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RESILIENZA di Veronica Duranti*

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Resilienza. Questa parola si legge spesso sui social, sui tatuaggi o sui muri e generalmente è considerata un pregio e un vanto per chi ne è dotato. Resilienza è anche la parola più spesso utilizzata dai due governi della fase Covid per far trovare ai cittadini, se non gratificanti, quantomeno non inutili e prive di senso tutte le sevizie cui sono stati sottoposti.

Dall’autocertificazione per andare a trovare i genitori anziani alle mascherine per i bambini delle elementari, dal confinamento al coprifuoco, arrivando alla sperimentazione di massa coatta definita vaccinazione, alla segregazione per chi non aveva il green pass; la lista potrebbe continuare con i danni e i traumi indiretti subiti dalla popolazione e molto altro. Accettare passivamente e adattarsi a tutto questo è stato presentato come un comportamento degno di merito, quasi eroico, intelligente e soprattutto resiliente.

Ma ad accettare tutto questo passivamente la nostra società non ci è arrivata dall’oggi al domani; la cultura della resilienza è un fondamento della nostra vita in questo sistema e dell’Occidente in generale. Siamo stati educati ad adattarci a ogni richiesta e ogni cambiamento imposto dall’alto, a ogni condizione di lavoro e a ogni ambiente scolastico o accademico. In questi anni si sono moltiplicati i corsi di pseudo crescita personale per essere più efficienti e competitivi per raggiungere gli obiettivi che la società e il mercato ci impongono, facendo credere che siano nostri e facendoci sentire sbagliati nel caso in cui “fallissimo” o semplicemente non desiderassimo raggiungerli.

Ci dicono che dobbiamo essere resilienti e adattarci ai cambiamenti, anche quelli più disumani perché “questo è il progresso e non si può fermare”. Il concetto di resilienza è puro darwinismo, adattarsi positivamente o morire, socialmente, spiritualmente o fisicamente, poco importa. Questi due anni ci hanno insegnato che non tutti i cambiamenti sono positivi, anzi, se vengono dalle élite quasi nessuno lo è; ma negli anni precedenti avveniva lo stesso, basti pensare alla precarizzazione del lavoro o allo smantellamento della scuola e della sanità o alla progressiva digitalizzazione della vita.

Spesso si cercano tante cause complesse nell’inerzia della popolazione, e sicuramente ci sono ma forse basterebbe iniziare con l’eliminare dalla propria vita il concetto di resilienza. Adattarsi a tutto, anche ai sistemi sociali o alle idee più ingiuste non è meritevole, non è eroico e non è furbo. A certi cambiamenti e a certi sistemi di potere oppressivi non bisogna adattarsi, mai.

L’uomo occidentale deve rimuovere il suo atteggiamento resiliente e rispettoso delle varie “autorità” e riprendere il controllo di sé stesso prima ancora che delle istituzioni. Saper riconoscere a cosa è giusto adattarsi e cosa va combattuto, quale progresso è per l’uomo e quale no e avere la volontà di opporsi è quello che ancora ci differenza dagli automi.

* Fuori Perimetro

Un pensiero su “RESILIENZA di Veronica Duranti*”

  1. Truman dice:

    Ottimo, grazie.
    Preciso e puntuale.

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