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DAVOS: PEGGIO DI UN COMPLOTTO di Thomas Fazi*

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Migliaia di persone dell’élite globale del mondo convengono stamane a Davos per il loro più importante incontro annuale: l’incontro del World Economic Forum (WEF). Accanto ai capi di Stato di tutto il mondo, si riuniranno gli amministratori delegati di Amazon, BlackRock, JPMorgan Chase, Pfizer e Moderna, così come la Presidente della Commissione Europea, la Direttrice Operativa del FMI, il Segretario Generale della Nato, i vertici dell’FBI e dell’MI6, l’editore del New York Times e, naturalmente, il famigerato presentatore dell’evento, il fondatore e presidente del WEF, Klaus Schwab. Fino a 5mila soldati sarebbero schierati per la loro protezione.

Data la natura elitaria quasi da cartone animato di questa baldoria, sembra naturale che l’organizzazione sia diventata oggetto di ogni sorta di teoria del complotto riguardo al suo presunto intento malevolo e alle sue agende segrete legate alla nozione di “Great Reset”. In verità, non c’è nulla di cospiratorio nel WEF, nella misura in cui le cospirazioni implicano segretezza. Al contrario, il WEF – a differenza, per dire, del Bilderberg – si tiene molto aperto sulla sua agenda: puoi persino seguire le sessioni in streaming online.

Fondato nel 1971 dallo stesso Schwab, il WEF è “impegnato a migliorare lo stato del mondo attraverso la cooperazione pubblico-privata”, nota anche come “multistakeholder governance” [“gestione con una pluralità di portatori d’interessi”, NdT]. L’idea è che il processo decisionale globale non dovrebbe essere lasciato ai governi e agli stati-nazione — come nel quadro multilateralista del dopoguerra sancito dalle Nazioni Unite — ma dovrebbe coinvolgere un’intera gamma di parti interessate non governative: organismi della società civile, accademici esperti, personaggi dei media e, soprattutto, multinazionali. Nelle sue stesse parole, il progetto del WEF è «ridefinire il sistema internazionale come costitutivo di un sistema più ampio e sfaccettato di cooperazione globale in cui i quadri giuridici e le istituzioni intergovernative sono inseriti come una componente centrale, ma non l’unica e talvolta non la più cruciale».

Anche se tutto questo può suonare ancora piuttosto benigno, incapsula perfettamente la filosofia di base del globalismo: isolare la politica dalla democrazia trasferendo il processo decisionale dal livello nazionale e internazionale, dove i cittadini sono teoricamente in grado di esercitare un certo grado di influenza sulla politica, al livello sovranazionale, affidando a un gruppo autoselezionato di “stakeholder” non eletti e irresponsabili – principalmente aziende – il compito di decisioni globali riguardanti tutto, dalla produzione di energia e cibo ai media e alla salute pubblica. La filosofia antidemocratica sottostante è la stessa che sostiene l’approccio filantrocapitalista di persone come Bill Gates, lui stesso partner di lunga data del WEF: ossia che le organizzazioni sociali e imprenditoriali non governative sono più adatte a risolvere i problemi del mondo rispetto ai governi e alle istituzioni multilaterali.

Anche se il WEF ha sempre più focalizzato la sua agenda su argomenti alla moda come la protezione dell’ambiente e l’imprenditoria sociale, non ci sono dubbi su quali interessi l’idea di Schwab stia effettivamente promuovendo e potenziando: il WEF stesso è finanziato principalmente da circa 1.000 aziende associate, tipicamente imprese globali con fatturati multimiliardari, che includono alcune delle più grandi multinazionali del petrolio (Saudi Aramco, Shell, Chevron, BP), del cibo (Unilever, The Coca-Cola Company, Nestlé), della tecnologia (Facebook, Google, Amazon, Microsoft, Apple) e farmaceutica (AstraZeneca, Pfizer, Moderna). Anche la composizione del consiglio di amministrazione del WEF è molto rivelatrice, poiché annovera Laurence D. Fink, CEO di Blackrock, David M. Rubenstein, co-presidente del Carlyle Group, e Mark Schneider, CEO di Nestlé. Non c’è bisogno di ricorrere a teorie del complotto per affermare che è molto più probabile che l’agenda del WEF venga adattata agli interessi dei suoi finanziatori e membri del consiglio – le élite mondiali ultra-ricche e corporative – piuttosto che allo scopo di “migliorare lo stato del mondo”, come rivendica l’organizzazione.

