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ANCHE GIORGIA MELONI NELL’ASPEN INSTITUTE

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Riceviamo da un lettore e pubblichiamo malgrado il dissenso su alcuni aspetti d’analisi.

Come già negli scorsi mesi scrivevamo, la leader romana di FDI, a differenza dell’europeismo terzaforzista della vecchia Destra sociale o missina, ha scelto un profilo sovranista conservatore. Sovranista, ribadiamo; né patriottico, né neofascista. La differenza è decisiva.

Pensavamo che nella sua ipotesi strategica di una futura “destra di governo” in continuità con il messaggio ideologico nazional-liberale di Tatarella, il vate di Gianfranco Fini, la Meloni sarebbe stata costretta, volente o nolente, ad abbracciare più convintamente la linea americanista e sionista. E infatti cosi è stato. Avrebbe dovuto, in sostanza, abbandonare del tutto certe sue sortite di esplicito supporto alla politica strategica della Federazione Russa o di sostegno all’Hezbollah e al presidente siriano Bashar Assad.

In sostanza, Trump o Biden, “destra di governo” avrebbe per forza significato Sistema Italia agganciato strategicamente allo Stato Profondo sionista e americano, in un contesto globale in cui il polo cinese e quello russo, seppur con metodi assai differenti, sono ormai pienamente integrati nel capitalismo europeo. La sfida strategica in Europa si basa appunto sulla dimensione, centrale, del reset di un differente modello di capitalismo. L’integrazione strategica con il nazionalismo imperiale e universalistico han confuciano del mandarinato di Pechino condurrebbe appunto alla graduale affermazione di un capitalismo europeo orientato politicamente, più autonomo e sovrano, nella prospettiva della decisiva sovranità digitale europea e della strategia di sicurezza nazionale dei vari Stati nazione continentali. Viceversa, l’americanismo europeo, sia esso di Meloni o di Matteo Renzi, significherebbe, come già intuì decenni fa Michel Debrč, la continuità europea nella sua irrilevanza strategica, nella sua incapacità di poter definire un proprio modello di capitalismo orientato politicamente. Giustamente Z. Brzezinski definì nel suo testamento geopolitico, Visione strategica (2012), l’Unione Europea “una permanente casa di cura per anziani”.

Nel contesto della guerra ibrida mondiale di nuova generazione contro la Federazione Russa e contro il popolo russo  — ne avete scritto QUI e QUI —  non si può giocare troppo a lungo. Figure come Berlusconi, Salvini, Conte si sono bruciate per il loro volere stare su tre tavoli contemporaneamente; l’Italia o la classe dirigente italiana, ammesso l’abbiano avuta, non hanno più, almeno per il momento, questa autonomia tattica.

La stessa Meloni, costretta a scegliere, ha scelto Stati Uniti d’America con il prestigioso ingresso in Aspen Institute. Abbiamo così un Partito Americano trasversale (Renzi, Meloni, Giorgetti, Zaia, Tremonti, Monti, Gentiloni, Boldrini, Bonino, lo stesso Presidente Mattarella seppur in posizione defilata) che va lucidando le armi di fronte all’offensiva del Partito Cinese, sempre più presente e ramificato in Italia, forte di un notevole supporto interno che va dalla Destra di Geraci sino alla Sinistra di un D’Alema, Prodi, Bettini per raggiungere il Partito Comunista di Marco Rizzo. Gli stessi ambienti industriali italiani sono ormai più orientati verso Pechino che verso gli USA, siano essi sovranisti o globalisti. Il Partito Russo è apparentemente il più debole a casa nostra, e di fatto lo è,  ma gode del sostegno di pezzi da novanta dell’ENI e della Santa Sede (sia tra i modernisti bergogliani che tra i conservatori); l’elite della Santa Sede se potesse scegliere tra un futuro multipolarismo a guida russa, cinese o statunitense sceglierebbe di certo la prima opzione, per quanto il Pontefice non abbia divisioni.

