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L’ENIGMA CINESE di A. Vinco

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Sulle interpretazioni della natura sociale della Repubblica popolare

Deng Xiaoping tra maoismo e socialismo

Deng Xiaoping, considerato da Ezra Vogel il più grande statista del ‘900, non fu probabilmente mai un maoista ortodosso, se non durante il periodo della “guerra popolare di lunga durata” (rènmìn zhànzhèng). Mao Zedong dopo la rottura con l’URSS riteneva fosse possibile contrastare “l’Imperialismo di Yalta” con il volontarismo idealistico, l’incentivo morale e la santità pauperistica del contadiname asiatico: “la Cina è santa poiché è povera” fu uno dei leitmotiv maoisti. A differenza del grande timoniere, Deng riteneva che la sfida al campo occidentale e sovietico andasse viceversa portata basandosi sulla sviluppo radicale delle forze produttive, accompagnato dal corso graduale delle note Quattro Riforme, con la scienza e la tecnologia in posizione egemone. Deng Xiaoping e Liu Shao Chi teorizzarono non a caso dalla fine degli Anni ’50 il Grande Balzo in Avanti (Dàyuejìn) e le Quattro Riforme possono essere ben considerate una evoluzione del Grande Balzo, nella prospettiva del primato mondiale han, per quanto il nuovo primato mondiale dell’Impero di Mezzo non sia mai stato esplicitamente teorizzato da Deng. Quest’ultimo, in definitiva, considerava il socialismo lo stadio finale, il più evoluto in ambito scientifico e tecnologico, dell’universale processo produttivo economico. Mao, invece, riteneva il socialismo un modello etico e morale pauperistico e egualitario, prima che economico o produttivo, un modello riguardante ben più i contadini asiatici o i popoli sottosviluppati che le aristocrazie operaie europee o occidentali. Le varie fasi della modernizzazione dei mezzi produttivi e le lotte di fazione sulle “comuni agrarie” sono state confuse dalla sinologia occidentale, attribuendo erroneamente alla frazione maoista pensieri e decisioni della frazione Deng. Il collettivismo agrario della “grande rivoluzione culturale” e il bombardamento del quartier generale rappresentato dalla frazione dei modernisti e tecnocrati del partito furono in realtà il canto del cigno del maoismo: ciò che verrà poi, di seguito, tanto con Jiang Qing e la Banda dei Quattro quanto con il militarismo geopolitico di Lin Biao non ha molto a che vedere con il socialismo neo-legista e antimodernista di Mao ma ben più con il grande nazionalismo han nelle sue differenti manifestazioni. Mao non fu mai ideologicamente filosovietico, tutt’altro, il suo utopismo volontarista e soggettivista pensava che si potesse inverare il socialismo asiatico trascendendo l’interpretazione meccanista marxista basata sul gradualismo dei modi di produzione. Deng Xiaoping fu invece di ortodossa scuola sovietica, come attesta la sua originaria formazione di teorico e militante politico e come egli stesso si considerò sino alla fine dei suoi giorni. Entrambi furono patrioti han antioccidentali e antimperialisti. Mao fu anche, decisamente antirusso, Deng no.

Lo stadio primario o originario del Socialismo

La migliore e più convincente teoria con cui il Partito Comunista Cinese, il partito di governo, intende definire la Cina è stata data dall’ex presidente della Repubblica popolare Jiang Zemin al XV Congresso (12-18 settembre 1997). I due preamboli alla Costituzione sottolineavano che la Cina, con la politica di “apertura al mondo” di Deng, avrebbe inaugurato, dopo la fase del collettivismo agrario primitivistico, lo “stadio originario del socialismo” (shehuizhuyi chuji jieduan) che in teoria durerebbe circa 100 anni e “la costruzione del socialismo con caratteristiche cinesi” (Deng Xiaoping jianshe you Zhongguo tese shehuizhuyi lilun), formula che compare anche nello Statuto del partito. La Costituzione non garantisce tuttora la proprietà privata (art. 12), mentre la proprietà socialista pubblica è inviolabile. Tale è l’autorappresentazione della natura sociale dell’Impero di Mezzo che l’elite neo-confuciana veicola. La Terza Rivoluzione Cinese di Xi Jinping, impostasi nella lotta di fazione del mandarinato, ha finito per imporre il militarismo ibrido han a proiezione ormai globale, una nuova “linea di massa” che vuole risultare egemone nella nuova fase strategica riportando Pechino – Confucio più Huawei – definitivamente al centro.

