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DOVE VA LA CINA DI XI JINPING? di Federico Maria Romero

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Segue l’articolo precedente: Cina: chiè davvero Xi Jinping?

Dobbiamo tenere in considerazione che il dibattito sul “socialismo in Cina” è tutt’oggi affrontato in Occidente usando categorie concettuali e politiche del tutto estranee allo spirito cinese. Di ciò era del resto consapevole Mao quando, sulla linea di Li Dazhao, con l’intento di superare il marxismo terzinternazionalista e poi il Diamat stalinista, affermò il principio storico della “sinizzazione del socialismo”. La visione del reciproco darsi degli opposti, dell’essere come vuoto e al tempo stesso come essere in relazione a qualcosa o a qualcuno, della conflittualità o contraddizione come motore della storia avviarono la nascita di una visione del mondo organicista, soggettivista, volontaristica e, sul piano prassista, di una forma di Stato contadino e eroico basato sul “blocco delle quattro classi”, ovvero dell’unità nazionalista sotto la guida del partito comunista e del popolo Han.

Tali presupposti storici e filosofici del maoismo ben poco in comune hanno con il pensiero del marxismo occidentale o di quello sovietico al punto che si può affermare che l’apporto maoista nella storia mondiale del socialismo è molto simile a quello fornita dal Conducator Nicolaie Ceausescu in Europa, nel senso che da parte di questi due grandi leader vengono ripudiati su tutta la linea tanto il classismo quanto il materialismo dialettico e al loro posto subentra il motivo principale dell’identità dello spirito nazionale e dell’indipendenza della Nazione. Ne danno testimonianza, d’altra parte, gli aperti conflitti ingaggiati dal Grande timoniere sia con l’Urss, considerata dagli anni ’60 il primo nemico storico della Cina popolare, sia con i vari partiti comunisti o socialisti occidentali, ai quali da un certo punto in avanti Mao iniziò apertamente a preferire esplicitamente le destre nazionaliste o i cristiano-sociali bavaresi.

Deng Xiaoping ruppe il paradigma maoista nel senso che sostituì all’orizzonte soggettivista contadino e tradizionalista quello evoluzionista e scientifico, ma il motivo dell’identità nazionale Han rimase egualmente prioritario. “Il socialismo con caratteristiche nazionali cinesi” o “il socialismo nazionale di mercato” di Deng Xiaoping cercò di salvare il 70% del pensiero maoista liquidando però l’avversione maoista verso la scienza occidentale. Il recupero di Deng dei tre principi del popolo del padre della Nazione Sun Yat Sen si sviluppò quindi, di seguito, nella prassi politica.

Sia Mao sia Deng consideravano, al di fuori della retorica diplomatica, i cinesi superiori agli occidentali, per storia, cultura e tradizione spirituale e volevano superare velocemente il gap successivo alla rivoluzione industriale azzerando la “grande divergenza” tra l’Impero di mezzo e l’Occidente. Il soggettivismo volontaristico di Mao riteneva fosse possibile colmare il divario grazie alla nobile saggezza tradizionalista e organicista cinese; Deng Xiaoping viceversa sosteneva che fosse necessario importare la scienza e la tecnologia occidentali, con una élite politica nazionalista capace di cavalcarle e dirigerle dove “l’egemonia cinese” volesse guidarle.

