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DOPO LA BREXIT, LA RUSSIA COME ALTERNATIVA? di Manolo Monereo

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Manolo Monereo

Enric Juliana è un giornalista unico e, per molti versi, diverso. Il suo stile è quello di collocare storicamente il fatto, i dati, le notizie; cercando di andare oltre il giorno per giorno, inquadrando ciò che accade in un contesto più ampio. Qualche giorno fa ha collegato la Brexit alla geopolitica assumendo come riferimento Halford Mackinder. Non ha detto molto di più. Mi aspettavo che sviluppasse questa idea, ma non l’ha fatto. Quindi tiro questo filo sapendo che, sicuramente, il noto giornalista catalano non sarà d’accordo con molte delle cose che scrivo.

Sir Halford Mackinder (1861-1947) fu un notevole geografo britannico e un politico molto influente. Questa doppia condizione deve essere sempre presa in considerazione; egli ha cercato di conoscere la realtà, sempre al servizio degli interessi strategici del suo paese. Sebbene non abbia mai usato il termine geopolitica, ha influenzato in modo decisivo questa disciplina che alcuni considerano la scienza e altri un’arte politica dello Stato. Nel 1904 pubblicò una noto saggio dal titolo “Il perno geografico della storia”. Nel 1919 sviluppò queste idee in un libro molto importante ai suoi tempi, chiamato “Idee e realtà democratica”. Non è facile spiegare in un articolo come questo la complessità, la profondità e le ipotesi di una concezione geografica che ha segnato, per più di un secolo, i dibattiti strategici e politici di un mondo in perpetuo cambiamento. Forse questo è ciò che sorprende di più. Il “problematico Mackinder” ritorna ancora e ancora, e ritorna — precisamente — quando i teorici della globalizzazione ritengono che il territorio e la geografia abbiano perso la loro rilevanza nelle relazioni internazionali.

Per capire bene cosa Mackinder continua a dirci oggi, dobbiamo partire da due idee centrali. La prima è l’opposizione strutturale della geopolitica mondiale tra potere marittimo (talassocrazia) e potere terrestre (tellurocrazia); Questa opposizione è sostanziale e influisce sulle strategie politiche e militari e ha conseguenze per la costruzione e lo sviluppo degli Stati. La seconda, ampiamente sviluppata nel saggio sopra citato di Mackinder, ha a che fare col sopraggiungere di una nuova fase della geografia mondiale, fase che potremmo chiamare post-colombiana. Le scoperte di Cristoforo Colombo segnarono un’intera fase storico-sociale delle potenze dell’Europa (che è una penisola dell’Eurasia) che si espansero in tutto il mondo attraverso gli oceani diventando vasti imperi in collisione permanente. Mackinder crede che questo stadio si sia cocnluso. Il mondo si era chiuso, essendo distribuito tra le grandi potenze, con una chiara egemonia dell’impero britannico. La chiave — siamo così in cuore del dibattito — è che i poteri talassocratici avevano perso parte del loro vantaggio strategico e che il territorio era ancora una volta un elemento centrale (tellurocrazia).

Il geografo britannico identifica un territorio fondamentale che chiama l’isola del mondo composta da Europa, Asia e Africa. Al suo centro, un perno geografico che, in seguito, avrebbe chiamato Heartland o Cuore Continentale. Da questo centro nascono due grandi linee, una interna e una esterna. L’Heartland occuperebbe un ampio spazio di ciò che chiamiamo Siberia e Asia centrale; cioè, dal Volga allo Yangtze e dall’Himalaya all’Oceano Artico. La conclusione di Mackinder segna un’intera era ed è ben nota.  

«Quando i nostri statisti stanno conversando con il nemico sconfitto, qualche angelo alato dovrebbe sussurrare loro di volta in volta: chiunque domini l’Europa orientale controlla il cuore continentale; chi domina il cuore continentale controlla l’isola del mondo; che domina l’isola del mondo, controlla il mondo». 

Una piccola nota: ciò che si stava decidendo in quel momento (1919) era il nuovo ordine concordato a Versailles. 

Torniamo alla Brexit. Questo mese ho pubblicato su El Viejo Topo un saggio sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Mi riferisco ad esso per le altre considerazioni. Una cosa vorrei sottolineare: la ferocia della classe dirigente e dei media europei contro una decisione democratica e legittima non ha una spiegazione facile. Insulti e disprezzo hanno raggiunto limiti difficilmente sopportabili, al punto che la secessione della Scozia è incoraggiata in un momento in cui la questione territoriale è un grave problema in Spagna. A ciò hanno partecipato sia la destra che la sinistra. Nessun leader importante si è chiesto perché, dal 1992 (referendum francese), nessuna consultazione sull’Europa abbia vinto. E’ accaduto solo in Spagna, il che non è un caso. La mancanza di autocritica delle élite europee è allarmante. Il paradosso di tutto questo dibattito è che per gli europei più federalisti la partenza dalla Gran Bretagna avrebbe dovuto essere vissuta come un’opportunità. La costruzione neoliberista dell’Europa è stata giustificata, in larga misura, dalla presenza della Gran Bretagna; l’involuzione sociale, la predominanza delle libertà comunitarie e la deregolamentazione dei mercati sono state tradizionalmente attribuite alla presenza di un’isola percepita più come una quinta colonna che come costruttore leale di un processo di integrazione unitaria. 

