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OLOCAUSTO, INDUSTRIA DELL’ESTORSIONE di Norman Finkelstein

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Effetti “collaterali” di un ordinario bombardamento israeliano su Gaza

[ domenica 15 dicembre 2019]

La defunta e celebre Nadia Toffa, per essersi limitata a dire: «Capisco profondamente il dolore per l’Olocausto ma la storia dice che i palestinesi erano lì da tempo. Che il Signore porti pace tra questi popoli. Preghiamo per la pace», veniva letteralmente subissata di insulti da parte di numerosi pennivendoli che insistono — ne parlavamo giorni addietro — sull’equipollenza tra antisemitismo e antisionismo. 
Sorte ancor peggiore spettò all’attrice ebraica Natalie Portman la quale, per protestare contro la politica genocida israeliana, si rifiutò l’anno scorso di recarsi a Gerusalemme per ricevere il Premio Genesis, noto come il “Premio Nobel ebraico”.

Non c’è limite alla disonestà intellettuale di questi sicofanti sionisti, nuovi squadristi del pensiero-politicamente-corretto. 
Costoro hanno subito una sonora batosta da parte del Tribunale di Roma che ha obbligato facebook a riaprire le pagine dei neofascisti di Casa Pound Italia, oscurate in base al criterio, fascista, di “seminare odio”. Una sentenza che fa onore al Diritto italiano e che rade al suolo, seppure ex post, i criteri formali quanto pelosi che stanno alla base della molto apprezzata da sionisti (e voluta da Mattarella e tutta la sua corte dei miracoli centro-sinistra-destra) neonata Commissione Segre.
Dietro a tutto questo fumo persecutorio contro ogni posizione critica del sionismo c’è la nuova religione civile globale, quella dell’olocausto ebraico e della sua unicità (Giorno della memoria docet).
Riteniamo utile pubblicare quanto scrisse in merito un noto intellettuale ebraico. Una vera e propria demolizione dei dogmi fondativi dell’industria ideologica dell’olocausto.

«Ognuno ha diritto alla libertà di opinione e di espresssione, il che implica il diritto di non essere molestati per le proprie opinioni e quello di cercare, di ricevere e di diffondere, senza considerazione di frontiera, le informazioni e le idee con qualsiasi mezzo di espressione li si faccia» Dichiarazione internazionale dei Diritti dell’Uomo, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU a Parigi il 10 dicembre 1948.

 

*  *  *

OLOCAUSTO, INDUSTRIA DELL’ESTORSIONE  

di Norman Finkelstein*

Le Monde ha dedicato due pagine e un editoriale (16 febbraio 2001) per mettere in guardia i suoi lettori contro il mio libro Industry of Holocaust. Ci si può lamentare che non abbia fornito un resoconto coerente dei principali argomenti affrontati nel libro e delle prove che li sostengono. Vorrei, prima di tutto, colmare questa lacuna, poi soppesare i potenziali pericoli derivanti dalla pubblicazione del libro. La sua tesi principale è che l’Olocausto abbia, in effetti, dato vita ad un’industria. Le principali organizzazioni americane ed internazionali, di concerto con i governi degli Stati Uniti, sfruttano a fini di potere e di profitto le terribili sofferenze di milioni di ebrei sterminati durante la seconda guerra mondiale e dell’esiguo numero di coloro che sono riusciti a sopravvivere. Con tale sfruttamento privo di scrupoli di queste sofferenze, l’industria dell’Olocausto è all’origine di una recrudescenza dell’antisemitismo e viene in soccorso delle tesi negazioniste. Nell’immediato dopoguerra, i dirigenti ebrei americani, preoccupati di compiacere il governo degli Usa, alleati di una Germania malamente denazificata, avevano bandito l’Olocausto dai propri discorsi in pubblico. Al termine della guerra del 1967, Israele divenne il principale alleato degli Stati Uniti in Medio Oriente. Le organizzazioni ebree americane, fino allora molto caute nei confronti dello Stato di Israele — nel timore di essere accusate di “doppia lealtà” — ne abbracciarono con fervore la causa, perché il sostegno ad Israele facilitava l’assimilazione degli ebrei negli Stati Uniti. I dirigenti ebrei, presentandosi come gli intermediari naturali tra il governo americano e il suo “atout strategico” in Medio Oriente, potevano in questo modo avere accesso alle sfere più alte del potere. Per stornare ogni possibile critica, le organizzazioni ebree americane si “ricordarono” dell’Olocausto che, ideologicamente rimaneggiato, si dimostrava un’arma temibile.

 

Analizzo i dogmi centrali che costituiscono la base ideologica dell’Industria dell’Olocausto: 1) l’Olocausto è un avvenimento decisamente unico e 2) costituisce il punto culminante dell’odio irrazionale ed eterno dei Gentili contro gli ebrei. La dottrina dell'”unicità”, sebbene intellettualmente sterilizzante e moralmente discutibile — la sofferenza delle vittime non ebree “non è comparabile” — torna bene poiché è politicamente utile. A sofferenza unica, diritti unici. Secondo il dogma dell’odio eterno dei Gentili, se gli ebrei sono stati sterminati durante la seconda guerra mondiale, è perché tutti i Gentili, carnefici o collaboratori passivi, volevano la loro morte. Il laborioso tentativo di Goldhagen per stabilire una variante di questo dogma (i volenterosi carnefici di Hitler ) non aveva alcun valore scientifico ma, come la dottrina della “unicità”, aveva una sua utilità politica. 

