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LA DISFATTA ELETTORALE DEGLI “ANTISISTEMA” di Giuseppe Russo*

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Dopo gli interventi di Moreno Pasquinelli e Luca Teodori, volentieri pubblichiamo questa puntuale indagine sui risultati elettorali ottenuti dalle diverse liste e listarelle “antisistema

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Il 25 settembre è stato fatale per le liste “antisistema”. Si sono giocate (quasi) tutto sul tavolo delle elezioni, ed hanno perso.

Negli auspici della vigilia, tutti si dicevano convinti di andare ben oltre lo sbarramento del 3%, nonostante le oggettive difficoltà di una campagna elettorale impossibile. Qualcuno, anche nella stampa mainstream, stimava l’elettorato di opposizione dura e pura intorno al 10%. In base ai numeri delle ultime elezioni, tale fronte tutt’altro che unito ha raggiunto, nella somma aritmetica che, com’è risaputo, non costituisce una somma “politica”, appena il 4% dei voti validi. Ragionando in questa sede sul dato aggregato, con tutti i se e i ma del caso, emerge che l’area del paese più generosa di consensi verso le formazioni “antisistema” è stato il Nord-Est, ove assieme arrivano a circa il 6%. Nelle altre “macroregioni”, invece, il dato si attesta sul 4% nel Nord-Ovest, fra il 4 e il 5% nelle regioni “rosse”, intorno al 2,5 nel Centro-Sud, di poco sopra il 3% nelle isole. Complessivamente, i risultati migliori sono stati ottenuti non nelle metropoli, ma nelle città intorno ai centomila abitanti, mentre in gran parte della provincia profonda (con le dovute eccezioni) gli “antisistema” si contano, letteralmente, sulle dita di una mano.

ItalExit

Titillato dai sondaggi compiacenti, Gianluigi Paragone aveva finito per crederci, ma alla fine la sua ItalExit dai palazzi è rimasta lontanissima, pur risultando ampiamente la lista più votata fra quelle “alternative”. Non sono bastati i 530000 voti ottenuti, pari al 2% scarso: ne sarebbero stati necessari almeno 300000 in più. ItalExit primeggia sui “concorrenti” in tutte le regioni meno il Trentino-Alto Adige e il Molise (dove non era presente), ma all’atto pratico la soglia del 3% è stata superata solo in Friuli-Venezia Giulia. In questa regione, particolarmente significativo appare l’esito del voto in una realtà “militante” come quella di Trieste, città nella quale ItalExit sfiora il 4% (raggiungendo il 5% a Muggia, principale centro del circondario). Risultati superiori alla media nazionale sono stati conseguiti in Piemonte, Veneto, Marche e Sardegna; altrove, il partito di Paragone è rimasto ben al di sotto del 2%. Nelle grandi città, la lista ha superato tale soglia solo a Torino e Genova, ottenendo consensi di poco superiori nei capoluoghi del Piemonte, del Veneto e della Romagna. Paragone mastica amaro: a suo dire, è stata tutta colpa dell’astensione.

Italia Sovrana e Popolare

Il fallimento di Italia Sovrana e Popolare è stato, se possibile, ancor più clamoroso di quello di ItalExit. Con 350000 voti (scarsi) alla Camera, pari a poco più dell’un per cento delle schede valide, la lista è finita dietro pure a Unione popolare di de Magistris. Il dato elettorale è omogeneo: ISP ottiene ovunque fra l’uno e il due per cento dei voti salvo che in Campania, dove è con lo zero che inizia la sua percentuale. Il picco si ha in Friuli-Venezia Giulia: 1,9% dei voti (2,8% nella già citata realtà triestina). Nelle grandi città, ISP si ferma al palo dell’un per cento con qualche risultato incoraggiante a Genova (1,7%), Bologna e Firenze, città nelle quali, seppur per pochissimi voti, la lista di Rizzo e Toscano ha superato ItalExit. Nella realtà sui generis della Valle d’Aosta i numeri migliori in assoluto, vista anche l’assenza di ItalExit e Vita, con oltre il 4% dei suffragi alla Camera. Protagonista di un vivace battibecco con Enrico Mentana nell’ultima serata di telecampagna elettorale, Marco Rizzo, che pure è uno che ne ha viste e fatte tante, un po’ ci aveva a sua volta creduto: se  il 3% pareva chimerico, il 2 sembrava decisamente alla portata. Alla fine, anche da queste parti si attribuiscono grandi colpe all’astensione, oltre che ai tempi ristretti per tirare su la lista e tutto il resto.

