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IL PARTITO DI CUI C’È BISOGNO di LiT

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Liberiamo l’Italia svolgerà il 28 novembre la sua prima conferenza nazionale per delegati. Pubblichiamo le Tesi sulla questione del  Partito che saranno sottoposte alla Conferenza. Qui il Documento Politico pubblicato ieri.

IL PARTITO DI CUI C’È BISOGNO

Bozza di Tesi in vista della I. Assemblea nazionale di Liberiamo l’Italia

LA FINE DEI PARTITI DI MASSA E IL NEOLIBERISMO

1.1 La Costituzione, dopo aver stabilito, art. 18, che “i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente e senza autorizzazione”, all’art.49 ribadisce e precisa: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico e determinare la politica nazionale”.

1.2 I costituenti non si sono limitati a sacramentare il diritto di libertà di associarsi e il principio inviolabile del pluralismo politico, hanno indicato come fondamentale e superiore forma di associazione politica il partito-politico-di-massa. Essi intendevano i partiti non solo come espressione di interessi corporativi o di categoria, ma come portatori di diverse visioni della società e del mondo.

1.3 Dopo decenni di attacchi i partiti di questo stampo sono stati smantellati. Diverse sono le cause di questa dissoluzione. Se determinante è stato il declino delle grandi ideologie sociali che hanno segnato la storia italiana moderna — quella socialista-comunista, quella liberale, quella cattolica e quella fascista —, decisivo è stato il colpo di grazia inferto loro dal colpo di stato giudiziario cosiddetto “mani pulite”. Al posto di queste “grandi narrazioni” s’è imposta una variante del liberalismo classico, il pensiero unico neoliberista.

1.4 Esso si camuffa come post-ideologico ma in verità non è che una ideologia a due facce: da un lato il mito individualistico e antistatalistico del mercato — facente perno sull’idea che sia il capitale e non il lavoro a produrre ricchezza sociale —, dall’altra un libertarismo che vorrebbe liquidare ogni tradizionale vincolo sociale e comunitario come un ostacolo al “progresso” — di qui l’apologia della globalizzazione e dell’europeismo, il disprezzo per lo stato-nazione, l’esaltazione delle migrazioni, il culto acritico delle nuove tecnologie.

1.5 Questa nuova ideologia ha potuto dilagare perché si è sposata con una profonda mutazione in seno al capitalismo. Quest’ultimo, per sua natura, s’imbatte in regolari crisi sistemiche che possono sfociare in tre diverse direzioni: in rivoluzioni sociali, in grandi catastrofi reazionarie, oppure in salti in avanti destinati a trasformare la stessa struttura economico-sociale.

1.6 E’ questa terza via che il capitalismo occidentale imboccò per venir fuori dalla grande crisi degli anni ’70 del secolo scorso. Le frazioni dominanti del grande capitalismo occidentale decisero di farla finita con le politiche keynesiane e gettarono, con una serie di mosse strategiche, le fondamenta del nuovo ordine neoliberista.

1.7 Organizzarono anzitutto la progressiva demolizione delle grandi concentrazioni industriali fordiste esternalizzando gran parte della produzione in una miriade pulviscolare di officine, così demolendo le roccaforti del movimento operaio e dei suoi partiti di massa. Parallelamente venne smontato lo Stato come dominus della stessa sfera economica, vennero privatizzati i beni pubblici per appropriarsene a man bassa, venne deregolamentato il mercato e ottenuta l’incondizionata libertà di movimento dei capitali.

1.8 Il risultato è stata una finanziarizzazione sistematica che ha portato ad un decisivo cambio al vertice del capitalismo: i tradizionali settori della borghesia industriale hanno lasciato il posto e/o si sono trasformati a loro volta in rentier i cui profitti, attraverso sofisticati meccanismi speculativi, vengono ottenuti per depredazione, cioè estorcendo indirettamente plusvalore a spese di quelli che lo producono.

1.9 Il catastrofico crollo del “socialismo reale”, la restaurazione del capitalismo e la conseguente integrazione nel mercato mondiale di gran parte di quei paesi, hanno dato una spinta formidabile a questo nuovo capitalismo transnazionale predatorio consentendogli di diventare dominante.

AVVENTO E CRISI DELLA “SECONDA REPUBBLICA”

2.1 L’avanzata egemonica capillare del sistema neoliberista è stata utilizzata dai nuovi ceti vincenti del capitalismo occidentale per sbarazzarsi, assieme ai partiti del movimento operaio della democrazia costituzionale sorta dopo l’abbattimento del fascismo. Processo necessitato in quanto non c’è democrazia costituzionale senza l’ossatura dei partiti di massa.

