.

Se all’inizio la rabbia popolare aveva trovato una sponda in formazioni populiste di sinistra (Tsipras in Grecia, Iglesias in Spagna, 5s in Italia, Melenchon in Francia, Corbyn in Inghilterra), nel giro di poco tempo si è riversata in formazioni populiste di destra. Oggi il populismo occidentale è quasi completamente egemonizzato dalla sua variante destra.

Il caso italiano rappresenta una vera anomalia nel panorama mondiale perché è l’unico laboratorio in cui populismo di destra e di sinistra si sono incontrati stringendo una alleanza di governo. Nella formula però di un contratto sempre più fragile e favorevole alla Lega, che in un anno ha calamitato ben 4 milioni di voti dal suo diretto alleato.

Cerchiamo di capire la natura di questo populismo, i suoi punti di forza e di debolezza, i suoi cavalli di battaglia. Al di là di un anti-europeismo di facciata e di uno spirito anti-establishment solo urlato e battipugnista, la proposta politica si sostanzia in una formula di compromesso sempre instabile e mai raggiunto con l’élite, di stop and go delle accuse, di negoziazioni estenuanti e differite sullo zero virgola del deficit, di trattative al ribasso sulle massime cariche della governance europea. L’unico terreno su cui il populismo europeo e italiota sembra mantenere fermezza e rigidità è quello della lotta all’immigrazione, scenograficamente combattuta a suon di porti chiusi e fili spinati alzati.

La variante destra del populismo, di cui il salvinismo è massima esemplificazione, si sostanzia in neoliberalismo in economia (flat tax) , stato debole nei confronti del mercato e stato forte nei confronti della società civile (decreto sicurezza) e degli immigrati. In politica estera totale soggezione all’imperialismo americano, condanna dei populismi bolivariani, difesa del bolsonarismo e del sionismo etc.

Se prescindiamo dal movimento 5s stelle, la cui natura risulta sempre più qualunquista e gate-keeper del consenso, per evitare rivolte alla francese (stesso dicasi per Tsipras in Grecia), e proviamo a sollevare lo sguardo sul lungo periodo dei processi storici mondiali, la variante di destra del populismo si distingue da quella di sinistra, peronista e bolivariana, per alcuni tratti essenziali. Innanzitutto per la forma di attuazione: la prima fondata solo sulla cattura mediatica del consenso di una opinione pubblica polverizzata e priva di forti legami comunitari, la seconda radicata su movimenti di lotta antimperialisti e su vigorose reti di solidarietà popolare. In Venezuela, per quanto gli Usa abbiano provato con tre colpi di stato a spazzare via lo chavismo, esso ancora resiste. E’ vivo e vegeto perché congiunto ad un blocco sociale nazionalpopolare di grande forze e vigore, al cui confronto quello dei 5s in Italia è polvere di umanità, fluttuante negli eterei spazi.

Sicché mettere nello stesso sacco il populismo occidentale e quello di latino americano è una operazione scorretta sia sul piano formale che sostanziale.

La linea di faglia tra i due tipi di populismo, al di là della retorica anti élitaria e anti establishment, passa nell’essere i primi espressione di nazioni colonialiste o sub-colonialiste e i secondi di nazioni colonizzate. Nel poliverso mondiale dei populismi sarebbe più giusto posizionare quello grillino tra i populismi di centro, quello leghista tra i populismi di destra e quelli latino americano tra i populismi di sinistra.

Il populismo di sinistra è aperto alla solidarietà con i popoli, ha un carattere formalmente antimperialista, ricerca alleanze con gli stati oppressi dall’occidente. Si radica su sollevazioni vere, su strutture di contropotere popolare che forgiano identità sociali e comunità di appartenenza. Il caso boliviano da questo punto di vista è paradigmatico: Il populismo di Morales si è affermato su una grande battaglia in difesa dell’acqua pubblica e dei beni comuni, in opposizione alle multinazionali e alle privatizzazioni imposte dal FMI.

Il populismo di centro-destra occidentale cresce invece nel silenzio delle urne, ha come platea di riferimento più una opinione pubblica incazzata che un popolo in lotta, è il frutto della rabbia di folle solitarie che hanno perso privilegi durante la crisi e sono disposte a pensare che questa perdita è dovuta a chi sta peggio di loro. La condizione diffusa di sradicamento sociale, di disorientamento e di risentimento verso tutto e tutti è uno dei fattori chiave del populismo nostrano, difficilmente riconducibile ad una sola logica ideologica, e fortemente instabile sotto il profilo dell’appartenenza identitaria, con flussi di consenso che si muovono dall’una all’altra delle formazioni populiste in base agli umori del momento e alle capacità attrattive del capo-salvatore di turno.

