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LA FINE DEL SINDACATO. IL CASO AMAZON di S. C.

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«Quanto narrato ci dice quale sia il modello di relazioni sociali che sta avanzando negli USA, e ciò che i cervelloni del Grande Reset immaginano di esportare in giro per il mondo. Modello che essi chiamano pomposamente Stakeholder Capitalism. Un corporativismo di tipo fascista sub specie liberirticus».

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Il 22 marzo scorso si svolse il primo sciopero nazionale della filiera Amazon Italia, la protesta interessò circa 30mila persone, di cui 9500 dipendenti dei magazzini e hub con contratto nazionale di logistica, olte che le aziende fornitrici di servizi di logistica, della movimentazione e della distribuzione delle merci.

Lo sciopero, indetto dai Confederali venne deciso dopo l’interruzione nella trattativa per la contrattazione di secondo livello della filiera Amazon.

«Sul tavolo di discussione ci sono la verifica dei carichi e dei ritmi di lavoro imposti, la verifica e la contrattazione dei turni di lavoro, la riduzione dell’orario di lavoro dei driver, gli aumenti retributivi, la clausola sociale e la continuità occupazionale per tutti in caso di cambio appalto o cambio fornitore, la stabilizzazione dei tempi determinati e dei lavoratori somministrati e il rispetto delle normative sulla salute e la sicurezza, l’indennità Covid».

Un classico e sacrosanto sciopero sindacale, ma nessuna contestazione (politica) del nefasto modello economico e sociale che Amazon rappresenta. Ne è prova quel che affermò Tania sacchetti, della segretaria confederale della Cgil:

«È importante che Amazon incrementi le proprie attività in Italia, ma non è sufficiente offrire occasioni di lavoro. Abbiamo ancora problemi insostenibili di carichi, di tempi, di eccessiva precarietà lavorativa».

C’è chi subito parlò di “nuova primavera del sindacalismo”. In verità l’annuncio è stato prematuro. I dati sulla partecipazione allo sciopero furono alquanto contraddittori. Sta di fatto che della vicenda non se ne è più parlato. Andata nel dimenticatoio, come condannati ad un definitivo tramonto sembrano condannati si sindacati (tutti), soprattutto nei settori industriali rampanti, ovvero in ambiente “GIG Economy”, segnato da lavori a chiamata, contratti temporanei e occasionali.

Restando proprio al gigante Amazon vale la pena segnalare quanto accaduto negli Stati Uniti — il centro del capitalismo occidentale, il luogo dove quanto accade si ripercuote nelle periferie come l’Italia. Ce Ne parlava Marco Valsania su Il Sole 14 Ore del 9 aprile.

Quanto narrato ci dice quale sia il modello di relazioni sociali che sta avanzando negli USA, e ciò che i cervelloni del Grande Reset immaginano di esportare in giro per il mondo. Modello che essi chiamano pomposamente Stakeholder Capitalism. Un corporativismo di tipo fascista sub specie liberirticus.

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Amazon, i lavoratori americani respingono l’ingresso del sindacato in azienda

Nello scontro-simbolo nel centro di Bessemer in Alabama ben il 70% contrari alle union. Polemica su comportamenti anti-sindacali dell’azienda

Bessemer è nel cuore del sud americano, a poca distanza da Birmingham in Alabama. Ma questa cittadina di 27.000 abitanti è diventata teatro di uno scontro sociale e politico dalle implicazioni nazionali, sul futuro del sindacato e delle relazioni industriali negli Stati Uniti. Qui i quasi seimila dipendenti di un magazzino e centro di distribuzione di Amazon – da sempre contraria alle union – hanno votato se aderire o meno al sindacato e hanno deciso non farlo, con una secca maggioranza die due a uno. E qui è scattato un test del clima sociale nell’era di Joe Biden alla Casa Bianca, che del sindacato è un ufficiale sostenitore e si era espresso a favore dell’azione delle union.