2.2 Questo fenomeno ha trovato proprio in Italia un fondamentale laboratorio. Abbiamo assistito ad un duplice fenomeno: mentre l’Esecutivo ha scippato il Parlamento dei suoi poteri legislativi, il Presidente della Repubblica ha assunto una funzione extra-isituzionale di comando — è il fenomeno del bonapartismo, che nel Novecento è stato spesso l’anticamera della dittatura. Ogni luogo apicale nelle istituzioni è stato infiltrato e conquistato da corifei neoliberisti. Tutti i partiti principali, a partire dalle spoglie del Partito comunista italiano, sono diventati meri comitati d’affari di questa o quella frazione della plutocrazia neo-liberista. La cosiddetta “seconda repubblica”, in piena simbiosi con la nascente Unione europea, è nata quindi con lo stigma di regime oligarchico, di una democrazia patrimoniale in cui la procedura elettorale conferma che è il censo e la disponibilità finanziaria a decidere chi abbia il titolo per ottenere uno scranno.

2.3 Avendo preso in consegna tutte le roccaforti del potere (istituzioni politiche, enti economici, banche, media, ecc.) l’operazione strategica dell’élite neoliberista sembrava destinata ad una vittoria di lunga durata. Non è stato così. Il posto dell’opposizione, una volta presidiato dai partiti di massa di estrema sinistra (ed estrema destra), è stato occupato da due formazioni populiste: anzitutto il Movimento 5 Stelle quindi la Lega salviniana.

2.4 Da versanti diversi queste due formazioni hanno raccolto il diffuso disprezzo per le diverse frazioni dell’élite dominante nonché il dilagante malessere delle classi subalterne causato dal generale peggioramento delle condizioni di vita, materiali e immateriali venuto avanti con la sudditanza alla Ue. Non è un caso che il punto più alto del loro consenso esse lo abbiano ricevuto grazie ad una, per quanto incoerente, linea no-euro no-Ue. Sull’onda di questa pressione popolare M5S e Lega salviniana hanno addirittura conquistato, nella primavera del 2018, il governo del Paese.

2.5 Il miserabile fallimento del governo giallo-verde non si spiega solo col  boicottaggio delle potenti élite eurocratiche (esterne ed interne). Il repentino spostamento di campo di entrambi le formazioni populiste (ognuna prestatasi e ricostruire lo schema bipolare tanto caro ai dominanti) mostra fino a che punto il loro populismo fosse sconclusionato e opportunistico, fino a che punto fossero prive di qualità e attributi. I  compromessi cercati con l’élite non erano solo degli “errori” bensì la prova della loro succubanza al neoliberismo.

2.6 Del resto essi si sono ben guardati dal mobilitare le masse subalterne, mobilitazione che sola avrebbe potuto sostenere una svolta reale. I populisti le hanno anzi deliberatamente tenute alla larga, sacrificando la loro aspirazione al cambiamento sull’altare di narcisitiche ambizioni da parvenu.

2.7 La spinta al cambiamento delle classi subalterne non va per altro sopravvalutata. I suoi limiti risultano evidenti. Dopo decenni di assuefazione e disincanto politico questa spinta era sostanzialmente passiva e indolente, per di più non era sostenuta da una chiara consapevolezza su chi fosse il vero nemico (l’élite neoliberista e il suo sistema), con quali mezzi si dovesse combatterlo, quali drastiche misure sarebbe stato necessario adottare per vincerlo.

2.8 Ciò ha consentito il voltafaccia dei due populismi, diventati comprimari del tentativo di restaurazione del sistema oligarchico bipolare. Questo ribaltone trasformista lascia tuttavia un enorme spazio vuoto che può e deve essere politicamente riempito. Si tratta di un campo ampio che non sta tra i due campi del centro-sinistra e del centro-destra bensì al loro esterno. Una domanda che chiede un’offerta politica adeguata. Quale forma dargli?

