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IL DISCORSO DI PUTIN di Jacques Sapir

Il discorso di Putin è importante e dice diverse cose essenziali.

– La guerra in Ucraina è “esistenziale” per la Russia. La posta in palio è la sopravvivenza stessa della Russia come stato.

– Questo implica che ci sono “traditori della Patria”. Ma Putin fa una distinzione tra chi si è opposto alla guerra — che perdona — e chi combatte attivamente la patria. Per questi nessun perdono.

– Putin chiede una nuova distribuzione della ricchezza: Annuncia la creazione di un fondo speciale per fornire sostegno finanziario ai combattenti e alle loro famiglie.

–  Richiede il rafforzamento materiale del complesso militare-industriale e un sostegno speciale (salari, alloggi) per i lavoratori di queste industrie. È questo l’annuncio di un “keynesismo militare”?

–  Annuncia un significativo rafforzamento delle forze armate con un’integrazione dell’esperienza dei combattimenti in corso e un aumento dell’organico per la costituzione di una riserva attiva.

–  Le sanzioni sono state un fallimento: Putin segnala la cifra del calo del PIL del -2,1%. Conferma che viene effettuata una spesa di 14 miliardi di dollari per contrastare le sanzioni.

– Putin evidenzia i progressi nell’edilizia e nell’agricoltura e indica che c’è stata una forte riduzione del tasso di disoccupazione.

– Putin indica che se la priorità oggi è a La Défense, questa priorità non dovrebbe essere a scapito dell’economia.

– Putin annuncia un cambio di modello economico. La crescita sarà più centrata sul mercato interno e sulla diversificazione dell’economia.

– Putin ribadisce la priorità per i trasporti (prolungamento orientale dell’alta velocità) e la “gassificazione” dell’economia. Annuncia un importante programma infrastrutturale

– Putin annuncia un sistema di crediti agevolati e sgravi fiscali per accelerare lo sviluppo di tecnologie all’avanguardia.

–  C’è un chiaro monito di Putin agli oligarchi: o torni in Russia e partecipi al suo sviluppo o non sarai niente.

– Putin riprende il tema “La Russia è una civiltà” e indica che la Sovranità della Russia non è negoziabile.

– L’importanza data da Putin alla formazione. Un paese che manca di manodopera non ha altra scelta. Dobbiamo formare meglio i giovani in relazione all’economia. Ciò implica un migliore coordinamento tra l’università e il mercato del lavoro.




CONSIDERAZIONI SCOMODE SULLA MANIFESTAZIONE DI SANREMO di Fronte del Dissenso

Ad una settimana dalla manifestazione dell’11 febbraio a Sanremo, riteniamo utili alcune considerazioni a freddo su quella giornata che, se da un lato ha visto il flop dell’operazione propagandistica imbastita dalla Rai e dal governo, dall’altro ha messo in luce diversi problemi nel campo di chi si oppone alla guerra della Nato.

Con queste brevi note ci proponiamo tre obiettivi: ristabilire la verità dei fatti, denunciare le gravi scorrettezze commesse dal Cln di Mattei, iniziare a guardare in avanti affinché quel che è successo non si ripeta più.

Partiamo dunque dai fatti. Qualche settimana fa, appena si è saputo della comparsata di Zelensky al Festival di Sanremo, molte realtà hanno iniziato a muoversi per portare il No alla guerra in piazza. Mentre un appello di intellettuali raccoglieva migliaia di adesioni, movimenti politici e gruppi sociali che erano stati in prima linea nella Resistenza contro l’Operazione Covid-19 e il cosiddetto “Green Pass”, a partire da quelli della Liguria, concordavano di svolgere proprio a Sanremo una unitaria manifestazione di protesta.