Il progetto di Deng non è perciò tanto “Sud verso Sud” o terzomondista (come sostengono Arrighi o Samir Amin) ma proprio quello dell’egemonia imperiale cinese in un multipolarismo diffuso. Per comprendere il pensiero di Deng, spiega Vogel che è il più grande biografo del successore di Mao, è necessario capire che Deng vedeva nel corporativismo modernizzatore nipponico un modello sociale di primissimo piano. Scienza occidentale al servizio dell’eroismo nazionale asiatico con uno Stato centrale organico che sapesse guidare il processo storico, questo percorso del Giappone del Rinnovamento Meiji (senza dimenticare l’esempio di Singapore) fu l’esplicito riferimento nella nuova via riformatrice di Deng. Quest’ultimo non rifiutò l’apertura a zone controllate di capitalismo in quanto riteneva che la molla dell’incentivo materiale fosse un elemento progressistico nel processo di specializzazione del lavoro e delle competenze scientifiche di cui la Cina non poteva fare a meno nella “guerra di civiltà” con il nemico occidentale. Mao, viceversa, aveva messo al centro della vita sociale l’incentivo morale, nel tentativo di raggiungere la piena modernizzazione mediante la via di un “socialismo spartano”; se agli inizi del Grande balzo in avanti il Grande timoniere aveva promesso al popolo cinese che con pochi anni di sacrifici la Cina avrebbe superato la Gran Bretagna avvicinandosi all’evoluzione modernista americana, i risultati furono poi ben inferiori alle premesse.

Parlare della NEP riguardo al riformismo autoritario di Deng può essere fuorviante in quanto la NEP leninista fu una necessaria ritirata tattica nell’orizzonte della rivoluzione “proletaria” mondiale e internazionalista, mentre Deng non pensò mai a una rivoluzione mondiale di classe, dato che fu sempre, anzitutto, un nazionalista grande-cinese, come del resto Mao che su questo punto non è di certo assimilabile, come abbiamo visto sopra, all’internazionalismo strategico di Lenin e della tradizione sovietica.

La Nep di Deng, per chiarire, è ben più vicina al corporativismo nazionalistico giapponese degli Anni trenta piuttosto che al “marxismo leninismo” occidentale. Oggi, gli analisti liberali anglosassoni o americani amano descrivere Xi Jinping come il “nuovo Mao”, come il “nuovo timoniere rosso ultrasocialista” che vorrebbe trasformare il paradigma di Deng basato sulla modernizzazione scientifica nazionalista e evoluzionista in una nuova ideologia maoista. Questi analisti prendono a riferimento la preminenza accordata da Xi al concetto guojin mintui (“lo Stato avanza, il settore privato declina”).

Nel caso specifico potrebbero avere ragione, ma ciò è in definitiva una ulteriore falsificazione del quadro interno cinese. Intendiamoci: è vero che nella lotta di frazioni (di cui ho già tentato di parlare nel primo articolo), i denghisti storici — tra i quali annovero Deng Pufang, figlio maggiore di Xiaoping, e Chen Xiaolu, figlio del leggendario maresciallo Chen Yi, molto vicino a Deng e morto per un normale infarto, subito classificato come “misterioso” (chissà perché?) —sono storicamente affini alla “Shangai Gang”. Come è vero che Xi sta realmente mettendo in pratica due principi fondamentali del maoismo, il primo quello che “Il potere nasce dalla canna del fucile”, il secondo quello che la Cina potrà avere il primato globale solo realizzando all’interno una Democrazia nazionalistica e organicista basata sulla “Linea di Massa”.

Abbiamo motivo di ritenere che si illude chi crede che alla élite della frazione Xi Jinping stia oggi massimamente a cuore la realizzazione integrale del socialismo in Cina. Su questo elemento, che, come vedo, è centrale nell’odierno dibattito tra i marxisti italiani, Xi Jinping è, a mio avviso, un continuatore ortodosso di Deng. E’ certamente un fatto che Deng nella Strategia dei 24 caratteri, scrisse: «Nascondi la tua Forza, aspetta il tuo momento, non prendere mai il Comando” mentre Xi nella Strategia dei 36 caratteri ha sostenuto: “Per realizzare il Sogno Cinese dobbiamo realizzare la via cinese, per realizzare il Sogno Cinese dobbiamo far avanzare lo spirito cinese, per realizzare il Sogno Cinese dobbiamo consolidare il potere mondiale cinese».

Ma la contrapposizione è solo apparente. La Cina di Deng era ancora troppo debole, economicamente e militarmente, per lanciare apertamente l’assalto al potere mondiale. Deng pose però i primi mattoni dell’egemonia mondiale di Pechino. Xi teorizza esplicitamente il potere mondiale perché è proprio ciò che Deng voleva. Ed era, a mio modo di vedere, anche ciò che l’ultimo Mao voleva. Xi Jinping è perciò più denghiano dei vecchi riformisti compagni di Deng che non compresero il veridico programma strategico del grande leader successore di Mao: il potere mondiale non occidentale come assoluta realizzazione del “Sogno Cinese”, come priorità strategica.