Forse l’esempio più simbolico della spinta globalista del WEF è il controverso accordo di partenariato strategico che l’organizzazione ha firmato con le Nazioni Unite nel 2019, che molti ritengono aver attirato le Nazioni Unite nella logica della cooperazione pubblico-privata del WEF. Secondo una lettera aperta firmata da più di 400 organizzazioni della società civile e 40 reti internazionali, l’accordo rappresenta una «inquietante presa corporativa sulle Nazioni Unite, che ha sospinto il mondo pericolosamente verso una governance globale privatizzata». Le disposizioni del partenariato strategico, notano, «prevedono effettivamente che i leader aziendali diventino ‘suggeritori’ per i capi dei dipartimenti del sistema delle Nazioni Unite, utilizzando il loro accesso privato per sostenere ‘soluzioni’ a scopo di lucro basate sul mercato ai problemi globali, minando al contempo per contro le soluzioni reali radicate nell’interesse pubblico e le procedure democratiche trasparenti».

Questa conquista aziendale dell’agenda globale, aiutata e incoraggiata dal WEF, è diventata particolarmente evidente durante la pandemia di Covid-19. La politica sanitaria globale e la “preparazione all’epidemia” sono state a lungo al centro del WEF. Nel 2017 è stata lanciata a Davos la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI, trad.: “coalizione per le innovazioni in materia di prontezza alle epidemie), un’iniziativa volta a garantire la fornitura di vaccini per le emergenze globali e le pandemie, finanziata dal governo e da donatori privati, tra cui Gates. Quindi, nell’ottobre 2019, appena due mesi prima dell’inizio ufficiale dell’epidemia a Wuhan, il WEF ha co-sponsorizzato un’esercitazione denominata Evento 201, che ha simulato «un focolaio di un nuovo coronavirus zoonotico trasmesso dai pipistrelli ai maiali fino alle persone che alla fine diventa efficacemente trasmissibile da persona a persona, portando a una grave pandemia». In caso di pandemia, hanno osservato gli organizzatori, i governi nazionali, le organizzazioni internazionali e il settore privato dovrebbero fornire ampie risorse per la produzione e la distribuzione di grandi quantità di vaccini attraverso «forme robuste di cooperazione pubblico-privato».

Quindi, è lecito affermare che quando è scoppiata la pandemia di Covid, il WEF era ben posizionato per assumere un ruolo centrale nella risposta alla pandemia. È stato al raduno del 2020 a Davos, dal 21 al 24 gennaio – poche settimane dopo che il nuovo coronavirus era stato identificato in Cina – che la CEPI ha incontrato l’amministratore delegato di Moderna, Stéphane Bancel, per stabilire piani per un vaccino Covid-19, in collaborazione con il National Institutes of Health (NIH) negli Stati Uniti. Nel corso dell’anno, la CEPI è stata determinante nella creazione del programma Covax (Covid-19 Vaccines Global Access), in collaborazione con l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), e nel fornire finanziamenti per diversi vaccini Covid.

Queste coalizioni pubblico-private e incentrate sulle aziende – tutte legate al WEF e fuori dalla portata della responsabilità democratica – hanno svolto un ruolo cruciale nella promozione di una risposta alla pandemia incentrata sul vaccino e orientata al profitto, e quindi nella supervisione dell’adozione diffusa del vaccino. In altre parole, la pandemia ha messo in netto rilievo le conseguenze della decennale spinta globalista del WEF. Ancora una volta, sarebbe sbagliato considerare questo come un complotto, dal momento che il WEF è sempre stato molto sincero sui suoi obiettivi: questo è semplicemente l’inevitabile risultato di un approccio “multistakeholderista” in cui gli interessi privati e “filantropici” trovano maggiore ascolto negli affari globali rispetto alla maggior parte dei governi.

Ciò che risulta preoccupante, tuttavia, è che il WEF stia ora promuovendo lo stesso approccio dall’alto verso il basso guidato dalle aziende in una vasta gamma di altri settori, dall’energia al cibo alle politiche di sorveglianza globale, con conseguenze altrettanto drammatiche. C’è una ragione per cui i governi sembrano spesso così disposti ad accettare queste politiche, anche di fronte a una diffusa opposizione sociale: ovvero che la strategia del WEF, nel corso degli anni, non è stata solo quella di spostare il potere dai governi, ma anche di infiltrarsi in questi ultimi.

