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TERZO POLO? SÌ MA QUALE? di Leonardo Mazzei

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L’Emilia Romagna non è l’Italia, ma le elezioni di domenica almeno tre cose ce le dicono.

La prima è ovviamente la sconfitta di Salvini. Sconfitta certo non imprevedibile, ma resa più cocente dalle spacconate del diretto interessato. Il quale deve ora incassare gli effetti del secondo grave errore negli ultimi cinque mesi, dopo quello clamoroso assai dell’agosto scorso.
Diverse sarebbero le cose da dire sul punto, ma una in particolare va messa subito a fuoco. Con Salvini non è stato sconfitto il sovranismo, come in tanti pretenderebbero, bensì la sua caricatura messa in scena proprio dal leader della Lega. Il quale, messa in soffitta ogni critica all’Europa, si è concentrato addirittura sull’obiettivo della liberazione dell’Emilia nientemeno che dal comunismo! Boom, boom, triplo boom! Ovvio come questa comica postura altro non sia stato che il riflesso compensativo della rinuncia ad ogni radicalità sovranista (Draghi? Why not?), un elemento importante da considerarsi tanto per l’oggi che (soprattutto) per il domani.

La seconda cosa che tutti giustamente rilevano riguarda le Sardine. Quale fosse la loro mission lo abbiamo detto per tempo, e certo non ci voleva molto a capirlo. Il problema era quello di rivitalizzare il super-partito sistemico imperniato sul Pd, a dispetto dell’elettroencefalogramma piatto del partito guidato da Zingaretti. L’operazione è riuscita. Ed è riuscita grazie ad un unico messaggio, quello contro il barbaro Salvini. Un gioco polarizzante al quale l’ex ministro dell’interno ha felicemente collaborato. Ma, alla fine, questo meccanismo circolare in cui la polemica dell’uno dava forza all’altro e viceversa, ha avuto un vincitore diverso da quello che in tanti prevedevano. Un risultato anche questo che ci dice molte cose per il futuro. Un’ultima noterella che ha a che fare con le Sardine riguarda le sorti delle tante frattaglie della sinistra sinistrata, i cui sempre più penosi zerovirgola stanno lì a dimostrare quale mulino alimenti la loro ossessione “antifascista”. A costoro andare in piazza con le Sardine è servito eccome! E difatti Bonaccini e Zingaretti ringraziano…

Ancora più importante, ai fini di ogni ragionamento sul che fare, è il terzo dato che ci arriva dalle elezioni di domenica: la disfatta del Movimento Cinque Stelle. Benché non inatteso, questo tracollo apre addirittura alla possibilità di una vera e propria scomparsa di M5s dallo scenario politico italiano. Paradosso ancor più grande nel momento in cui la pattuglia pentastellata è tutt’oggi la più numerosa in parlamento, quella decisiva per tenere in vita il governo della restaurazione eurista a trazione piddina. Questo rapido passaggio, da forza anti-sistema (o perlomeno così diffusamente percepita) a stampella

del regime, ha avuto ormai il suo definitivo responso elettorale. Il che la dice lunga, fra l’altro, su come la crisi macini rapidamente i suoi protagonisti politici. Ogni riferimento al possibile futuro di Salvini non è per nulla casuale.

Ma torniamo ai Cinque Stelle ed al loro sbando. Due le opzioni che si affacciano nel mediocre dibattito (e siamo buoni) del loro gruppo dirigente. Da una parte l’affiliazione definitiva al cosiddetto “centrosinistra”; dall’altra il mantenimento di una certa autonomia centrista — potremmo dire neo-democristiana — da giocarsi di volta in volta ma sempre all’interno di un ricostituito bipolarismo. Due sono infatti le caratteristiche comuni ad entrambe queste possibilità: la scomparsa di ogni contenuto antisistemico; l’accettazione di un ruolo minore, con la contestuale rinuncia a rappresentare un terzo polo popolare (e populista) alternativo agli altri due. Ed è proprio questa rinuncia la certificazione della morte politica di M5s.

Torneremo di certo su quelli che, prevedibilmente, saranno gli effetti di quanto finora descritto sul governo e sulle dinamiche politiche dei prossimi mesi. Qui voglio invece soffermarmi su un’altra e decisiva domanda: siamo davvero di fronte alla rinascita del bipolarismo? Un quesito che ne richiama immediatamente un altro: c’è, oppure no, lo spazio per un Terzo Polo alternativo e realmente antisistemico?

Un nuovo bipolarismo?

Come noto, il bipolarismo è da sempre il sogno delle oligarchie. L’alternanza, dunque la falsa alternativa, tra due contenitori intercambiabili è il modo migliore — il più efficace ed il più indolore — per uccidere la democrazia. Vinca chi vinca, vincon sempre lorsignori.

Questo meccanismo, che già zoppicava, andò clamorosamente in crisi nel 2013 con l’irruzione sulla scena politica dei Cinque Stelle. Adesso, proprio grazie alla loro disfatta, è lì che si vuole tornare. Questo percorso, che in tanti vorrebbero ineluttabile, non è però per niente scontato. Innanzitutto esso esige un sistema elettorale ad hoc, maggioritario in tutto o almeno in larga parte. L’esatto contrario del nuovo sistema proposto dalla maggioranza di governo nelle settimane scorse. Ci sarà su questo un ripensamento da parte del Pd? Possibile e perfino probabile dopo il voto emiliano, ma le controindicazioni non mancano e trovare la quadra non sarà facile.

