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SARDINE: L’ARROGANZA DI UNA MINORANZA di Leonardo Mazzei

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Né ridere né piangere. Né sopravvalutare né sottovalutare. Torniamo a fare analisi del “movimento delle sardine”. Che sia “spontaneo” oppure un prodotto di laboratorio non cambia la sostanza: Salvini è il bersaglio, il fine è debellare “populismo” e “sovranismo”. Per questo esso è funzionale al regime dell’élite euro-liberista.

SARDINE A NATALE

Le sardine manifesteranno a Bologna il prossimo 19 gennaio, cioè esattamente una settimana prima del voto regionale in Emilia Romagna. Forse basterebbe questo a chiudere il discorso su quale sia la loro funzione. Ma di questi tempi ci si emoziona per poco, specie quando entra in campo la piazza.

Secondo il modo di ragionare di certuni, il fatto che la gente manifesti sarebbe di per sé positivo. E questo indipendentemente dalle motivazioni, dai contenuti, dagli obiettivi, dai settori sociali realmente coinvolti nella mobilitazione. Il buffo è che queste argomentazioni vengono spesso da quella “sinistra” che considera i cortei della destra salviniana come redivive adunate fasciste dell’Italia che fu. Eppure anche quella è gente che scende in piazza…

Ma lasciamo perdere queste corbellerie. Il fatto è che la grande stampa continua ad enfatizzare il fenomeno in tutti i modi, segno inequivocabile di come ci si trovi di fronte ad un movimento sistemico, gradito come nessun altro alle neoliberali oligarchie dominanti. Tutto ciò è chiaro come il sole, ma siccome la confusione sotto il cielo è grande, non sarà male provare a fissare in alcuni punti un giudizio più netto su queste piazze benpensanti. Ecco perché ci occuperemo delle sardine a Natale. 

LE SARDINE: UN MOVIMENTO NEO-CONSERVATORE

Come tutte le cose del mondo, anche le sardine hanno le loro contraddizioni. Ma questo non significa che non abbiamo un’anima. O, come dice qualcuno (magari per criticarle), che non abbiano contenuti. L’anima c’è, ed è quella della conservazione. I contenuti ci sono, e sono quelli della delega alle istituzioni e ancor più ai “competenti”, cioè di fatto ai funzionari del capitale, ai tecnici delle oligarchie finanziarie che dominano il nostro tempo.

Esageriamo? A leggere i sei punti delle sardine sembrerebbe proprio di no:

«1. “Pretendiamo che chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a fare politica invece che fare campagna elettorale permanente”. 2. “Pretendiamo che chiunque ricopra la carica di ministro comunichi solamente su canali istituzionali”. 3. “Pretendiamo trasparenza nell’uso che la politica fa dei social network”. 4. “Pretendiamo che il mondo dell’informazione protegga, difenda e si avvicini il più possibile alla verità”. 5. “Pretendiamo che la violenza, in ogni sua forma, venga esclusa dai toni e dai contenuti della politica”. 6. “Chiediamo alla politica di rivedere il concetto di sicurezza e, per questo, di abrogare i decreti sicurezza attualmente vigenti”».

Comincio ad avere una certa età, ma non ricordo una piattaforma più conservatrice di

questa. Forse un precedente si può trovare nella cosiddetta “maggioranza silenziosa” degli anni settanta del secolo scorso, ma quel movimento aveva almeno la dignità di presentarsi per quel che era: un raggruppamento conservatore, e financo reazionario, animato da una borghesia lombarda spaventata dalle lotte sociali di quegli anni. Ma adesso?

Adesso è il momento del politicamente corretto all’ennesima potenza. Un trucco per far passare contenuti ultra-conservatori senza neppure doverli dichiarare. O meglio, dichiarandoli in forma obliqua e grillesca come oggi si conviene.

Passiamo allora brevemente in rassegna questi sei punti. Il primo — chi è stato eletto se ne stia chiuso nelle istituzioni — è certo pensato contro Salvini, ma esprime un concetto gravissimo, quello di una politica che deve stare nel Palazzo, sorda e distante dal popolo e dai suoi problemi. Il secondo — chi è al governo comunichi solo attraverso i canali istituzionali — è un rafforzativo del primo, che fa però da battistrada al terzo sull’uso del social network e, soprattutto, ad un quarto punto che mira chiaramente all’istituzione di un controllo dall’alto sull’informazione. Queste pretese, viste nel loro insieme, configurano di fatto la richiesta di un orwelliano Ministero della Verità, rafforzato peraltro da quella di equiparare la violenza verbale a quella fisica.