Uno scontro-simbolo

L’esito dello scontro è stato una netta vittoria della Corporate America e una drammatica sconfitta dei sindacati. La posta in gioco è presto detta. La sconfitta potrebbe segnare nuove e profonde battute d’arresto delle union, scoraggiando ulteriori campagne di rilancio della sindacalizzazione negli Stati Uniti e in particolare in nuove aziende e settori, dal commercio elettronico al tech in generale. E che il sindacato spera invece sia una battaglia persa in un conflitto ancora lungo e dal quale non intende ritirarsi.

I no al 70%

I dipendenti del centro di distribuzione al centro della vicenda si sono espressi per oltre il 70% contro l’adesione alla Retail, Wholesale and Department Store Union. Per il colosso di e-commerce e Internet, la sfida sindacale di Bessemer è stata la più significativa negli Stati Uniti, dove impiega ormai un milione di persone (su 1,3 milioni globali), secondo datore di lavoro del Paese dietro a Walmart. Da quando è stata fondata nel 1995, Amazon aveva finora respinto solo campagne più marginali delle union per un ingresso nel gruppo.

Protesta del sindacato

La RWDSU ha chiesto indagini e accusato Amazon, da sempre contraria a rappresentanze dei lavoratori, di tattiche antisindacali e illegali durante un’aggressiva campagna. “Non lasceremo che le menzogne di Amazon passino senza risposte”, ha fatto sapere il segretario generale del sindacato Stuart Appelbaum. Il sindacato vorrebbe che le autorità cancellino le elezioni come viziate.

Il responso sancito dal Nlrb federale

Ma la bocciatura al conteggio finale appare netta. La normativa americana prevede un voto a maggioranza dei dipendenti, gestito dal National Labor Relations Board, autorità federale di supervisione della normativa sui rapporti di lavoro: dei 5.805 aventi diritto nel grande magazzino, in sette settimane di voto si è espresso il 55 per cento. A conti fatti, 1.798 schede contro il sindacato, 738 a favore e circa 500 temporaneamente annullate, non abbastanza da alterare l’esito. “Le schede incerte non sono sufficienti a influenzare il risultato”, ha fatto sapere il Nlrb.

Le speranze sindacali

La union aveva sperato di far breccia in un centro di recente apertura, da poco più di un anno, e con l’85% di dipendenti afroamericani, spesso più sensibili all’appello del sindacato. Ha fatto leva su proteste per le pesanti condizioni di lavoro, raccogliendo denunce di lavoratori su carichi eccessivi e mancanza di pause. Secondo gli osservatori, in gioco con un successo del sindacato era anzitutto la massa in discussione della grande flessibilità voluta dall’azienda nella gestione della manodopera, a Bessamer come ovunque nel Paese, con rapidi licenziamenti e assunzioni davanti alle oscillazioni della domanda.

La risposta dell’azienda

Amazon ha ufficialmente replicato agli sforzi del sindacato sottolineando che, in uno stato disagiato quale l’Alabama, offre polizze sanitarie e un salario minimo di 15 dollari l’ora, il doppio del minimo federale. Che i dipendenti possono avere opportunità di carriera. E ha rivendicato i vantaggi d’una “diretta connessione” dei lavoratori con l’azienda, senza filtri sindacali giudicati controproducenti.

Gli ostacoli al sindacato

Negli Stati Uniti, però, le campagne di sindacalizzazione incontrano tradizionalmente gravi difficoltà. Le imprese hanno costante accesso ai dipendenti sul luogo di lavoro, anche per pressioni e intimidazioni, mentre le union non possono essere presenti all’interno. Le autorità federali hanno spesso pochi poteri per intervenire. Nel caso di Bessemer il sindacato ha criticato l’azienda per aver organizzato un’aggressiva campagna a base di meeting obbligatori anti-sindacali per i dipendenti, pubblicità, manifesti, text, promozione di siti anti-sindacali. Il contenuto delle azioni aziendali è stato spesso controverso: votando per il sindacato i lavoratori avrebbero perso la loro voce, le union sono un business e prendono i vostri soldi per nulla. Militanti sindacali hanno denunciato ostacoli anche a fare campagna all’esterno, compresa l’accelerazione di semafori nei pressi del centro che sarebbero gestiti dall’azienda. Durante lo stop al rosso lavoratori pro-sindacali erano soliti fare campagna. Amazon è inoltre nota per i messaggi anti-sindacali anche nei video di istruzioni ai nuovi dipendenti, temporanei o permanenti.

