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QUALE PARTITO CI SERVE? di Moreno Pasquinelli

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I compagni di Nuova Direzione hanno deciso di non prendere parte (che in concreto significa mettersi di traverso) al costituendo “Partito dell’Italexit con Paragone”.

Lo hanno ufficialmente dichiarato con un comunicato il 13 giugno scorso dal titolo perentorio: “Nuova Direzione non partecipa al progetto del Senatore Gianluigi Paragone“.

Correndo deliberatamente il rischio di semplificare, provo a dire quale sia il succo del discorso:

“Il partito di Paragone si pone obbiettivi pienamente condivisibili — l’uscita dalla Ue, la riconquista della sovranità nazionale e democratica, il rifiuto del neoliberismo, l’applicazione del modello sociale della Costituzione del ‘48 —, tuttavia non ne faremo parte poiché non ha scritto in fronte che vuole il socialismo, ergo non sarà un partito di classe (del lavoro salariato) anticapitalista”.

Siamo davanti ad un ragionamento sillogistico seppur a termini rovesciati: poste due premesse negative, la conclusione obbligata è anch’essa ovviamente negativa.

Dal punto di vista logico il discorso non farebbe (come vedete uso il condizionale) una piega.

Da quello politico esso è palesemente fallace.

E’ vero, il partito Italexit con Paragone, non è né anticapitalista né socialista.

Che razza di partito sarà dunque mai, ammesso che riesca a prendere piede? Per quanto concerne la sua natura (qui Aristotele ha ragione) essa si ricava dai due fini che esso si pone, che sono l’uscita dalla Unione europea e farla finita con il neoliberismo.

Agli occhi dei compagni di Nuova Direzione questi due fini risultano, evidentemente, troppo modesti.

“Mica si può far parte un mero partito di scopo!?”.

Premesso che ogni partito si definisce dalla missione che si pone (dal suo scopo) — pure quelli comunisti di una volta, erano di “scopo” (la rivoluzione socialista); erano talmente “di scopo” che Lenin stesso, sulla scia di Marx, immaginava la loro autodissoluzione a socialismo realizzato —, si tratta di stabire se questi due scopi (uscita dall’Unione europea e rottura con il neoliberismo) siano davvero “modesti”.

Utilizzando il linguaggio del realismo politico, il modo giusto di porre la questione secondo noi è, infatti, il seguente: il raggiungimento dei due scopi, oltre ad evitare al Paese un tracollo storico, rappresenterebbe o no una inversione di tendenza? Aprirebbe o no un ciclo virtuoso dal punto di vista della stessa lotta emancipatrice del popolo lavoratore?

Chi ha i piedi per terra sa qual è la risposta: un rotondo sì. Due ragioni che spiegano perché noi faremo parte del partito Italexit con Paragone e perché sarebbe enormemente sbagliato mettersi di traverso. Ove il farne parte non è frutto di una decisione estemporanea, bensì risultato di un’analisi e di una intuzione  su cui avevamo scommesso in tempi non sospetti — IL PARTITO DELL’ITALEXIT.

Noi siamo di quest’avviso: meglio un partito, per quanto imperfetto esso sia, che non avere nessun partito.

Meglio provare a dare vita ad un campo politico di massa che per sua natura si pone come antagonista a quelli sistemici, piuttosto che lasciare le cose come stanno, con le minoranze rivoluzionarie confinate nel vicolo cieco dell’impotenza, destinate ad un’attività di mera testimonianza culturale.

A noi risulta inaccettabile scegliere un confino volontario mentre la gravissima crisi sociale produrrà fratturazioni e conflitti inediti, la cui posta è il destino del Paese. In una guerra che necessariamente ci riguarda, si è tenuti a scegliere un posto di combattimento, per quanto rischioso esso sia, non invece restare alla finestra, in attesa di “tempi migliori”. Le posizioni attendiste e benaltriste per loro natura condannano all’impotenza e all’irrilevanza.

Difficile non vedere che il differente approccio alla questione del partito Italexit con Paragone implica un differente giudizio sul contesto storico reale. Evidentemente i compagni di Nuova Direzione non ritengono che siamo dentro un marasma drammatico, evidentemente non pensano che l’Italia attraversa una crisi esistenziale come stato nazionale. Evidentemente non vedono nemmeno i rischi che le classi dominanti pur di restare in sella sono pronte, ove non riuscisse il tentativo di mettere il Paese sotto tutela esterna, a promuovere una svolta reazionaria e brutalmente autoritaria.

