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L’AFGHANISTAN E IL DESTINO DEL MONDO

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Proseguiamo il dibattito sulla débâcle americana. Riceviamo e volentieri pubblichiamo da parte di un lettore

* Nella foto: Kabul, 12 settembre, manifestazione di donne. Nei cartelli si legge tra l’altro: “Le donne che lasciano l’Afghanistan non sono afghane”

Fake news e menzogne di ogni tipo, complottismo negazionista e islamofobia imperante assalgono i lettori di casa nostra che timidamente vorrebbero iniziare a occuparsi, dopo il crollo dell’ordine americano, di questioni geopolitiche.

L’Afghanistan nazionalista e antioccidentale taliban ha visto dal 15 agosto 2021 decine di manifestazioni di donne pashtun in festa per la liberazione dall’invasore, le varie Lucia Goracci, Cecilia Sala o i vari Pietro Del Re in teoria presenti sul campo stranamente non ce lo dicono. I cultori dell’ordine morto e defunto, quell’ordine democratico occidentale dei droni precisi e mirati del Nobel per la Pace Barack Obama su donne e bambini dell’invincibile popolo afgano, non hanno effettivamente più molta voce in capitolo sull’Afghanistan dopo il 15 agosto 2021. Le loro cronache ricordano quelle di pochi anni fa, quando ci raccontavano che tutto andava per il verso giusto per “i costruttori di nazioni” arrivati con le armi più moderne da Oltreoceano.

Indubbiamente in Afghanistan vi è fermento. Chi lo può negare? Nella stessa Jalalabad, culla del nazionalismo taliban pathan, vi sono state nei giorni scorsi proteste a causa della poco trasparente procedura di assegnazione di case a miliziani. I regolamenti di conto vi sono e spesso sfuggono al controllo delle maglie della sicurezza talebana. Molte altre donne afgane, addirittura più tradizionaliste dei taliban, hanno lanciato la campagna online con tanto di abiti assolutamente afgani: “Non toccate i nostri abiti tradizionali”, e le donne “progressiste” occidentali hanno a torto creduto che queste fossero sul loro stesso fronte, non capendo che sono un pochino più “a destra” di loro.

Abbiamo poi proteste contro Kabul da parte degli hazarà sciiti e l’arcinota insurrezione nella Valle dei “Leoni del Panshir”. Si guardano bene però i nostri giornalisti dal dire che tutto in Afghanistan si svolge preceduto dal takbir: Dio è grande! La democrazia occidentale è il male! L’Afghanistan multinazionale e multiforme non vuole perciò il nichilismo necrofilo occidentale. Questo è l’unico dato certo che gli inviati di casa nostra non ci dicono e dovrebbero invece mettere a premessa di ogni loro pezzo. Fulvio Grimaldi, uno dei rarissimi inviati che nel corso negli anni non si sono venduti al Pentagono, afferma oggi con il buonsenso realistico e l’intelligenza che sempre lo hanno contraddistinto che il “breve secolo americano” è finito, i complottisti e i negazionisti di destra e sinistra continuano invece la medesima narrazione, con rappresentazioni diverse, del mensile geopolitico “Limes” (cordata Rothschild), secondo il quale l’americanismo è invincibile, l’Islam sunnita delle varie Fratellanze è fascista e l’11 settembre è una data come le altre. Non è perciò questione di taliban o antitaliban in Afghanistan, la questione è secondaria, il dato centrale è oggi quello dell’Islam politico che apre con sue pesanti fazioni (Iran, Qatar, Taliban, Riad, Islamabad) al potere globale Confuciano.