Su tutto ciò ha scritto assai acutamente una persona solitamente ben distante dal mio modo di pensare, Barbara Spinelli. La quale, oltre a picchiar duro sui cinque punti di cui sopra, ha così liquidato pure il sesto sull’abrogazione dei “decreti sicurezza”:

«È l’unico punto veramente sensato, ma se la pretesa sulla violenza contenuta nel numero 5 (applicata in vari ambiti: media online e offline, manifestazioni pubbliche etc.) viene inserita nei decreti riscritti, è meglio forse tenersi quelli di Salvini».

Qui, al di là dell’analisi di dettaglio, quel che conta è il messaggio che le sardine vogliono trasmettere. Un messaggio che narra un Paese immaginario, un’Italia senza problemi (nessuna questione sociale viene mai citata, nemmeno di striscio) se non fosse per la comunicazione politica troppo urlata dai “populisti” e dai “sovranisti”. Roba da non credere, ma è così. 

Leggiamo, ad esempio, quel che ha detto Mattia Santori nel comizietto del 14 dicembre a Roma:

«Da sempre abbiamo chiesto un linguaggio politico più rispettoso delle vite degli italiani e che rispecchi la complessità della politica. Vogliamo che la politica torni ad essere qualcosa di complesso e andiamo a parlare dove e prima che il sovranismo arrivi. Noi cerchiamo di arrivare ai cervelli prima che si arrivi alle pance».

Ora, un movimento si giudica da tante cose, ma i primi elementi di giudizio non possono che essere il programma e l’ideologia del suo gruppo dirigente. E questi elementi ci dicono solo una cosa, che siamo di fronte ad un movimento neo-conservatore, con aspetti chiaramente reazionari. Ovviamente — ça va sans dire — stiamo qui parlando di un conservatorismo di tipo nuovo, del tutto opposto non a caso a quello salviniano, fatto invece di croci e madonne.

E’ il conservatorismo di chi non vuol neppure immaginare una crisi della globalizzazione capitalista, figuriamoci la sua messa in discussione. E’ il conservatorismo di chi non vede altra strada al di fuori del dogma europeista. Ma è anche, e bisogna dirlo con la durezza necessaria, il conservatorismo di chi sta meglio, di chi ha pagato meno la crisi, di chi sente meno l’austerità, di chi certo non ha il problema del lavoro e della precarietà. Detto in sintesi, quello delle sardine è un “popolo” largamente sovrapposto a quello delle Ztl che ancora vota Pd.


LE SARDINE: L’ARROGANZA DI UNA MINORANZA


Non sempre va in piazza chi sta peggio, chi è più oppresso, più sfruttato. Oggi, siccome certe piazze son chiamate dai media di lorsignori, talvolta ci va proprio chi vuol difendere i propri privilegi, piccoli o grandi che siano, reali o percepiti che siano, attuali o solo potenziali e di prospettiva. Privilegi non solo economici e di classe, ma legati anche all’appartenenza al club degli abilitati all’esercizio del potere – piccolo o grande, anche qui poco importa – per una sorta di grazia divina che da un quarto di secolo accompagna l’area larga del super-partito piddino.

Su cosa sia questo super-partito abbiamo già scritto due settimane fa:

«Il problema è che il Pd non è banalmente un partito. E’ qualcosa di meno — si pensi alla patetica figura del suo segretario politico —, ma è soprattutto qualcosa di più: il vero perno di un sistema che fa della sua sudditanza all’oligarchia eurista l’alfa e l’omega della propria ragion d’essere. Prodi, uno dei padri dell’euro, non è iscritto al Pd ma è Pd. Monti non è del Pd, ma è Pd. Mattarella non è iscritto al Pd, ma è Pd. E si potrebbe a lungo continuare con una lunga sfilza di nomi, oggi tutti — guarda caso — spinti sostenitori delle sardine. E questo per il semplice motivo che le sardine non sono semplicemente ascrivibili al Pd come partito, ma sono senza dubbio Pd nel senso del super-partito sistemico della conservazione eurista».

A questo c’è da aggiungere che l’attuale partito di Zingaretti è solo l’ultima mutazione di quello che il grande Costanzo Preve definiva come “serpentone metamorfico Pci-Pds-Ds-Pd”. Una mutazione, quella che ha portato da Gramsci e Togliatti a Renzi e Veltroni, che non ha bisogno di particolari commenti. Idem per quella che ha visto il passaggio dalla difesa degli interessi dei lavoratori alla diretta promozione del loro schiavismo tramite il jobs act.