Giulio Sapelli, pochi giorni fa, ha detto che la Merkel avrebbe ormai definitivamente scelto la Cina sugli Stati Uniti. E’ una forzatura. Il motore economico e industriale tedesco ha in realtà scelto strategicamente la Russia e punta alla de-dollarizzazione globale con una proiezione imperialista dell’euro; il mondo politico e militare germanico è invece ancora oggi ostaggio di sionisti e americani, ma nella nuova fase strategica guarda sempre più verso Est.

La Merkel ha fallito storicamente la sua missione, basata sulla strategia di integrazione russo-germanica. Significativo però che il presidente americano Biden abbia telefonato, dopo il suo insediamento, a Merkel solamente dopo aver dialogato a lungo con Johnson e Macron. E’ il primo degli sgarbi neo-trumpiani che la nuova amministrazione USA ha pronti per la Cancelliera e per il suo prossimo successore, che sarebbe troppo orientato verso il putinismo. La colpa della Merkel, agli occhi dei globalisti statunitensi, è proprio quella di essersi scelta un simile successore.

5 pensieri su “ANCHE GIORGIA MELONI NELL’ASPEN INSTITUTE”

  1. Francesco dice:

    Il fatto stesso che nel cosiddetto “partito cinese” militino due personaggi come D’ALEMA e PRODI nonche’ una CONSISTENTE fetta di CONFINDUSTRIA (…non a caso quella abituata a delocalizzare…) dovrebbe far riflettere MOLTO coloro che sostengono la tesi della “CINA COMUNISTA”… (…Oppure i sostenitori di questa tesi mi verranno a dire che D’alema, Prodi e Confindustria sono diventati Comunisti???)

    Francesco F.
    Manduria (Ta)

  2. Angelo Vinco dice:

    Articolo condivisibile e in larga parte veridico.
    Unico dubbio su Giorgetti.
    E’ veramente nel Partito Americano? Giorgetti, con Draghi, non è forse il soggetto italiano strategico del polo neoimperialista europeo che vorrebbe fare sponda con Mosca? E’ una domanda che rivolgo al bravo autore e che meriterebbe un’indagine. Grazie
    av

  3. av dice:

    Francesco, questo però che significa?
    Lenin non sostenne lo shah e Kemal che misero al bando i comunisti?
    Lenin non era comunista?
    Ciao
    av

  4. Francesco dice:

    1) Lenin era comunista. Prodi, D’Alema e Confindustria EVIDENTEMENTE NON LO SONO.
    2) Prodi, D’Alema e Confindustria SICURAMENTE non hanno come obiettivo la “realizzazione del Socialismo”.
    3) Prodi, D’Alema e Confindustria non parteggerrebbero MAI per un “connubio” (…chiamiamolo così…) politico ed economico con un Paese REALMENTE Comunista.

    Fatte queste premesse (…che mi sembrano inconfutabili) io deduco che neppure la Cina è “comunista” (…al di là delle semplici apparenze…)

    Francesco F.
    Manduria (Ta)

  5. antimperialista dice:

    Per Angelo

    Penso anche io che Giorgetti sia una figura un po’ enigmatica e l’unico politico italiano di spessore sulla scena, con D’Alema dall’altra parte. Poi ,a parte questi due, la politica pare finita. Renzi è un buon giocatore e manovratore ma non ha strategia. Fino a oggi Giorgetti mi sembra chiaramente integrabile nel Partito USA, fu il primo in Europa già nello scorso maggio a prevedere ad esempio la vittoria di Biden e fu il primo a andare negli Usa subito dopo la vittoria di Trump nel 2016, ma come dici giustamente tu, se veramente questo nuovo governo volesse procedere verso la grande Europa non potrà che cercare una sua partita tattica con Putin, in potenziale indipendenza da Washington.

    Per Francesco
    In linea di massima sono concorde sulla Cina, però preciserei che i comunisti neomaoisti che sono ancora forti sostengono il Nazionalismo di Xi sulla sua linea e poi mi pare che Vinco parli di “nazionalismo han con tendenza socialista primaria”, non di Cina rossa o comunista.

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