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NO, JOKER NO

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[ domenica 20 ottobre 2019 ]

«Quel che ora penso veramente è che il male non è mai “radicale”, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla sua superficie come un fungo. Esso “sfida” […] il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e, nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua “banalità”. Solo il bene è profondo e può essere radicale».

(H. Arendt, Lettera a Scholem, 1963)


*   *   *


Mi sono venute in mente queste lapidarie parole della Arendt riflettendo sul film Joker.

Non mi chiedete una critica filmica, estetica o segnica di questo prodotto della Warner Bros che appena uscito è stato un campione d’incassi — 226,6 milioni di dollari negli Stati Uniti e Canada e 392,9 nel resto del mondo, per un totale di 619,5 milioni —, non ne sarei capace. Del resto di recensioni, basta dare uno sguardo in rete, ne esistono a bizzeffe. E questo la dice lunga: incassi record, quindi recensioni a gogò. Warner Bros contro Marvel. Una conferma dello strapotere globale della cinematografia a stelle a stelle e strisce, semmai ce ne fosse stato bisogno.

Se quel che si voleva — dopo l’inflazione di polpettoni americani sui super eroi buoni: Batman, Superman, Wonder woman e chi più ne ha più ne metta — era fare incassi costruendo e gettando nella mischia la figura di un eroe negativo, non c’è dubbio che ci sono riusciti.

Non solo un eroe negativo, ma uno psicopatico, vittima incompresa di una società non meno marcia, patologicamente ingiusta e violenta, lugubre proiezione di quella nordamericana attuale. Fin troppo retorico, se non addirittura banale, non solo il tentativo di dissolvere la linea di confine tra bene e male, ma quello — tipico di certo pietismo delle sette protestanti che così a fondo hanno impregnato l’identità spirituale nordamericana — di spingere lo spettatore ad immedesimarsi in un emarginato disgraziato che suo malgrado innesca la rivolta sociale degli oppressi come lui. Una sollevazione senza alcun fine che non sia quello della vendetta sociale. Il succo, la sostanza, se volessimo dare una lettura politica del film in questione, è un logoro e fuori tempo massimo elogio del nichilismo — senza offesa per i nichilisti. 

So bene che essendo europea, sto dando una lettura europea, e so bene che l’americano medio non comprenderebbe, che non è un caso che quel mondo lì non abbia mai prodotto una visione alternativa (del mondo), che non fosse una variante dei quella liberal-capitalista. 

No future… Un racconto che non lascia scampo, non c’è niente oltre il presente. Nessuna speranza. 
Una concessione, una sola — oltre alla maestria ed ai virtuosismi istrionici del protagonista e alla demolizione del “politicamente corretto” —, la si potrebbe tuttavia fare a questo film; che esso abbia voluto darci, in un affresco allucinato, quello che ribolle nella pancia degli Stati Uniti d’America segnati dal trumpismo. L’avviso della guerra civile che dilanierà il centro dell’Impero, il preavviso del suo suicidio.

Spetterà a quest’altra parte dell’Atlantico, sfuggire a questo preavviso di morte, rovesciarlo in un annuncio di vita nuova, la rivolta funebre e cannibalesca in rivoluzione socialista.

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