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LA SOVRANITA’ ITALIANA IN UNA PROSPETTIVA STORICA di Andrea Zhok

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Qualche giorno fa ho letto sulla rivista Limes alcune considerazioni scritte in forma anonima da un ufficiale americano in congedo. Nulla di davvero nuovo, né sconvolgente, solo un promemoria della situazione reale dell’Italia in rapporto agli USA.

«Che cosa abbiamo? Il controllo militare e di intelligence del territorio, in forma pressoché totale. E quel grado, non eccessivo, di influenza sul potere politico -soprattutto sui poteri informali ma fondamentali che gestiscono di fatto il paese. Quello che voi italiani ci avete consegnato nel 1945 -a proposito, se qualcuno di voi mi spiegasse perché ci dichiaraste guerra, gliene sarei davvero grato- e che non potremmo, nemmeno volendolo, restituirvi. Se non perdendo la terza guerra mondiale.

In concreto -e vengo, penso, a quella «geopolitica» di cui parlate mentre noi la facciamo- dell’Italia ci interessano tre cose. La posizione (quindi le basi), il papa (quindi l’universale potenza spirituale, e qui forse come cattolico e correligionario del papa emerito sono un poco di parte) e il mito di Roma, che tanto influì sui nostri padri fondatori.

La posizione. Siete un gigantesco molo piantato in mezzo al Mediterraneo. Sul fronte adriatico, eravate (e un po’ restate, perché quelli non muoiono mai) bastione contro la minaccia russa, oggi soprattutto cinese. Ma come vi può essere saltato in mente di offrire ai cinesi il porto di Trieste? Chiedo scusa, ma avete dimenticato che quello scalo di Vienna su cui i rossi di Tito stavano per mettere le mani ve lo abbiamo restituito noi, nel 1954? E non avete la pazienza di studiare il collegamento ferroviario e stradale fra Vicenza (e Aviano) e Trieste -ai tempi miei faceva abbastanza schifo, ma non importa- che fa di quel porto uno scalo militare, all’intersezione meridionale dell’estrema linea difensiva Baltico-Adriatico? E forse dimenticate che una delle più grandi piattaforme di comunicazioni, cioè di intelligence, fuori del territorio nazionale l’abbiamo in Sicilia, a Niscemi, presso lo Stretto che separa Africa ed Europa, da cui passano le rotte fra Atlantico e Indo- Pacifico?».

Il testo prosegue in modo interessante, ma siccome non sono qui intenzionato a sviluppare un discorso di natura geopolitica, per quel che voglio dire, basta così.

Parto da queste valutazioni, che sono un semplice realistico bagno di realtà, per fare alcune considerazioni generali sulla condizione storica dell’Italia.

Il dato di partenza, ben illustrato nel passaggio succitato, è che l’Italia non è in nessun modo valutabile come un paese politicamente sovrano.

Siamo un protettorato USA, cui è stato concesso di acquisire una seconda forma di dipendenza, economica, nei confronti della Germania, nella cornice UE. Questo è quanto.

Siamo dunque poco più di un’espressione geografica, come diceva Metternich, la cui politica ha minimi margini di gioco.

Siamo lontani dagli anni in cui vedevamo le dirette ingerenze dei “servizi segreti deviati” nella politica italiana (“strategia della tensione”), ma ne siamo lontani semplicemente perché ciò che spontaneamente si agita nella politica italiana è già totalmente asservito, e non richiede una manipolazione troppo robusta.

Facciamo una politica estera che ci viene dettata nei dettagli dagli USA, abbaiando obbedienti ai loro avversari.

Facciamo una politica interna innocua e perfettamente inconcludente, e una politica economica apprezzata dagli USA (e che coincide con il gradimento degli ordoliberisti tedeschi.)

Questa è la situazione e, come dice correttamente l’ufficiale, non cambierà fino alla terza guerra mondiale (o fino ad un cataclisma di pari portata).

I margini reali della nostra politica sono quelli che passano tra l’essere un paese nel gruppo di coda nella cornice ordoliberista europea e l’essere un paese nel gruppo di testa, nella stessa cornice. Possiamo cioè migliorare un po’ le condizioni di vita di alcuni gruppi, nel quadro economico dato.

Non è un obiettivo insignificante, può essere meritevole di impegno, ma segnala chiaramente i confini di una politica nazionale che vive nella boccia dei pesci rossi tenuta sul comodino dagli USA.

Non è in discussione la cornice di sistema economico, così come non è in discussione nulla che riguardi la politica estera.

