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IL COVID, CAPANNA E IL ’68 CHE FU di Riccardo Paccosi

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MARIO CAPANNA E LA SEPARAZIONE RETROSPETTIVA DALLA SINISTRA: DALLA DIVERGENZA NEL PRESENTE ALLA CANCELLAZIONE DI UN PASSATO CONDIVISO

Mario Capanna intima ai “No Vax” di non svolgere contestazioni alla Prima della Scala, perché a suo dire ciò significherebbe infangare la memoria dell’analoga contestazione organizzata da lui nel 1968. L’ex-leader demoproletario aggiunge che, a differenza del movimento attuale, quello del ’68 rappresentava “l’Italia migliore” e conclude, ovviamente, invitando i contestatori dell’oggi a vaccinarsi.

Come ho già avuto modo di scrivere, vedere la sinistra – tutta la sinistra – farsi indefessa promotrice d’un processo di ristrutturazione in senso totalitario del sistema capitalista, di un nuovo assetto che vede la sfera pubblica privatizzata e i diritti del lavoro cancellati al fine di reprimere la dissidenza politica, fa sì che la riflessione su come la sinistra si sia trasformata negli ultimi decenni non risulti più sufficiente.

Per chi, come me, ha militato da marxista più o meno libertario in quell’area per tre decenni, non si tratta più di limitarsi a registrare una deriva di pedissequità verso i valori e le visioni della classe dominante ma di comprendere come questa contrapposizione di oggi riveli, retrospettivamente, il fatto che tra una persona come me e la sinistra non sussista più neanche un passato condiviso.

Sarebbe senz’altro superficiale derubricare il ’68 a “rivoluzione borghese” e questo per il semplice motivo che quella fase storica fu caratterizzata, anche, dall’ultima grande insorgenza del movimento operaio, alla quale lo Stato rispose con le stragi e con tutto quello che ne è seguito.

C’è però un fatto: il ’68 operaio fu pesantemente e irreversibilmente sconfitto nel giro di dieci anni, mentre il ’68 giovanile continua oggi a esprimere egemonia, grazie al potere politico e culturale di quelli che all’epoca furono i giovani contestatori.

Ciò che il ’68 giovanile ha modellizzato, è la contestazione come rito di passaggio, per i rampolli della classe borghese, dalla giovinezza ai ruoli dirigenziali dell’età adulta.

Per suddetti rampolli, insomma, era ed è necessario avere nel Curriculum Vitae una fase di contestazione, quasi fosse uno stage sull’innovazione, giacché il capitalismo per sua natura volge alla trasformazione continua, all’auto-rivoluzionamento perpetuo.

In fondo, questo e non altro è stato il ’68 vincente: come analizzato da Costanzo Preve ma profetizzato molto prima e in tempo reale da Pasolini, il ’68 ha generato quel grande rinnovamento del capitalismo che ha consentito a tale sistema di rompere i pregressi e frenanti legami con l’ancien regime patriarcale, conservatore e clericale.

Il capitalismo post-68 diviene sempre più progressista e sussume la rivoluzione giovanile, sussume la rivoluzione sessuale in tutte le sue varianti e sussume, addirittura, il concetto di rivoluzione: quest’ultima parola, dopo il ’68, diventerà appannaggio dei movimenti anticomunisti e neoliberali, delle tante reti finanziate dall’Open Society Foundation oppure promosse direttamente dal World Economic Forum.

Se penso alla mia fase di militanza politica più lunga – quella nell’area dei centri sociali – mi rendo conto solo ora che io non ho mai pensato alle occupazioni e agli scontri in piazza con la Celere come rito di passaggio per diventare ceto dirigente. Pensandoci meglio, però, seppure in modo confuso, in molti antagonisti invece quell’idea sussisteva eccome.

La natura profondamente borghese della sinistra, la sua cultura da classe che domina e che vuole dominare, si palesa oggi nel fatto che il sostegno al regime pandemico viene espresso anche da parte delle componenti antagoniste nonché da quelle che ancora si definiscono “comuniste”.

Dunque, il problema non è solo non avere nulla a che fare con Mario Capanna oggi, ma anche il comprendere, dopo decenni, di non averci avuto a che fare neppure ieri.