Il Collettivismo burocratico con tendenze capitaliste

R. Smith spiega nel suo nuovo libro, China’s Engine of Environmental Collapse, che la Cina odierna presenta certamente al suo interno modi di produzione capitalisti ma il modello egemone resta quello dell’economia pianificata di Stato. Si evidenzia come i manager privati, sulla cui presunta autonomia patrimoniale dal partito peraltro Smith avanza lecitamente fortissimi dubbi, rispondano riguardo alla logica dell’allocazione all’elite politica confuciana: non stupisce infine che, precisa il Nostro, gli “elenchi dei maiali capitalisti da abbattere decapitano sistematicamente la borghesia nazionale cinese in potentia”. Lo Smith parla dunque di un Collettivismo burocratico e autoritario di stampo socialconfuciano con tendenze corporativiste e cripto-capitaliste.

Un capitalismo politico

Branko Milanovic, Simone Pieranni e Alessandro Aresu considerano, più o meno in modo unanime, l’attuale guerra fredda tra Cina e USA come una guerra ibrida tra due potenze del capitalismo politico mondiale. Il capitalismo tecnologico sta alimentando un mondo estremamente dinamico nel quale tramite il velo dell’estensione del mercato si radicalizza una partita mondiale combattuta con le armi della geopolitica, della geoeconomia e del geodiritto, una partita intrecciata con la guerra tecnologica tra USA, Cina e Russia putiniana. Pieranni, genovese collaboratore del quotidiano “il manifesto” ha vissuto in Cina dove torna appena può; egli considera la Cina una “meritocrazia” neo-confuciana che, a differenza di USA e UE, investe sulla ricerca, sulla qualità e sulle virtù dei cittadini, riservando un ruolo prioritario alla scienza, motivi per cui sarebbe già all’avanguardia globale, pronta a alzare la bandiera del primato globale. La globalizzazione di Pechino, che inizia con “l’apertura al mondo” di Deng, dunque ben prima del crollo dell’URSS, è antagonista alla globalizzazione americanista e la sfida mondiale per il nuovo modello internazionale sarebbe tra due capitalismi politici, l’uno guidato dal Partito Comunista e multipolare, l’altro dallo Stato profondo intrecciato al Pentagono e unipolare. Lo studioso genovese, un marxista del campo occidentale, legge peraltro il fenomeno Hong Kong come una manifestazione di legittima rivolta contro il capitalismo della sorveglianza di stato di Pechino.

La Cina popolare come modello fascista-corporativista    

James Gregor è uno dei massimi storici del fenomeno fascista. Filosofo della politica, studioso di Croce, Gentile, Gramsci, in un breve saggio sul fascismo italiano, pubblicato nell’aprile 2016 da “apice libri”, intervistato dallo storico italiano A. Messina descrive nelle pagine conclusive l’odierna Cina di Xi Jinping come un modello corporativista e revisionista in presunta continuità con il fascismo italiano. Dice Gregor: “Nel 1933, quando Mussolini dedicò una visita agli studenti asiatici di Roma, parlò con loro degli intenti rivoluzionari e antioccidentali condivisi. Oggi, ci sono pochi dubbi su quello che la Cina è diventata. La Repubblica Popolare Cinese presenta tutta la gamma dei tratti fascisti. Il Paese è il risultato di una storia diversa, di una cultura diversa, ma il sistema politico che governa la Cina oggi è fascista in tutto tranne che nel nome. Per l’Occidente questo riconoscimento porta a delle conseguenze. La Cina, a meno di variazioni sostanziali della politica e dell’economia interna, proseguirà assolutamente i propri obiettivi irredentisti, in un cammino che inevitabilmente finirà per scontrarsi con gli interessi dell’Occidente. Ciò che accade in Cina dimostra la continuità dei temi del Fascismo. Il Fascismo non è solo un insieme di convinzioni dottrinarie, ma soprattutto una risposta agli imperativi del nostro tempo, all’arretratezza economica di un Paese e/o al bisogno di prestigio internazionale determinato da una precedente umiliazione collettiva…Tracciare la continuità moderna del Fascismo è istruttivo sotto molti di vista”.