 
Questo dogma conferisce tutti i diritti. Infine, tratto la questione dei risarcimenti materiali. Sostengo che l’industria dell’Olocausto si rende colpevole di una “duplice estorsione”: dirotta fondi sia a spese dei governi europei che dei veri sopravvissuti alle persecuzioni naziste. Anche la storia ufficiale dell’organismo incaricato dei ricorsi, la Claims Conference, dimostra che il denaro specificatamente destinato alle vittime dal governo tedesco non è stato utilizzato correttamente. Nel corso dei recenti negoziati sull’indennizzo ai lavoratori dei campi di concentramento, la Claims Conference ha presentato cifre riguardanti i sopravvissuti ebrei decisamente gonfiate. Ebbene, aumentare il numero dei sopravvissuti significa ridurre quello delle vittime. I numeri che fornisce la Claims Conference si avvicinano paurosamente agli argomenti negazionisti. Come diceva mia madre (anche lei sopravvissuta ai campi): “Se tutti quelli che pretendono essere sopravvissuti lo sono realmente, ci si può domandare chi ha ammazzato Hitler!”. La maggior parte delle accuse dell’industria dell’Olocausto alle banche svizzere erano infondate o fortemente tinte di ipocrisia. Il rapporto finale della commissione Volcker ha stabilito che le banche svizzere non hanno sistematicamente ostacolato i sopravvissuti dell’Olocausto o i loro eredi nelle loro ricerche, e neppure distrutto dossier bancari per mascherarne le tracce. La scoperta più importante del mio libro è che gli Stati Uniti sono stati anch’essi un rifugio per beni ebrei trasferiti prima o durante la seconda guerra mondiale. Seymour Rubin, un esperto che ha reso testimonianza davanti al Congresso, ha concluso che il dossier americano è peggiore di quello svizzero.

 

Tuttavia, il rapporto ufficiale della Commissione consultiva presidenziale sui beni dell’Olocausto, reso di pubblico dominio alcune settimane fa, non fa cenno ad alcuna richiesta di pagamento delle somme dovute dagli Stati Uniti. Gli svizzeri e i francesi sono tenuti a sottostare a quest’obbligo morale, gli americani no. Sono trascorsi oltre due anni da quando l’industria dell’Olocausto ha costretto le banche svizzere a un accordo definitivo, ma nessuno dei richiedenti ha ricevuto un centesimo del denaro svizzero. Analizzando attentamente il piano, recentemente approvato, per la ripartizione di questo denaro si desume, infatti, che alle vere vittime toccherà praticamente niente. L’industria dell’Olocausto ha svenduto lo status morale di martire del popolo ebreo e per questa ragione merita il pubblico vituperio. Le Monde si preoccupa che il mio libro possa suscitare antisemitismo. Condivido e rispetto questa preoccupazione. Negare questo pericolo sarebbe dare prova di malafede. Ma è soprattutto la tattica brutale e avventuriera dell’industria dell’Olocausto a creare antisemitismo. Biasimare il mio libro equivale a biasimare il messaggero portatore di cattive notizie. Durante i negoziati con i Tedeschi sul lavoro nei campi di concentramento, un membro della delegazione tedesca mi ha detto: “Voglio essere onesto con lei. Da parte nostra, pensiamo che tutti noi siamo stati vittime di un ricatto”. Penso che in privato molti tedeschi onesti siano di questo parere e, purtroppo, hanno ragione. Si può anche supporre che esistano rispettabili cittadini svizzeri e francesi pronti a fare eco a questo sentimento. E non è difficile immaginare ciò che pensano i cittadini dell’Europa dell’Est, nel momento in cui l’industria dell’Olocausto reclama per sé i beni degli ebrei assassinati e fa pressione per accelerare i ritmi per l’estromissione degli attuali occupanti. Lo scopo del mio libro è quello di suscitare l’apertura di un dibattito che avrebbe dovuto avere luogo già da molto tempo. Tenuto soffocato col pretesto del politically correct, il malessere non può che aggravarsi. 

 
Per evitare il risorgere dell’antisemitismo, i profittatori dell’Olocausto devono essere pubblicamente denunciati e condannati. Come Le Monde, io difendo con la massima energia la memoria dell’Olocausto commesso dai nazisti. Ciò contro cui lotto è il suo sfruttamento a fini politici ed economici. Nessun progresso nella conoscenza storica è possibile fino a quando l’industria dell’Olocausto non metterà fine alle proprie attività. Mi sono sforzato di rappresentare l’eredità dei miei genitori. La principale lezione che mi hanno dato è che si deve sempre confrontare. Stabilire una distinzione tra “le nostre” sofferenze e “le loro” è di per sé una truffa morale. “Non bisogna fare confronti” è il leitmotiv dei maestri cantori della morale.
 
* Originale su Le Monde, pubblicato su La Stampa del 6 marzo 2001

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