E’ difficile sfuggire alla sensazione per cui il giudizio liquidatorio di Nuova Direzione, ove non si tratti di un vero e proprio operaismo di ritorno, si spieghi con una mesta commalgia — mi si perdoni questo orribile neologismo — ove il composto sta per una nostalgia del comunismo. Apprezzabile sentimento, ma da tempo politicamente sterile. Nessuno ci toglie dalla testa che sia il segnale di un rifugiarsi in una turris eburnea, in una trincea immaginaria che per sua natura non proteggerà chi ci si ficca.

Che Nuova Direzione abbia scelto la via di tirarsi fuori dalla mischia, ci pare confermato da quanto scrive uno dei suoi più importanti esponenti, Andrea Zhok. Parliamo dell’articolo “Perché l’Italia non ha un partito antiliberista”.

Un buffo articolo, davvero. Eravamo rimasti all’idea che fosse lecito sostenere un partito solo a condizione che esso fosse socialista, che cioè non fosse una “accozzaglia populista”. Date le critiche di “astrattezza politica” ricevute, Zhok prova a spostare maldestramente il piano del discorso, ovvero il pendolo vien fatto oscillare al lato opposto. Dal surrealismo precipitiamo ad un realismo sorprendentemente rozzo e ingenuo.

Il ragionamento fa acqua da tutte le parti. Siccome non ci sono i quattrini, un partito antiliberista non potrà nascere, nemmeno ove scendesse in campo (ogni riferimento a fatti e persone non è casuale) un “faccione populista televisivamente noto”. Se la logica ha un senso, si dovrebbe dedurre che ove invece i soldi ci fossero un “partito neoliberista” sarebbe un’opzione potabile. Ma siccome “senza soldi non si canta messa”, questa non ci sarà. Così, mentre un partito antiliberista con potenzialità di successo sta nascendo, non solo si pontifica che esso non sorgerà, si fanno gli scongiuri affinché non sorga.

Alla fine della fiera Zhok cambia l’odine dei fattori, ma il prodotto resta lo stesso: Nuova Direzione va per fatti suoi. In quale direzione per la precisione? Il nostro la descrive in questo modo: “non essendoci scorciatoie”, non resta che agire “sul lungo o lunghissimo periodo” con pratiche “di resistenza simbolica e di promozione intellettuale… consone ad un’associazione culturale”. Salvo l’assenza dell’ossessione elettoralista, è lampante come il discorso rassomigli come una goccia d’acqua a quello del Fronte sovranista italiano.

C’è un modo infallibile per evitare che un errore abbia irreparabili conseguenze, riconoscerlo per tempo e raddrizzare la rotta. Il partito dell’Italexit non sorge per un capriccio, né per la smania di protagonismo di questo o quello.

Ce lo sta consegnando la storia, ovvero una crisi economica, sociale e politica che non ha precedenti. Conviene  che il parto si concluda con successo. Che se il nascituro muore, avremo perso tutti quanti.

Precedenti articoli riguardo a Nuova Direzione:

NUOVA DIREZIONE (PRIMA PARTE)
NUOVA DIREZIONE (SECONDA PARTE)

14 pensieri su “QUALE PARTITO CI SERVE? di Moreno Pasquinelli”

  1. Cittadino dice:

    Il lungo lunghissimo è quello che può permettersi solo chi ha lo stipendio garantito e può fare le mere associazioni culturali.
    Per non dire che è anche la solita manfrina di un ipotetico comunismo che non potendo realizzarsi ora viene proiettato ad un indefinito poi che finisce con essere il tempo di mai.
    Verrà un giorno … diceva Fra Cristoforo, certo il giorno per lui poi è arrivato ma quello è un romanzo, la realtà è un altra cosa.

    Giovanni

  2. Giancarlo D’Andrea dice:

    Forza, la nostra posizione inevitabilmente è in prima linea , che abbiamo perso già troppo tempo !

  3. alessandro chiavacci dice:

    Mi chiedo a cosa serva questo accanimento su Nuova Direzione. N.D. in questo momento ha cessato di esistere fattivamente. La sbandata che hanno preso nel giudizio sul lockdown li ha sottoposti ai ceffoni della realtà e all’allontanamento di diversi soggetti. Infine Fazi, Boghetta e sicuramente altri hanno aderito al progetto di Paragone, lasciando qualche intellettuale come Zhok e Visalli con il cerino in mano. L’errore del giudizio sul lockdown è stato dovuto probabilmente alla natura intellettuale di diversi fra i fondatori, che hanno intravisto nel lockdown un momento di ripresa del controllo da parte della società da parte della politica, e dunque una sconfitta del liberalismo, quando invece fin dall’inizio era evidente la natura sproporzionata della risposta securitaria e le sue conseguenze catastrofiche per l’economia e per la sovranità italiana. Accanirsi su N.D. mi sembra o un tentativo di riesumarla o un inutile tentativo di guadagnare un ruolo egemonico in un’area super ristretta.

