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DARE L’ESEMPIO di Sandokan

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Ogni tanto sui giornali, col solito tono autoflagellatorio, leggiamo che l’Italia è il paese dei guelfi e dei ghibellini. Per dire che in politica siamo perennemente divisi e schierati su  fronti opposti. Come se non fosse normale il dividersi, come se questa divisione non sia un fenomeno che riguarda anche altri paesi..

La pandemia ci ripropone questa spaccatura, una spaccatura che divide il popolo in due fronti opposti.
Ci sono quelli che prendono come oro colato quel che dice il governo sul Corona virus e ubbidiscono senza fiatare alle sue dure prescrizioni e, dall’altra parte, coloro che ci credono poco o non ci credono affatto. Tra questi ultimi quelli che sarebbero pronti a  protestare e violare gli arresti domicialiari.
In barba ai sondaggi (il 54% starebbe con Conte) si tratta, secondo me, di due minoranze.
Il grosso infatti, come in ogni contesa, sta nel mezzo.
E’ lo sterminato esercito “terzocampista”, quelli del né-né, quelli del “non mi schiero”, del “vorrei ma non posso”.
E’ normale? Si lo è.

A ben vedere la storia, nei momenti cruciali, è sempre stata fatta dalle minoranze. Nelle mischie, infatti, si gettano solo minoranze agguerrite, convinte delle proprie idee e decise a farle prevalere.
In questi momenti cruciali, di aspra contesa sociale e politica, la partita la vince quella minoranza, o quel blocco, che è capace, come avrebbe detto Gramsci, di esercitare “egemonia”, ovvero di portare dalla sua parte un’ampia fetta della maggioranza tentennante di indecisi.
A seconda della posta in palio si configurano quindi i due campi in lotta, si traccia la linea che li divide.

Tanto è stato detto e scritto, pro e contro, la linea dura scelta dal governo allo scopo di contrastare la pandemia. Tante le critiche all’aver fatto di tutto il Paese una zona rossa, quelle al criterio del “distanziamenro sociale” (nessuna differenza tra infettati e non, tra fasce “vulnerabili” e non), al modo autoritario con cui il governo, anzi Conte, ha imposto le sue prescrizioni.
L’ultimo Dpcm, quello che prolunga il cosiddetto “lockdown” a tutto il mese di maggio, è da due giorni subissato di critiche e attacchi. Si lamentano categorie sociali e costituzionalisti, politici di opposizione e anche di governo. Addirittura i vescovi.
D’altra parte i filo-Conte serrano i ranghi e, forti dell’appoggio dei media, contrattacano per rafforzare le proprie postazioni difensive.
Questa contrapposizione è anche sociale, divide la stessa base della piuramide sociale.
Anche qui, nulla di sorprendente.

I provvedimenti durissimi del governo non colpiscono tutti alla stessa maniera. Ci sono coloro che malgrado il collasso economico, possono ancora galleggiare e coloro che sono condannati ad annegare.
La pandemia è stata come un terremoto: ci sono quelli che sono morti sotto le macerie e quelli che l’hannao scampata. Quelli che hanno perso tutto e quelli che no; quelli che la casa è stata rasa al suolo e quelli che è rimasta intatta. Infine coloro che se la caveranno con qualche ristrutturazione.

Morale della favola? Per dirla con un proverbio siciliano: chi è satollo non può capire chi è digiuno.
Quelli che non la pandemia, ma le misure del governo hanno gettato sul lastrico, si aspettavano che il 4 maggio ci fosse la svolta. Una svolta che non c’è stata, e ciò ha prodotto e sta producendo una vasta rabbia sociale. Parliamo di milioni di cittadini senza tutele e senza santi in paradiso. Di interi strati sociali che il collasso economico trasformerà in una sotto-classe, che farà precipitare al di sotto dello stesso proletariato.

Da diverse parti sorgono proposte di mobilitazione per il 4 maggio.
Le autorità le riterranno illegittime. I benpensanti a pancia piena le condanneranno.
Siamo giunti al punto che pure gesti simbolici di disobbedienza civile sono considerati eversivi.
Io penso che chiunque abbia a cuore la democrazia, la giustizia sociale e la dignità umana sia tenuto non solo a sostenere le proteste, ma a prenderevi parte.

Ci sono momenti in cui si chiede coraggio, in cui si deve dare l’esempio. Questo è proprio uno di quei momenti.

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