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DUGHIN E LA “QUARTA TEORIA POLITICA” di Georgy Stefanov

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Nel nostro ultimo articolo per SOLLEVAZIONE (Maggio 2019)  scrivevamo:

«Il putinismo declina tale motivazione escatologica eurasiana nella pratica di un conservatorismo verticale, in cui confluiscono tradizioni politiche di una destra classica quali possono essere franchismo spagnolo o bonapartismo francese.
Siamo distanti, come si può vedere, sia dall’eurasismo classico sia dalla visione di Gumilev. In conclusione, si può dire che l’azione tattica putinista verso la Cina è una opzione meramente e esclusivamente difensiva rispetto alla nuova Offensiva imperialista occidentale russofoba. 
Da un punto di vista politico, Eurasia oggi significherebbe blocco strategico Pechino Mosca Delhi. Non vi è altra via al riguardo. 
La tradizione politica russa ha lanciato un solo messaggio politico universalistico e rivoluzionario nella sua millenaria storia: quello di Vladimir Lenin.

Putin, un ottimo statista che ha salvato la Russia dalla catastrofe liberale-occidentalista, non è pero né un rivoluzionario di destra (fascista), né un rivoluzionario leninista. E’ un classico statista conservatore che si è dato la importante missione di proteggere il futuro e il destino della Russia da ogni assalto esterno, sia esso occidentale o cinese o islamico. Nessuna immagine più di quella  dell’orso russo che protegge il suo habitat, senza infastidire il prossimo, identifica il putinismo. Ma in una fase di radicale scontro interimperialista, quale è quella a cui ci siamo ormai avviati, sarà ancora possibile tale bonario proposito?

Ci auguriamo di sì, per il bene del grande popolo russo, ma fossimo al Cremlino non dormiremmo sonni tranquilli».

Manco a farlo apposta sono avvenuti, proprio di recente, due fatti storici epocali:
l’omicidio del Generale persiano Soleimani, il Deal bilaterale tra la Casa Bianca e il
Partito Comunista Cinese. Eventi che inevitabilmente costringeranno il conservatorismo
verticale putinista a una nuova sterzata. I rumors provenienti dal Cremlino indicano proprio che siamo immersi nella fase che avevamo preventivato mesi fa. 

Premesso che Dughin non è stato né è il teorico di Putin, né è in termini di Dottrina Politica un Fascista ma semmai un Neostalinista, va comunque detto che è un influente maître à penser di una corrente internazionale eurasiana che è assai forte anche nelle destre radicali occidentali ed israeliane. La recente Quarta Teoria dughiniana avrebbe la presunzione di porsi come un fenomeno storico e geopolitico che superi Fascismo, Comunismo, Liberalismo, ma sino ad oggi non ha storicamente nulla di così rilevante, motivo per cui continuiamo a riferirci al Dughin essenzialmente come storico intellettuale del mito Eurasia, senza trascurare l’impulso heideggeriano della Quarta Teoria

Quale è però la effettiva posizione politica e geopolitica di Dughin riguardo al Grande Medio Oriente, fascia geopolitica che ha assunto e assumerà una centralità geopolitica che la Eurasia non ha ancora affatto assunto e ormai molto difficilmente assumerà?

Dughin: un neo-stalinista sionista?

In un suo saggio “Gli Ebrei e l’Eurasia”, assai importante come assai trascurato, il Nostro sostiene, basandosi sulla concezione dell’ eurasista Jacov Bromberg espressa nel libro Sull’orientalismo ebraico, che nell’ambiente degli ebrei russi potevano essere distinti chiaramente due gruppi antagonisti, rappresentanti archetipi psicologici e culturali polari. Merita di essere ripresa questa significativa esposizione dughiniana:

«Un gruppo ha un’attitudine chassidica-tradizionalista. Le sue caratteristiche sono il misticismo, il fanatismo religioso, l’idealismo estremo, lo spirito di sacrificio, il profondo disprezzo per il lato materiale della vita, per l’avidità ed il razionalismo. In alcuni casi estremi tale tipologia mistica ebraica è trasferita dal particolarismo etno-religioso all’universalismo, diffondendo ideali di nazionalismo messianico in diversi popoli. Ma fuori dai suoi ambienti religiosi ortodossi, lo stesso tipo psicologico ha dato vita a ferventi
rivoluzionari secolarizzati, marxisti, comunisti, populisti». 

Uno dei rami dell’ebraismo mistico, secondo Dughin, si distinse non semplicemente per il suo astratto marxismo, ma per una profonda simpatia ed una sincera solidarietà col popolo Russo, specialmente con i contadini russi ed i lavoratori russi, cioè con gli elementi non appartenenti alla Russia ufficiale, zarista, ma a quella Russia parallela, nativa, del suolo, della terra, la Russia dei vecchi credenti e dei mistici, gli «incantati pellegrini russi». 

