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IL DILEMMA RUSSO di Moreno Pasquinelli

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Fiumi di inchiostro sono utilizzati a commento del bilaterale tra Biden e Putin a margine del G7. Una melassa indigesta di luoghi comuni, condita all’occorrenza di gossip e pseudo-retroscena su quello che i due capi di stato si sarebbero detti e su ciò su cui avrebbero trovato un accordo. La verità è che mai come adesso certi “dettagli” debbono essere tenuti segreti all’opinione pubblica. Il prodotto e gli effetti di questo incontro li vedremo nei prossimi anni. Non resta che svolgere delle deduzioni le quali, beninteso, per essere validate debbono passare il vaglio della realtà effettuale.

Certo i due avranno discusso di cyber war, di Ucraina, Siria e Libia; degli arsenali nucleari e di come evitare una guerra atomica che nessuno potrà vincere. Il tema centrale che Biden avrà tentato di mettere sul tavolo, noi riteniamo, è stato tuttavia quello della Cina. Per la precisione: Biden avrà cercato — visto che è la Cina che gli USA considerano il nemico strategico più temibile —, di portare dalla sua parte Putin o, quantomeno, di ottenere la sua neutralità in caso di una escalation.

Non sappiamo cosa Putin abbia risposto e se abbia risposto. Forse ha preso tempo, visto che l’élite russa, rispetto a queste prevedibili avances yankee, è divisa assai. Putin torna a Mosca sapendo che prima o poi una risposta dovrà essere data. Si può supporre che da astuto negoziatore, e per nome di un impero che alle spalle dell’ostentato wilsonismo e della tanto cianciata difesa dei diritti umani, Biden avrà fatto delle offerte a Putin in cambio, se non di un aperto appoggio, della neutralità russa in merito alla politica di duro contrasto alla Cina. Nel mercato imperialistico delle vacche avrà assicurato il non ingresso dell’Ucraina nella NATO, di chiudere gli occhi sul North Stream, di accettare l’instabile equilibrio in Siria e Medio oriente e nel Mediterraneo orientale.

Putin torna quindi a Mosca con nel paniere alcune promesse da parte americana ma con un gigantesco dilemma: che fare rispetto alla crociata yankee contro la Cina — di contenimento economico e geopolitico e, ove si rivelasse inevitabile, bellica? Dilemma tormentoso poiché Putin sa bene almeno tre cose: (1) che Pechino, pur attrezzandosi alla bisogna, vorrebbe in ogni modo evitare un conflitto catastrofico con gli Stati Uniti, ovvero vorrebbe trovare con Washington un equilibrio globale di more uxorio; (2) che ove Cina e USA riuscissero a trovare un accordo strategico questo non potrebbe essere che a spese della Russia; (3) terza cosa: mai fidarsi degli yankee, abili nel fare il doppio gioco e nell’agire su più tavoli, ovvero sapendo che gli USA potrebbero effettivamente accettare un compromesso con Pechino a spese di Mosca — prospettiva questa auspicata da pezzi importanti del deep state americano, da settori potenti della grande borghesia economico-finanziaria yankee, dalla Ue e per finire dall’élite globalista che furoreggia per il Grande Reset.

Questo è il grande gioco con cui è iniziato il XXI secolo, in cui la Russia è la “variabile decisiva”.

Al riguardo non possiamo quindi che ribadire quanto scrivevamo nella TRAPPOLA DI TUCIDIDE:

«Non mi pare che Mosca voglia essere trascinata in una guerra su larga scala. Il che significa, di contro a chi esagera la convergenza con Pechino, nemmeno a favore della Cina. (…) Posso dunque immaginare che la Russia, si terrà alla larga dal venire invischiata in un conflitto, e non siglerà alcun patto bilaterale che implichi come tassativo il proprio intervento».

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LA TRAPPOLA DI TUCIDIDE

30 marzo 2021

Non c’è bisogno di ricorrere all’empirismo scettico di D. Hume per capire che nella dimensione del divenire storico-sociale non c’è rapporto univoco e lineare tra causa ed effetto. Si può anche essere più assertivi ed affermare senza possibilità di smentita che: (1) posta una causa da questa possono venire multipli e imprevedibili effetti; (2) viceversa, ogni effetto, ogni fenomeno, è il risultato dell’interazione  di diverse cause; (3) così che l’effetto è, per sua natura, più ricco e fecondo di possibilità della causa o del concorso di cause che l’ha prodotto.

