12 visite totali, 1 visite odierne

Browse By

SUL PROGRAMMA DI GOVERNO DEL CONTE BIS di Leonardo Mazzei

12 visite totali, 1 visite odierne

[ mercoledì 11 settembre 2019 ] 

IL GOVERNO PIÙ A SINISTRA DELLA STORIA?


Dovessimo prenderli sul serio, i 29 punti condivisi da Pd, M5s e Leu sembrerebbero dar ragione all’ex cavaliere d’Arcore, che ha parlato senza remore del “governo più a sinistra della storia d’Italia”. Ma possiamo prenderli sul serio? Ovviamente no, tant’è vero che saranno proprio i berluscones (specie al Senato) a dar manforte al Conte-bis ogni volta che ve ne sarà bisogno. Che Berlusconi sia passato all’estrema sinistra?

Una montagna di promesse


La prima cosa da capire è che i 29 punti non sono un programma, bensì una lista sterminata di promesse. Limitandoci alla parte economico-sociale, troviamo alla rinfusa (ma il testo è scritto proprio così) la cancellazione dell’aumento dell’IVA, il sostegno alle famiglie ed ai disabili, misure per l’emergenza abitativa, incentivi agli investimenti, più risorse per la scuola, l’università, la ricerca, il welfare. E questo è solo il punto 1…
Ma si prosegue con il potenziamento degli incentivi alle piccole e medie imprese, la riduzione delle tasse sul lavoro (cuneo fiscale), il salario minimo, misure a favore dei giovani appartenenti a famiglie a basso reddito. Si annuncia un piano straordinario di assunzioni di medici ed infermieri, aumenti salariali ad insegnanti, poliziotti, militari e vigili del fuoco.
Non poteva poi mancare la promessa di un Green New Deal, quella di maggiori interventi per la difesa del territorio e per la velocizzazione della ricostruzione nelle zone terremotate. Ma non ci si è dimenticati neppure del lancio di un piano straordinario per il Sud, né della necessità di nuovi investimenti infrastrutturali. E questa è solo una sintesi di quanto il nuovo tripartito ha pensato bene di promettere agli italiani…
Che dire? Troppa grazia Sant’Antonio! E’ evidente come nel caldo agostano si sia deciso di non porsi troppi limiti, tanto poi ai numeri veri della manovra ci penserà la Nota di aggiornamento del DEF, da presentarsi entro settembre; mentre la precisazione delle misure che verranno effettivamente prese avverrà solo con la Legge di Bilancio, da presentarsi entro il 15 ottobre.
E’ pacifico come alla prova dei fatti molti impegni resteranno lettera morta, altri verranno spostati più avanti, altri ancora si tradurranno in qualche mancia di poco conto. Tuttavia una cosa è certa: la Legge di Bilancio 2020 (da approvarsi entro la fine del 2019) sarà più espansiva di quella dell’anno precedente. Questo per il semplice motivo che la Commissione europea concederà al governo della restaurazione quel che invece rigorosamente vietava al governo populista.

