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IL GRANDE RESET IN PILLOLE (3): L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

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I documenti del World Economic Forum hanno certamente un pregio: le tesi sono chiare ed espresse in modo disinibito. In questo articolo ci si spinge in territori inesplorati anche all’interno della distopia progettata per la popolazione mondiale. L’idea è quella di curare chi ha bisogno di aiuto psicologico non attraverso il contatto umano ma attraverso l’uso di una tecnologia che sia “efficace, affidabile ed economica”.

[Le Pillole precedenti:1- Il 5g, 2 – Cos’è il CoVax]

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Potrebbe un’Intelligenza Artificiale essere il tuo psicologo in futuro?

di Jhon Michael Innes* e Ben W. Morrison*

«La psicologia e le altre cosidette “professioni d’aiuto”, tipo quella del counselling e dell’assistenza sociale, sono spesso considerate come attività che si svolgono in un dominio che è quintessenzialmente umano. A differenza dei lavoratori i cui compiti sono manuali o di routine gli psicologi generalmente non vedono nessuna minaccia per la loro carriera dai progressi del Machine Learning e dell’Intelligenza Artificiale.

Gli economisti sono largamente d’accordo. Una delle più influenti indagini ad ampio spettro  sul futuro dell’occupazione, effettuata dagli economisti di Oxford Carl Benedikt Frey e Michael Osborne, valutava la probabilità che la psicologia possa essere automatizzata in un vicino futuro a un mero 0,43%. Questo lavoro è stato inizialmente effettuato nel 2013 ed ampliato nel 2019.

Noi siamo psicologi sociali e delle organizazioni e studiamo l’interazione uomo-macchina sul posto di lavoro e i cambi di relazione tra la società, la scienza e la tecnologia. La nostra analisi degli ultimi quattro anni mostra che l’idea che la psicologia non possa essere automatizzata è ora obsoleta. La psicologia fa già uso di molti strumenti automatici e anche senza significativi progressi dell’IA noi prevediamo un impatto non trascurabile in un futuro molto vicino.

Cosa fanno gli psicologi tutto il giorno?

Le proiezioni precedenti davano per scontato che il lavoro di uno psicologo richieda una vasta empatia e delle capacità intuitive. E’ improbabile che queste caratteristiche vengano replicate, nel breve periodo, da una qualsiasi macchina. Tuttavia la nostra argomentazione è che il lavoro tipico dello psicologo abbia quattro componenti primarie: analisi, formulazione, intervento e valutazione dei risultati. Ogni componente può già essere automatizzata, in certa misura.

  • L’analisi dei punti di forza e dei punti deboli del cliente viene in gran parte effettuata dalla presentazione computerizzata di test psicologici, dall’interpretazione dei risultati e dalla scrittura di relazioni interpretative.
  • Le regole per le diagnosi delle condizioni sono molto progredite, al punto che gli alberi decisionali sono largamente usati dai professionisti del settore.
  • Gli interventi sono progettati seguendo linee di azione standardizzate, fornendo regole esplicite per la presentazione dell’orientamento e per il problem solving, con esercizi e riflessioni in punti specifici della terapia.
  • La valutazione finale è in gran parte una replica dell’analisi iniziale.

Molto del lavoro in una professione d’aiuto non richiede empatia o intuizione. La psicologia ha sostanzialmente predisposto le fondamenta per la riproduzione della pratica umana da parte di una macchina.

Una professione che non accetta la realtà? 

Quasi quattro anni fa pubblicammo un articolo sul Bulletin of the Australian Psychological Society chiedendoci come l’IA e le altre tecnologie avanzate avrebbero potuto sconvolgere le professioni d’aiuto. Fummo prudenti nelle nostre previsioni, ma anche con tale cautela suggerimmo potenziali impatti significativi sull’occupazione e sull’istruzione.

Non stavamo sostenendo che la cosiddetta IA “forte” sarebbe emersa per rimpiazzare l’umanità. Semplicemente mostrammo che il tipo di IA ristretta che esiste correntemente (e che migliora costantemente) avrebbe potuto invadere il territorio lavorativo delle professioni d’aiuto.