    Mi chiedo invece quale ruolo P 101 si attribuisca entro il progetto di Paragone…? Quello di un partito o di una organizzazione federata o quello di un polo culturale autonomo…? Perché dovrebbe essere evidente che il progetto di paragone è insufficiente. Ma è insufficiente, a mio modo di vedere, anche il modello movimentista e di larghe alleanze sociali che Sollevazione propone. Quello di cui c’è bisogno è di un progetto di socialismo adeguato al xxi secolo, mentre sembra che tutti i socialisti e sovranisti guardino con la testa all’indietro al modello terzinternazionalista o sovietico. Posto che il centro dell’interesse dei socialisti è il rapporto sociale fra il lavoratore e il datore di lavoro individuale, e la critica di questo modello di relazioni, un progetto socialista deve avere come riferimento due capisaldi: la pianificazione dell’economia in una economia di mercato, concetto già sviluppato e in parte realizzato sotto i governi della democrazia cristiana, e la partecipazione dei lavoratori al capitale e alle decisioni delle imprese. Questo modello è facilmente comprensibile, largamente accettabile, praticabile da subito e dalle conseguenze devastanti sul piano nazionale e mondiale. Difetta di trovare orecchie disponibili, perché molte teste sono rivolte all’indietro.

    A.C. (Siena)

    1. Cittadino dice:

      “il centro dell’interesse dei socialisti è il rapporto sociale fra il lavoratore e il datore di lavoro individuale”

      Esatto, questo è il punto centrale. L’uomo del fare, il meritocrate, disponendo del capitale recluta chi gli pare da un esercito di disperati senza alternativa in condizione di estrema debolezza. Anche i cosiddetti intellettuali fanno così nel loro ambiente e ben difficilmente metterebbero in discussione questo modello (se non per tutti gli altri). Chiunque pensi di appartenere ad una elite pensa, nel fondo del suo cuoricino, che in fondo per lui questo sia giusto.

      Costruire la necessaria rappresentanza del passaggio dallo stato di disoccupazione e quello di occupato stabilendo che questo delicato passaggio va gestito in esclusiva da organizzazioni collettive (in tutti i settori, anche quello degli intellettuali), ogni altro eventuale tipo di selezione individuale si collochi al di sopra di questo.

      Di problemi di questo tipo sembra purtroppo non occuparsi nessuno, tutti troppo concentrati sulle sole necessità tattiche.

      Giovanni

      1. alessandro chiavacci dice:

        Temo che non siamo d’accordo, Giovanni. Il punto centrale del rapporto capitale- lavoro è che il lavoratore dipendente scambia la propria libertà, iniziativa, ed anche rischio, contro la promessa di un lavoro sicuro e uno stipendio garantito alla fine del mese. Questo rapporto è ANCHE e sicuramente un rapporto di sfruttamento, MA PRIMA è uno scambio. Se non si riconosce la natura di questo scambio, come non hanno fatto la seconda e la terza internazionale- che hanno visto solo il lato dello sfruttamento, e infatti non hanno abolito il modo di produzione capitalistico- non si può uscire dai loro limiti e costruire il socialismo del XXI secolo. E neanche risollevare l’Italia da questa apocalisse, visto che i modelli del XX secolo sono già falliti.

        1. Cittadino dice:

          Sì, ma questo tipo di rivoluzione socialista, se ci sarà, la farà la prossima generazione. Sul o lungo lunghissimo periodo, se è questo quello che suggerisci allora sei più in vicino a Zhok pensiero di quanto forse non ritieni.

          Qui e adesso non siamo alle porte di una rivoluzione socialista (frase che spesso ripete Pasquinelli e su cui ha ragione). Qui e adesso, ossia prima della auspicabile rivoluzione della prossima generazione, dobbiamo però delineare un modello di organizzazione del lavoro (e dell’allocazione) che dia delle garanzia a partire dalla ricerca del lavoro. Cosa che non è stata mai fatta neppure nella prima repubblica, che è certamente stata molto migliore della seconda ma aveva i suoi difetti, fra cui quello di occuparsi dei soli occupati.

          E’ questo il primo punto da denunciare con forza, i liberisti lo fanno da anni con obiettivi opposti ai nostri.