Se tiriamo in ballo l’azzeccata metafora del serpentone previano è perché questa incessante trasformazione non è ancora finita. E non è finita perché non può finire. Non solo perché, notoriamente, al peggio non c’è limite, ma soprattutto perché nuovi travestimenti sono necessari affinché l’inganno possa continuare. Che le sardine abbiano qualcosa a che fare con questa esigenza lo dirà solo il tempo, ma sospettarlo è più che lecito.


Quel che è certo è che il movimento delle sardine rappresenta in tutto e per tutto gli interessi del blocco dominante. Ma così come quel blocco non è più da tempo maggioritario nel Paese, neppure le sardine che stanno lì solo per rivitalizzarlo, lo sono. E’ questo un altro punto su cui bisogna essere chiari.

Le sardine non sono pura invenzione. La società non è spaccata, come narrano alcuni confusionari, tra un 99% che sta sotto ed un modesto 1% che sta sopra. Questa semplificazione è ridicola. E, se presa davvero sul serio, foriera di drammatici errori. In realtà la punta della piramide è ben più ristretta dell’1%. Ma tra quel vertice ed il grosso del popolo lavoratore c’è un consistente strato — anch’esso assai variegato al suo interno — che identifica ancora i propri interessi (ed avrà qualche buon motivo per farlo) con quelli della ristrettissima cupola che comanda. E’ questo il blocco sociale da cui sono spuntate le sardine. Un blocco che ha ancora una forza consistente, ma che — repetita iuvant — non è più maggioritario. Che se invece lo fosse, le sardine sarebbero rimaste tranquille nelle loro Ztl.

Quando, come nei sei punti citati, le sardine pretendono di dettare il bon ton della comunicazione politica, esse mostrano non la gioiosa speranza trasformatrice dei movimenti popolari, bensì l’arroganza tipica di chi è avvezzo se non a comandare, quantomeno a stare sempre dalla parte di chi il potere lo ha. Un’arroganza sempre da respingere, tanto più oggi che è oltretutto minoritaria nella società.

LE SARDINE: IL FALSO BUONISMO DI CHI ODIA IL POPOLO

Tante sarebbero ancora le cose da dire. Ma ci soffermiamo su una, particolarmente diffusa. Per alcuni il momentaneo successo di questo pittoresco movimento ittico starebbe nel suo buonismo, nel suo essere “per” anziché “contro” qualcosa. Questo modo di vedere le cose mi pare un abbaglio assai clamoroso.

Le sardine dicono di essere in piazza contro l’odio, ma in realtà sono lì per esprimere il loro odio verso Salvini. Il quale – sia detto con la massima chiarezza – è assai spesso veramente odioso, ma è una strana lotta contro l’odio quella che muove proprio dal disprezzo per una forza politica (che in Salvini si riconosce) che ha il consenso del 30% degli italiani.

Senza scomodare l’odio, si può tranquillamente lottare contro Salvini contestandone l’impostazione culturale, le posizioni politiche, le singole proposte. Si può farlo anche (ed a ragione) criticandone il linguaggio becero e tracotante, ma perché farne il tema esclusivo di una mobilitazione come quella attuale? L’unica spiegazione di questa monotematicità sta nel fatto che i signorini che han dato vita alle sardine con Salvini hanno in comune assai più cose di quel che sembra. Di certo ne condividono la visione neoliberista, mercatista e privatizzatrice. Quel che non gli piace, invece, è la sua torsione nazionalista, sia pure di un nazionalismo ancora bizzarramente confuso con le origine padane della Lega.

 Ma c’è di più. Questa ossessione per Salvini è un comodo alibi per non parlare d’altro. Ad esempio delle malefatte di chi è attualmente al governo. Meglio ancora delle cause più profonde — dall’appartenenza all’Unione europea, al cappio rappresentato dall’euro — del degrado del Paese. Di tutto ciò non si parla perché proprio non se ne vuol parlare, ma la collocazione nel campo dell’euro-dittatura è ben rappresentata dal fatto che (a differenza delle altre) le bandiere dell’Ue sono sempre ben accette nelle piazze sardinate. Per giunta proprio nelle settimane in cui si è finalmente aperta la discussione sulla trappola del Mes, altro tema che per le sardine non esiste.