Si può discettare a lungo se ci possa essere una filosofia della storia, se, posta l’inattendibilità della aristotelica causa efficiente, valga invece il principio anti-teleologico di W. Wundt della eterogenesi dei fini. Sia come sia, dal momento che la storia ha cacciato il determinismo dalla porta, è bene che non lo si faccia rientrare dalla finestra. Come ebbe a dire uno che di politica è stato grande stratega, la politica è un’arte, non una scienza. Non lo è appunto perché non vale il determinismo. Detto altrimenti: l’azione politica (poiché d’azione finalizzata ad uno scopo qui si parla) deve tener conto di diversi ordini di realtà. Non ci sono solo le leggi economiche, non ci sono solo le costanti geopolitiche, non ci sono solo strutture e sovrastrutture statuali. Se l’azione politica chiama in causa l’intervento attivo delle masse qui entrano in gioco variabili che hanno a che fare con fattori quali la passione, il sentimento, il mito. Fattori che sono quindi destinati a mescolarsi con quelli, in ultima istanza decisivi, quali la ragione e la coscienza.

Vale dunque nel mondo storico-sociale il principio dell’indeterminismo? La risposta è sì, posto che questo principio tira in ballo il rapporto biunivoco tra soggetto e oggetto; e posto che esso non implica né il caos — vedi la storiella secondo cui un battito d’ali di una farfalla in Cina provoca un tornado negli Stati Uniti —, né il dominio metafisico del caso. Vale invece l’idea della contingenza, o l’incontro tra causalità e accidentalità.

Ciò che vale per chi l’ordine di cose esistenti vuole rovesciare, vale a maggior ragione per chi viceversa vuole conservarlo.

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Dopo il crollo dell’URSS e l’11 settembre, l’ambizione di Washington era quella d’imporre e stabilizzare un ordine monopolare — meglio noto come Project for the New American Century. Questa pretesa è fallita per diverse e concomitanti ragioni. Due fattori balzano agli occhi: il risorgimento della Russia come grande potenza militare e la poderosa avanzata cinese. Senza dimenticare che quella brama egemonica si schiantò sui campi di battaglia dell’Iraq e dell’Afghanistan. Il collasso finanziario del 2007-2009, ponendo fine al mito della società opulenta, fece il resto.

E’ venuto così avanti il tanto strombazzato “ordine policentrico o multipolare”. Concetto non solo ambiguo, ma fasullo e deviante. Il concetto farebbe pensare ad un equilibrio, per quanto disarmonico e conflittuale, tra potenze nascenti e declinanti. Concetto fasullo visto che non solo non c’è alcun equilibrio, c’è invece squilibrio, così che dovremmo dire che siamo dentro ad un “disordine multipolare”.

Sì, per chi scrive il mondo sta entrando in quella che per convenzione è stata definita la Trappola di Tucidide: è già in atto tra potenze nascenti e declinanti una competizione dura per la supremazia mondiale e detta competizione ha un’alta probabilità di sfociare in una guerra su larga scala. Allora fu Sparta a scatenare il conflitto per arrestare la crescente egemonia della potenza ateniese. Oggi chi avrebbe interesse a scatenare una nuova devastante guerra globale (ciò non implica che essa sia destinata a sfociare in terza guerra mondiale, visto che potrebbe concentrarsi in un singolo pur grande scacchiere mondiale, e non coinvolgere necessariamente vasti schieramenti internazionali)?

Non è difficile rispondere a questa domanda: sono gli Stati Uniti d’America. Il perché è presto detto. Gli Stati Uniti sono a tutt’oggi la principale potenza mondiale —ovvero prima potenza nei campi militare, economico, finanziario, scientifico e culturale —, ma tutti i dati ci dicono che sono una potenza al tramonto, mentre la Cina, prima o poi, è destinata a prendere il sopravvento. La domanda è d’obbligo: ha mai accettato una grande potenza imperiale o imperialista di consegnare ad un’altra concorrente lo scettro della sua supremazia? La risposta è no.