E’ già disponibile tutto uno spettro di app per la salute mentale guidate dall’IA, come Cogniant e Woebot. Numerosi prodotti simili adottano le procedure della Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC), largamente considerate il  “gold standard” dell’intervento per molte condizioni psicologiche. Questi programmi in genere usano agenti conversazionali forniti dall’IA, o chatbot, per fornire una forma di terapia dialogante che aiuti gli utenti a gestire la propria salute mentale. La ricerca su queste tecnologie si è già mostrata molto promettente. La nostra preoccupazione riguardo al futuro non era, tuttavia, condivisa tra i membri delle professioni d’aiuto. Ciononostante noi continuiamo a presentare le nostre argomentazioni ovunque sia possibile.

La diffusione dell’IA sta accelerando.

Quattro anni più tardi crediamo che l’impatto di questa tecnologia possa arrivare prima di quanto da noi stesso immaginato allora. Tre cose, in particolare, guidano questa accelerazione. La prima è il rapido progresso dei sistemi automatizzati che possono riprodurre (e qualche volta superare) le capacità decisionali umane. Lo sviluppo dei cosiddetti algoritmi di deep learning e l’emergere di sistemi analitici di previsione avanzata minaccia la rilevanza dei professionisti. Con l’accesso ai big data nella letteratura prettamente psicologica o correlata i sistemi di IA possono essere usati per analizzare e intervenire con i clienti.

I ricercatori hanno stimato che la probabilità che la psicologia possa essere automatizzata valga un mero 0,43%. Immagine: Oxford Martin School

Il secondo fattore è uno “tsunami” emergente fatto di ricadute dell’IA e preconizzato dagli economisti. Gli sviluppi nella tecnologia dell’informazione non si sono ancora riflessi in diffusi miglioramenti di produttività ma, come i ricercatori canadesi Ajay Agrawal, Joshua Gans e Avi Goldfarb hanno sostenuto, è verosimile che l’abilità predittiva dell’IA sarà presto un’alternativa superiore al giudizio umano in molte aree. Questo può innescare una ristrutturazione significativa del mercato del lavoro.

Il terzo fattore è la pandemia da COVID-19. La richiesta di prestazioni per la salute mentale è cresciuta drasticamente, con servizi anticrisi quali Lifeline o Beyond Blue che riportano una aumento del 15-20% dei contatti nel 2020 rispetto al 2019. Non ci si aspetta che il livello di sofferenza mentale, relativo alla pandemia, raggiunga il suo picco prima della metà del 2021.

Allo stesso tempo, la terapia in presenza è stata spesso esclusa – verso la fine di Aprile 2020 la metà delle prestazioni di salute mentale finanziate dal programma Medicare sono state fornite in remoto. Le app di meditazione e di autoconsapevolezza quali Headspace e Calm  sono state scaricate con numeri stellari. Questo fornisce ulteriori prove che i clienti attiveranno volentieri forme di terapia mediate dalla tecnologia. In ultima analisi la migliore efficienza ottenuta farà crescere il numero di clienti che possono essere gestiti da un singolo psicologo umano.

Di quanti psicologi abbiamo bisogno?

Dato tutto questo, quanti psicologi umani saranno richiesti dalla società in un futuro molto vicino? E’ una domanda a cui non è facile rispondere.

Come abbiamo visto, è praticamente certo che il lavoro dello psicologo possa essere rimpiazzato in larga parte dall’IA. Questo significa che gli psicologi umani dovrebbero essere sostituiti dall’IA?

Molti di noi si sentono a disagio con questa idea. Tuttavia, abbiamo un obbligo morale di usare il trattamento che dà i migliori risultati per i pazienti. Se una soluzione basata sull’IA risulta essere più efficace, affidabile ed economica dovrebbe essere adottata.

I governi e le organizzazioni sanitarie dovranno, con ogni probabilità, affrontare questi temi in un vicino futuro. Ci sarà un impatto sull’occupazione, sulla formazione e sull’istruzione dei professionisti che operano in questo campo.