6 pensieri su “IL COVID, CAPANNA E IL ’68 CHE FU di Riccardo Paccosi”

  1. Francesco dice:

    Resta solo da capire se i (PRESUNTI) “rivoluzionari” di un tempo come Mario Capanna, Erri De Luca, Giorgio Cremaschi, nel momento in cui si schierano apertamente dalla parte del regime di dittatura sanitaria guidato in Italia dal BANCHIERE ULTRACAPITALISTA Mario Draghi, siano ben consapevoli di ciò che fanno oppure no. In altre parole sono “semplicemente” in preda al marasma senile oppure sono dei veri e propri TRADITORI, VENDUTI ALLA CAUSA DEL NEMICO?
    Di sicuro a vederli e a sentirli parlare mettono una IMMENSA TRISTEZZA.

    Francesco F.
    Manduria (Ta)

  2. Piero dice:

    Dunque: utilizzando Capanna hai tirato un bel frego sul ’68, e ci sta, sull’oggi e ci sta, e sul domani e quindi anche su questo sito, che credo continui a definirsi di sinistra. Boh!

  3. Angelo dice:

    Articolo meraviglioso. Dubito solo sull’appropriatezza scientifica del termine “capitalismo” o liberalismo, fenomeni morti nell’800. Siamo ora in Occidente al neoSchiavismo massificato.

  4. Santi patrizio dice:

    Cerchiamo di non prendere in considerazione più di tanto certi personaggi. Capanna e cremaschi,poi, non sono mai stati delle cime. Il primo, infatti, sebbene continui a richiamarsi al passato ha fatto tante di quelle giravolte ( da stalinista tutto d’un pezzo a verde per poi concludere perché rifiutato nella rete di orlando) che oggi deve avere le vertigini: da qui le cazzate che di tanto in tanto spara via etere e che vengono riprese dal main stream perché chi comanda sa che il soggetto è’ del tutto innocuo financo folkloristico.
    Del secondo, il sindacalista, mi ricordo la militanza comune in rifondazione comunista: già allora non spiccava per acume politico, poi invecchiando da rozzo dogmatico qual era e’passato ad essere pro dittatura sanitaria.
    Capanna cremaschi, purtroppo, non sono i soli di quel campo, che era anche il mio,. Via Facebook vedo le prese di posizioni di molti ex rifondaroli che non si distinguono da quelli dei nostri due eroi.
    Che dire? Mentre il popolo dopo lunghi anni ritorna in massa a protestare i nostri compagni ne prendono le distanze perché le contestazioni non rientrano nei loro angusti e ottusi schemi mentali.
    Urge per questo, a mio parere, la costruzione di un nuovo soggetto politico prendendo a modello il CNL del dopoguerra che ha permesso al nostro paese di scacciare gli occupanti tedeschi e gettare le basi per l’edificazione dello stato italiano moderno.

  5. paolo dice:

    Interessante, ma si perde di vista il cuore del problema, a mio giudizio, più prosaico. Il 68 è stato uno dei tanti mezzi che le classi economico finanziarie di allora, come di oggi, hanno permesso il passaggio ad un livello socioeconomico molto diverso e più orientato al disfattismo in senso stretto per creare un nuovo (novus ordo) sistema più gestibile e controllabile. Ma non è il 68 l’inizio, anzi è uno dei punti sul quale si sono costruiti molti ragionamenti assorbiti dalla società tramite le mode, i media, le politiche e diffusi apertamente come “innovazione”, aperture sociali, progresso, rinascita, libertà (quando quest’ultima è prerogativa del potere!). La sinistra è stata la chiave con cui aprire la porta dei disastri che adesso subiamo grazie agli appoggi e denaro anglo-americani, ma che nella realtà, tolti gli anni 50, proviamo sulle nostre vite.

  6. Lorenzo dice:

    Bell’articolo, anche se contestualizzato nell’orizzonte marxista della lotta di classe e non in quello, a mio avviso tanto più lungimirante, degli spengleriani cicli di decadenza delle civiltà. Voi discutete tutto in termini di progettualità delle élites capitalstiche; forse bisognerebbe analizzare il sessantotto anzitutto come la conseguenza del boom economico, del consumismo, del permissivismo e della conseguente scomparsa di ogni sentimento di disciplina e di sacrificio.

    Si può sapere in che testo Preve discute la menzionata interpretazione del sessantotto?

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