Per quelli che si riempiono la bocca di ‘libertà’ è utile capire che la libertà che abbiamo è quella che il guardiano del carcere concede ai detenuti modello.

In questo contesto, c’è qualcosa che possiamo fare? C’è un ruolo che possiamo giocare senza che sia già pregiudicato?

Direi che rimane soltanto un autentico spiraglio di libertà positiva. E’ lo spiraglio, per rifarci ad un modello classico – e inarrivabile -, che aveva la Grecia antica rispetto alla strapotenza romana: non abbiamo margini per muovere foglia sul piano della politica sovrana, ma potenzialmente avremmo qualcosa da dire come ‘potenza culturale’.

Lo so che siamo troppo occupati, grazie ai nostri media, a piangerci addosso per non essere abbastanza simili al padrone americano.

Lo so che tutto ciò che viene promosso come esemplarità da perseguire dal nostro apparato informativo non travalica i limiti di un’emulazione goffa del modello americano.

Non paga del colonialismo materiale, economico e politico una parte significativa delle classi dirigenti del nostro paese, incardinata nel sistema mediatico, cerca h24 di ridurre l’Italia anche ad una colonia culturale.

Ciò avviene in mille modi, dall’adozione di modelli formativi di ispirazione americana, all’assorbimento passivo illimitato della filmografia americana (e dei suoi temi, che siamo indotti a immaginare siano i nostri), alla resa incondizionata a tonnellate di imprestiti linguistici da parvenu (ci muoveremo grazie al Green pass, canteremo le lodi del Recovery fund, che ci permetterà di ribadire il Jobs act, dopo essere finalmente usciti dal Lockdown, in attesa che vadano al governo quelli della Flat tax al posto di quelli del Gender fluid, e ci dedicheremo allo Smart working, rivitalizzando i settori del Food e del Wedding, mentre lotteremo impavidi contro le Fake news.)

Fortunatamente, nonostante tutti i tentativi di distruzione, le tradizioni culturali hanno una natura coriacea, un’inerzia che tende a permanere nonostante le attività di boicottaggio costante.

E così, nonostante la distruzione sistematica di scuola e università sul piano istituzionale, una tradizione di formazione mediamente decente, a volte brillante, continua a persistere.

E così, nonostante la demolizione a colpi di squallore american-style della cultura musicale, in quello che un tempo era considerato il paese musicale per eccellenza, rimangono buone tradizioni di formazione e continuiamo a produrre musicisti di rango.

E così, nonostante i tentativi di devastare la cultura enogastronomica più ricca del mondo a colpi di bollinature UE e promozioni McDonald’s, rimane un’ampia cultura diffusa della buona alimentazione.

Ecc. ecc. …

Il punto di fondo credo sia il seguente.

Nel medio-lungo periodo l’unico vero patrimonio che, come italiani, siamo nelle condizioni di coltivare, preservare e sviluppare liberamente è quello culturale.

Abbiamo ereditato una delle dieci tradizioni culturali più ricche, durature e molteplici del mondo.

E se non cediamo su tutta la linea a quelle élite cosmopolite, mediaticamente sovrarappresentate, ma culturalmente straccione che ambientano i loro sogni a Central Park e nella Baia di San Francisco, se non molliamo completamente il colpo, può darsi che la storia ci riservi ancora un ruolo che non sia quello di un villaggio turistico coloniale.

* Fonte: Sinistra in rete

5 pensieri su “LA SOVRANITA’ ITALIANA IN UNA PROSPETTIVA STORICA di Andrea Zhok”

  1. Francesco dice:

    Ragionando in termini realistici… AHIME… devo concordare nella sostanza su quanto scritto nell’articolo. Tuttavia resta un dato inconfutabile: se avessimo una classe politica e dirigente DEGNA DI TALE NOME avremmo anche CERTAMENTE un grado di sovranita’ maggiore…
    Ma d’altronde si sa: il modo probabilmente migliore per tenere assoggettato un Paese e’ proprio quello di sostenere e finanziare una classe politica e dirigente CORROTTA MATERIALMENTE E INTELLETTUALMENTE che sia anche facilmente ricattabile dai colonizzatori stranieri.

    Francesco F.
    Manduria (Ta)

  2. Cittadino dice:

    “Nel medio-lungo periodo l’unico vero patrimonio che, come italiani, siamo nelle condizioni di coltivare, preservare e sviluppare liberamente è quello culturale.”