NELLA FASE POPULISTA

3.1 Noi riteniamo che sarà ancora una forma populista. Ciò per due ragioni fondamentali. Non siamo usciti dalla decadenza (il tempo ci dirà se si tratta di tramonto o eclissi) delle grandi ideologie, quindi dalla messa fuori scena dei partiti basati su quelle ideologie. La caratteristica e la forza del populismo sta proprio nella sua capacità di dare voce, di rappresentare politicamente e offrire una speranza di riscatto alle nuove ed eterogenee classi subalterne, quelle che stanno sotto, contro quelle, plutocratiche, che stanno sopra. Ciò da cui discende la sua trasversalità interclassista e la sua indeterminatezza ideologica.

3.2 La seconda ragione consiste nel fatto che esso può plasticamente adattarsi ai nuovi rapporti sociali venuti avanti nell’ultimo cinquantennio, La società fordista, caratterizzata da una stabile polarizzazione di classe tra classe operaia di fabbrica e la borghesia di vecchio stampo, è stata rimpiazzata dalla cosiddetta “società liquida”, segnata tra l’altro dall’instabile miscuglio di strati sociali un tempo fortemente diversificati. Una poltiglia composta dal lavoro dipendente a basso reddito e privo di diritti sostanziali, dal multiforme mondo del proletariato non garantito e precarizzato, dal  ceto medio pauperizzato, ed infine dagli stessi comparti di borghesia imprenditoriale fatti a pezzi da una parte dalla spietata competizione mercantile indotta dalla globalizzazione neoliberista.

3.3 Dall’altra parte il populismo non sfonda tra i colletti bianchi (un tempo si sarebbe parlato di “aristocrazia operaia”), il cui status non dipende solo dalla quota di reddito di cui possono disporre ma dalla maniera in cui lo ottengono e quindi dalle diverse garanzie sociali di cui godono rispetto agli altri strati di lavoro salariato. Questo ampio settore sociale, i cosiddetti “garantiti”, per quanto sia destinato ad essere anch’esso travolto dalla perdita dei diritti acquisiti, funge ancora da base sociale di massa della democrazia patrimoniale ovvero del regime oligarchico neoliberista. Sarebbe vano illudersi che sarà il corso delle cose a ricomporre in un grande blocco questi frammenti sociali. Solo un Partito Politico può riuscire a trasformarli in una potente forza sociale.

3.4 Non sarà quindi un partito ideologico di massa di vecchio stampo che riuscirà a rappresentare questa oppressa “polvere d’umanità”. Come detto non ve ne sono più le condizioni, né sociali, né culturali, né spirituali. Manca anzitutto l’humus rappresentato dalla politicizzazione di massa, è assente una autentica spinta dal basso ad occuparsi direttamente degli affari dello stato e della nazione. Sic stantibus rebus avremo un partito d’élite, composto da avanguardie agguerrite, o meglio da “minoranze creative” che dovranno battersi per ottenere un consistente seguito di massa.

3.5 Un Partito d’élite di tipo populista. Ma quale populismo? Se ci guardiamo attorno notiamo che ve ne possono essere almeno di tre tipi e tutti e tre occupano lo spazio nazional-popolare avverso all’oligarchia eurocratica e al discorso europeista e globalista. Un populismo di primo tipo che resta nell’alveo della tradizione non solo liberale ma neoliberista (ed è quello che va oggi per la maggiore in Occidente); un populismo di secondo tipo, antiliberale di marca reazionaria (egemone in alcuni paesi dell’Europa dell’Est); un populismo di terzo tipo democratico, anti-liberista ed a vocazione socialista.

3.6 Il nostro è il “populismo di terzo tipo”, un populismo costituzionale che punta dì a rappresentare chi sta in basso contro chi sta in alto sulla base di idealità democratiche e socialiste. Profonde sono nel nostro Paese le radici di questo populismo: le troviamo nella tradizione patriottica e democratica del Risorgimento, trapassata nella prima e seconda resistenza antifascista, fondamenta sulle quali è stata fondata Repubblica e poggiata la sua Costituzione. Una Costituzione che è dunque la nostra stella polare in quanto, fissati i diritti inviolabili della persona, sancisce e prefigura una Repubblica di democrazia sociale pluralista fondata sulla centralità del lavoro.

UN PARTITO PER IL GOVERNO DEL PAESE

4.1 La Costituzione del ’48 è la stella polare che indica la via al partito che vogliamo e che serve, il Partito nazionale e popolare dell’Italexit. Esso può e deve organizzare quella che in questa fase è la madre di tutte battaglie, quella per conquistare piena sovranità nazionale e quindi uscire dall’Unione europea. Le ragioni per cui l’uscita è la condizione necessaria (ma non sufficiente) per uscire dal marasma e dal rischio di una catastrofe nazionale di dimensioni storiche, le abbiamo spiegate a iosa.