Come Fronte del Dissenso abbiamo immediatamente aderito alla proposta, suggerendo altresì che parallelamente si svolgessero presidi di protesta sotto le sedi regionali della RAI. Abbiamo dunque pubblicizzato al massimo la manifestazione, delegando le decisioni sull’organizzazione e la gestione della piazza agli amici liguri, avendo avuto assicurazioni sul carattere plurale ed unitario della manifestazione. In tutta evidenza, le stesse assicurazioni erano state date anche a tutti gli altri soggetti interessati a partecipare, tant’è che la locandina ufficiale dell’evento riportava la firma (ed i loghi) di quasi trenta realtà a vario titolo organizzate.

Tutto è andato per il meglio fino al giorno precedente alla manifestazione, quando, in maniera del tutto inopinata, il Cln diffondeva una propria locandina dalla quale sparivano tanto i loghi che gli interventi delle altre organizzazioni. Restava solo il Cln, con il suo simbolo, i suoi interventi e quello di altri decisi dal Cln stesso in maniera separata da tutti gli altri partecipanti.

Questo tentativo di impossessarsi di una manifestazione unitaria all’unico scopo di rafforzare la propria sgangherata parrocchia era del tutto inaccettabile, ed i primi a ribellarsi a questa arrogante pretesa sono stati proprio gli amici liguri, sostenuti in questo dalle altre organizzazioni. Come Fronte del Dissenso abbiamo detto un chiaro no al tentativo del Cln, insieme ad un chiaro sì ad una gestione veramente unitaria dell’evento. In questo senso, al fine di evitare una spaccatura in piazza che avrebbe fatto del male all’intero movimento, abbiamo accettato una prima mediazione, fatta poi di nuovo saltare dal Cln.

Naturalmente, la pretesa del CLN di impadronirsi della manifestazione – pretesa respinta da tutti gli altri partecipanti – non poteva che fallire. Alla fine, tutti hanno potuto parlare, e le ragioni dell’opposizione alla guerra della Nato, non di un semplice pacifismo all’acqua di rose, sono state portate in piazza.

Quel che è successo a Sanremo non si deve ripetere. Con chi usa certi metodi pare molto difficile collaborare, questa è la prima lezione da trarre.

Ma se la responsabilità di quanto accaduto è fin troppo evidente, dobbiamo invece interrogarci sulle ragioni strutturali della debolezza del movimento contro la guerra nel nostro Paese. Mentre a livello di opinione l’opposizione alle scelte di guerra del governo sta crescendo – da qui le stesse difficoltà a gestire il pagliaccio ucraino sul palcoscenico sanremese – una vera mobilitazione ancora non c’è.

Sempre con il massimo spirito unitario, il Fronte del Dissenso è stato promotore e protagonista delle principali mobilitazioni di questo anno di guerra, da quella di Bologna del marzo 2022, a quella del 1 maggio a Padova, a quella di Aviano del dicembre scorso, passando per innumerevoli manifestazioni regionali. Ma mentre siamo fieri del lavoro svolto, siamo anche consapevoli delle difficoltà e di una generale inadeguatezza rispetto alla gravità del momento.

Detto in altre parole, un vero movimento contro la guerra ancora non esiste nel nostro paese, così come non esiste nel resto d’Europa. Certo, questo dipende da tanti motivi, ma possiamo andare avanti così? Noi pensiamo di no. Pensiamo che tutte le forze consapevoli debbano fare un passo in avanti in termini di unità, coordinamento ed obiettivi comuni. Per arrivare a questo salto di qualità il Fronte del Dissenso farà la sua parte, chiamando tutte le altre forze che condividono questa esigenza a fare altrettanto.

Ed è proprio nella prospettiva di gettare le fondamenta di un movimento europeo per la pace e contro le politiche di guerra della NATO che si svolgerà a Roma nei giorni 4-5 marzo 2023 un primo Incontro Internazionale. Hanno già assicurato la loro presenza delegazioni provenienti da Russia, Georgia, Germania, Austria, Spagna, Francia e Grecia

Fronte del Dissenso

20 febbraio 2022

 




NUCLEARE? NO GRAZIE! In risposta a Thomas Fazi di L. Mazzei

Un’indagine impeccabile sulla questione dell’uso civile dell’energia nucleare, una critica frontale a chi si ostina a non capire o fa finta di farlo

L’articolo di Thomas Fazi — «Perché l’Occidente dovrebbe diventare nucleare» — lascia sinceramente sconcertati. Se il titolo è già un programma, il contenuto è un vero concentrato di luoghi comuni, di superficialità, di cieca adesione alla narrazione della lobby nucleare. Ma la cosa più sconcertante è che l’autore non è un propagandista della casta neoliberista al potere. Al contrario, Fazi si definisce un “sovranista di sinistra”, ed in base ai suoi scritti che conosciamo la definizione ci appare alquanto corretta.