Le categorie degli operatori hanno bisogno di essere una parte integrante della risposta a tali questioni. Esortiamo gli psicologi e le relative professioni sanitarie affini a essere alla guida di questa trasformazione e a non ignorare ostinatamente la tendenza in atto.

Raccomandiamo tre azioni concrete per migliorare la situazione.

  • Promuovere gli investimenti nella ricerca di come esseri umani e macchine possano lavorare insieme nella valutazione e nel trattamento della salute mentale.
  • Incoraggiare l’attenzione verso la tecnologia tra i membri della categoria.
  • Fornire una considerazione maggiore all’impatto tecnologico nella progettazione del futuro panorama della professione, in particolare quando si riflette intorno alla crescita professionale, all’istruzione e alla formazione».

15 Febbraio 2021

* John Michael Innes
, Adjunct Professor, University of South Australia

** Ben W. Morrison, Senior Lecturer, Organisational Psychology, Macquarie University

*** Fonte: World Economic Forum

Un pensiero su “IL GRANDE RESET IN PILLOLE (3): L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE”

  1. Cittadino dice:

    Non è solo il fatto che si voglia introdurre l’IA in quest’ambito ad essere riprovevole.

    L’intera psicologia attuale è funzionale al pensiero individualista. L’approccio psicoterapico di fatto patologizza le naturali reazioni dell’essere umane all’interno di una società atomizzata che rende sempre più soli e deboli.

    Assume che il problema sia dell’individuo che lo deve risolvere e di fatto lo colpevolizza, deve essere lui e solo lui a prendere coscienza della realtà, rinunciando a cambiarla ma cambiando sé stesso in quanto è lui ad essere sbagliato. E deve farlo “qui e adesso”, il mantra individualistico dell’approccio cognitivo comportamentale.

    A pensarci bene non è strano che questa disciplina, sviluppatasi in ambito borghese, abbia prodotto la “sindrome rancorosa del beneficiato” e non la “sindrome vittimistica del benefattore”. Il potente non si tocca mai mentre il debole va colpevolizzato.

    Allora segnalo di nuovo, lo avevo già fatto in passato, questo interessante scritto: La società suicidogena di cui riporto sotto un estratto (grassetto mio):

    “Le società sviluppate, nella loro fase attuale, sono caratterizzate da una serie di valori e norme sociali che favoriscono l’inquietudine. L’ampia libertà di scelta a fronte di un’amplissima “disponibilità di”, e “accessibilità a”, alternative, l’ethos individualistico
    [..]
    Tutte queste condizioni sono l’humus di cui si alimenta l’inquietudine, soprattutto quella dei giovani, “naturalmente” propensi e disposti a essa.
    [..]
    Viene a crearsi così una situazione di dissonanza, o disequilibrio, tra l’individuo e il suo ambiente sociale di riferimento.
    [..]
    la fase attuale delle società sviluppate, caratterizzata da un paradosso che può essere colto attraverso un ossimoro: un’elevata strutturazione destrutturante.
    [..]
    Tuttavia, la risposta psicologico-psichiatrica continua a inserirsi in una logica di trattamento individualizzato volto a risolvere il problema a livello individuale.”

    Ecco, il problema è molto più complesso di così. E se si vuole costruire una nuova visione del mondo da questo problema non si può sfuggire, anzi si è già in ritardo nell’affrontarlo.

    L’ampia libertà cita l’articolo all’inizio. Vale la pena riportare quanto profeticamente diceva Giorgio Gaber a questo proposito già in tempi passati:

    “Ed eccoci qui anche noi, liberi, liberali, liberisti, siamo per la rivoluzione liberale, ma con la solidarietà, siamo liberistici e per il liberalismo, siamo liberaloidi, libertari, libertini. libertinotti. Liberi tutti!
    No, a me l’America non mi fa niente bene. Troppa libertà, non c’è niente che appiattisca l’individuo come quella libertà lì. Nemmeno una malattia ti mangia così bene dal di dentro.”

    Giovanni

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