Xi, come Deng, riprende il principale problema della civilizzazione cinese: l’epoca storica in cui la scienza e la tecnologia dell’Impero di mezzo, alla fine della dinastia Ming e agli inizi della dinastia Qing, sono restate indietro. Scienziati e creatori di tecnologia, secondo Xi, fedele discepolo di Deng, sono le autentiche avanguardie militari della armoniosa nazione cinese, un sistema aperto e organico egemone a livello planetario [Xi Jinping, Governare la Cina, Giunti Editore 2016, pp. 147-161]. Lo statista cinese si riferisce a scienziati e tecnologi, non a caso, rappresentandoli come vere e proprie truppe militari. Elitismo pragmatista machiavellico e grande nazionalismo, modernista tecnologico e imperiale, degli Han sono gli elementi che unificano il progetto di Deng a quello di Xi.

Che ciò sia anche socialismo, che ciò sia lo stadio primordiale del socialismo o semplice capitalismo politico di potenza o un modello corporativista neo-prussiano, diviene a questo punto, almeno a mio avviso, secondario e irrilevante.

Lo sconvolgimento rivoluzionario che un simile processo storico porta con sé, come peraltro abbiamo iniziato a sperimentare, non può trovarci a discutere sul sesso degli angeli e chiunque intenda porsi sulla scena mondiale come alfiere del patriottismo italiano (come Lit, Ancora Italia ecc.) non può ignorarlo, giocherellare da poco attenti allievi della democristiana Piazza del Gesù nei vari campi non è più possibile dopo il 2020, significherebbe del resto voler rimanere sudditi americani a vita. Pena sarebbe dunque, per il patriottismo  italiano, l’essere spazzato via dal divenire storico senza indulgenza alcuna nella micidiale lotta tra le tre superpotenze mondiali (Russia, Cina, Usa), micidiale lotta che stiamo del resto sperimentando sulla pelle e nell’anima.

Una Nuova Era è ormai sorta, con il 2020. Occorre un balzo in avanti del movimento patriottico italiano per comprendere a fondo la nuova fase storico-spirituale. E agire di conseguenza. L’imperialismo occidentale  potrà tentare di annientare la Nuova Era, armoniosa e multipolare, solo con una guerra mondiale, gli stimoli fiscali neo-keynesiani e le divertenti sparate da Al Capone del nazionalista occidentale bianco Joe Biden indicano l’isteria di impotenza di un Occidente che nulla, per il resto, può ormai fare per fermare l’autarchia tecnologica verso cui marcia la Cina di Xi Jinping o quella militare già da anni pienamente raggiunta dalla Russia di Vladimir Putin. Nulla appunto se non una vera e propria guerra mondiale, che nel mondo, grazie a Dio, nessuno si augura. A parte il Deep State angloamericano.

9 pensieri su “DOVE VA LA CINA DI XI JINPING? di Federico Maria Romero”

  1. Francesco dice:

    Che il “Patriottismo” italiano (…quello autentico…) debba confrontarsi con la situazione internazionale e saper cogliere le eventuali occasioni propizie, è un conto… illudersi che i Cinesi… (…o i Russi) sarebbero padroni più “clementi” rispetto agli angloamericani è una PIA ILLUSIONE.
    Il nostro destino non cambierebbe… la nostra condizione di sudditi neppure.
    Questo a prescindere dalla questione riguardante il PRESUNTO carattere “Socialista” della Cina attuale.

    Francesco F.
    Manduria (Ta)

  2. Aryanna dice:

    Non capisco cosa voglia dire Francesco?
    Viva gli ameriggggggani che ci ha liberato dal nazifascismo criminale…….