Un “anno sabbatico”: premio di una ritrovata sudditanza


E’ la politica che comanda l’economia, non viceversa. A Bruxelles, Berlino e Francoforte si erano presi una bella paura con il governo giallo-verde. Pasticcione, incoerente, inadeguato e financo opportunamente infiltrato; ma pur sempre diverso, largamente estraneo alle élite, poco prevedibile e — quel che era veramente intollerabile — troppo sensibile agli umori ed agli interessi delle masse.
Dunque, passato lo spavento, chiusa quella che lorsignori interpretano come una spiacevole parentesi, ecco che non si può chiedere al governo loro amico di assumere di nuovo le sembianze di un Monti-bis, dato che questo equivarrebbe ad un suicidio politico in piena regola. Da qui la prevedibile decisione di concedere all’Italia una sorta di “anno sabbatico” come premio della ritrovata sudditanza. Sbagliava dunque Salvini, ma credo l’abbia ora ben capito, nell’immaginarsi una specie di governo tecnico tutto teso a tagli e tasse già con il prossimo bilancio. Nuovi tagli vi saranno, come pure nuove tasse, ma tutto ciò sarà sostanzialmente nascosto nelle pieghe di una manovra che verrà certamente presentata come espansiva.
Ancora non si parla ufficialmente di numeri, ma il Conte-bis nasce apertamente sull’ipotesi di ottenere dalla Commissione più flessibilità sui conti, portando a preventivo il rapporto deficit/Pil attorno al 2,5%, per poi andare a consuntivo in area 3%. Numeri non trascendentali, decisamente al di sotto di quel che sarebbe necessario, tuttavia ben diversi da quelli chiesti finora da Bruxelles. Un anno fa la prima versione della Legge di Bilancio venne respinta dagli eurocrati per un deficit al 2,4%, mentre i giornaloni si stracciavano le vesti per un disavanzo che, a loro dire, avrebbe fatto sprofondare l’Italia nel Mediterraneo. Ancora nella primavera scorsa l’Ue passò all’attacco per sottoporre l’Italia ad una “procedura d’infrazione”, evitata solo con la promessa di far scendere nel 2020 il deficit ben al di sotto del 2,0%.
Adesso, si dice, “l’aria è cambiata”. Se il 2,4% prima era un crimine, adesso non può far che bene alla salute anche il 3,0%. Miracoli della restaurazione! Miracoli che piacciono anche ai famosi “mercati”, dato che con il 2,4% di deficit lo spread stava sopra quota 300, mentre adesso che sembra destinato ad andare ben oltre lo spread è a 150.
Il perché l’aria sia momentaneamente cambiata lo abbiamo già detto. Non perché le politiche europee stiano mutando, non per un’inesistente uscita dall’ordoliberismo, ma solo per le evidentissime esigenze della politica. In fondo all’Italia verrà concesso un po’ meno di quanto consentito per anni alla Francia ed alla Spagna di Rajoy. Dal punto di vista dell’oligarchia eurista un prezzo non troppo alto per ricondurre il nostro Paese all’ovile del loro dominio.
Del resto, il nuovo governo, spalleggiato in questo da Mattarella, ha già dichiarato in tutti i modi la sua piena sudditanza. Il “Viva l’Europa” è il vero slogan della maggioranza Pd-M5s-Leu. E’ questo il significato più importante del cambio di governo a Roma. A Bruxelles e Berlino l’hanno sempre avuto chiaro, tanto che Tusk e Merkel sono pesantemente intervenuti nella crisi italiana affinché il ribaltone andasse in porto.
Anche Fassina ha votato la fiducia…
Il problema era la sovranità, non qualche decimale di deficit in più o meno. Adesso che l’eurocrazia ha trionfato, tutti possono rendersi conto di come quegli zerovirgola siano stati giocati spudoratamente solo per terrorizzare la popolazione, affinché le gerarchie costituite (detto in breve: Berlino comanda e Roma ubbidisce) non vengano messe in discussione. Oltretutto, in questo momento di stagnazione economica, un certo allentamento delle politiche austeritarie fa comodo anche alla Germania…

Come sarà la Legge di Bilancio?


Dal punto di vista dell’Italia non sarà certo un anno di maggior flessibilità a cambiare la situazione generale. L’euro, giova ricordarlo, ci è già costato un 25% di minor Pil cumulato. Non si esce da un simile disastro con una modestissima (e solo temporanea) boccata d’ossigeno come quella che si profila.
Ma, alla luce di quanto detto finora, cosa possiamo aspettarci allora dalla Legge di Bilancio? Lo schema generale della manovra sarà probabilmente assai vicino a quello tratteggiato da Federico Fubini sulle pagine del Corriere della Sera.
Al momento il deficit tendenziale (cioè a legislazione invariata) per il 2020 sarebbe all’1,6%. Piccolo problema, a “legislazione invariata” significherebbe far scattare l’aumento dell’IVA dal prossimo 1° gennaio. Ma questo aumento non ci sarà, facendo così mancare alle casse dello stato i relativi 23 miliardi. E poiché questa cifra corrisponde ad un 1,3% di Pil, ecco che il deficit salirebbe così al 2,9%. Tria pensava di riportarlo almeno al 2% con 9 miliardi di maggiori entrate dell’Irpef (riduzione più o meno lineare di detrazioni e deduzioni) e con 6 miliardi di tagli (anch’essi sostanzialmente lineari) alla spesa dei ministeri. Una strada questa che verrà riproposta dal nuovo governo (vedi punto 17 del programma), ma non si sa in quale misura.
Difficile, ma potremmo dire impossibile, ipotizzare davvero un recupero di 15 miliardi. Troppo pesante e troppo impopolare per le gracili ossa del governo appena nato. Sul lato della spesa, dopo anni di tagli continui c’è rimasto ben poco da limare. Non solo, questi tagli — viste le promesse del programma — non dovrebbero toccare né la scuola né la sanità, comparti dove la spesa dovrebbe invece salire. Sul lato delle tasse, il taglio delle agevolazioni fiscali (le cosiddette “tax expeditures“) è stato per anni materia di esercitazione per i diversi ministri dell’economia che nel tempo si sono succeduti, senza che niente di sostanziale sia stato fatto. Questo per un semplice motivo: non è facile intervenire in quella giungla, ed è impossibile farlo senza colpire fette consistenti della popolazione.
Per saperne di più bisognerà dunque aspettare. Stavolta l’ipotesi che va per la maggiore è quella di partire dal taglio delle agevolazioni considerate negative dal punto di vista ambientale, riproponendo in qualche modo quel meccanismo alla Macron (si colpiscono ampie fasce popolari, ma il tutto in nome dell’ambiente) che in Francia ha scatenato la rabbia dei Gilet gialli. Insomma, nonostante la flessibilità che verrà concessa, la Legge di Bilancio che si annuncia non sarà tutta rose e fiori come si vorrebbe far credere.
Detto questo, restano da considerare le maggiori spese e le minori entrate previste nel programma — tra queste i 6 miliardi che dovrebbero servire ad abbassare la tassazione sui redditi inferiori ai 26mila euro. Nessuna delle maggiori spese è quantificata nei 29 punti ma, pur considerando che molte promesse non avranno alcun seguito, appare ragionevole ipotizzare un deficit tra il 2,5 ed il 3%. Ragion per cui possiamo immaginare che sia grosso modo agli estremi di questo range che andranno a collocarsi il deficit programmatico e quello reale.