Vita

La lista di Sara Cunial e Davide Barillari, non presente a causa di vizi formali nella raccolta firme in nove circoscrizioni alla Camera e quattro al Senato, raccoglie 200000 voti, attestandosi sullo 0,7%. A livello regionale, Vita ha superato l’uno per cento solo in Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna, oltre che in Trentino-Alto Adige, dove l’eclatante 4,4% è stato raggiunto soprattutto grazie alla candidatura dell’avvocatessa Renate Holzeisen ed ai voti dei germanofoni sudtirolesi; in alcune cittadine a Nord di Bolzano come Lana, Caldaro sulla Strada del Vino e Naturno, Vita supera il 10% ergendosi a seconda forza più votata dopo la Südtiroler Volkspartei, il tradizionale partito di raccolta dei voti degli austriaci d’Italia. A Sud della Pianura Padana il nulla: qualche manciata di suffragi presi fra Toscana e Marche, neanche quelli nell’estremo Sud. Qualche risultato dignitoso viene ottenuto in alcuni centri del Veneto e della Romagna (vedi il 2% a Rimini), ma nella stessa Trieste, dove ItalExit e ISP sono andate incontro ad un successo e dove gli esponenti del Movimento 3V sono stati in prima fila nelle lotte di piazza contro il Green Pass, Vita si ferma all’1,6%. In Veneto, invece, dov’era candidata Sara Cunial, il 2% viene superato nel trevigiano e alle pendici delle Dolomiti. C’è Vita, dunque, solo in un angolo d’Italia dal retaggio austro-ungarico. La tendenza all’improvvisazione che ha caratterizzato questa prova elettorale pare un tratto fondante della compagine politica: difficile che qualcosa possa intervenire a modificare un quadro siffatto.

Gli altri

Per puro dovere di cronaca, è il caso di menzionare anche le altre listarelle “antisistema” che hanno preso parte, con spirito decoubertiano, alle elezioni del 25 settembre.

Alternativa per l’Italia – No Green Pass di Mario Adinolfi e Simone Di Stefano, presente in sette circoscrizioni alla Camera e dieci al Senato, prende 16000 voti nella corsa per Montecitorio e 40000 in quella per Palazzo Madama. CasaPound, di cui Di Stefano era uno degli esponenti di spicco, di voti arrivò a racimolarne oltre 300000 quattro anni fa. La Alternative für Deutschland all’italiana finisce qua.

L’Unione per le cure, i diritti e le libertà dell’avvocato Erich Grimaldi, dopo aver negoziato a vuoto posti in lista con Italia Sovrana e Popolare, era riuscita ad intrupparsi all’ultimo minuto nella microcoalizione fondata assieme al Partito Animalista (che poche settimane prima aveva aderito ad Impegno Civico di Luigi Di Maio)  e al movimento 10 Volte Meglio. 21000 i voti nelle tre circoscrizioni in cui la lista era presente alla Camera, meno del redivivo Partito Comunista Italiano.

Forza del Popolo, presente solo in Calabria, mette insieme 815 voti alla Camera e 873 al Senato, pari rispettivamente allo 0,0029 ed allo 0.0031% a livello nazionale.

Il bilancio delle elezioni è catastrofico per le liste “antisistema” e per i tanti personaggi in cerca d’autore che si sono fatti contagiare dalla peste elettoralistica. Si parla di fenomeni morbosi poiché appare evidente che le elezioni sono considerate un fine, e non un mezzo, dell’azione politica. Ora, mentre qualcuno va esaltandosi per la Valle d’Aosta o per il Sudtirolo, qualcun altro insiste a maledire l’astensionismo cinico e baro e tutti giurano che andranno avanti a qualsiasi costo, mobilitando folle in autunni caldi ed organizzandosi “seriamente” sul territorio, è estremamente probabile che le varie ItalExit, Vita e ISP si sfilacceranno, disperdendo energie ed alimentando ulteriormente la disillusione di massa. Non sarà possibile costruire alcuna tardiva “unità” sulle rovine del 25 settembre. Siamo alla tabula rasa della tabula rasa, all’anno sottozero che viene dopo l’anno zero.

* Fonte: Avanti

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