La Cina è rossa e antimperialista

Con la svolta del settembre 2019, Marco Rizzo guida la pattuglia, probabilmente ancora minoritaria, dei comunisti europei che sostengono le ragioni di Pechino contro gli USA. Nel corso dell’intervista rilasciata alla stampa di Pechino in cui spiega il passaggio al campo cinese, Rizzo non nega le aspre e terribili contraddizioni sociali presenti nella Repubblica Popolare, ma spiega che l’ “edificazione del Socialismo in un paese originariamente arretrato dal punto di vista economico” richiede pazienza e saggezza tattica. Specifica inoltre che in un quadro geopolitico caratterizzato da un incipiente conflitto inter-imperialista, dalla acutizzazione dello scontro di classe sul piano economico globale, l’affermazione e l’estensione della Nuova Via della Seta potrebbe avere delle ricadute sociali positive non solo per i salariati dei paesi coinvolti ma anche per un campo antimperialista internazionale. La strategia centrale di un movimento patriottico e socialista italiano, per Rizzo, è infatti rappresentata dall’ “uscita dell’Italia dalla NATO” e la Cina non può che essere il massimo alleato strategico verso l’attuazione di un tale processo storico che non si può più rimandare.

5 pensieri su “L’ENIGMA CINESE di A. Vinco”

  1. Francesco dice:

    Personalmente non vedo tutta questa “guerra fredda” tra Cina e Usa. E’ vero che durante l’amministrazione Trump, c’è stato un periodo di tensione per via dei provvedimenti protezionistici del presidente americano, ma vedrete che Adesso, con la “restaurazione” globalista alla Casa Bianca, tra i due giganti ultracapitalistici tornerà ad esserci quella corrispondenza di amorosi sensi che c’era durante la presidenza di Obama/Clinton.

    Francesco F.
    Manduria (Ta)

  2. Alex dice:

    Amorosi sensi? Clinton rase al suolo l’ambasciata cinese nel 99

  3. Francesco dice:

    …mi riferivo a “HILLARY” Clinton, collaboratrice e ispiratrice di Obama. (….Sebbene il suo amato consorte BILL non sia stato da meno in fatto di politiche globaliste…)
    Riguardo all’episodio dell’ambasciata, avvenuto durante l’aggressione della Nato alla Serbia di Milosevic, le chiedo per quale motivo all’epoca la Cina (…cosi come la stessa Russia di Putin…) non assunse una posizione di netta opposizione (…in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu…) contro quella guerra.

    Francesco F.
    Manduria (Ta)

  4. alex dice:

    In Russia non c’era Putin, sul ruolo Antimperialista della Cina in Serbia lo ha ben spiegato sempre il medesimo autore qui.https://www.sollevazione.it/2020/12/la-cina-e-la-partita-del-medio-oriente-di-a-vinco.html Oggi la Serbia è Cina

    Alessandro Testerini Orte

  5. Francesco dice:

    …A voler essere precisi almeno i 2/3 del mondo “sono Cina”… politicamente e/o economicamente parlando… ma ciò non vuol dire automaticamente che la Cina sia “Antiimperialista e Socialista” … né (PURTROPPO) che i 2/3 del pianeta siano automaticamente “Antiimperialisti e Socialisti”.
    Ad ogni modo rispetto le sue opinioni… anche se non le condivido.

    Francesco F.
    Manduria (Ta)

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