4.2 Non si deve mai cessare di insistere sulla centralità della Costituzione del ’48. Essa non è solo la Grundnorm, la norma formale che conferisce validità e senso a tutto l’ordinamento giuridico. Essa è stata concepita come norma sostanziale in quanto prefigura un ottimale sistema democratico fondato sull’eguaglianza non solo giuridica ma sociale. Per questo i governi neoliberisti da decenni la stanno smontando pezzo dopo pezzo.

4.3 Che si possa uscire dalla gabbia dell’Unione europea e dell’euro e stato mostrato dalla Brexit. Ma le differenze tra il nostro Paese e il Regno Unito saltano agli occhi. L’uscita del Regno Unito è stata possibile per l’incontro di due fattori essenziali: a favore della Brexit non c’era solo il grosso delle classi subalterne ma pure quello di potenti settori della classe dominante, organizzate nel Partito conservatore. Proprio questi settori hanno capeggiato l’uscita, evitando che questa fosse anche una rottura col neoliberismo.

4.4 La battaglia nel nostro Paese è molto più difficile, sia perché le classi subalterne sono divise sulla questione dell’uscita, sia perché quella dominante è saldamente ancorata al discorso europeista, nonché stretta da un vincolo stringente col grande capitalismo tedesco. Ciò rafforzato dal fatto che l’élite intellettuale italiana è composta in larghissima parte da paladini dell’Unione e da corifei del globalismo cosmopolitico.

4.5 Se nel Regno Unito potenti erano le frazioni anti-Ue della classe dominante, da noi l’egemonia quasi totale spetta a quelle anti-nazionali e non si vedono all’orizzonte decisive fatturazioni. Sarebbe dunque un grave errore,  invece che puntare decisi a rappresentare l’enorme spazio popolare esterno ai campi del centro-sinistra e del centro-destra, si immaginasse il Partito dell’Italexit come loro comprimario o satellite.

4.6 Occorre invece attestarsi su una posizione indipendente e di attacco a questi poli per rappresentare l’enorme spazio che ad essi sfugge ma per compiere incursioni nei loro stessi campi allo scopo di strappare loro ogni fetta di consenso politico. Questo orientamento strategico non deve impedire al Partito dell’Italexit una momentanea alleanza ed un eventuale sostegno tattico a quelle forze sistemiche che un domani fossero obbligate a uscire dalla Ue e riconquistare la sovranità nazionale. Alleanza tattica doverosa nel caso di

un’accelerazione improvvisa della crisi strutturale dell’Unione, accelerazione che è nell’ordine delle cose e che potrebbe aiutare il Partito dell’Italexit a diventare un protagonista assoluto della vita politica del Paese.

4.7 Non si possono commettere gravi errori, pena il fallimento. Il primo di questi è quello di chiudersi nella propria autosufficienza. Il Partito dell’Italexit dev’essere la casa di tutti gli antiliberisti che vogliono combattere per l’uscita e per ripristinare l’ordinamento costituzionale. Esso dovrà poi fare il massimo sforzo per mobilitare e raggruppare le indispensabili forze intellettuali e culturali disponibili. Un Partito dunque che sia in grado di essere la fucina per forgiare dirigenti, donne e uomini di stato adeguati non solo alla grande sfida dell’uscita ma che sappiano prendere in mano le redini del Paese risovranizzato.

VERSO IL CONGRESSO

5.1 Per uscire dall’attuale iniziale stato di soggettiva debolezza si deve saper parlare alla maggioranza del popolo lavoratore, di tutti coloro che stanno in basso,  avendo la capacità intercettare l’indignazione sociale, senza esitare a prendere la testa della resistenza popolare, poiché è anche lì che si dovranno misurare le capacità politiche dei nostri militanti di essere non solo propagandisti ma pure tribuni del popolo.

5.2 Il Partito che immaginiamo, non è né autoreferenziale né settario, dev’essere in grado di diventare il lievito e/o l’asse di un fronte popolare ampio e multiforme. Da soli non riusciremo a portare l’Italia fuori dall’Unione europea, a farne un Paese sovrano. Sarebbe sbagliato immaginare che tutte le energie che è necessario mobilitare per la vittoria possano essere contenute in un partito. Data la pluralità di correnti e forze in campo ogni ipotesi di reductio ad unum è campata per aria e ci condannerebbe al minoritarismo.