Dobbiamo chiederci: se così profonde sono le differenze tra populismi di destra e di sinistra perché allora insistiamo a unificarli sotto lo stesso nome? Perché hanno in comune dei limiti di fondo che ora proverò ad elencare:

1) La forma politica della rappresentanza costruita sul binomio massa – leader, senza salde intermediazioni e corpi intermedi (questi ultimi presenti invece nei tradizionali partiti di massa, PCI in primis, di epoca fordista, con solidi ancoraggi nei sindacati, nelle cooperative etc). L’autorappresentazione collettiva in un leader popolare, amato e visto dal popolo come il vero salvatore, il grande risolutore di tutti i problemi. Attenzione però, come spiega Marco Tarchi

“Il leader populista non va assimilato al capo carismatico (come nel fascismo dove il leader si libra in una eterea distanza dalle masse ndr). Deve si presentare qualità non comuni, ma non deve mai incorrere nell’errore di mostrarsi fatto di un’altra pasta rispetto all’uomo comune al quale si rivolge. La prima delle sue abilità consiste proprio nel non cancellare mai quei tratti, come il linguaggio o la gestualità che ne connotano la somiglianza con il pubblico dei suoi seguaci”

2) La tendenza a vedere la causa di tutti i problemi non nel sistema in se’ ma in un intruso che viene dall’esterno, che può essere l’incappucciato della finanza, l’euro, il politico corrotto, l’immigrato, l’ebreo, il terrorista, la multinazionale, da cui il leader ci deve difendere etc. Ma da marxisti sappiamo che l’usura, l’immigrazione, la finanziarizzazione, la corruzione, non appartengono alla sfera delle patologie ma a quella della fisiologia del sistema capitalistico. Non si può estirpare il frutto lasciando in vita la malapianta.

3) Altro tratto distintivo che accomuna tutti i populismi è l’illusione, tanto più evidente in periodo di crisi, di mettere d’accordo e accontentare tutte le classi senza intaccare le basi strutturali dei rapporti di produzione.

4) Il plebiscitarismo, il giustizialismo parolaio e l’appello diretto al popolo da parte del leader “carismatico” che si sostanzia in un rafforzamento del potere esecutivo a spese di quello legislativo, nella predilezione di forme presidenzialiste e golliste di governo. Tutto ciò nel solco di una generale tendenza della forma capitale post-moderna a blindare la democrazia rappresentativa per farne una vera e propria democratura.

5) Parafrasando Carl Schmith, il populismo, forse con l’unica eccezione dello Chavismo, non conosce mai un vero stato di eccezione e non è mai sovrano in esso. Pertanto non conosce la dialettica politica come antagonismo tra amico e nemico ma solo tra competitor, al massimo tra avversari che si legittimano nel teatrino della democrazia rappresentativa. Lo vediamo in questi giorni. I 5s votano Sassoli del PD come presidente del parlamento europeo e forse si preparano a candidare un Piddino come prossimo presidente della Repubblica. Un nemico non si vota mai. Un avversario sì.

6) Il populista sia di destra che di sinistra tende a semplificare il quadro politico in una logica binaria popolo-élite, dimenticando che questa divisione c’è sempre stata nella storia dell’umanità e che essa è solo l’apparenza dietro cui si nasconde la forma-capitale, differente dalla forma feudale e schiavistica. L’élite’ oligarchica oggi è una élite globale, dal volto coperto, ha un potere di corruzione e dissuasione dei popoli e delle classi dirigenti nazionali, e soprattutto ramificazioni, addentellati, casematte (per dirla con Gramsci) a difesa delle sue fortezze, che i despoti del passato potevano solo sognare. Il populista fa della opposizione binaria popolo élite un feticcio che maschera i rapporti reali. L’élite non è una super class al di sopra della borghesia, come pensa Fusaro e Laclau, ma è la frazione dominante, più ricca e potente di essa. Il popolo, solo nominato, è un velo interclassista per nascondere i fili che legano i produttori alla forma capitale. Bisogna ricondurre il binomio popolo élite alla sua radice capitale-lavoro o capitale-non-lavoro. Facendo luce sui settori intermedi che vanno dall’aristocrazia del lavoro ai ceti medi benestanti, che nominarli come popolo, nonostante abbia efficacia propagandistica, significa coprirli sotto un manto che annulla le differenze, opacizza il reale (è la notte i cui i gatti sono tutti neri). Come la negriana categoria di moltitudine!