Il riferimento rimanda al classico tipo degli ebrei-SR [partito Socialista-Rivoluzionario], le cui caratteristiche furono sempre e dovunque un’aperta tendenza russo-nazionalista ed un conseguente e profondamente radicato nazional-bolscevismo.
Bromberg consolida questo ambiente chassidico-marxista, mistico-socialista in un singolo
gruppo: l’«orientalismo ebraico».


Questa è appunto la «frazione eurasiatica» dell’ebraismo: ricordando figure come Isaiah Lezhnev e Vladimir Tan-Bogoraz, Dughin ci spiega come moltissimi sionisti ebrei videro nel bolscevismo una possibilità di unirsi, finalmente, ad un popolo più grande, di lasciare il ghetto e le sue caratteristiche per unire escatologicamente il messianismo russo a quello israeliano sotto la comune egida della Rivoluzione eurasiatica, la distruzione delle leggi alienanti del capitale e dello sfruttamento affermando la logica socialista e comunitaristica del Kibbutz la quale — secondo molti intellettuali marxisti israeliani — sarebbe stata l’unica vera forma di “Comunismo” del Novecento. 

Così, i circoli estremi degli ebrei est-europei mistici (dai chassidici ai
sabbatei) rappresentarono un ambiente fertile per i bolscevichi, i Socialisti Rivoluzionari
e i marxisti, e non a caso la maggioranza dei leader rossi provenivano da famiglie chassidiche o da enclavi avvolte da pathos escatologico, mistico, messianico. A dispetto dell’esteriore paradossalità di questa vicinanza, fra il tipo chassidico del fondamentalista ebraico e i costruttori della società bolscevica atea c’era, secondo il Nostro, una connessione interiore tipologica e psicologica, perché sia la prima che la seconda appartenevano alla parte «eurasiatista»,«orientalista», quella insomma più messianica dell’ebraismo. 

Viceversa, il tipo ebraico freddo, razionalista, borghese che punterebbe esclusivamente alla razionalizzazione dell’attività economica ed alla massimizzazione del profitto è considerato da Dughin occidentalista e secondo la sua interpretazione storica tale fazione occidentalizzante avrebbe fatto blocco con i Bianchi — contro i bolscevichi — durante la guerra civile russa. Il bolscevismo sarebbe così la secolarizzazione del Messianismo Giudaico (sabbatianesimo, chassidismo, kabbalismo) Eurasiano; l’occidentalismo ebraico economico-finanziario avrebbe invece dato avvio alla secolarizzazione del razionalismo talmudista e legalistico.

Ora, in questo contesto non ci interessa smentire o confermare la ricostruzione
storiosofica dughiniana; per lui, la potente frazione ebraico-statunitense supercapitalista rossa Hammer sarà probabilmente stata una razionalizzazione di sostanza capitalista-bolscevica. Una eccezione che conferma la regola dell’Orientalismo mistico giudaico-bolscevico.


Dughin diverge sia dal Berdjaev, per il quale il bolscevismo è il prodotto dello spirito
millenario populista russo, sia dal Solzenicyn per il quale il bolscevismo sarebbe
intrinsecamente Russofobo, essendo un prodotto di importazione dal marcio e decadente
Occidente terroristico, nichilista, borghese, luterano, hegelomarxista.


Ci interessa però comprendere e sottolineare come nel progetto escatologico eurasiano
dughiniano, che ricalca per certi versi il sionismo militante islamofobo dell’Urss
stalinista, vi sia comunque uno spazio centrale per i “socialisti-sionisti”. Scrive infatti
Dughin:

«L’occidentalismo ebraico non è né può essere un fenomeno irreversibile e totale. E’impossibile negare che le posizioni dell’orientalismo ebraico siano oggi deboli e marginali come mai prima. Ma può trattarsi di un fenomeno temporaneo. L’identificazione nazionale di una certa parte dell’ebraismo è inconcepibile senza spirito di sacrificio, grande compassione, agonia e ricerca idealistica del vero, senza profonda contemplazione mistica, senza disgustato disprezzo per le oscure leggi schiavistiche «di questo mondo» – le leggi del mercato e del beneficio egoistico.
L’orientalismo ebraico, le gesta di umiltà e di sublime insensatezza dei primi leggendari tsadiki, la sincera compassione per i nostri simili, a prescindere dalle loro origini razziali e religiose, il credo fanatico nell’equità e nella costruzione onesta della società, e infine quella solidarietà verso un altro così bello e tragico popolo nella storia, anch’esso eletto, scelto da Dio, il popolo Russo — tutto questo è insradicabile da una certa parte dell’ebraismo, inseparabile dal suo unico destino.
Schiacciata fra il (parzialmente giustificato) antisemitismo dei patrioti e orientalisti russi e la matrice razionalista, antistatalista e di mercato degli odierni ebrei-liberali russi,l’orientalismo ebraico attraversa tempi duri.
Ma non è necessario disperare. Nella vita di questo popolo vi sono state prove peggiori.
E’ importante che esso realizzi la propria scelta, interpreti il suo ruolo nella storia, trovi con consistenza il suo orientamento geopolitico e spirituale. E dalla loro parte, obbligati dalla loro responsabilità, e alla luce di tutta questa tragica esperienza storica, tutti gli eurasiatisti di conseguenza proclamano: ci sarà sempre un posto per l’«orientalismo ebraico» nei ranghi dei costruttori del Grande Impero Eurasiatico, l’Ultimo Impero.
Ma il tradimento ed i traditori della Grande Idea non dovremo mai scusarli né
dimenticarli mai, nessuno di essi. Né dei nostri, né dei loro».

A quanto sappiamo, Dughin non ha mai superato queste posizioni, per quanto il saggio
sia di diversi anni fa. Dunque, la stampa globale sionista definisce Dughin un Fascista,
mentre è un esplicito Sionista Staliniano, in cui elementi messianici marxisti e ebraici
convolano a mistiche e non materialistiche nozze.

Dughin e l’Iran khomeinista


Al tempo stesso, Dughin vede nella Grande Eurasia un posto centrale anche per lo Stato
e il Popolo della Persia. Di ritorno da un viaggio in Iran scrisse un interessantissimo e
sintetico pezzo su “L’alleanza strategica tra Iran e Russia”. Gli ultimi punti di tale scritto
meritano di essere ripresi per intero, in quanto il pensatore russo avrebbe percepito
nella ideologia portante della Repubblica Islamica dell’Iran addirittura una manifestazione di Quarta Teoria Politica:

«~3. Direttiva ideologica. La struttura politica iraniana non corrisponde a nessuna delle classiche ideologie politiche dell’Occidente nei tempi moderni. Questo non è il liberalismo, non è il comunismo, non è nemmeno il nazionalismo. Pertanto, la filosofia politica del moderno Iran sta oltre queste tre ideologie, nell’alveo della “quarta ideologia”. In questo senso, è importante che il mio libro “La Quarta Teoria Politica” sia stato tradotto in lingua farsi e pubblicato di recente a Teheran. La Russia moderna è in
una situazione simile: il comunismo e il liberalismo sono screditati, il nazionalismo porterà alla disintegrazione della società multi-etnica in Russia. Per il futuro, anche la Russia si muove nel campo della “quarta teoria politica.” Ciò ci unisce e rende il nostro lavoro più semplice.
4. Direttiva economica. Iran e Russia condividono un interesse a minare l’egemonia degli Stati Uniti per l’economia, come anche per il dollaro. I nostri paesi lavorano per la fine dell’imperialismo e della dittatura della finanza globale. Unire le forze nel campo dell’energia trasformerà i nostri paesi in una holding di energia di importanza globale. Inoltre, l’Iran e la Russia sono interessati a uscire dalla zona del dollaro e sono impegnati nella creazione della moneta eurasiatica. La Russia deve aiutare l’Iran a rompere il soffocante blocco economico. Nell’economia, i nostri interessi sono assolutamente identici.
5. Direttiva spirituale. Durante il mio soggiorno nella città santa sciita di Qom in una conversazione con l’Ayatollah Hamedani ho notato il termine che ha usato: “cultura dell’attesa”, “farhange entezor” (in persiano). L’idea era che il senso spirituale della religiosità dell’Iran è riconducibile all’attesa del Mahdi, il Salvatore del mondo, che metterà fine all’oppressione, al capitalismo, al dominio dell’Occidente e riempirà il mondo di giustizia. L’Ayatollah Hamedani ha anche parlato delle credenze degli sciiti ortodossi, che sono in attesa del tempo della Seconda Venuta, e che secondo le tradizioni del Profeta, nella battaglia finale, i musulmani e cristiani sono dalla stessa parte contro le orde dell’Anticristo (atlantismo, Stati Uniti, globalizzazione). E che tutto sarà deciso, sempre secondo le tradizioni islamiche, a Damasco. Questa “cultura
dell’attesa” unisce i nostri popoli e crea nella nostra società, una prospettiva
riconducibile ad una visione del mondo che vede lo scopo della vita non nel benessere materiale, ma nella realizzazione del grande obiettivo — il trionfo della verità, del bene e della giustizia. La nostra lotta è per un futuro migliore, contro l’ingiustizia e la corruzione, in cui ci troviamo oggi».

