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DOVE VA IL TURBO-CAPITALISMO? di Raffaele Picarelli

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I fondi europei per la ripresa post Covid-19 sono destinati quasi esclusivamente a creare un ambiente favorevole all’aumento dei profitti. Ne fanno la spesa i contratti nazionali di lavoro, il lavoro stabile, la legalità e il carattere dell’istruzione pubblica.
L’ultima metamorfosi di Proteo: il modello della  sostenibilità e dell’innovazione nell’accelerazione del “Programma Nazionale di  Riforma” (6 luglio 2020) e del “Next Generation EU” (17 – 21 luglio 2020).

Proteo, il primo figlio di  Poseidone, cambiava aspetto a seconda delle circostanze. A Proteo assomiglia il  capitalismo, grazie alla sua capacità di adattamento nel superare le (proprie)  crisi con le quali ha dovuto convivere nel corso della sua plurisecolare  esistenza.

E non era ancora uscito, almeno in  Europa, dall’ultima fase acuta (iniziata nel 2007 – 2008) della sua crisi  pluridecennale, allorché un evento inusitato, la pandemia da coronavirus, ha  accelerato i processi in corso, le metamorfosi già avviate, e reso indispensabili,  in un arco di tempo assai breve, precise risposte.

Con il presente lavoro ho cercato  di descrivere non solo l’accelerazione dei rivoluzionamenti (in corso almeno da due decenni) dei processi produttivi della quarta  industrializzazione, ma anche il  complesso, contraddittorio processo di transizione (in corso anch’esso da  tempo) del movimento di parte del capitale, nelle sue varie forme, verso catene  di valore e aree di accumulazione nuove e più fruttuose.

La transizione è guidata da pochi  grandi player privati (e, in misura minore, pubblici) che, pur non disdegnando  affatto i benefici della “vecchia  economia”, si sono avviati su percorsi innovativi.

Le transizioni, come è ripetuto in forma quasi compulsiva  in tutti i documenti ufficiali e nel dibattito pubblico, sono quelle verso  un’economia verde e circolare e verso il digitale e la digitalizzazione (le transizioni green e digitale).

Gli Stati e i governi, nella fase  del capitalismo monopolistico di Stato, divenuti  da un secolo, sia pure in forma e intensità diverse, elementi strutturali a  difesa dell’accumulazione, hanno assunto e svolgono negli ultimi anni un  ruolo protagonista, accentuato dopo l’ultima crisi ante Covid e dilatato nel  tempo della pandemia.

Altrettale è il processo delle  istituzioni UE, poste in posizione sempre più sovraordinata. Gli Stati e l’UE  hanno centralizzato e organizzato la  gigantesca opera di socializzazione delle perdite delle imprese di tutte le  dimensioni cui abbiamo assistito negli scorsi mesi, e che hanno realizzato  attraverso una rapidissima dilatazione  del debito pubblico (politica vituperata nei tre decenni precedenti). La  socializzazione delle perdite si è concretizzata in forme molteplici quali  l’erogazione di sussidi, elargizioni a fondo perduto, ricapitalizzazioni,  detassazioni, sconti, abbuoni fiscali, incentivi, etc.

Lo Stato, ai tempi del  coronavirus, accelera la sua rimodulazione e la riduzione dei suoi costi,  divenendo al contempo un grande mercato  di sbocco di tecnologie digitali, foriere di espulsioni dal lavoro di un gran numero di lavoratori pubblici (al pari  di quel che avviene nel settore privato). Una rimodulazione che vede lo  Stato trasformarsi in agile, efficiente asse portante dell’ordinamento  economico vigente, attraverso la velocizzazione e l’”efficientamento”, ormai privo di  garanzie per gli utenti, delle procedure pubbliche, in primis della “giustizia” destinata alla miglior  possibile tutela della certezza dei  contratti (come noto, esigenza originaria del capitalismo).

Questo cambiamento, che ha un prezzo elevato in termini di  libertà pubbliche e private e di democrazia, è favorito e accelerato, nel tempo  del Covid, dall’enorme dispiegamento di risorse pubbliche dei Piani comunitari e nazionali quali il Recovery  Fund, il Programma Nazionale di Riforma e il Recovery Plan.

Clicca qui per  leggere l’articolo integrale in formato PDF.

Un pensiero su “DOVE VA IL TURBO-CAPITALISMO? di Raffaele Picarelli”

  1. Cittadino dice:

    “espulsioni dal lavoro di un gran numero di lavoratori pubblici”

    Le espulsioni del lavoro pubblico ci sono state solo per i contratti precari e con la riduzione di assunzioni. Per cosiddetti lavoratori di ruolo (differenza che non dovrebbe esistere perché a pari lavoro dovrebbe corrispondere pari contratto) non c’è stata nessuna espulsione (come invece accaduto in Grecia). Solo un blocco degli scatti di anzianità. L’unica eccezione è il caso degli esodati che si sono venuti a trovare in un limbo, né di qua né di la.

    Il mantenimento della differenza fra tutelati e non tutelati è molto conveniente per quelli al potere. Difficilmente ci rinunceranno ma i tempi sono burrascosi e non si sa mai. Vedremo il futuro che cosa riserva

    Giovanni

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