7) Il populista sia di destra che di sinistra dimentica con troppa facilità che la conquista della maggioranza parlamentare e del governo non è il deus ex machina, non è la dimensione risolutiva del politico, perché non è ancora la conquista dello Stato. Il quale è costituito da almeno altri 5 poteri (potere giudiziario, potere legislativo, esercito e forze armate, mass media, monopolio privato dei grandi mezzi di produzione) e di altrettante casematte (banca centrale, scuola, editoria, sindacati, cooperative, banche private etc). Lo stato è costituito di roccaforti, non è un campo di gioco, una sede agonistica, limitata al parlamento, come pensa Laclau e Mouffe, dove le forze egemoniche si disputano la vittoria, spostando in avanti o indietro le frontiere dello scontro. La conquista della maggioranza parlamentare se non prelude all’occupazione popolare degli altri poteri rimane un bluff, che lascia in essere solo l’apparenza e la finzione del cambiamento.

8) Il populista di destra e di sinistra effettua una riduzione di complessità del reale che spesso fa sparire il reale lasciando solo la sua ombra, la sua caricatura complottistica. Ne abbiamo un esempio sul tema dell’immigrazione, in riferimento al quale, come dimostra il governo giallo verde, si instaura una convergenza quasi totale tra populismi. In sostanza, le migrazioni dei popoli, che sono un dato permanente del capitalismo sin dalla sua nascita (si pensi alle enclosures e alle prime migrazioni dalle campagne alle città, o alle ultime migrazioni interne di 300 milioni di contadini cinesi verso le grandi metropoli) ed oggi ancor più devastante a causa dei crescenti squilibri economici, ambientali e demografici, vengono fatta passare allegramente come un complotto sorosiano delle élite cosmopolite per sostituire i popoli e abbassare i salari (dottrina Kalergi). Cancellando con un colpo di spugna tutta la complessa dinamica interna della forma capitale. Per Marx l’esercito industriale di riserva si costituiva per effetto delle leggi di movimento del capitale, e non come decisione politica di qualche massoneria segreta.

9) Il populista di destra e di sinistra dimentica che c’è un altro tipo di populismo, un populismo liberale (in Italia, Berlusconi e Renzi, in Francia Macron) creato ad hoc dall’élite sfornando, all’occorrenza, leader di plastica costruiti in laboratorio, virtuali salvatori della patria, che personalizzano all’eccesso il quadro politico, facendo credere al popolino che la chiave per la risoluzione di tutti i problemi passa dalle loro uniche mani. Ma se tutti sono populisti nessuno è più populista e il populismo rischia così di diventare un vuoto simulacro. Come nelle parole del Gattopardo di Tommaso di Lampedusa, che ritrae il vizio storico delle classi dirigenti occidentali: cambiare tutto per non cambiare nulla. Destra, sinistra centro si convertono cosi in populismo di destra, populismo di sinistra populismo di centro, con l’aggravante di avere sempre meno proporzionale e più maggioritario, meno democrazia rappresentativa e più democrazia rappresentata, personalizzata.

10) Il populista vezzeggia e corteggia il popolo, gli liscia il pelo, per poi tradirlo una volta giunto al governo. Scagiona sempre il popolo da ogni responsabilità e se poi accade che esso gli volta le spalle rivotando gli uomini di plastica dell’élite (come è accaduto in Grecia questi giorni… con la sconfitta di Tsipras e la vittoria di Nuova Democrazia) i cittadini sono sempre perdonati, perché spinti dalla disperazione si aggrappano a qualsiasi speranza. Peccato che in Grecia invece di aggrapparsi al male minore dei comunisti o di Varoufakis si siano aggrappati al male peggiore degli uomini del memorandum, pochi anni prima sonoramente bocciato. Ragione o delirio del popolo?

