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DI QUALE UNITA’ STIAMO PARLANDO? di Riccardo Paccosi

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Il movimento di opposizione allo stato d’emergenza permanente, non ha solo problemi esogeni come le manovre d’inflitrazione da parte di settori dello Stato inclini alla strategia della tensione.

Suddette infiltrazioni non troverebbero spazio per insinuarsi, infatti, se gli elementi di freschezza culturale e innovazione propri di questo movimento, non fossero accompagnati anche da una certa mancanza di cultura politica e di memoria storica. Se queste carenze sono anche le ragioni di una certa “purezza” che porta la coscienza collettiva a esprimere potente autonomia rispetto alle falsità manipolative delle narrazioni di destra e sinistra, dall’altra fa sì che istanze spontaneistiche, irrazionalistiche e dunque autolesionistiche, possano facilmente prendere piede.

Va chiarito, innanzitutto, che il trogloditismo politico è qualcosa di molto più ampio del neofascismo: i gruppetti neofascisti trovano in tale ambito un’acqua nella quale nuotare, ma il trogloditismo non può essere semplicemente inquadrabile nell’estrema destra perché, molto semplicemente, quest’ultima sarebbe per esso troppo complessa da assimilare.

Il trogloditismo, nella sua autonomia, lo abbiamo visto manifestarsi qualche anno fa col movimento dei Forconi, poi formalizzarsi coi gilet arancioni del generale Pappalardo e, infine, materializzarsi come espressione minoritaria dell’attuale movimento contro l’emergenza pandemica, ovvero quello che al momento è definito movimento contro il green pass.

Il trogloditismo promuove, innanzitutto, una teoria politica da trogloditi: in essa, esiste “il popolo” inteso senza qualificazione né connotazione, la cui espressione diretta e spontanea sarebbe in contrapposizione alle reti organizzate quali Fronte del Dissenso o No Paura Day; a queste ultime, il trogloditismo imputa la presunta volontà di imbrigliare e limitare la gloriosa spontaneità della massa.

Malgrado l’ostilità verso le organizzazioni, il trogloditismo enuncia altresì il valore della “unità” del movimento – anche in questo caso senza alcuna qualificazione – che andrebbe difesa anche a fronte di gruppi i cui comportamenti generano effetti d’indebolimento, criminalizzazione e repressione indiscriminata.

In secondo luogo, il trogloditismo promuove l’azione con modalità appunto troglodite, ovvero bandendo a priori qualsiasi applicazione della strategia e dunque dell’intelligenza.

Per i trogloditi l’azione dev’essere spontaneistica, totalmente disorganizzata e, soprattutto, deve svolgersi nell’assoluta noncuranza delle eventuali conseguenze di repressione poliziesca e giudiziaria.

Il caso del blocco spontaneistico delle stazioni ferroviarie, promosso per il primo settembre dalla chat anonima Basta Dittatura, è stato il più emblematico: chiunque abbia almeno una volta partecipato a un blocco delle ferrovie, sa bene che si tratta di qualcosa di molto complesso e necessitante preparazione e pianificazione. Quell’appello degli anonimi al blocco spontaneo fu disertato dalle reti organizzate e quindi dal popolo dimostrando, così, che sono le organizzazioni e non i trogloditi ad avere il consenso maggioritario del movimento.

Ma se quell’appello fosse stato seguito, ci sarebbero state cariche e scontri con la polizia molto violenti che – unitamente al fatto che negli stessi giorni Basta Dittatura divulgava la pubblicazione degli indirizzi d’abitazione privata di figure politiche – avrebbero potuto essere prodromo a una repressione giudiziaria su vasta scala con accuse di terrorismo o di associazione sovversiva.

Il problema è che le parole d’ordine e le suggestioni del trogloditismo, trovano terreno fertile in una minoranza delimitata ma diffusa del movimento.

Quante volte, dall’inizio dell’attuale conflitto sociale, abbiamo sentito dire “basta cortei, bisogna passare all’azione?” Ovviamente, in molti casi chi parla di “passare all’azione” e “innalzare il livello dello scontro” non ha mai fabbricato una molotov, mai partecipato a uno scontro con la Celere, mai subito un processo penale per reati legati alla militanza politica.

Nel corso della storia, movimenti d’opposizione ben più organizzati e coesi dell’attuale, seguendo l’ardore soggettivista dell’innalzare il livello dello scontro affidandosi alle dinamiche spontanee di massa, hanno ottenuto solo di schiantarsi contro un muro e di avere i propri esponenti arrestati in massa.

Figuriamoci, allora, cosa potrebbe accadere a un movimento come l’attuale che, per la prima volta nella storia recente, si ritrova ad avere tutte le formazioni politiche dell’arco parlamentare contro, tutte le testate giornalsitiche mainstream contro, nonché un contesto di sospensione delle norme costituzionali e dello stato di diritto.

Se, come sembra, al trogloditismo abituale “di destra” dovesse nei prossimi appuntamenti di piazza associarsi anche quello “di sinistra” dei black bloc, la strada verso il baratro potrebbe dirsi segnata.

Questo significa che, nel movimento, occorre un chiarimento.

Innanzitutto, non c’è un problema di destra e sinistra: che si tratti di Giuliano Castellino o degli anarco-insurrezionalisti, chi promuove l’insorgenza spontaneistica deve farsi le proprie manifestazioni e non imporsi su quelle organizzate da altri.

In secondo luogo, non c’è un problema di violenza e non-violenza: quasi nessuno nega la possibilità e in specifici casi anche l’ineluttabilità di scontri di piazza. Se questi devono avvenire, però, l’impegno organizzativo deve volgere a ridurre il più possibile il numero di feriti e di arrestati.

Inoltre, sarebbe da totali imbecilli andare a un conflitto generalizzato e campale contro le forze dell’ordine proprio nel momento in cui – all’interno di queste ultime, intorno al green pass e intorno alla fedeltà al governo – si stanno aprendo contraddizioni enormi.

Dunque, se il problema non è destra contro sinistra né violenza contro non-violenza, va da sé che l’oggetto del conflitto interno sia invece organizzazione contro spontaneismo.

Bisogna che, nelle mobilitazioni, si separino a riguardo gli ambiti, le piazze, le pratiche.

Va enunciato una volta per tutte che la “unità” che porta verso il baratro, non è un valore ma, al contrario, qualcosa da scongiurare.

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