    1. Francesco dice:

      …G.le Signora intendo dire semplicemente che finché ci sarà un “padrone” a cui dover obbedire, per gli Italiani la situazione non cambierà granché. Così come con l’avvento degli angloamericani, di fatto, all’oppressione nazifascista, ne è seguita un’altra (…realizzata, questo sì, con modalità diverse.. ma più subdole…) così l’eventuale “avvento” dei Cinesi, sarebbe solo un modo per cambiare tutto senza cambiare niente.

      Francesco F.
      Manduria (Ta)

  3. Cittadino dice:

    A me invece sembra che quello che ha scritto Francesco sia chiaro e pure condivisibile. Credo pure che non abbia nulla a che vedere con quello che in modo del tutto arbitrario gli viene attribuito nel secondo commento.

    Giovanni

  4. Arianna dice:

    Ah sì?
    Ecco avevo proprio capito bene.
    Dunque i criminali di Dresda, Cassino, Hiroshima, Nagasaki, Guantanamo, Baghdad, Belgrado, Vietnam, Cambogia e laos, nonchè i maggiori sospettati con l’intelligence della regina nella patogena operazione Covid 19 sono messi sullo stesso piano di cinesi, russi, tedeschi, turchi? ma avete bevuto o cosa????
    arya

    1. Francesco dice:

      Ma G.le Sig,ra, abbia pazienza! Io NON ho MAI sostenuto che gli autori dei crimini che Lei ha elencato non sono dei criminali. Ho detto semplicemente che qualsiasi tipo di dominazione straniera (nazifascista, angloamericana, cinese o altro) comporta e comportera’ SEMPRE una condizione di subalternita’ totale rispetto a chi domina. Se poi Lei e’ favorevole a un protettorato cinese solo per il gusto di non essere assogettata agli angloamericani, ne prendo atto. Per quanto mi riguarda vorrei un’ Italia TOTALMENTE INDIPENDENTE da chiunque. Spero di essere stato sufficientemente chiaro nel concetto.

      Cordiali saluti

      Francesco F.
      Manduria (Ta)

      P.S. A proposito di crimini, non e’ che Cinesi e Russi abbiano poi la coscienza e le mani cosi’ pulite: vogliamo parlare della Cecenia e del Tibet? …Tanto per fare 2 esempi pratici.

  5. Arya dice:

    Mio caro, l’Italia non ha mai avuto l’Indipendenza sovrana assoluta di cui lei favoleggia, dal rinascimento a oggi. e a guardare bene, tale indipendenza totale non lo hanno nemmeno Usa o Cina o Russia. Dunque quanto Lei mi dice mi pare un voler portare a acqua al mulino atlantista Bideniano, confermato dal riferimento atlantista apologetico a Tibet e Cecenia. non me ne voglia, ma così mi pare.

    1. Francesco dice:

      Allora mi perdoni Lei ma ha EVIDENTEMENTE capito MOLTO male. In ogni caso, quando Lei precisa che l’Italia non ha mai avuto l’indipendenza, mi sembra di capire (…ma potrei sbagliarmi) che lei dia per scontato che quella agognata indipendenza l’Italia non possa averla neppure in futuro. E’ la stessa “visione” passiva che spinge molti italiani ad accettare il ” vincolo esterno”. Cosa che io invece, non accetto affatto.
      Per cio’ che riguarda la Cecenia e il Tibet mi permetto di ricordarle semplicemente che denunciare (giustamente) i crimini commessi dai Russi e dai Cinesi in quelle zone e’ una semplice questione di onesta’ intellettuale. Onesta’ intellettuale che serve ad essere ancora piu’ credibili quando si denunciano (giustamente) i crimini degli angloamericani e dei sionisti. Gli imperialismi possono essere di diverso colore.

      Francesco F.
      Manduria (Ta)

  6. aryanna dice:

    Ho capito bene, ho capito bene.
    Indipendenza Italiana si, ASSOLUTA come pensa Lei è impossibile.
    Dunque la Cecenia doveva secedere perchè così Londra voleva? Putin doveva assistere immobile ai massacri moscoviti (moscoviti preciso) della banditaglia al servizio dell’occidente?
    Ary

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