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SARDINE: TRA KANT E CARL SCHMITT di Moreno Pasquinelli

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Prima le foto in cui i capetti delle Sardine si sono fatti immortalare gioiosi con il Patron Benetton, quindi l’elogio sperticato fatto da Soros, un uno due letale, dal quale esse, si spera, non riusciranno a risollevarsi.
Posto infatti che non c’è niente di più tossico del liberismo progressista, non può che rallegrarci il harakiri dell’ultima mutazione di quella che abbiamo chiamato sinistra transgenica.

Tuttavia, anche stavolta, occorre stare alla larga sia da ogni facile esultanza che da certo complottismo. Entrambi disarmano chi il fenomeno della Sardine dice di voler combattere. L’esultanza perché crea l’illusione che la partita sia già chiusa (e non lo è affatto), il complottismo perché, ricorrendo ad una semplificazione brutale, non rende ragione di fenomeni che sono invece molto più complessi.

In queste settimane molto si è scritto e detto sull’ascesa delle Sardine. Sono state anche compiute analisi sociologiche e politiche azzeccate, ma tutte, almeno così a me pare, non hanno svelato il segreto del loro fulmineo successo.

C’è una genialata dietro.

Prima di spiegare quale occorre una premessa: nessuna offerta politica può avere fortuna se non incontra, dall’altra parte, una domanda per quanto latente.
Quale sia questa domanda mi sembra palese: c’è nel Paese una ancora vasta e vivace area sinistrorsa — alimentata da due emissari fondamentali: il globalismo progressista e certo umanitarismo di marca cattolica — che non trova nel Pd ed i suoi ammennicoli un’adeguata corrispondenza politica. Le Sardine hanno compiuto il miracolo, dato voce a questo mondo disincantato in preda a scetticismo.

Diversi avevano provato a farlo negli ultimi anni, senza risultati. Certo, ci voleva lo spauracchio di Salvini a fungere da elemento di coaugulazione. Ci voleva poi il madornale errore melgalomanico di Salvini — l’aver trasformato le elezioni in Emilia Romagna in un referendum su se stesso. Ci voleva quindi un simbolo virginale, per ciò stesso il divieto di esporre simboli impuri. Occorreva infine l’indispensabile avallo dei media mainstream.

Ma se le Sardine hanno potuto sfondare è grazie ad un’operazione ideologica costruita a tavolino, miscelando due concetti che sulla prima paiono opposti, anzi incompatibili: il “politicamente corretto” e il suo esatto opposto.

Al “truce” e cattivo Salvini si è contrapposto un buonismo della tolleranza, irenico e misericordioso. Il terreno, beninteso, è stato a lungo concimato affinché certa paccottiglia venisse a condensazione. Il liberismo non avrebbe infettato le sinistre se certo pensiero filosofico cosmopolitico neo-kantiano non si fosse prestato a fungere da travestimento spirituale. 

Le operose officine ideologiche sistemiche hanno inventato una neo-lingua progressista dietro alla quale si è nascosto il liberismo più dissennato e reazionario. Satana si

maschera sempre come un essere angelico. La neo-lingua politicamente corretta, dopo aver pervaso ogni poro della comunicazione di massa, è diventata una prescrizione politica. Illecito dire “bidello”, di deve dire “operatore scolastico”; illecito chiamare uno “becchino” invece “operatore cimiteriale”; inaccettabile dire che una donna fa la “serva” ma “badante” o “caregiver”; inammissibile dire “stronzo”, si deve dire “insopportabile”. Chi
viola queste prescrizioni, qui sta il punto, è condannato
dall’élite neoliberale progressita,  bollato dal marchio d’infamia di
ignorante, retrogado, populista, reazionario.

In questo quadro, se c’era un aggettivo scorrettittismo e maledetto, quindi messo fuorilegge, questo era quello di “nemico”. Al massimo era lecito dire, in base alla “etica della tolleranza”, “avversario”.

Proprio qui sta la (paradossale) chiave di volta.

Paradosso perché la seconda principale ragione del successo delle Sardine è proprio avere fatto leva sul concetto di nemico, anzi di nemico assoluto. Di più, Matteo Salvini bollato non solo come nemico assoluto bensì come male radicale.

Il “politicamente corretto” quindi, e il suo esatto contrario. E chi è stato il filosofo della politica che in modo programmatico ha posto il criterio dicotomico amico-nemico alla base della prassi politica? Egli risponde al nome del (“reazionario”) Carl Schmitt. 

E’ noto come il nostro fosse giunto a questa determinazione. Per Schmitt esistevano indiscutibili “analogie  tra la rappresentazione teologico-filosofica di Dio e l’ordinamento politico della società” moderna. Per la precisione: come la morale si definisce in base al buono e al cattivo, o l’estetica in base al bello e al brutto, 

«La specifica distinzione politica alla quale è possibile ricondurre le azioni e i motivi politici, è la distinzione tra amico e nemico». [cfr: Il concetto di Politico

Dove nemico per Schmitt è solo il nemico pubblico, ovvero l’hostis, non l’inimicus in senso lato. A riprova il filosofo spiegava come il noto passo evangelico che comandava l’amore per i nemici (Mt. 5,44: Lc. 6,27) si riferisse esclusivamante  ai nemici privati (gli inimici) e non ai nemici pubblici.

Schmitt quindi argomentava:

«Un mondo nel quale sia stata definitivamente accantonata e distrutta la possibilità di una lotta [..], un globo terrestre defintivamente pacificato, sarebbe un mondo senza più la distinzione fra amico e nemico, e di conseguenza un mondo senza politica».
[cfr: Il concetto di Politico

Non vi sorprenderete dunque se, dopo aver segnalato il paradosso, e/o la genialata politica che ne ha determinato il momentaneo successo, ora dovremmo esclamare: Grazie Sardine!

Le Sardine hanno dato a tutti una lezione politica in due mosse: a) non c’è politica senza l’individuazione del nemico e b) si definisce la propria identità politica anzitutto indicando il nemico principale. Poi viene la proposta, poi vengono le tattiche e le alleanze per batterlo e vincerlo.

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