11) Il populista di destra e di sinistra ragiona sempre in una ottica binaria e dualistica. Abbiamo la dimostrazione di come egli faccia parte di una cultura “normale”, insufficiente a comprendere il pensiero dialettico, la complessità del reale, la sottigliezza e la profondità di talune argomentazioni. Mai accetta un pluralismo di posizioni e punti di vista, fuori dal bianco e dal nero dominanti. Se gli dici che sei contro Putin ti dirà che sei a favore di Trump o della Merkel. Se condanni i crimini di Assad ti dirà che sei un sionista. Se accetti la teoria del Global worming sei un venduto al pensiero unico dominante. Se riconosci i diritti democratici dei gay e delle minoranze sei un LGTB e quindi un europeista sorosiano. Se gli dici che sei all’opposizione di questo governo ti dirà che sei alleato dell’élite. Non concepisce un terzo campo anticapitalistico e qualora lo concepisse direbbe sempre che è prodotto di visionarietà ed utopismo. Meglio tenersi questo Stato per farne al massimo uno Stato etico in senso hegeliano e gentiliano (Fusaro). Il campo da gioco dove si sfidano le forze egemoniche può essere occupato solo da due forze, in una ottica che ricorda il bipolarismo all’americana.

12) Il populista di destra e di sinistra ricorre spesso ad una fraseologia anticapitalista per conquistare il consenso delle masse, ma una volta al governo l’abbandona, e finisce sempre per rimanere nel quadro delle compatibilità capitalistiche, senza mai radicalizzare lo scontro, senza mai chiamare il popolo a manifestare e sollevarsi contro l’infiltrato esterno, che all’inizio indicava come responsabile della crisi. Una volta al governo il populista relega il popolo nella posizione di spettatore passivo che può solo affidarsi al piano di salvezza del leader. Guai disturbare il grande timoniere e se qualcuno ci prova incorre nelle maglie del “decreto sicurezza” che inasprisce le pene per chiunque chiami alla sollevazione o a semplici blocchi stradali.

13) Il populista non avendo armi per combattere l’oligarchia, che non sia la impotente fraseologia anti-elitaria, si rivolge in basso per costruire il nemico e aizzargli contro la frustrazione del popolo. Alza la voce e mostra i muscoli contro gli ultimi, gli immigrati in balia delle onde, i piccoli criminali, i piccoli spacciatori etichettati come vermi, i piccoli mafiosi a cui si distrugge la casa salendo su una ruspa, in diretta streaming. Da notare che sul terreno della lotta all’immigrazione e alla piccola delinquenza, il popolo sceglie sempre l’originale (il populista di destra) e non la brutta copia (il populista di centro-sinistra). Così accade che Salvini asfalta Di Maio nei consensi e costui, per non perderne ancora, si atteggia a numero due della Lega, senza capire che più insegue Salvini sul suo terreno più ne esce con le ossa rotte!

14) Il populista di destra e di centro-sinistra blocca i porti quando sono insidiati da battelli pieni di immigrati, guai a bloccarli quando in quei porti sopraggiungono navi costipate di armi della Nato, o da quei porti partono cargo pieni di bombe, indirizzati alla monarchia saudita per annientare il popolo yemenita (100.000 civili uccisi in pochi anni nell’indifferenza del main stream). Mission impossible bloccare a Gioia Tauro le navi che riversano cocaina colombiana nei mercati europei!


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4 pensieri su “PER UNA CRITICA DEL POPULISMO (3) di Mauro Pasquinelli”

  1. Anonimo dice:

    Ma perche' non dire mai la verita' agli italiani . La verita' e' che quando c'e' di mezzo la Nato ( e quindi gli Usa ) si deve alzare bandiera bianca ma i 5 stelle non lo dicono , perche ? Sia sul Tap che sul Tav hanno tergiversato , accampato scuse ( analisi costi-benefici ) e quant'altro , quando sarebbe stato piu' semplice dire agli italiani , signori qui dobbiamo fermarci , che dite , volete ancora votarci nonostante dobbiamo chinare la testa , perche' interessi superiori alle nostre possibilita' di contrastarli ? E invece no si continua ad illudere sapendo in partenza che e' una guerra gia' persa poi si arriva al 30 per cento poi si ricasca al 17 perche' l'italiano almeno un minimo di speranza la vuol tenere ancora viva per non ricadere all'indietro nelle mani di chi neanche la speranza puo' o vuol offrire . Basta bugie basta illudere . Sia il Tav che il Tap sono opere made in Usa-Nato