Due questioni politiche dall’enorme portata

Ovviamente il programma non parla solo di economia.
Mentre la politica estera viene rapidamente racchiusa nella formula della doppia “fedeltà” (leggasi sudditanza) all’Ue ed agli Usa, due le questioni politiche davvero rilevanti sulle quali potrebbe anche giocarsi il futuro del governo della restaurazione: la legge elettorale ed il “regionalismo differenziato”.
Quest’ultimo viene così trattato al punto 20:

«È necessario completare il processo di autonomia differenziata giusta e cooperativa, che salvaguardi il principio di coesione nazionale e di solidarietà, la tutela dell’unità giuridica e economica; definisca i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, i fabbisogni standard; attui compiutamente l’articolo 119, quinto comma, della Costituzione, che prevede l’istituzione di un fondo di perequazione volto a garantire a tutti i cittadini la medesima qualità dei servizi. Ciò eviterà che questo legittimo processo riformatore possa contribuire ad aggravare il divario tra il Nord e il Sud del Paese».

Ho già avuto modo di entrare nel merito di questa intricata questione. La contraddittoria formulazione di cui sopra vorrebbe tentare di conciliare capra e cavoli, l’autonomia differenziata e l’unità nazionale. Ma c’è un particolare: questa quadratura del cerchio è semplicemente impossibile. Come il governo ne verrà fuori non è affatto chiaro, ma non ci sarebbe da stupirsi se il progetto dovesse finire su un binario morto. Il che sarebbe di certo la cosa migliore.

Sulla legge elettorale, ricollegandosi alla scelta di ridurre i parlamentari (tema sul quale Pd e Leu hanno dovuto cambiare posizione per andare incontro ad M5s), i partiti di maggioranza così si esprimono al punto 10: 

«occorre avviare un percorso di riforma, quanto più possibile condiviso in sede parlamentare, del sistema elettorale».

Sulla materia è il Pd ad avere in mano il pallino, ma al suo interno convivono due posizioni. La prima, che possiamo definire “difensiva”, prevede l’eliminazione della quota maggioritaria, per arrivare ad un sistema proporzionale “puro” ma con una soglia di sbarramento particolarmente alta (si vocifera del 5% contro il 3% attuale). Ho definito questa posizione (originariamente lanciata da Renzi nella sua proposta che ha avviato la trattativa con i Cinque Stelle) come “difensiva”, perché pensata per sbarrare la strada alla Lega, che col sistema elettorale attuale potrebbe invece conquistare la maggioranza assoluta dei seggi anche solo con il 40% dei voti.
Negli ultimi giorni, però, si è fatta avanti, al contrario, una posizione più “offensiva”, sostenuta in particolare da due ex presidenti del Consiglio: Romano Prodi e Massimo D’Alema. La loro idea è che, previa la ricostruzione del centrosinistra attraverso l’assorbimento di M5s, la nuova alleanza potrebbe aspirare alla conquista della maggioranza relativa. Dunque, ne conseguono, avanti tutta con un nuovo e più dirompente maggioritario!
Come si può ben capire, siamo qui al confronto non tra due modelli di rappresentanza e di democrazia parlamentare, bensì alla semplice scelta di quel che sembra più conveniente al momento. Una cosa decisamente indegna.
Se l’idea (meglio, l’interesse) del maggioritario dovesse prevalere nell’area Pd e dintorni, ecco le due ipotesi avanzate dallo spudorato Prodi: o il collegio uninominale con maggioritario secco all’inglese (un modello, in verità, piuttosto in crisi in patria); o il ballottaggio alla francese, con l’evidente necessità di ritornare grosso modo alle idee “costituzionali” di Renzi.
Ecco, chi tanto si preoccupava delle ipotetiche minacce alla democrazia di Salvini, farebbe forse meglio ad occuparsi oggi di quelle ben più concrete che vengono come sempre dal campo del centrosinistra.