E’ qui che il problema si fa più inquietante. Cosa spinge un “sovranista di sinistra” ad assumere una posizione del genere? Se l’articolo in questione fosse stato opera di un qualsiasi fanatico dell’atomo, come quelli che calcano il palcoscenico mediatico da mezzo secolo, ci sarebbe stato ben poco da dire. Che l’abbia invece scritto uno come Fazi lascia piuttosto interdetti.

La cosa è dunque intrigante. E una risposta è francamente dovuta. Del resto, non si tratta di un caso isolato. Alla fine dello scorso mese di ottobre sono stato invitato dagli amici di Pro Italia ad un loro convegno sull’energia. In quella sede ho rappresentato le ragioni del no al nucleare, confrontandomi in una tavola rotonda con Fulvio Buzzi, un PhD in Ingegneria Energetica, convinto sostenitore del sì all’energia atomica ed amministratore della pagina Facebook L’Avvocato dell’Atomo.

Il gruppo che si raccoglie attorno a quella pagina è un club di sfegatati sostenitori dell’energia nucleare, ma L’Avvocato dell’Atomo è anche il titolo di un libro di Luca Romano, edito proprio da Fazi Editore. Che dire? Il cerchio si chiude.

Benché la tavola rotonda di cui sopra sia stata integralmente ripresa, il video non è mai stato pubblicato. Una vera iattura, perché se invece fosse stato reso disponibile non avrei che da rimandare a quella discussione, senza bisogno di dover scrivere altro. In quella sede vi fu anche uno spiacevole incidente. Sbroccando di brutto, uno dei relatori, l’ingegnere nucleare Olivier Bessire, mi rivolse l’insolita accusa di avere portato “troppi argomenti”.

Bene, ripartiamo allora da lì, dai tanti argomenti con i quali i fanatici dell’atomo non vogliono proprio confrontarsi. Da questo punto di vista l’articolo di Thomas Fazi è assolutamente utile, proprio perché riproponendo tutti i temi classici del nuclearismo più cieco, ci offre l’opportunità di dimostrane l’assoluta e completa fallacia. Del resto, se il nucleare non convince, e mai c’è riuscito in 70 anni di storia, una ragione ci sarà…

Gli argomenti di Fazi (e di tutti gli incalliti pro nuke)

L’incipit dell’articolo non lascia spazio a dubbi:

«Da un lato, la tecnologia della fissione, sotto forma di guerra nucleare, detiene ancora il potenziale per segnare la fine dell’umanità; dall’altro, sotto forma di abbondante energia nucleare priva di emissioni di carbonio, potrebbe contenere la chiave per la sopravvivenza della civiltà».

Addirittura, la «sopravvivenza della civiltà»! Ma si può?! E’ questo un argomento trito e ritrito della propaganda pro nuke. Da una parte vi sarebbe una forma di energia abbondante e pulita, dall’altra una strana umanità che rifiuterebbe, chissà il perché, di avvalersene. Il problema è che i pro nuke proprio non riescono a spiegarsi questa contraddizione, o meglio se la spiegano solo con la nota “ignoranza del popolo”. Alla quale contrappongono una tecnoscienza ritenuta evidentemente infallibile. E, peggio, ritenuta tale nonostante i suoi ripetuti fallimenti, di cui il “popolo ignorante” si è invece accorto. Ecco qui un primo problema per un “sovranista di sinistra”.