          Giovanni

          1. alessandro chiavacci dice:

            Giovanni, può darsi che questa “rivoluzione socialista” sarà nel lunghissimo periodo o forse non ci sarà mai. Ma quello che io propongo non è per il domani, ma per l’oggi, anzi: per il SUBITO. Se uno pensa il socialismo come pianificazione di tipo sovietico, in termini materiali, come abolizione dei padroni e non come progressiva e immediata assunzione di responsabilità direttive dei lavoratori, quella rivoluzione non ci sarà mai, e forse è un bene. Rileggi (se permetti) quello che ho scritto: pianificazione IN UNA ECONOMIA DI MERCATO e partecipazione dei lavoratori al capitale e alle decisioni delle imprese: un programma non estremista, e largamente accettabile da gran parte della società italiana. Se pensiamo di uscire da questa catastrofe con un po’ di spesa pubblica in più, senza modificare i rapporti sociali capitalistici siamo spacciati. I programmi minimalistici non servono e non aggregano. E nemmeno il socialismo alla terza internazionale. Ci vuole un nuovo socialismo, che non è quello del ‘900.

          2. Cittadino dice:

            Neppure io ho scritto che basta un po’ di spesa pubblica in più, anzi. Questi lavoratori che partecipano al capitale hanno bisogno di una struttura organizzata che li allochi o no? Che deve essere “gestita in esclusiva da organizzazioni collettive”?
            Oppure basta dire partecipazione dei lavoratori al capitale e dettagli si aggiustano da soli, perché saranno tutti uguali, perché l’allocazione dei lavoro è superata, perché è superato il lavoro salariato o chissà perché altro? No, non basta.

            Giovanni

  4. RobertoG dice:

    Concordo con le argomentazioni di Moreno Pasquinelli. In una situazione così drammatica non è certo il caso di mettersi a discutere su chi abbia il pedigree ideologico più genuino. Per lo stesso motivo, da pragmatico, mi chiedo che bisogno c’era di inventarsi un partito personale per perseguire i medesimi scopi e con (le apparenti) medesime intenzioni di Vox Italia che sta già operando in tal senso da parecchi mesi con il chiaro intento di presentarsi alle elezioni? Non sarebbe stato meglio che Paragone si fosse unito a loro aggiungendo la sua visibilità a quella di altri che già ne fanno parte? Invece no, si crea una dannosa concorrenza sfruttata subito dai media di regime che hanno immediatamente dato visibilità a Paragone scomodando persino gli stregoni dei sondaggi per incoraggiarlo.
    Cosicchè adesso Vox che dovrebbe fare? Dire ai suoi militanti ed aderenti: grazie per il lavoro svolto fino ad adesso, ma sapete adesso è arrivato Paragone quindi tornate pure a casa o se volete andate da lui qui si chiude. Che assurdità!
    Tra l’altro io il film di un tizio che urlava e sbraitava dicendo parolacce, che tappava la bocca a chi si permetteva di fare obiezioni e che dietro le quinte aveva legami poco chiari con imprenditori ambigui mi sembra di averlo già visto non molto tempo fa. E mi sembra pure di ricordare che non sia andato a finire tanto bene. Quantomeno non per il popolo italiano.

  5. Francesco dice:

    Anche a me, pensando a Paragone, viene in mente un film già visto… Magari mi sbaglierò, ma personalmente nutro una forte diffidenza verso tutti i personaggi che passano dal circo mediatico all’arena politica… tanto più quando vogliono interpretare il ruolo di “rivoluzionari” e “capipopolo”.

    Francesco F.
    Manduria (Ta)

  6. Italexit subito dice:

    Nel lungo periodo saremo tutti morti – John Maynard Keynes

  7. luca dice:

    Signor Pasquinelli… va benissimo il partito no euro no global no liberismo
    ma non dimenticatevi l’asso nella manica che vi fara stravincere e farà
    inorridire confindustria e i benpensanti. Si chiama: tutela degli autoctoni.
    Perchè ci dicono sempre di sostenere il made in italy comprando prodotti italiani…
    si OK… purchè siano prodotti da lavoratori italiani. Cominciamo con il fare una
    lista nera di quelle aziende che si arricchiscono con sola manodopera straniera
    e boicottiamole. Precedenza agli autoctoni anche a costo di modificare la
    costituzione. Senza questo punto programmatico sarete come tutti gli altri.

  8. Graziano PRIOTTO dice:

    dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur

    Se ogni volta che qualcuno – come ora Paragone – prende un’iniziativa nella direzione giusta e condivisa, quelli che dovrebbero associarsi e magari contribuire ad arricchire il progetto storcono il naso perché la direzione non è esattamente quella che loro immagino come l’unica giusta,
    la storia dei fallimenti si ripeterà e la purezza ideologica trionferà … nel deserto.

  9. m dice:

    Un partito senza un’utopia finale non è un partito, è il solito cartello post-ideologico.
    Per fare quello non basta un fronte?

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