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(DIS)INTERESSE NAZIONALE di Leonardo Mazzei

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[ martedì 5 novembre 2019 ]

Fiat ed Alitalia: altri due colpi all’occupazione ed all’economia italiana (e adesso arriva l’Ilva)


Per alcuni è una parolaccia, per altri uno slogan gridato senza coerenza alcuna. L’interesse nazionale, che in questi casi è soprattutto interesse del popolo lavoratore, sembra non interessare più a nessuno. Meglio litigare, invece, su plastic e sugar tax, nomi inglesi di italiche tasse raschia-bidone.

Eppure i temi non mancherebbero: Fiat (od Fca, come ora si chiama) ed Alitalia in primo luogo.

Cosa dice il governo, cosa dicono i partiti ed i commentatori su queste due vicende? Nulla, normale amministrazione di un Paese che muore. Che si vuol far morire.


Alitalia


Per l’Alitalia è giunta l’ora – ma guarda un po’ – di Lufthansa. La compagnia tedesca si “offre” di entrare nella società per l’iperbolica cifra di 150-200 milioni, contro i 100-120 di Delta. Ma i tedeschi vanno al sodo. I loro spiccioli arriveranno solo ad alcune condizioni: meno aerei, meno spese e soprattutto meno occupazione, con un taglio che sembrerebbe quantificato in circa 5mila posti di lavoro da sopprimere.

Cinquemila occupati in meno non sono bruscolini, ma per l’Italia non è questo l’unico aspetto negativo. Con il piano di Lufthansa, sponsorizzato dalla solita Atlantia dei noti benefattori Benetton, Alitalia scadrebbe al ruolo di compagnia regionale, mero tassello della strategia e del business del gigante tedesco con sede a Colonia. La riprova di tutto ciò sta nella condizione più pesante posta nella lettera arrivata dalla Germania: Alitalia dev’essere privata, il Ministero del Tesoro dovrebbe cedere la sua quota entro tre anni!

Il fatto che il governo taccia di fronte ad una simile sfacciataggine – quattro spiccioli in cambio del pieno controllo della società! – la dice lunga su quanto il ceto politico italiano sia venduto ai grandi potentati economici d’oltralpe, quelli tedeschi in questo caso.

Negli anni lo Stato ha speso molto per Alitalia, ma mai per rilanciarla, che altri dovevano essere i dominus dei cieli europei: British Airways, Air France ed appunto Lufthansa. Così fu deciso a suo tempo dall’Unione Europea. I soldi pubblici sono quindi serviti non a rilanciare l’azienda, bensì a smantellarla lasciandola morire. Ed il compito coscientemente assegnato dal governo ai “commissari straordinari” è stato proprio questo: non fare nulla per migliorare la situazione aziendale allo scopo di favorirne la solita svendita ai soliti noti.

Ma che oggi si discuta di offerte da 100-200 milioni di euro, come potessero risultare decisive, è oltremodo offensivo. Molti non lo sanno, ma nelle scorse settimane lo Stato – attraverso il Fondo strategico italiano (Fsi), controllato da Cdp, dunque dal Tesoro – ha trovato il modo di mettere oltre 166 milioni di euro nella società farmaceutica Kedrion, di proprietà della famiglia Marcucci, quella dell’attuale capogruppo del Pd al Senato (i conflitti di interesse sono tanti…). Piccola ingenua domandina: non sarebbe stato meglio utilizzarli per rafforzare il controllo pubblico su Alitalia, anziché svenderla per 200 milioni dopo aver speso un miliardo e 300milioni negli ultimi 18 mesi?

Fca (Fiat Chrysler Automobiles)


Se la vicenda Alitalia grida vendetta, quella di Fca non è da meno. La fusione con la francese Psa (Peugeot e Citroen) è stata annunciata come una necessità, il modo per competere con i gruppi più grandi del settore, quello di entrare davvero nel campo dell’auto elettrica.

La stampa ha presentato questa fusione come un’operazione alla pari senza vincitori né vinti. Ma che sia così non ci crede proprio nessuno. E’ vero, il capitale della nuova società sarà suddiviso al 50% tra gli azionisti di Fca e quelli di Psa, ma nel consiglio d’amministrazione Psa avrà la maggioranza (6 membri su 11) e l’amministratore delegato sarà quello stesso Carlos Tavares che guida il gruppo francese dal 2014.

La verità è che i francesi hanno acquistato Fca, tant’è che al gruppo italo-americano è stato pagato un premio di 6,4 miliardi (da qui il boom del titolo in borsa), dei quali ben 5 finiranno in una maxi-cedola agli azionisti, di cui 1,6 miliardi andranno ad Exor, la cassaforte della famiglia Agnelli. Morale: gli azionisti Fca (gli Agnelli in primis) hanno incassato i soldi, i francesi di Psa hanno preso il controllo del gruppo. Amen.

Quali le conseguenze di questo passaggio? Secondo il professor Giuseppe Berta, storico dell’industria e grande esperto delle strategie di Fca, le cose sono chiare. «E’ inevitabile che ci saranno tagli agli impianti e all’occupazione nel medio e nel lungo termine», ha dichiarato al Fatto Quotidiano. Fin qui fin troppo ovvio, quando mai le fusioni industriali non portano a tagli occupazionali? Ma dove avverranno con ogni probabilità? Semplice, risponde Berta: «Nell’azionariato di Psa c’è lo Stato francese (13%, ndr) e Opel è un pezzo del sistema industriale tedesco. E’ un pensiero fin troppo positivo quello secondo cui in Italia non succederà niente».

Chiaro? Fin troppo direi. D’altronde le voci sono che in Italia resterebbero solo le produzioni delle auto di lusso, mentre il resto andrebbe in Francia. Già oggi le fabbriche italiane di Fca producono 700mila autoveicoli all’anno a fronte di una capacità di un milione e 400mila, ma in futuro le cose non potranno che peggiorare. E così, dopo la beffa del trasferimento della sede legale ad Amsterdam (il fisco ha le sue ragioni, ma non scordiamoci mai di onorare San Marchionne!), l’Italia sarà chiamata nei prossimi anni a pagare un nuovo prezzo in termini di posti di lavoro.

Ma non si dica a Conte, né ai suoi amici piddini e pentastellati. Costoro, da tanto che contano, pare non fossero neppure informati dell’operazione. E se lo erano tanto peggio. Sta di fatto che le prime parole del Presidente del consiglio sono consistite nell’inqualificabile:  «È un’operazione di mercato». Sottinteso, trattandosi di «un’operazione di mercato», cioè del nuovo Dio di questi pezzenti, nulla si può dire, meno ancora si può fare.

Alitalia ed Fca: cos’altro ci vuole per capire che la difesa dell’interesse nazionale è oggi una priorità assoluta per chi vuol tutelare gli interessi dei lavoratori? E che per praticarlo bisogna mandare a casa il prima possibile questo governo del massimo (dis)interesse nazionale?

PS – Mentre chiudo questo articolo, arriva il ricatto di ArcelorMittal sull’Ilva di Taranto. Ecco cosa succede a mettersi nelle mani delle multinazionali e del “mercato” tanto caro a Conte. Ecco cosa succede ad uno Stato privo, anche a causa dei vincoli europei, di una politica economica ed industriale degna di questo nome. Altro che sugar tax!

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