Chi ha visto nel trumpismo la rinascita della tradizionale corrente isolazionista americana si sbagliava. L’isolazionismo è un lusso che nessun impero può permettersi. Per usare una metafora: il trumpismo era l’imperialismo americano che faceva un passo indietro, prendere la rincorsa, e quindi fare un nuovo balzo in avanti. L’arrivo di Joe Biden, all’insegna dell’aggressivo e urticante slogan America is back!, è espressione della consapevolezza che anche il passo indietro è un’opzione che l’impero non può permettersi; che solo una strategia multilaterale e asimmetrica d’attacco può sbarrare la strada alla Cina. Di qui, nel caso non si riesca ad azzoppare l’Impero di mezzo, la possibilità, per meglio dire, l’alta probabilità, che il Deep State americano stia considerando come inevitabile lo sbocco bellico. Quando questi Dr. Stranamore si proiettano nell’orizzonte dell’inesorabile è certo che essi vogliano tentare di attaccare per primi, poiché ciò darebbe loro il grande vantaggio della sorpresa e di scegliere il campo da gioco.

Manco a dirlo nell’equazione c’è una variabile decisiva, quella russa. La forza d’urto militare ricostruitasi sotto il regno di Putin è talmente poderosa che la sua eventuale discesa in campo a favore dell’uno o dell’altro potrebbe determinare l’esito del conflitto. Non mi pare che Mosca voglia essere trascinata in una guerra su larga scala. Il che significa, di contro a chi esagera la convergenza con Pechino, nemmeno a favore della Cina. Washington, del resto, non può permettersi di combattere una guerra su due fronti, nel Pacifico contro la Cina e in Europa e Medioriente contro la Russia — semmai al Pentagono immaginano una guerra in due tempi. Come ci indicano sia il primo che il secondo conflitto mondiale, si sa come le guerre iniziano, non come finiscono. Nemmeno Stalin voleva entrare in guerra, e per questo siglò un patto con Hitler, sperando che la sua vittoria ad Occidente, l’avrebbe non solo trattenuto dall’aggressione a oriente, ma saziato. Non fu così e l’errore (l’aver abbassato la guardia) fu pagato a carissimo prezzo. Posso dunque immaginare che la Russia, si terrà alla larga dal venire invischiata in un conflitto, e non siglerà alcun patto bilaterale che implichi come tassativo il proprio intervento.

Impostori e sicofanti, ovvero gli italioti, fanno il verso all’élite americana, agitando lo spauracchio cinese, alimentando, chi apertamente e chi a mezza bocca, la guerra di propaganda (che com’è noto anticipa sempre, perché propedeutica, quella militare vera e propria). Tentare di convincerli è tempo perso, che si sono già messi l’elmetto in nome dell’atlantismo. Molti sono gli incerti ed i confusi. Va spiegato loro che se in generale non è mai stata la potenza nascente a cercare il pretesto della guerra, ciò vale ancor più oggi per la Cina. L’élite cinese lavora sui tempi lunghi; non di guerra ma di stabilità ha bisogno, e questo implica guadagnare tempo. E va quindi spiegato agli italiani che per il nostro Paese è più necessario che mai, tanto più con l’arrivo di Biden, sganciarsi dalla NATO, poiché restarci dentro implica essere trascinati in una guerra che non potrà che condurci nell’abisso, sempre meno nazione sovrana, condannati a diventare insignificante e disarmato protettorato coloniale della potenza che dovesse uscire vincente.

Trump non c’è più, è arrivato Biden. Nel nuovo contesto, per quanto il fatto complichi e di molto la nostra battaglia, ciò significa che l’uscita dalla Unione europea chiama in causa, lo si voglia o meno, anche lo sganciamento dalla NATO.

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Cosimo de’ Medici sembra avesse detto a Savonarola che “Gli stati non si governano coi paternoster”. Ci dice il Machiavelli che Savonarola rispose che quel precetto fosse “di tiranni e non di veri principi”. Prima o poi dovremmo lasciarci alle spalle il “momento Polanyi” per entrare nel “momento machiavelliano”. L’Italia, ridotta in cenci, ha bisogno più che mai di un Nuovo Principe, di un gramsciano Partito rivoluzionario, di un profeta armato che chiami il popolo all’azione. Azione che tra tutte le “virtù” Machiavelli considerava la più importante.