Un declino storico

Il sindacato oggi conta su una crescita di popolarità nei sondaggi. Ma le iscrizioni restano in declino storico. Il tasso di sindacalizzazione è pari all’11% nel Paese e ancora più basso, all’8%, in Alabama. Migliora nel settore pubblico, mentre scivola tra la aziende private. Aziende tech e di servizi digitali nel recente passato sono finite nella bufera per drastici comportamenti antisindacali, tra queste Google per il licenziamento di dipendenti che avevano organizzato proteste. In quel caso le autorità federali diedero torto all’azienda.

7 pensieri su “LA FINE DEL SINDACATO. IL CASO AMAZON di S. C.”

  1. Cittadino dice:

    I sindacati per definizione non hanno mai chiesto di cambiar modello sociale, ma solo di mettere delle pezze al modello sociale esistente senza cambiarlo.

    La “stabilizzazione dei tempi determinati e dei lavoratori somministrati” di fatto non contesta il precariato ma chiede, come sempre avviene, la soluzione occasionale (e parziale) per questo o quel gruppo.

    Contestare il precariato significherebbe dire a chiare lettere che è illegittimo che alcuni lavoratori abbiano fatto quel lavoro in quelle condizioni contrattuali, destituendo di legittimità la stessa forma contrattuale precaria, identificando contestualmente la forma contrattuale nella quale i lavoratori avrebbero dovuto essere inseriti. Ciò significa stabilire che sono stati danneggiati, il danno pregresso deve essere risarcito e quello presente e futuro rimosso. Ma soprattutto si estenderebbe, almeno il linea di principio, a tutti i precari. Ma mi rendo conto che per questo servirebbe un sindacato rivoluzionario e non uno che blandisce l’assuefazione del popolo all’iniquità del “non ce n’è per tutti”.

    La tutela contrattuale del lavoro è un diritto e non una lotteria. Mentre la stabilizzazione è una lotteria, i sindacati non vogliono la fine della lotteria ma chiedono un maggior numero di estrazioni ed un maggior numero di vincitori della lotteria della stabilizzazione, di fatto legittimando la lotteria stessa.

    Lo dimostra in fondo anche la frase “problemi insostenibili di carichi, di tempi, di eccessiva precarietà“, che in fondo lascia trasparire il vero retropensiero del sindacato che, ovvero che al di sotto della soglia che essi ritengono eccessiva invece il precariato sia tollerabile.

    Giovanni

  2. sarah dice:

    Schwab supporta in ogni modo Antifa, rete di estrema sinistra mondiale socialisti globalisti. E voi lo chiamate fascista??? ma parteggiate per il Grande Reset in altro modo voi altri

    1. Marika dice:

      Schwab ha fondato il World Economic Forum di Davos (di cui è attualmente direttore esecutivo), cioè il “club” che raccoglie i piů ricchi e potenti del mondo. “Great Reset” è stato, non a caso, il tema del convegno di Davos. Schwab supporta gli antifa? Fatti due riflessioni, se sei in grado.

    2. Francesco dice:

      Gentile Sarah perdonami, ma il tuo ragionamento e’ COMPLETAMENTE PRIVO DI LOGICA.
      Che Schwab NON SIA un Socialista e’ del tutto EVIDENTE (…ALMENO SPERO)
      Che il Wef NON SIA un’organizzazione che punta a realizzare il Socialismo e’ un dato ALTRETTANTO EVIDENTE (…Almeno spero…)
      Fatte quindi queste premesse c’e’ UNA SOLA E UNICA spiegazione se Schwab supporta i cosiddetti Antifa: che i suddetti siano Antifascisti SOLO DI FACCIATA. Non ti pare?

      Francesco F.
      Manduria (Ta)

  3. antiantifa (catanese fiero) dice:

    Antifa e Blm i più ricchi del mondo, con attici al centro di New York!!!!

  4. Luigi dice:

    Si e il Partito Comunista Cinese è poverissimo!!!

  5. mariofascismolibertà@gmail.com dice:

    Nel senso che Trump è un populista fascista/nazionalista anticapitalista ecc, penso intenda Sarah.

    Mario Latini

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