Ma non c’è solo questo. A parte il fatto che affermare che le centrali nucleari non emettono carbonio sarebbe un po’ come dire che quelle a carbone non emettono radiazioni nucleari, ci sono almeno altre due questioni da esaminare. In primo luogo, considerando l’intero ciclo di vita degli impianti e del combustibile, è certo vero che le centrali nucleari rilasciano meno CO2 di quelle termiche, ma (secondo le stime dell’ONU) pur sempre 3 volte di più del fotovoltaico, 13 volte di più dell’eolico, 30 volte di più dell’idroelettrico. In secondo luogo, ancora più importante, ma davvero vogliamo accettare ciecamente l’interessata narrazione sul “cambiamento climatico” che considera la CO2 come il male assoluto? Chi scrive non la accetta affatto ed ha provato a spiegare il perché.

Tutti pagati dai petrolieri?

Trattando del periodo d’oro dell’energia atomica (anni sessanta-ottanta del secolo scorso), Fazi si lasciar andare – en passant – ad un’affermazione rivelatrice assai:

«Nonostante la crescente opposizione dei gruppi ambientalisti (spesso finanziati dall’industria petrolifera) e del pubblico in generale, in gran parte a causa della confusione tra l’energia nucleare e le armi nucleari nella mente di quest’ultimo, questo periodo è stato comunque caratterizzato da un diffuso ottimismo circa il potenziale dell’energia nucleare per inaugurare un futuro post-fossile».

Et voilà! Le cose andavano meravigliosamente, se non fosse stato per un’opposizione nata grazie al finanziamento dei petrolieri! Avete capito perché è sorto il movimento antinucleare? Mica per i primi incidenti nelle centrali atomiche, le prime notizie (benché normalmente censurate) delle perdite radioattive! No, solo grazie ai soldi dei petrolieri! Ora, chi volesse adottare lo stesso modo di ragionare dell’articolista, potrebbe tranquillamente spiegarsi certe affermazioni pro nuke nella stessa maniera. Infatti, come c’è una lobby del fossile, ce n’è pure una del nucleare. E’ evidente che se si ragiona così ogni confronto serio diventa impossibile.

Come riscrivere la storia dei disastri atomici

Ad ogni modo, dopo quell’età dell’oro, arriveranno Chernobyl e Fukushima, due tragedie che per Fazi sono state ben poca cosa. Dopo aver rilevato la diffusione dei timori (irrazionali, egli dice!) suscitati da quelle vicende, ecco come le liquida:

«In realtà, l’energia nucleare ha un impressionante record di sicurezza. Nell’intera storia pluridecennale dell’energia nucleare civile, tra centinaia di reattori in tutto il pianeta, ci sono stati solo due grandi incidenti in cui è stata emessa una grande quantità di materiale radioattivo: Chernobyl e Fukushima. A questo punto, molti ribattono che basta un incidente per causare danni immensi. Ma Chernobyl e Fukushima sono stati davvero così letali come pensiamo? Con Chernobyl, 30 persone sono morte come conseguenza immediata dell’incidente, mentre un’indagine delle Nazioni Unite quasi 20 anni dopo il disastro ha concluso che fino a 4.000 persone potrebbero morire di cancro a causa dell’esposizione alle radiazioni – un aumento che in termini statistici potrebbe essere “molto difficile da rilevare”».

E ancora:

«La disconnessione tra realtà e percezione è ancora più evidente nel caso di Fukushima. La maggior parte delle persone probabilmente non è a conoscenza del fatto che, secondo gli studi condotti da diverse agenzie delle Nazioni Unite, tra cui l’Organizzazione mondiale della sanità, il numero totale di persone uccise, sia direttamente attraverso l’elevata esposizione alle radiazioni o probabilmente destinate a morire in seguito a causa di tassi elevati di cancro nella popolazione, era… zero. D’altra parte, si stima che l’evacuazione non necessaria di centinaia di migliaia di persone abbia causato fino a 1.600 morti, a causa di effetti psicosociali a lungo termine sulla salute. È la paura irrazionale dell’energia nucleare che uccide, non l’energia nucleare stessa».