Il grande Risveglio Islamico, annunciato da Sayyd Qutb (1906-1966) e concretizzato da quel Machiavelli iraniano che fu l’Imam Khomeini, ha sconvolto equilibri che sembravano eterni e indissolubili. Faccia tesoro, la Cina all’offensiva, di questa immensa ed impareggiabile lezione storica e politica che il Medio Oriente ci ha fornito negli ultimi quarant’anni. Al crollo repentino dell’Unione Sovietica seguirà appena tre decenni dopo la morte dell’ordine americano che sembrava perennemente egemone. Al nazionalismo pashtun si potranno forse contrapporre a breve, chi lo sa?, il nazionalismo tagiko (filopersiano) o l’autonomismo sciita hazarà (filopersiano anche questo), ma nessuno in Medio Oriente – nemmeno in Marocco – guarda più alla Washington dei transgender o alla Bruxelles con l’arcobaleno egemone come modelli di civilizzazione. Ahmad Shad Mas’ud, il Leone del Panshir consacrato in questi giorni dai suoi nemici taliban e pashtun nella dimensione di “Eroe nazionale afgano” per la sua passata lotta antisovietica, per quanto storicamente filopersiano e filokhomeinista guardò nell’ultima fase della vita alla nascente Unione Europea come possibile alleata nella battaglia finale contro i Taliban; oggi è però assai improbabile che i resistenti del Panshir possano considerare interlocutori seri e affidabili europei o americani. Possono usare i vari Bernard Henry Levy del caso alla bisogna per motivi di comunicazione propagandistica globale per poi prontamente scaricarli subito dopo. Gli ideologi del genderismo e del progressismo occidentale sono usati come carne da macello dagli opinion maker della cultura islamica, come sostiene giustamente Kamel Daoud, noto per aver scritto nel 2015 che l’Arabia Saudita è un Isis che ce l’ha fatta. Quindi, la politica concreta e la storia di questi tempi ci dicono che l’Islam nelle sue varie manifestazioni è irriducibile alla democrazia genderiana occidentale.

Soleimani e la rinascita del movimento nazionalista taliban

I lettori di questo blog sanno che da anni i tre curatori della pagina geopolitica, pur da posizioni diverse, erano accomunati dalla tendenza a vedere nel Mediterraneo e nel Medio Oriente il centro della guerra di civiltà dei nostri tempi. Le stesse guerre mondiali del secolo scorso, Asia Nipponica contro l’Occidente, si caratterizzavano per il madornale errore strategico-politico tedesco che lasciando totalmente scoperto il centrale fronte mediterraneo scaricava tutto il peso della guerra di civiltà nell’Estremo Oriente. Vedevamo poi in talune tendenze centrali della politica persiana una spia di accensione delle guerre di faglia nelle frontiere dell’Islam insanguinato. Antonio Giustozzi (Newlines Institute for Strategy and Policy) ben ha specificato come fu lo stratega iraniano Qassem Soleimani, subito dopo l’invasione americana dell’Afghanistan, ad avviare un dialogo politico con i Talebani iniziando a rafforzare di nuovo la comunità nazionalistica pashtun militarmente e logisticamente, nonostante le persecuzioni del precedente Governo taliban contro gli sciiti afgani. Soleimani comprese che il destino della terra si giocava in quel momento proprio in Afghanistan più che nel generico Medio Oriente allargato e che solo i nazionalisti pashtun, momentaneamente sconfitti e declassati dall’invasione occidentale, avrebbero potuto guidare un nuovo processo di liberazione antiamericana del Paese. Il pragmatismo e il realismo politico del generale iraniano fu notevole e denota l’impronta del genio strategico se si pensa che dagli anni ’80 per ordine personale dell’Imam Khomeini l’intelligence iraniana dovesse appoggiare nella lotta contro l’Urss il leader tagiko Ahmad Shah Mas’ud, considerato in quel contesto il più fedele e leale alleato della Rivoluzione Islamica di Tehran.

Soleimani ribaltò d’un tratto la stessa politica afgana dell’Imam Khomeini. Si chiamano appunto strateghi quegli uomini politici i quali, anche se uccisi o apparentemente sconfitti, continuano a operare e agire storicamente. La imprevista e non calcolata – dal Pentagono – decisione strategica di Qassem Soleimani provocò il classico effetto farfalla. Non solo i Talebani si rialzarono velocemente. Iraq, Siria, Yemen, Libano avrebbero quindi sancito sul campo la morte dell’ordine americano, che dal 2008 si trascinava avanti in stato canceroso per cedere finalmente le armi il 15 agosto 2021. Inevitabilmente, nella medesima fase storica, si apriva una lotta di fazioni a Tehran, tutta interna al nazionalismo persiano e di cui si è avuta definitiva contezza solamente negli ultimi tempi. La fazione Ahmadinejad (Basiji più piccoli commercianti della provincia e di Meshad) si differenziava con forza dall’interventismo militare della linea Soleimani (intelligence militare più grandi Fondazioni sociali con cuore a Tehran). Già da presidente, Ahmadinejad prendeva platealmente le aperte distanze sia dai Talebani che dal Baath siriano guardando anche tiepidamente il tradizionale alleato libanese dell’Hezbollah. Ahmadinejad arrivava a rivendicare una sorta di unicità imperiale “persiana-occidentale” nel caos mediorientale, si considerava più figlio del “pagano” Ciro che del martire Hossein e di Karbala, i suoi consiglieri rivedevano con una luce positiva la passata gestione monarchica aprendo addirittura a una possibile pacificazione con Israele (“Noi siamo amici del popolo israeliano” disse ad esempio Ramin Mashaei il 19.07.08). Ahmadinejad criticava poi direttamente il Generale Soleimani, ormai un eroe nazionale per l’intero popolo iraniano, con una lettera pubblica (gennaio 2019).