Come l’attento lettore avrà notato, il Dughin identifica l’orda apocalittica dell’Anticristo con l’atlantismo capitalistico ma non con il Sionismo, la cui sostanza messianica e socialista rimane per il pensatore quintessenziale non solo dell’originario fenomeno ma anche dell’alito metafisico che informerebbe nella sua profonda essenza l’intera storia
sionista.


La Russia di Dughin tra Iran, Islam e Israele


Arriviamo alla conclusione.
In più casi, Alexander Dughin con i suoi post e nelle sue interviste ha di recente reso
omaggio al trumpismo. Non solo perché Trump e Putin combatterebbero i medesimi
avversari ma anche perché il trumpismo sarebbe in fondo un decisivo deterrente rispetto
al progressismo relativistico occidentalista. Ora, noi siamo invece d’accordo con quantosostenne SOLLEVAZIONE il 20 Novembre 2019.


I due universalismi che si stanno contendendo il destino globale sono da un lato il frutto
maturo di ciò che Dughin classifica come “Comunismo sionista israeliano”, dall’altro il
seme piantato in Iran dall’Ayatollah Ruhollah Khomeini. La città di Gerusalemme, la
santa Al Quds dei Crociati di ogni religione e metafisica, rimane un centrale nodo
metafisico e politico. Il dughinismo decade così a metamorfosi di rigido economicismo staliniano. Per quanto impreziosito dalle dotte citazioni di Renè Guenon o
di sapienti islamici, Dughin non fa che spostare l’orizzonte del fallimentare e
tragicomico economicismo sovietico sul lato del determinismo geopolitico, applicando
però lo stesso metodo degli intellettuali staliniani. Credere sia possibile mettere sotto la
irenica bandiera della Grande Eurasia fazioni politico-religiose così differenti e
contrapposte, su base millenaria escatologica e metafisica come peraltro Egli ha
finemente sottolineato, non è utopia, ma di più. E’ la rinascita dell’allucinazione
zdanovista sotto altra forma.

Per Dughin è inessenziale o secondario che il trumpismo sia divenuto, da movimento di
riscossa sociale americano, partito ideologico globale (sionista o cristiano-evangelico
apocalittico) allorché ha sposato la lotta per Gerusalemme capitale del solo Ebraismo
sionista. Il trumpismo è divenuto ideologia apocalittica e mitica di certo, ma salendo nel
carro del sionismo ebraico messianico che piace a Dughin, lasciandosi alle spalle l’iniziale
proposito isolazionista. Questo testimonia, più di ogni altro evento, che il Sionismo è l’unico vero Partito Politico dell’occidente relativista, oltre Trumpismo ed antitrumpismo e che il suo antagonista strategico, la Repubblica Islamica Khomeinista è di conseguenza l’altro Polo universale.

Lo scacco del dughinismo è rappresentato dalla scarsa comprensione della dimensione
politica. Se i vecchi stalinisti subordinavano la dimensione politica a quella economica, i
nuovi stalinisti dughiniani, con una dose di malamente assimilato Sorelismo
premussoliniano, credono sia possibile alzare l’astratta bandiera di un falso Mito, quello della Grande Eurasia per imporre un nuovo universalismo russofilo. 

I vecchi stalinisti erano però più coerenti. Si proponevano, oltre le fandonie propagandistiche, come colonialisti russi vecchio stampo. I nuovi mascherano invece il loro deterministico pseudomillenaristico con formule metapolitiche da Nuova Destra Francese, tipo “Quarta Teoria Politica”. 
Lo scacco del dughinismo, sia chiaro, è lo scacco politico e geopolitico delle Tre Grandi
superpotenze (Usa, Cina, Russia). Mai come oggi, medie potenze regionali come Iran,
Israele e la Turchia di Erdogan hanno, e più ne avranno, una centralità geopolitica
strategica che ogni giorno di più le Tre Grandi superpotenze stan perdendo. Perché?
Perché israeliani e persiani han saputo flettere, prima di tutti gli altri players, nel mito la strategia della Guerra Asimmetrica, che è la Guerra attuale e del futuro. Perché, oggi come ieri, dal numero dei soldati caduti, dal sangue dei martiri si tracceranno i nuovi confini geopolitici. 

Primakov, un Eurasista ma molto più concreto e politico dei dughiniani, ci ha consegnato il testamento che il potere globale è rappresentato dal Mediterraneo profondo e che la guerra strategica per la conquista di Bald el Bandeb è appena iniziata e sarà lunga, molto.

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