La crisi del bipolarismo è comunque un fatto che va al di là dei sistemi elettorali. Se in Italia esso è andato in frantumi nonostante leggi ampiamente maggioritarie, nel resto d’Europa è avvenuta la stessa cosa a dispetto di sistemi assai differenti tra loro. Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna e Italia votano con cinque sistemi diversi, ma ovunque (con la parziale controtendenza delle ultime elezioni britanniche) il bipolarismo è a pezzi. Ci sarà pure una ragione. E la ragione risiede nella crisi, che ovviamente non è solo economica ma pure politica.

Lorsignori potranno dunque affannarsi a richiudere le porte del Palazzo, ma non potranno certo impedire il risorgere di una forza alternativa, antiliberista, antieurista, democratica, popolare e costituzionale. Il problema non è il se, ma il come e il quando avverrà. 

Un Terzo Polo può sorgere, ma come?

Il voto in Emilia Romagna, che peraltro non è l’Italia, non è la sconfitta dell’alternativa al bipolarismo liberista. La disfatta pentastellata non è la sconfitta di un’alternativa al sistema, quanto piuttosto la sconfitta di chi non è più alternativo per niente. E la stessa frenata della Lega ha almeno in parte lo stesso significato.

Certo, è vero — come ci dicono gli studi sui flussi elettorali — che il grosso dei voti ottenuti da M5s alle europee sono andati domenica al Pd, così come quelli persi tra il 2018 ed il 2019 erano andati alla Lega, ma questo è semplicemente dovuto alla mancanza di un’offerta alternativa, nel quadro di una mobilità elettorale straordinariamente alta.

Così come i voti ai Cinque Stelle non erano “per sempre”, la stessa cosa vale per quelli conquistati adesso dal Pd, ma pure dalla Lega. Nessun partito ha oggi la forza ed il radicamento di quelli della Prima Repubblica. Dunque il consenso è per sua natura precario, instabile e contendibile.

Tolto il blocco sociale dominante, che non è così piccolo come qualcuno immagina, le persone che vanno a votare (ed un discorso a parte andrebbe fatto per le tante che non ci vanno), procedono quasi sempre a tentoni. Avvertono l’insopportabilità del presente, la necessità (spesso confusa) di un cambiamento, affidandosi di volta in volta a chi in quel momento appare come la possibile speranza. Da qui una volatilità elettorale senza precedenti, e non solo in Italia.

Bando dunque alle facili certezze sul bipolarismo 2.0 tanto agognato dai dominanti. Ma se oggi questo sogno lorsignori possono permetterselo una ragione ci sarà. Ed essa sta nella fragilità del consenso che le forze populiste (M5s in primo luogo) avevano guadagnato. Se questa fragilità era all’inizio del tutto inevitabile, essa è col tempo divenuta un lusso insostenibile.

Nel caso dei Cinque Stelle non si pensi solo ai limiti del gruppo dirigente, a regole interne come minimo assurde, all’inesperienza spesso teorizzata come un bene che avrebbe addirittura tutelato la “purezza” (si è visto con quale risultato). Tutto ciò ha pesato, ma ancor più decisiva è stata l’assenza di una visione d’assieme, dunque di una strategia e di una tattica adeguata. La ragione più profonda del tracollo pentastellato sta lì, in un pragmatismo che si vorrebbe a-ideologico, ma in realtà incapace di confrontarsi con l’ideologia dei dominanti. E’ da lì che, alla fine, è arrivato l’europeismo più spinto, il voto alla Von der Leyen, il governo col Pd.

Altre cose ci sarebbero da dire, ma questo è il primo punto da mettere a fuoco. Un Terzo Polo, alternativo al bipolarismo liberista ed eurista, potrà sorgere e radicarsi solo a condizione di non ripetere errori ed orrori di questo tipo. E potrà sorgere solo immaginando e costruendo itinerari di mobilitazione e di lotta, non limitandosi dunque al pur imprescindibile momento elettorale.

Nel nostro piccolo è questa la strada indicata da Liberiamo l’Italia. Riconquistare la sovranità nazionale per applicare la Costituzione del 1948; uscire dall’euro e dalla gabbia dell’UE; attuare un piano di misure economiche e sociali per uscire dalla crisi, tutelando gli interessi della stragrande maggioranza del popolo italiano; unire tutte le forze che si riconoscono in questi obiettivi.

Che questo percorso si realizzi dipenderà da tante cose. Certo non solo da noi. Ma questa è la strada. L’unica per cui valga davvero la pena battersi oggi.

2 pensieri su “TERZO POLO? SÌ MA QUALE? di Leonardo Mazzei”

  1. Massimo Franceschini dice:

    La questione della costruzione di un'alternativa politica è complessa e spinosa. Un mio contributo:

    POLITICA ALTERNATIVA AL SISTEMA: IMPRESA DISPERATA?: http://almassimofranco.blogfree.net/m/?t=6042144

  2. Pingback: GERMANICUM: NO ALLA FINTA PROPORZIONALE
  3. Trackback: GERMANICUM: NO ALLA FINTA PROPORZIONALE

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