Avete capito bene: per Fazi quello di Chernobyl è stato un incidente industriale come tanti – «la stragrande maggioranza delle evacuazioni sull’area di Chernobyl non aveva giustificazione alcuna» egli scrive – mentre a Fukushima proprio non sarebbe successo nulla. Qui non si sa davvero se ridere o se piangere. E’ evidente che i morti del nucleare non si contano nell’immediato come quelli di un terremoto o di un’alluvione, ma le valutazioni sull’incremento delle malattie e dei decessi prematuri ci sono, specie su Chernobyl. Su questa catastrofe le stime più basse (quelle dell’ONU) parlano di 4.000 morti, altre di 60.000, per arrivare allo studio di 3 scienziati russi (autore principale il membro dell’Accademia delle Scienze, Alexey Yablokov) che calcola in 985.000 le morti premature dovute al rilascio radioattivo del 1986. Ora, è chiaro che non si può sapere chi abbia ragione, ma la superficialità e la partigianeria con la quale Fazi tratta questi disastri lascia davvero sgomenti.

Non solo. Secondo la sua pittoresca ricostruzione dei fatti, tanto le autorità sovietiche nel 1986, quanto quelle nipponiche nel 2011 avrebbero preso dei granchi giganteschi. Le evacuazioni sarebbero state non necessarie e perfino dannose. Ma insieme a russi e giapponesi avrebbero toppato di brutto anche tutti quei paesi (la stragrande maggioranza) che dopo quegli incidenti decisero di fermare o comunque ridimensionare i loro programmi nucleari.

Tutti fessi salvo i pro nuke?

Tutti fessi, salvo quelli de L’Avvocato dell’Atomo? Suvvia, siamo seri. Negli anni settanta e ottanta, l’energia nucleare godeva di un’ottima stampa, i suoi propagandisti erano sempre in televisione, la sua lobby era ben più influente di altre. In Italia, dove tutti gli schieramenti politici ne erano fortemente condizionati, si arrivò ad ipotizzare la costruzione di 62 centrali atomiche entro il duemila! Il Piano Energetico Nazionale (PEN) ne prevedeva intanto una decina, ciascuna da 2.000 Mw di potenza installata.

Perché tutto questo entusiasmo cominciò a raffreddarsi, per poi congelarsi del tutto? La migliore risposta ci viene da colui che fu il protagonista assoluto dei piani nucleari del nostro Paese, l’allora ministro dell’Industria Carlo Donat-Cattin. Così si legge nel sito della Fondazione che porta il suo nome:

«Donat-Cattin, che quel piano aveva promosso e sostenuto, dopo l’incidente di Chernobyl sarebbe rimasto perplesso, dubbioso sulle assicurazioni date dagli esperti intorno a quella scelta. Lui, non fisico e quindi incompetente del settore, raccontava quanto i maggiori scienziati del paese gli avevano dato per certo: “Dicevano: un incidente grave è possibile ogni 1.000 anni nel mondo. In realtà con Three Mile Island e Chernobyl siamo a due incidenti pesanti in 8 anni”. Poi sarebbe avvenuto anche quello di Fukushima».

Che dire? Meglio l’onestà intellettuale del vecchio ministro democristiano, che l’odierna pervicacia di chi sembra ignorare del tutto la vera storia del nucleare civile. Una storia fatta di rassicurazioni e falsità, oggi come allora, il cui meccanismo della menzogna ha sempre funzionato allo stesso modo. In principio si afferma che i reattori in servizio sono sempre “puliti e sicuri”. Poi, quando si verifica un incidente, piccolo o grande che sia, entra in campo un circolo ben collaudato: prima la negazione di quanto accaduto, poi (se scoperti) la parziale ammissione, infine l’immancabile rassicurazione sul futuro, quando avremo i mitici reattori di “nuova generazione”. E’ così dagli anni settanta, quegli stessi anni in cui si diceva che senza il nucleare saremmo restati al buio entro il duemila…

Ma torniamo alla sufficienza con la quale il Fazi tratta i disastri di Chernobyl e Fukushima. Un atteggiamento davvero irresponsabile, che cozza con le stesse classificazioni di chi sull’energia nucleare ci campa. Sia Chernobyl che Fukushima sono state infatti definite come catastrofi di livello 7, il più alto sulla scala INES. Il livello 7 viene attribuito infatti agli “incidenti catastrofici” in cui si verifica “un rilascio di materiale radioattivo di più grande entità, con effetti ampiamente diffusi sulla salute e l’ambiente, richiedendo l’attuazione di contromisure pianificate ed estese”.