    Questo però sarebbe il chiudersi nella (solita) torre d’avorio della cultura e del costume, che sono i tipici “fortini” della sinistra, confidando nel destino che forse un giorno renderà possibile ciò che oggi non riusciamo a fare. Mi sembra la solita conclusione autoconsolatoria e pure infondata. In base a quale miracolo pensa che “se non cediamo su tutta la linea a quelle élite cosmopolite” arroccandoci a difesa delle nostre “tradizioni culturali hanno una natura coriacea” mentre ci scippano i settori strategici il destino possa far sì che alla fine far sì che la storia “ci riservi ancora un ruolo che non sia quello di un villaggio turistico coloniale”? A me invece sembra proprio la via che a quel destino porta.

    Purtroppo questa è la conclusione a cui troppo spesso arrivano quelli che a sinistra hanno rifiutato di sporcarsi le mani col populismo brutto e cattivo, quando vedono che la strada da loro intrapresa non dà risultati si trincerano dietro questo tipo di idea. Specialmente se sono accademici e specialmente se hanno lo stipendio garantito. Questa conclusione nasconde ancora il persistere nel rifiuto puritano di “sporcarsi le mani”, fosse anche solo intellettualmente.

    Eppure proprio a sinistra dovrebbe essere chiaro, se Lenin non si fosse “sporcato le mani” in Russia avrebbero forse finito per rimettere lo zar sul trono, come hanno fatto in spagna negli anni ’70 quando era ormai chiaro che il liberalismo (che è la moderna forma di aristocrazia) stava vincendo ed un figurante a recitasse la parte di garante del ritorno alla democrazia in fondo gli faceva comodo.

    Giovanni

  3. veet francesco dice:

    Bella martellata sui coglioni.

    Per me il punto non è ignorare i margini/limiti della lotta politica ma aver già ceduto all’idea che siano indiscutibili quelli decisi da un paese che non sa nemmeno difendere le mura del proprio parlamento.

  4. RobertoG dice:

    Avevo letto anch’io questo mirabile intervento del professor Andrea Zhok, uno dei pochi che abbiano una consapevolezza lucida della situazione miserrima nella quale si dibatte il nostro paese (e non mi riferisco tanto all’uomo della strada quanto a tutto quel mondo che si definisce pomposamente “sovranista”) e mi fa un grande piacere che Sollevazione l’abbia ripreso. Purtroppo è quel “se” col quale conclude il suo scritto il vero motivo che ci deve grandemente preoccupare. A me pare infatti che il cedimento culturale stia avvenendo eccome e su tutta la linea.
    Quando un popolo dipendente come il nostro vede iniziare ad intaccarsi persino la lingua significa che ha sorpassato la fase del colonialismo e si avvia verso quella dell’assorbimento. Non mi riferisco qui tanto all’uso sempre più sfrenato di anglicismi ed al vezzo divenuto quasi una norma di titolare imprese, istituti ed eventi in lingua inglese, quanto alla tendenza ormai palese da parte di questa classe dirigente immonda della sostituzione integrale cominciando dai piani alti (come al Politecnico di Milano ed al Prin), una sorta di classismo linguistico ed al tentativo di impostare uno strisciante bilinguismo a partire dalle scuole e dai servizi. Il bilinguismo pienamente realizzato determinerebbe un declassamento dell’italiano a semplice dialetto e ne aprirebbe la strada verso la scomparsa in quanto non più necessario neppure internamente.
    Attenzione quindi, perchè si può diventare una servitù militare, una colonia politica ed economica, come in effetti noi siamo, ma da questa condizione si può risalire al momento opportuno, mentre se si perde la propria cultura ed addirittura la propria lingua, allora non c’è ritorno. La perdita dell’identità di un popolo è come l’estinzione per una specie animale.

  5. Luca+Tonelli dice:

    Ma l’autore crede che sia rimasto qualcosa della cultura italiana di ormai diversi secoli fa?
    Un treno simile, semmai fosse possibile, sarebbe stato da prendere in concomitanza con l’unità d’Italia.
    Quando il Paese fu unificato e creato già sottomesso alle potenze europee dal primo giorno.
    Oggi siamo a ormai 5 secoli di sottomissione straniera, in vari gradi.
    Cosa si pensa sia rimasto?
    Quale sarebbe la cultura italiana di riferimento per il mondo?

    Ben dopo l’annessione della Grecia all’impero Romano gli studiosi del tempo frequentavano regolarmente Atene Tessalonica, ecc…

    Le università italiane non sono più considerate all’estero da almeno 300 anni.

    Smettiamola di vivere dei fasti del passato sempre più remoto.

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