  2. Anonimo dice:

    Ho letto tutti e tre i tuoi interventi su cui mi riprometto d'intervenire, condivido molto di quello che scrivi, si percepisce una tensione morale ed un'assenza di cinismo politicante assai rara, questo mi avvicina a te come persona dotata di grande cuore e sensibilità, oltre che d'intelletto e cultura…mentre mi riprometto d'intervenire sul tema, ho colto un concetto sul populismo e sul sovranismo che anch'io porto avanti, nell'isolamento generale, e che si rifà alla mia esperienza argentina "La linea di faglia tra i due tipi di populismo, al di là della retorica anti élitaria e anti establishment, passa nell’essere i primi espressione di nazioni colonialiste o sub-colonialiste e i secondi di nazioni colonizzate. Nel poliverso mondiale dei populismi sarebbe più giusto posizionare quello grillino tra i populismi di centro, quello leghista tra i populismi di destra e quelli latino americano tra i populismi di sinistra.Il populismo di sinistra è aperto alla solidarietà con i popoli, ha un carattere formalmente antimperialista, ricerca alleanze con gli stati oppressi dall’occidente. Si radica su sollevazioni vere, su strutture di contropotere popolare che forgiano identità sociali e comunità di appartenenza. Il caso boliviano da questo punto di vista è paradigmatico: Il populismo di Morales si è affermato su una grande battaglia in difesa dell’acqua pubblica e dei beni comuni, in opposizione alle multinazionali e alle privatizzazioni imposte dal FMI" Questo tipo d'analisi deriva, anche, da una nota posizione di Trotsky (non sono "marxista") che laggiù è sostenuta tra altre forze, da Partido Patria y Pueblo Izquierda Nacional di cui apprezzo le tesi. Per quanto riguarda la redazione, stupisce, ma poi non tanto, che posizioni come le tue abbiano così poco riscontro, si capisce, c'è gente che si fa imbambolare dagli Antonio Maria Rinaldi della situazione, sarebbe bastato leggerne la biografia, ma si sa, è un gran signore…

  3. Anonimo dice:

    Rispondo all'anonimo delle 12,25Hai perfettamente ragione e sono il primo a fare mea culpa, da ex elettore 5s. Se sul programma non si iscrive a chiare lettere che siamo per l'uscita dalla Nato, oltre che dall'Ue, saremo sempre succubi di una variante dell'imperialismo, americana piuttosto che franco tedesca. Lo sganciamento dai vincoli esterni e dai dispositivi esteri del dominio o e' totale o non e'. I 5s e la Lega hanno sempre detto di voler rispettare il Patto Atlantico. Cio' li connota gia' come forze sistemiche, che oltre un certo limite non possono spingersi. E lo abbiamo visto quanto questo limite sia corto, a breve raggio, quasi indistinguibile dai limiti invalicabili dei precedenti governi che si facevano dettare le finanziarie direttamente dalla BCE.Mauro Pasquinelli

  4. Anonimo dice:

    Una analisi perfetta. Il populismo rappresenta, nei momenti di instabilità politica, le istanze di diverse classi sociali dal proletariato alla borghesia nazionalista. L'elemento determinante è l'individuazione del nemico esterno. Storicamente esiste sempre un nemico esterno, alla classe oppure alla Nazione quindi è qui che nasce la rottura fra il populismo di ''ultra-destra'' e quello socialdemocratico o rivoluzionario; il primo scaglia la rabbia della classi popolari contro un rivale borghese-capitalista oppure contro settori del sottoproletariato (es. i migranti), il secondo rafforza la Nazione contro la principale polarità capitalista. I nazionalisti di sinistra, in questo momento, non capiscono che l'uscita dalla Nato e la lotta contro l'imperialismo yankee precedono la sconfitta della UE (nemico di retroguardia da distruggere) quindi, in preda ad una grande confusione teorica, si allineano con alcuni settori del ''trumpismo'' nazionale. La posizione sulla ipotetica alleanza tattica fra ''populismo socialista'' e marxismo-leninismo è stata, al meglio, sistematizzata da Trotsky nei confronti del populismo anti-americano di Lazaro Cardenas (rivendicazioni transitorie: democrazia, nazionalizzazioni ed anti-americanismo). Oggigiorno il problema è questo: non abbiamo un autentico populismo anti-USA mentre la chiave per rompere con l'egemonia yankee è l'indipendenza della Europa – che non è la invertebrata UE – da Washington. Il populismo di destra è strutturalmente ''trumpista'' quindi come dice Pasquinelli Mauro il patriottismo antimperialista è: ''L'esatto contrario dello pseudo patriottismo di Lega e CasaPound, servo della diplomazia Trumpiana, dell'imperialismo piu' forte''. Un ipotetico slogan aggregante sarebbe: Anti-Americani di tutto il mondo unitevi!

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