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ANCORA SUI NUMERI FARLOCCHI DEL COVID di Leonardo Mazzei

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Negli ultimi giorni l’Istat ha fornito due dati, entrambi sostanzialmente ignorati dai media. Il primo, sul Pil del 1° trimestre 2021, ignorato perché nettamente negativo. Il secondo, sulla mortalità nei mesi di gennaio e febbraio, ignorato perché decisamente positivo. Nel primo caso non si poteva evidenziare troppo la debacle economica del primo trimestre a guida draghiana, nel secondo non si poteva contraddire troppo la narrazione dominante sul Covid.

Sull’economia ci limitiamo a segnalare il tonfo del Pil, con un’ulteriore contrazione dell’1,4% rispetto al primo trimestre 2020. Ora, questa riduzione potrebbe sembrare minimale, se non fosse che proprio il primo trimestre 2020 è stato quello dell’inizio del periodo di confinamento più cupo, con la chiusura di buona parte delle stesse attività industriali. Quel trimestre registrò infatti una diminuzione del 5,6%. Che adesso, dopo un anno, con le industrie aperte, il Pil cali ancora la dice lunga sugli effetti disastrosi della politica governativa. Su tutto ciò regna il più rigoroso silenzio. Silenzio che di sicuro verrà rumorosamente rotto a luglio, quando i dati del secondo trimestre non potranno che registrare un vistoso quanto scontato rimbalzo rispetto al disastro dell’anno precedente. Così va l’informazione nell’attuale regime.

Covid 2021: i numeri non tornano neanche un po’

Passiamo ora al Covid. Qui i numeri dell’Istat sulla mortalità generale confliggono alla grande con quelli del governo sui decessi addebitati al coronavirus. Stando alle cifre ufficiali diramate ogni giorno, i morti Covid dei primi due mesi dell’anno sarebbero stati 23.540, con una media di 399 al giorno.

Se queste cifre fossero reali, se cioè si trattasse davvero di una mortalità aggiuntiva, è evidente che dovremmo riscontrare un analogo aumento della mortalità generale. Ebbene, l’Istat ci dice che non è così. Nel primo bimestre dell’anno l’Istituto di statistica certifica infatti un totale di 126.735 decessi, rispetto ad una media del periodo 2015-2019 di 125.741. Lo scostamento è minimo (+994), pari ad un incremento percentuale dello 0,8%, mentre in base ai dati Covid ci si doveva aspettare un aumento del 18,7%. La differenza è abissale, troppo grande per essere ignorata. Eppure, nemmeno questo ha smosso l’interesse, tantomeno la penna, dei culi di pietra del giornalistume di regime.

Perlomeno nel 2020 i dati Covid e quelli dell’incremento della mortalità generale sembravano combaciare, ma adesso? Diciamo “sembravano”, perché è chiaro che in quel dato sono finiti sia i morti per Covid, che quelli per le cure negate a domicilio e per le terapie sbagliate in ospedale; quelli causati dal degrado della sanità targata Europa e quelli affetti dalle altre patologie ormai dimenticate da una sanità integralmente covidizzata. Tuttavia il totale almeno formalmente tornava. Adesso non più: ne vogliamo parlare?

Per capire come le cose proprio non tornino vediamo ora un’altra clamorosa incongruenza.

Nei giornalieri bollettini nazionali ci viene comunicato il numero delle vittime, quello degli ingressi in terapia intensiva e la differenza rispetto al giorno precedente dei ricoveri in questi reparti. Ovviamente, la somma algebrica degli ultimi due valori ci dà il numero delle uscite giornaliere dalla terapia intensiva. Ma naturalmente l’uscita può avvenire per due opposti motivi, il miglioramento delle condizioni del paziente od il suo decesso.

Ora, tutti siamo portati a pensare che la morte per Covid – almeno nella stragrande maggioranza dei casi – avvenga dopo un periodo, magari breve, di ricovero in terapia intensiva. Ebbene, i dati ufficiali ci dicono invece l’esatto contrario. Aumentando così il dubbio che di veri “decessi Covid” si tratti.

Ma vediamo i numeri, partendo dagli ultimi dati disponibili. Il 25 aprile venivano segnalati 217 decessi con 146 uscite dalle terapie intensive (t.i.); il 26 aprile le vittime sono state 301 con 145 uscite dalle t.i., il 27 abbiamo avuto 373 vittime e 278 uscite, il giorno 28 a fronte di 344 decessi le uscite dalle terapie intensive sono state 205. Per non farla lunga abbiamo preso a titolo d’esempio solo 4 giorni ma, come ognuno può verificare, questo è l’andamento costante da un anno a questa parte. Bene, prendendo come campione questi quattro giorni, abbiamo che a fronte di 1.235 morti, le persone uscite dalle terapie intensive sono state solo 774, pari al 62,6% dei deceduti. Dunque, anche se per assurdo volessimo pensare che da lì si esce solo morti, avremmo comunque un 37,4% di “vittime Covid” che dalle t.i. non è passato…

Ma per fortuna – e ci mancherebbe altro! – dalle terapie intensive i più escono vivi. Questo è un dato che nazionalmente non ci viene fornito, chissà perché. Da un po’ di tempo ce lo fornisce invece, anche se con qualche irregolarità, la Regione Toscana. Prendiamola dunque come campione, anche perché si tratta di una regione abbastanza grande e con un’incidenza dell’epidemia nella media nazionale.

Quelli della Toscana sono numeri clamorosi, almeno se ci si prende la briga di analizzarli per quel che ci dicono. Consideriamo qui i dati del 22, 23, 27, 28, 29 e 30 aprile. Per motivi a noi ignoti, la Regione non ha infatti comunicato quelli del 24, 25 e 26 aprile. Possiamo tuttavia garantire che anche le cifre dei giorni precedenti al periodo considerato sono assolutamente omogenee a quelle qui prese in esame. Nei sei giorni di cui sopra i morti classificati come “vittime Covid” nella regione sono stati 172, ma quelli deceduti in terapia intensiva risultano solo 44, cioè il 25,5% del totale.

Domanda, da dove arrivano gli altri “decessi Covid”? All’appello ne mancano 3 su 4. Il 75% di chi muore per Covid non vede neppure da lontano la terapia intensiva? Ma vi sembra normale? Ammesso che possa mai esserlo, ciò contraddirebbe clamorosamente la narrazione ufficiale. Non sarà che quel 75% dei decessi col Covid non c’entra proprio nulla, come del resto ci suggeriscono anche i dati Istat sulla mortalità generale del primo bimestre dell’anno?

Ora, l’opinione di chi scrive è nota e non sto qui a ribadirla. I dati citati dovrebbero però alimentare qualche dubbio anche in chi la pensa diversamente. Forza, che non è mai troppo tardi!

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