5 pensieri su “IL DILEMMA RUSSO di Moreno Pasquinelli”

  1. Cittadino dice:

    Ammesso che cose stiano davvero così, Putin avrebbe tutto il vantaggio ad accettare una simile proposta da Biden.

    Infatti in eventuali provocazioni alla Cina non sarebbe mai in grado di andare fino in fondo, esattamente come non è stato in grado di andare fino in fondo pochi mesi fa nella nuova destabilizzazione dell’Ucraina. Ma anche coem non furono in grado, ai tempi di Obama/Clinton di lanciare un attacco definitivo alla Siria. Insomma, come direbbe l’atlantista Sapelli ormai sono un impero dimidiato, lui se ne rammarica io invece me ne compiaccio.

    A queste condizioni sarebbe molto conveniente per Putin prendere tempo ed incassare una qualche tregua (che ovviamente sarebbe solo temporanea) sulla questione del nord stream e fargli fare qualche altro passo avanti mentre Biden si impantana nel maldestro tentativo di ridimensionare la Cina.

    Insomma se Biden dice a Putin: “Non intervenire mentre io li provoco”, Putin può tranquillamente rispondere: “Vai avanti tu che a me mi vien da ridere”.

    Il problema è quanto dureranno questi tentativi di Biden, perché finché durano la globalizzazione continuerà a trascinarsi agonizzante senza l’auspicato scossone che possa farla finalmente trapassare. Ma prima poi le oligarchie USA dovranno rendersi conto che questa strategia non li avvantaggia più e regolarsi di conseguenza. Allora vedremo, speriamo solo che questo momento arrivi quanto prima.

    Giovanni

  2. RobertoG dice:

    Io penso che Russia e Cina dovrebbero allearsi e costituire l’asse portante intorno al quale far ruotare tutte quelle nazioni che sono decise a farla finita con l’impero americano. Non si tratta di dichiarare guerra ma di creare un polo alternativo, si spera sempre più numeroso, che poi potrebbe anche sviluppare una sua dottrina sociale e politica in opposizione con la globalizzazione e fondata sul rispetto delle culture e delle realtà locali. E’ il momento buono per farlo perchè l’unipolarismo americano è in difficoltà e sta cercando di dividere i suoi avversari per neutralizzarli poi separatamente. L’unica cosa su cui Putin potrebbe davvero trattare con gli yankee sarebbe la chiusura definitiva ed irreversibile della NATO e di qualsivoglia altra alleanza consimile, ma questo visto che a Carbis Bay Johnson e Biden hanno appena firmato la nuova Carta Atlantica appare davvero improbabile se non impossibile.

  3. Francesco dice:

    A mio modo di vedere, se si adotta come “presupposto” il cosiddetto Grande Reset, vale a dire se consideriamo il progetto cosi’ denominato come un dato CERTO (…E io sono di questa opinione…) allora l’ipotesi piu’ probabile vede Usa e Cina da un lato (…con la Cina colonna indispensabile al progetto sia per i vari “intrecci” tra societa’ hitech cinesi e americane, sia per una “banale” questione demografica) e Russia “potenzialmente” dall’altra parte perche’ non indispensabile al progetto.
    Dico Russia “Potenzialmente” dall’altra parte, perche’ coloro che parteggiano per il Grande Reset penso abbiano tutto l’interesse a non inimicarsela apertamente, (…cosi’ che il loro progetto possa avanzare piu’ speditamente) quindi spingeranno per farle delle “concessioni” che la tengano buona almeno per un po’.
    Resta da vedere per quanto tempo questo “equilibrio” potra’ reggere.

    Francesco F.
    Manduria (Ta)

  4. carlo dice:

    Bravo Francesco F, ottimo intervento: Deep State e Partito Comunista stanno dalla stessa parte.

  5. Nello dice:

    Credo che sia nell’interesse strategico della Russia un asse negoziato con la Cina e la promessa del suo appoggio in funzione anti-USA, anche per contenere l’aggressività espansionistica cinese soprattutto nelle ampie zone di confine, dalla Siberia all’estremo Oriente . Da sempre gli USA temono un simile fronte. Se poi dovessero aggiungersi alla nuova Duplice Intesa anche Giappone (risolta l’annosa questione delle Curili) e Corea ,allora il gioco per la Russia sarebbe fatto…

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