La lotta all’odio è dunque solo un’odiosa messinscena, e l’odio per Salvini nasconde invece l’odio per un popolo che non ne può più di un politicamente corretto che è servito solo a coprire il massacro sociale degli ultimi dieci anni, a rendere indiscutibili le verità dei dominanti.

Quel che è certo è che il successo delle sardine si spiega proprio con la chiara identificazione del nemico, altro che buonismo! In quanto poi all’essere “per” anziché “contro”, proprio non si capisce di cosa si stia parlando. Se i “per” sono i sei punti di cui ci siamo occupati (ed altro al momento non ci è noto) c’è solo da rabbrividire, dato che si tratta del più osceno sostegno alle oligarchie dominanti che si abbia avuto il coraggio di pubblicare negli ultimi decenni.

Chiudiamo sul punto con una semplice osservazione di buon senso. Come non vedere come tanto antisalvinismo sia in realtà la miglior benzina per la propaganda salviniana? Alle sardine il Salvini truce ed offensivo fa comodo – una conferma perfetta di quanto pericoloso sia il nemico contro il quale si manifesta. Al tempo stesso è del tutto evidente come queste manifestazioni a senso unico, tanto più in quanto mute sulle vere questioni che assillano la maggioranza delle persone, facciano la fortuna di Salvini, facendolo così apparire come il vero nemico delle èlite anche quando – come in queste settimane – elemosina un posto nel PPE e si pronuncia per Draghi al Quirinale o (via Giorgetti) a Palazzo Chigi. 

LE SARDINE: PERCHE’ NON PRENDERLE A PESCI IN FACCIA?

Veniamo adesso alla questione di quale sia il modo migliore di rapportarsi alle sardine, un tema che sta animando una certa discussione. Prima di farlo, però, due parole vanno spese sulla lettera scritta dai quattro promotori bolognesi e pubblicata da la Repubblica del 20 dicembre scorso.

Nella lettera, i quattro si presentano come anime candide momentaneamente sottratte al normale scorrere della loro vita. Ci raccontano delle fatiche dell’ultimo mese, perfino del sonno che hanno perso, poverini! Tutto ciò per concludere che (per ora, aggiungiamo noi) non faranno un partito. Per dirlo scelgono il solito linguaggio ambiguo tipico dei nostri tempi:

«Le sardine non esistono, non sono mai esistite. Sono state solo un pretesto. Potevano essere storioni, salmoni o stambecchi. La verità è che la pentola era pronta per scoppiare. Poteva farlo e lasciare tutti scottati. Per fortuna le sardine le hanno permesso semplicemente di fischiare»

Un “pretesto”, ovvio che è così. Ma un pretesto per fare che cosa? Altrettanto ovvio che non ce lo dicano. Nel frattempo, l’abbiamo scritto all’inizio, la mobilitazione è pronta per il 19 gennaio a dar manforte a Bonaccini nella piazza di Bologna. D’altronde, la frase

centrale delle conclusioni dei quattro è chiara quanto mai: «La condivisione dello stesso male ci ha resi alleati coesi, ha unito il fronte». Altro che movimento “per”! Ciò che li rende uniti è proprio la condivisione del nemico, che ovviamente non è rappresentato dalle oligarchie dominanti, ma da quella particolare variabile populista – ma tutt’altro che anti-sistemica – rappresentata dalla Lega. Insomma, per le sardine l’attuale dominio di classe del blocco dominante è sacrosanto, bisogna solo assicurarsi che esso possa proseguire con le “buone maniere” dei Monti e dei Draghi.

Che di fronte ad un simile programma ci sia chi a sinistra prende fischi per fiaschi non stupisce, ma neppure può essere passato sotto silenzio. Questo pittoresco fenomeno della sinistra sardinata spiega in realtà molte cose dell’attuale egemonia della destra. Del resto, quando si perde la bussola dell’analisi concreta della situazione concreta, tutto può capitare.


Leggiamo, ad esempio, l’entusiastico commento di Sinistra Anticapitalista sulla manifestazione di Roma:

«Quella del 14 dicembre è stata una grande manifestazione, come non se ne vedevano da troppi anni a sinistra, una manifestazione di popolo che ha riempito piazza S. Giovanni di decine di migliaia di persone (più di centomila secondo gli organizzatori) animate da sentimenti antifascisti e antirazzisti. Tanti e tante lavoratori e lavoratrici nativi e migranti, giovani, si sono incontrate/i dalle prime ore del pomeriggio con le variopinte sardine per riprendersi la piazza storica della sinistra, dopo la manifestazione del 19 ottobre delle destre reazionarie».