Infine, pesce lesso Gentiloni


A suggellare il ritorno all’ovile eurocratico è arrivata ieri la nomina a commissario europeo di Paolo (pesce lesso) Gentiloni. Notare, non in un posto qualsiasi, bensì come commissario agli Affari Economici, l’importante ruolo finora occupato da Pierre Moscovici. Un posto che non sarebbe mai andato ad un commissario italiano indicato dal governo precedente.
Essendo uno dei loro, per i padroni dell’Europa nominare Gentiloni è stata invece la cosa più facile del mondo. Tanto da lì problemi non gliene verranno. Resta solo da riflettere sul brutto momento del nostro Paese: tradito dalla sua classe dirigente, premiato solo quando è servo. Anche di queste umiliazioni è fatta la restaurazione in corso.
E pensare che c’è ancora chi ci chiede come mai insistiamo così tanto sulla sovranità nazionale.
Sostieni SOLLEVAZIONE e Programma 101

7 pensieri su “SUL PROGRAMMA DI GOVERNO DEL CONTE BIS di Leonardo Mazzei”

  1. Roberto dice:

    A quando un'analisi del Fassina che vota per il Monti -bis

  2. Anonimo dice:

    Come scrivete nella didascalia anche Fassina ha votato la fiducia. Ma il giudizio politico su di lui a questo punto deve essere molto più severo di così. Non è diverso dagli altri gatekeeper, ha solo cercato di raccogliere attorno a lui il dissenso per sterilizzarlo riconducendolo magari all'ovile del PD.Ora vedremo cosa accade in UK, perché Johnson appare ambiguo e fa la voce grossa a giorni alterni e magari vorrà provare a riproporre un deal non troppo dissimile da quello della May se non nel nome oppure proporre una qualche brexit dimezzata lasciando le questioni spinose il sospeso per parecchi anni.

  3. Anonimo dice:

    In cambio della mancetta si papperanno almeno tutte le nomine societarie da farsi ad inizio 2020 nelle quali metteranno i loro lacchè (ricordate Gozi?). Gentiloni lo dichiarano già sorvegliato speciale, che non si montasse la testa credendosi uguali ai sacri padroni.

  4. SOLLEVAZIONE dice:

    sì, dovremo dare un giudizio definitivo su Fassina.Ma che andasse in quella direzione l'avevamo denunciato il 13 agosto scorsoFASSINA, MA CHE TI SEI FUMATO?https://sollevazione.blogspot.com/2019/08/fassina-ma-che-ti-sei-fumato-di-sandokan.html

  5. Marco Giannini dice:

    Oggi Conte ha detto che il suo obbiettivo è ridurre il debito…

  6. Anonimo dice:

    Visto che si parla di Fassina passatemi la battuta in memoria di un altro ambiguo piddino: la mia solidarietà al povero D'Attorre che, essendo stato escluso dal parlamento, non ha potuto avere la gioia di votare anche lui la fiducia al bisconte come certamente desiderava.

  7. Anonimo dice:

    Il vero progetto ce lo svelano proprio loro. https://www.huffingtonpost.it/entry/voglio-una-cosa-di-sinistra-anche-al-7_it_5d791c71e4b0a938a42c2e03?8h&utm_hp_ref=it-homepageDa un lato rifare un partitone di centrosinistra che occupi lo spazio che presidiava il PD, che si può fare con l'uscita di Renzi dal PD e qualche amalgama PD+M5S.Dall'altro lato rifare una sinistrella del 7% che occupi lo spazio che presidiava invece rifondazione con Bertinotti,Ferrero,Acerbo ecc, ambiguamente critica ma che alla fine sostiene sempre il centrosinistra perché rispetto ad esso vive la sua condizione di sudditanza per la spartizione di posti. A questo sta lavorando Fassina praticamente da sempre.Non so cosa cosa possa venire fuori so solo che questo progetto gattopardesco va fieramente contrastato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *