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I NAZIONALISMI, LE SINISTRE E NOI

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[ venerdì 15 novembre 2019 ]
Abbiamo avuto spesso modo, negli anni, di polemizzare con l’editorialista del CORRIERE DELLA SERA Ernesto Galli della Loggia. L’ultima volta il 1 novembre. Lo abbiamo fatto perché lo consideriamo una delle menti più lucide tra le teste pensanti della borghesia liberal-liberista del nostro Paese.
Sul CORRIERE di oggi, 15 novembre, Della Loggia ha scritto un editoriale che vale davvero la pena leggere.
Offre una chiave di lettura perspicace dei risorgenti nazionalismi sovranisti, sarebbe impeccabile se non avesse taciuto e assolto l’Unione europea in quanto fondamentale concausa. Per certi liberali europeisti, che della Ue hanno fatto un principio sacro e meta-storico, essa resta un inviolabile tabù.
Ma veniamo a noi. Il nostro afferma concetti che noi, da almeno un decennio, siamo andati sostenendo — per questo ostracizzati da certe sinistre transgeniche

Quali sono questi concetti?

1) Sbagliato equiparare questi nuovi nazionalismi a quelli fascisti e nazisti del ‘900. Questi ultimi furono violenti, espansionistici (imperialistici) “estroflessi e offensivi”, mentre gli attuali nazionalismi sono “introversi e difensivi”.

2) I nuovi nazionalismi esprimono un profondo bisogno di sicurezza e protezione davanti alla globalizzazione sfrenata. La nazione e lo stato nazionale vengono invocati come “rifugio”, “scudo protettivo”, non solo economico-sociale ma culturale e spirituale.

3) Ecco dunque spiegato come mai essi abbiano fatto breccia, anzitutto, tra le classi subalterne, classe operaia e classi medie pauperizzate e ferite dalla globalizzazione.

4) questi neo-nazionalismi esprimono infine, a loro modo, un rifiuto della modernità, contestano il “nuovo” ed il cosiddetto “progresso”, di qui una certa nostalgia del passato che fu.

5) Di qui la crisi “fatale” delle sinistre, visto che da Marx in poi hanno sempre sostenuto “progresso e innovazione”, e che sarebbero state le classi dominanti ad opporsi al nuovo, “al cammino della storia (sempre infallibilmente positivo)”. 

Come detto, è da almeno un decennio che SOLLEVAZIONE, poi MPL-Programma 101  sostiene concetti del tutto simili. Non ci siamo tuttavia limitati a pronosticare la rinascita dei nazionalismi, non abbiamo solo respinto gli esorcismi cosmpolitici, abbiamo sostenuto che l’arma da utilizzare contro i neo-nazionalismi non è l’astratto internazionalismo bensì un programmatico patriottismo democratico, repubblicano e rivoluzionario.

*  * *

Perché la destra è così forte in Europa

La posizione polemica è fatta propria dagli strati disagiati della società 
contro il nuovo, contro la modernità

di Ernesto Galli della Loggia


(…)

«Ma il fattore cruciale dell’ascesa della destra antiliberale è il nazionalismo. È il nazionalismo, non il fascismo, il suo vero orizzonte. È il nazionalismo il «punto di raccolta dell’ira» – per usare l’espressione che fa da leitmotiv dell’importante libro di Peter Sloterdijk «Ira e tempo» appena uscito da Marsilio – con cui la destra anima la sua propaganda e la sua influenza nell’opinione pubblica. È un nazionalismo, tuttavia, che ha perso completamente il carattere centrale che fu suo nella storia del Novecento, e che consistette essenzialmente nell’espansionismo, nella competizione aggressiva sul terreno della politica estera. È un nazionalismo nuovo, per così dire: tutto introflesso e difensivo quanto l’altro, invece, era estroflesso e offensivo. Oggi la nazione, insomma, non è più il luogo dove «armare la prora e salpare verso il mondo». È un rifugio dal mondo. La sua invocata sovranità un’arma di difesa, una protezione. E proprio per questo la nazione è un valore sempre più sentito e apprezzato specialmente da chi di protezione ha costituzionalmente bisogno, cioè dalle classi popolari, in genere dai settori più sfavoriti della popolazione, inclusi all’occasione anche settori impoveriti del ceto medio.

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Oggi la nazione è invocata come un rifugio dalle novità che sottratte a ogni nostro controllo e contro ogni nostra volontà fioriscono e impazzano nel mondo «là fuori», finendoci poi rovinosamente addosso. Novità economiche, innanzi tutto. Un rifugio quindi principalmente dagli effetti negativi della globalizzazione: dalla chiusura incomprensibile di fabbriche che ancora ieri sembravano andare bene; dal brutale ridimensionamento dell’organico impiegatizio per l’arrivo dei computer; un rifugio dall’improvviso venir meno, deciso in una lontana capitale europea, di quella spesa pubblica che poteva permettere a un Comune di aggiustare una scuola o di assumere qualcuno; una difesa dal passaggio in mani straniere di aziende che erano tutt’uno con i luoghi e ora invece si trovano a dipendere da chi di quei luoghi fino a ieri non conosceva neppure il nome.

Ma il nazionalismo odierno serve soprattutto come un rifugio culturale. Serviva a questo anche un tempo, ma mai nella misura attuale, così radicale e coinvolgente sul piano emotivo. Il che accade perché radicale e capillare è stato il mutamento intervenuto nei modi di vivere e di sentire delle società occidentali negli ultimi decenni. In pratica si è dissolto quasi del tutto un modello culturale che per più aspetti durava da secoli. Proprio ciò ha prodotto e sta producendo nel corpo sociale una frattura assai più profonda di quanto si creda. La frattura tra una parte, dotata di maggiori risorse, in stretto rapporto con la modernità e i suoi linguaggi, orientata al nuovo, familiare con la più ampia diversità degli stili di vita, impregnata di individualismo permissivo, insofferente di ogni vincolo, passabilmente anglofona, insomma psicologicamente e culturalmente cittadina del mondo; e un’altra parte, invece, perlopiù dotata di assai minori risorse, maggiormente legata a una dimensione comunitaria, a un modo di pensare tradizionale e a un rapporto con il passato; ancora convinta – pur se tutt’altro che osservante – della propria identità cristiana, della bontà delle regole da sempre a presidio della riproduzione e dei rapporti tra i sessi e tra le generazioni, aderente al significato tramandato della gerarchia e dei ruoli sociali.

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È per l’appunto questa parte della società orientata culturalmente al passato la quale, di fronte alla perdita di presentabilità sociale che colpisce il suo modo di pensare, di fronte alla critica sovente sommaria quando non duramente censoria a cui questo viene sottoposto specie dai media, di fronte alla scomparsa pressoché dovunque del cattolicesimo politico che in qualche modo rappresentava in precedenza i suoi valori, ha cominciato da tempo a vedere nella nazione, nell’ovvia radice antica dell’identità nazionale, un utile scudo protettivo contro una modernità percepita come qualcosa di ostile e distruttivo che giunge da «fuori».

Il cuore del nazionalismo attuale, insomma, è costituito in tutti i sensi da una posizione polemica, perlopiù fatta propria dagli strati disagiati della società, contro il nuovo, contro la modernità. E allora si capisce la radice della difficoltà che ha la sinistra a farci i conti. Dimentica del Manifesto di Marx ed Engels, la sinistra, infatti, nel corso della sua lunga vicenda si è sempre più andata rafforzando nell’idea che a opporsi al nuovo, al cammino della storia (sempre infallibilmente positivo) non potessero essere che i grandi interessi, le classi dominanti, conservatrici per definizione, mai le classi inferiori. E che quindi il proprio posto non potesse che essere sempre dall’altra parte, a favore di ogni innovazione, comunque nelle schiere della modernità. Un calcolo sbagliato che rischia di esserle fatale».

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