Non solo (e qui non ridete troppo, che è Natale e bisogna essere buoni):

«Vicino alla statua di S. Francesco si erano dati appuntamento le sardine anticapitaliste di Sinistra Anticapitalista, le sardine rosse di Rifondazione, i migranti delle sardine nere organizzati con Potere al popolo, il coordinamento per il ritiro di ogni autonomia differenziata e diversi altri pezzi della sinistra radicale romana».

Ammazzate oh!

Bene, se Sinistra Anticapitalista ha almeno il merito di rendere evidente ciò che non si deve fare, come rapportarsi allora a questo movimento?

Naturalmente, e questo vale in generale, chi ha buone ragioni e validi argomenti (come pensiamo di averli noi della sinistra patriottica) deve parlare con tutti, al limite (se lo si reputa utile) perfino col carceriere e col boia. Figuriamoci se non lo si può fare con le sardine o con la base leghista! Il problema è cosa pensiamo di tirarne fuori. Se puntare ad una conversione anticapitalista, tramite apposita e variopinta infiltrazione come quella poc’anzi citata, è semplicemente patetico, cos’altro di concreto si può fare?

Bene, in proposito le idee hanno da essere piuttosto chiare. Se è certo vero che un movimento allo stato iniziale è sempre inevitabilmente magmatico e contraddittorio, il modo migliore di separare il grano dal loglio non è l’acquiescenza, tantomeno la subalternità. Il modo migliore è la piena autonomia di giudizio, nel caso specifico l’aperta denuncia dell’operazione politica in corso.

Per aprire gli occhi a chi eventualmente fosse disposto a farlo, la scelta migliore è dire le cose come stanno. A volte un (metaforico) pugno nello stomaco è più salutare di tante ed ambigue carezze. La verità talvolta è dura, ma la verità è pur sempre la verità. Le sardine vanno dunque prese a pesci in faccia. Sempre metaforicamente, beninteso, anche se per il loro tribunale speciale — vedi il punto 5 — questa precisazione non mi salverebbe comunque dalla condanna.

A pesci in faccia. Denunciando la loro funzione sistemica, la loro connivenza con le oligarchie, il loro silenzio sui drammi sociali, la loro indifferenza per il popolo che soffre, il loro programma elitario e conservatore. Con calma, tranquillità e financo con un tocco di quel bon ton cui tanto tengono. Ma a pesci in faccia.


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2 pensieri su “SARDINE: L’ARROGANZA DI UNA MINORANZA di Leonardo Mazzei”

  1. Anonimo dice:

    "Secondo il modo di ragionare di certuni, il fatto che la gente manifesti sarebbe di per sé positivo."In compenso secondo certi altri il fatto che qualcuno dica di essere contro l'Europa mentre prende quattrini dagli italianissimi Benetton perchè non si tocchi la loro gallina dalle uova d'oro Autostrade anche se ammazzano decine di italiani sarebbe di per sè positivo

  2. Eros Cococcetta dice:

    Il problema delle sardine è che non solo non sono in grado di dare risposte ai problemi del paese, ma non conoscono neppure i problemi. E allora perché scendono in piazza? Per fare una passeggiata? Non hanno capito che il MES è una truffa assoluta e per di più incostituzionale. Non hanno capito che l'euro, il pareggio di bilancio, l'austerity e le politiche neoliberiste ci stanno portando alla rovina. Non hanno capito che in Italia c'è un problema enorme che si chiama disoccupazione, visto che il 40% di loro è disoccupato e il restante 60% è sfruttato e sottopagato per aumentare i profitti delle imprese. Non hanno capito che senza la MONETA SOVRANA nessun governo potrà fare nulla, per il semplice motivo che non ci sono i soldi, perciò i servizi pubblici peggioreranno sempre di più. Il Ministro Fioramonti si è dimesso, giustamente, perché non gli hanno dato i 3 miliardi richiesti. Ma lui ha precisato che i 3 miliardi erano il minimo indispensabile per non arretrare, erano la linea di galleggiamento, ma in realtà per rilanciare la scuola servirebbero 24 miliardi (fantascienza, senza la moneta sovrana). Le sardine non sanno niente e non hanno capito niente però vanno a manifestare contro Salvini come se il problema dell'Italia fosse Salvini …. non hanno capito niente ma intanto fanno il gioco delle élite che ci stanno rovinando.

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