Il WEF ha ampiamente raggiunto questo obiettivo attraverso un programma noto come iniziativa Young Global Leaders (YGL), volto a formare i futuri leader globali. Lanciata nel 1992 (quando si chiamava Global Leaders for Tomorrow), l’iniziativa ha disseminato molti capi di stato, ministri e dirigenti d’azienda allineati al globalismo. Tony Blair, ad esempio, partecipò al primo evento, mentre Gordon Brown vi partecipò nel 1993. In effetti, la sua partecipazione iniziale era piena di altri futuri leader, tra cui Angela Merkel, Victor Orbán, Nicholas Sarkozy, Guy Verhofstadt e José Maria Aznar .

Nel 2017, Schwab ha ammesso di aver utilizzato i giovani leader globali per “penetrare nei gabinetti” di diversi governi, aggiungendo che nel 2017 “più della metà” del gabinetto del primo ministro canadese Justin Trudeau era stato membro del programma. Più di recente, a seguito della proposta del primo ministro olandese Mark Rutte di ridurre drasticamente le emissioni di azoto in linea con le politiche “verdi” ispirate dal WEF, che ha scatenato grandi proteste nel paese, i critici hanno attirato l’attenzione sul fatto che, oltre allo stesso Rutte che aveva stretti legami con il WEF, il suo ministro degli affari sociali e dell’occupazione è stato eletto ‘Young Global Leader’ del WEF nel 2008, mentre il suo vice primo ministro e ministro delle finanze Sigrid Kaag contribuisce all’agenda del WEF. Nel dicembre 2021, il governo olandese ha pubblicato la sua passata corrispondenza con i rappresentanti del World Economic Forum, mostrando un’ampia interazione tra il WEF e il governo olandese.

Altrove, l’ex primo ministro dello Sri Lanka Ranil Wickremesinghe – che l’anno scorso è stato costretto a dimettersi a seguito di una rivolta popolare contro la sua decisione di vietare fertilizzanti e pesticidi a favore di alternative organiche e “amiche del clima” – è stato anche un membro devoto e collaboratore dell’Agenda del WEF. Nel 2018 ha pubblicato un articolo sul sito web dell’organizzazione dal titolo: “Ecco come renderò ricco il mio paese entro il 2025”. (In seguito alle proteste, il WEF ha rapidamente rimosso l’articolo dal suo sito web.) Ancora una volta, sembra chiaro che il ruolo del WEF nella formazione e nella selezione dei membri delle élite politiche mondiali non attua una cospirazione, ma semmai una politica sbandieratamente di pubblico dominio che Schwab è proprio ben lieto di ostentare.

In definitiva, non si può negare che il WEF eserciti un potere immenso, che ha cementato il dominio della classe capitalista transnazionale a un livello mai visto prima nella storia. Ma è importante riconoscere che il suo potere è semplicemente una manifestazione del potere della “superclasse” che rappresenta: ossia un piccolo gruppo che ammonta, secondo i ricercatori, a non più di 6mila o 7mila persone, ovvero lo 0,0001% della popolazione mondiale, eppure più potente di qualsiasi classe sociale che il mondo abbia mai conosciuto. Samuel Huntington, che ha il merito di aver inventato il termine “uomo di Davos”, ha sostenuto che i membri di questa élite globale «hanno poco bisogno di lealtà nazionale, vedono i confini nazionali come ostacoli che fortunatamente stanno svanendo e vedono i governi nazionali come residui del passato i cui l’unica funzione utile è facilitare le operazioni globali dell’élite». Era solo questione di tempo prima che questi aspiranti cosmocrati sviluppassero uno strumento attraverso il quale esercitare pienamente il loro dominio sulle classi inferiori. E il WEF si è dimostrato il veicolo perfetto per farlo.

Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras.

Fonte: https://unherd.com/2023/01/how-the-davos-elite-took-back-control/

L’autore Thomas Fazi ha recentemente pubblicato The Covid Consensus, assieme a Toby Green.

2 pensieri su “DAVOS: PEGGIO DI UN COMPLOTTO di Thomas Fazi*”

  1. maria bonatti dice:

    Fin quando ci saranno stati-nazioni come Russia , Iran, Cina, Corea del Nord questi criminali del WEF e soci non potranno vincere.

  2. AntiDavos dice:

    Trump unico vero antagonista all’Imperialismo Globalista di Davos

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