5.3 Occorre invece agire per arginare e convogliare i tanti rivoli in cui sono disperse le energie e le forze sociali del cambiamento. Vanno immaginati gli Stati Generali della liberazione nazionale e dell’emancipazione sociale, nella prospettiva di un nuovo Comitato di Liberazione Nazionale che si candidi a salire al governo quando se ne presenterà l’occasione.

5.4 La selezione, a cominciare dal processo costituente, avverrà strada facendo. Sarà vincendo la sfida della fondazione di un Partito non liquido ma ben organizzato e socialmente radicato, democratico, che esso prenderà definitiva forma. Un partito che dunque non può essere un mero agglomerato di comitati elettorali locali che per sua natura rischia di respingere militanti sinceri per attirare opportunisti che se la potrebbero dare a gambe levate davanti alle grandi difficoltà dell’impresa.

5.5 Le elezioni politiche nazionali non sono alle porte. E’ il tempo per concentrare tutte le nostre forze per portare a compimento, con un grande congresso fondativo, il processo costituente di un Partito che si pone una grande ambizione. Un processo che, avviata l’iscrizione, deve vedere la massima partecipazione dei tesserati e dei circoli territoriali. Un Congresso che chiuderà la fase cooptativa per passare ad un regime interno di effettivo centralismo democratico per cui a maggioranza, dopo seria e ordinata discussione generale, approva le tesi politiche ed elegge ad affida il proprio mandati agli organismi dirigenti, segretario politico incluso.

5.6 La qualità dei gruppi dirigenti è fondamentale. Il Partito potrà attivare migliaia di militanti e conquistare consenso e fiducia dei cittadini solo a condizione che abbia una squadra dirigente sperimentata, coesa e di alto profilo. Ciò richiede che il Partito si doti di una sua propria e forte identità politica, un progetto di paese che lo distingua nettamente da tutti i suoi avversari. Richiede quindi che esso dia grande priorità alla lotta nel campo culturale e intellettuale. Ci occorrono come il pane nuovi intellettuali, sia strappandoli all’intellighentia di regime sia forgiandoli ex novo.

5.7 E’ molto probabile che il nostro Partito —visto come funziona la comunicazione di massa nella “società dello spettacolo”, dato che siamo ancora nel cosiddetto “momento populista” —,  abbia bisogno di un capo politico che sia suo portabandiera. Un primus inter pares tuttavia, non certo l’uomo solo al comando che contraddistingue i diversi partiti di sistema. Per meritare un ruolo tanto importante è necessario che, oltre al carisma (certo non quello degenerato proprio dei populismi autoritari), esso possieda spiccate qualità politiche e di visione, acume tattico. Deve infine saper dialogare, ascoltare e accogliere le diverse opinioni e proposte che emergessero dal seno del Partito. Un capo che sia quindi capace di tenere unito e compatto il gruppo dirigente ed il Partito trovando il punto di sintesi e di equilibrio interni nei tanti insidiosi tornanti che si incontreranno.

2 pensieri su “IL PARTITO DI CUI C’È BISOGNO di LiT”

  1. Francesco dice:

    Tutto assolutamente condivisibile. Il punto importante, sarà l’individuazione del “capo politico”. A mio avviso il criterio di scelta da seguire non dovrà essere limitato alla sola eventuale “notorietà/visibilità” di colui/colei che ricoprirà questa carica.
    Proprio in questo contesto storico dove “l’immagine” e l’apparenza” purtroppo la fanno da padroni, se ci si vuole davvero distinguere dagli altri e dare un segnale di discontinuità rispetto agli avversari, bisognerebbe lasciar perdere i “personaggi” e scegliere una “PERSONA”. L’ultima volta in cui un “personaggio” si è messo a fare politica, presentandosi come tribuno del popolo, si è visto cosa poi è successo…

    Francesco F.
    Manduria (Ta)

  2. RobertoG dice:

    Il nome proposto è già sbagliato dato che di partiti italexit ce ne sono altri due compreso quello recente di Paragone e quindi grande sarà la confusione. Inoltre denota la solita forma mentis italiana dalla quale i sovranisti nostrani non sono affatto immuni di complesso di inferiorità linguistico nei confronti del mondo anglosassone che è poi solo la spia di un analogo complesso più generale. Andrebbe quantomeno chiamato “partito per l’uscITA” che non solo vi distinguerebbe, ma è anche assai più patriottico.

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