Nel luglio 2020 l’ex presidente contestava quindi con termini accesi, in Parlamento (Majles), l’accordo tra l’Iran e la Cina, che prevede 400 miliardi di dollari di investimenti cinesi e la presenza di 5000 soldati cinesi di stanza in Iran. La fazione Ahmadinejad, nonostante la retorica populista e ultraradicale, si definiva sempre di più come la storica corrente filo-occidentale e kemalista del nazionalismo persiano. La linea Soleimani, viceversa, fu capace di promuovere all’interno un nazionalismo modernizzatore basato sulle Fondazioni sociali ma antioccidentale, contemplando sul piano delle Relazioni Internazionali la necessità tattica dell’offensiva militare quale unica, e più veloce, possibilità per un balzo in avanti dell’Iran ancora gravato dal peso della Jang-e-Tahmili “Guerra imposta” (1980-1988) ma anche umiliato e scosso da anni di sanzioni occidentali dirette ai punti vitali della società civile. La martirizzazione di Qassem Soleimani e del suo luogotenente iracheno costringeva l’Iran a una nuova fase gradualistica ma la vittoria del rivoluzionario nazionalista Raisi mostrava nel 2021 che la linea Soleimani rimaneva egemone a Tehran.

L’Iran nei nuovi fronti  

Il leader indiano Narendra Mohdi ha annunciato in questi giorni un grande successo, ovvero di aver invitato a Dehli il nuovo ministro degli esteri iraniano, Hossein Amirabdollahian, considerato ultraconservatore dagli analisti occidentali. Quando questi ultimi parlano di “ultraconservatore” iraniano significa che il politico iraniano appartiene alla linea anti/occidentale, quando parlano di riformisti il contrario, con l’eccezione del partito di Ahmadinejad, il quale come abbiamo detto è conservatore ma filo/occidentale. Lo stesso ministro degli esteri di Tehran ha protestato nei giorni recenti per la repressione taliban antitagika nella Valle del Panshir ma ha precisato che il futuro dell’Afghanistan appartiene esclusivamente a élite e popolo dell’Afghanistan, dunque se la volontà degli afgani è di seguire il Nazionalismo pathan che lo seguano pure, purché il nazionalismo pathan non significhi repressione antisciita.

Il nuovo ordine mondiale, egemonizzato dalla Cina nella forma di un Asse Confuciano-Islamico, prevede per evidenti motivi geosociali e geopolitici la stabilità del Pakistan e dell’Iran. Dopo la martirizzazione di Soleimani, abbiamo assistito a una serie di pesanti ritiri tattici da parte della Repubblica Islamica; si tratta probabilmente di un occultamento degli obiettivi strategici (ketman o taqiyya) in una fase di particolare debolezza. Per quanto l’Iran abbia optato per il fronte di civiltà Confuciano-Islamico noi riteniamo che il crocevia afgano in particolare, vicino-orientale in generale, sarà decisivo nella nuova spartizione e per la definitiva formazione di un nuovo ordine globale. Abbiamo già scritto che la Grande India Nazionalista, di recente attaccata in vari giornali israeliani come “Haaretz” in quanto “nazista” e antiebraica, non resterà a guardare gli altri spartirsi il bottino in questa guerra di civiltà tutt’altro che fredda, come testimoniano le continue e misteriose morti di ambasciatori; per moderare o eventualmente, per puntellare le posizioni revisionistiche e revansciste di Dehli, Tehran sarà fondamentale.

2 pensieri su “L’AFGHANISTAN E IL DESTINO DEL MONDO”

  1. Cinzia dice:

    Chiedo alla Redazione, il fatto che abbiate messo la foto di apertura è una condivizione del burqa nero o un semplice reportage? L’articolo non mi pare si soffermi sulla questione del burqa nero, molto specifico e interessante.

  2. Pingback: L’Afghanistan e il destino del mondo – Antimperialista
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