Si può capire cosa sta succedendo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna sulla base del fatto che nel mondo stanno cambiando le basi geopolitiche e che siamo (in questo mondo chiuso) di fronte a una grande transizione che ha al suo centro una grande ridistribuzione del potere. Per dirla in altro modo, ciò che abbiamo chiamato globalizzazione è alò tramonto. Non sarà facile capire le mutazioni che stiamo vivendo; non sarà facile capirle e, tanto meno, avere una piattaforma ideo-politica in grado di guidarci in un mondo in rapido cambiamento. Ciò che sta accadendo lo abbiamo davanti ai nostri occhi: un potere (USA) che rifiuta di accettare la sua decadimenza, che non è disposto a condividere, in nuove condizioni, la sua egemonia mondiale e che affronta un potere emergente (Cina) che è destinato a cambiare l’ordine mondiale. Lo dirò come lo disse Kaplan: gli Stati Uniti non accetteranno il dominio di una grande potenza nell’emisfero orientale. Lo combatterà con ogni mezzo e fino alla fine. La “trappola di Tucidide” è ancora presente. 

In questo mondo che cambia, le grandi potenze economiche britanniche vogliono camminare da sole; mettono al centro i loro interessi strategici e, dalla loro autonomia, cercheranno alleanze con l’Europa; o meglio, con alcuni paesi europei. Nessuno mette in discussione gli accordi sostanziali con gli Stati Uniti, e il Regno Unito li perseguirà con la propria voce e difendendo i propri interessi. L’altro lato della questione dovrebbe sollevare qualche riflessione agli europeisti che ci accerchiano. I dati più rilevanti per gli uomini e le donne che si trovano nella UE è che maggiore è l’integrazione, minore è la capacità europea di essere un soggetto autonomo e differenziato nelle relazioni internazionali in cui le grandi potenze definiscono interessi e quadri d’azione. 

Con Mackinder ritorna la Russia. Per gli Stati Uniti il ​​fronte europeo è secondario, ora sono occupati in qualcos’altro: contrastare l’egemonia della Cina nel Pacifico. La NATO ha questo scopo, subordinare una UE senza anima e senza un progetto, dividerla e impedire un partenariato duraturo con la Russia. La “casa comune europea” è stato un progetto fallito delle élite russe che facevano affidamento su un’alleanza con le democrazie occidentali. Putin è il figlio di quel fallimento. Prese atto e trasse le opportune conseguenze strategiche. Gli Stati Uniti hanno provato — e continueranno a provare — a trasformare la Russia in un grande potere avversario dei popoli europei. È la ricerca di un nemico che giustifica l’esistenza della NATO, la corsa agli armamenti e l’inimicizia tra Germania e Russia. L’espansione a est della NATO, la rapida integrazione degli ex paesi socialisti nella UE e il loro rigido allineamento con l’amico americano è lo stesso processo, dobbiamo insistere, per impedire qualsiasi associazione economica e politica con la Russia; vale a dire, con il perno geografico mondiale o Heartland continentale.

Più di 20 anni fa, Brzezinski, parlando dei futuri pericoli per gli Stati Uniti, scrisse quanto segue: 

«Lo scenario potenzialmente più pericoloso sarebbe quello di una grande coalizione tra Cina, Russia e forse Iran, una coalizione” anti-egemonica “unita non da un’ideologia ma da torti complementari. Ricorderei, a causa delle sue dimensioni e portata, la minaccia rappresentata, ad un certo momento, dal blocco sino-sovietico, anche se questa volta la Cina sarebbe probabilmente il leader e la Russia il gregario. Evitare questa contingenza, per quanto remota possa essere, richiederà un dispiegamento simultaneo di abilità strategiche statunitensi nel perimetro occidentale, orientale e meridionale dell’Eurasia».

 Il noto analista geopolitico americano aveva ragione ed fu in grado di intravedere il futuro. Quando si tratta di soluzioni, riappare sempre Rimland o l”anello continentale” di Spykman.

Europa e Germania hanno geoeconomie complementari e potrebbero avere strategie geopolitiche convergenti. Esistono conflitti (come quello in Ucraina) ma sarebbero risolvibili nel quadro di un accordo di partenariato economico, energetico e politico. Il presupposto è che l’Europa abbia un suo progetto autonomo nelle relazioni internazionali; cioè, di disimpegno dalla NATO, definendo i suoi interessi strategici e cercando il suo posto in un mondo che transita, con enormi difficoltà, verso la multipolarità. Il mio vecchio insegnante Samir Amin ha parlato fino al’ultimo di un asse Parigi-Berlino-Mosca-Pechino.  

Mackinder ritorna e, con lui, l’Eurasia. La storia, non solo non è finita, ma ricomincia. 

Madrid, 10 febbraio 2020

BARCELLONA, 11 FEBBRAIO: CONFERENZA SULLA GEOPOLITICA DI MANOLO MONEREO 
 
* Traduzione a cura della Redazione
** Fonte: Cuarto Poder

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