Si noti che classificazione e descrizione dei vari livelli non vengono da qualche squinternato ambientalista, bensì dalla AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), dunque da un ambiente che più nuclearista non si può. Ma che ritenne comunque opportuno sviluppare la scala INES nel 1989.

Eppoi le scorie stanno tutte in uno stadio di calcio…

Non contento degli sfondoni su Chernobyl e Fukushima, il Fazi ci parla poi delle scorie, che ovviamente non sarebbero un problema:

«Si ritiene generalmente che i reattori nucleari producano grandi quantità di scorie radioattive che rimangono tossiche per centinaia di migliaia di anni e che non siamo in grado di immagazzinare in modo sicuro. In verità, poiché il combustibile nucleare è incredibilmente denso, il volume effettivo di rifiuti prodotti è notevolmente ridotto. L’intero volume di combustibile esaurito di 50 anni di energia nucleare americana potrebbe essere stipato in uno stadio di calcio, ammucchiato a 20 piedi di altezza. Quantità così piccole sono facili da contenere e gli attuali metodi di stoccaggio e trasporto hanno record di sicurezza impressionanti».

Anche in questo caso, “Tutto va bene Madama la Marchesa”! Purtroppo, Fazi non riesce a dirci nulla sul perché quello delle scorie sia tuttora un problema irrisolto a livello mondiale. Ci dice solo che le scorie prodotte dalle centrali americane starebbero tutte in uno stadio di calcio. Ma che forse è un problema di volumi? Fosse per questo, pure tutte le bombe atomiche ci starebbero in uno stadio.

Sta di fatto che negli Stati Uniti, il paese dalla tecnologia più avanzata e con ampi spazi a disposizione, siamo ancora agli “stoccaggi temporanei”. Lasciando perdere i campi di calcio, gli americani hanno immagazzinato le loro simpatiche scorie in ben 80 località sparse su 35 stati. E questo perché? Perché da decenni sono alla ricerca di un deposito geologico profondo e dunque sicuro. Il problema è che finora non l’hanno trovato. Ma forse è solo perché non hanno ancora pensato agli stadi…

Ovviamente il problema americano è comune a tutto il mondo, e questo ha anche un costo piuttosto rilevante. Giusto per avere un’idea, la spesa per lo “stoccaggio provvisorio” del modestissimo nucleare italiano, defunto definitivamente nel 1987, ammonta a 300 milioni di euro all’anno, per un totale ad oggi di 10,8 miliardi. Una cifretta che, pur non sapendolo, gli italiani hanno pagato (e continueranno a pagare) nelle bollette elettriche. Così come hanno pagato altri 10 miliardi per la partecipazione dell’Enel alla fallimentare avventura del reattore autofertilizzante Superphénix, nella centrale francese di Creys Malville, che non ha mai immesso in rete un solo kilowattora. Ma, si sa, il nucleare conviene…

Le fantasie sui costi

Infatti, per i fanatici pro nuke l’energia atomica non solo è sicura e pulita, ma pure economica. Ecco cosa scrive Fazi:«Un’ultima questione che di solito viene utilizzata come ultima linea di attacco contro l’energia nucleare è quella dei suoi presunti costi proibitivi. Questo è probabilmente l’argomento più assurdo di tutti. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica stima che l’investimento globale necessario per costruire 10-20 nuovi reattori all’anno – che raddoppierebbe la capacità di energia nucleare entro il 2040 – costerebbe 80 miliardi di dollari all’anno. Ciò equivale a meno dello 0,1% dell’attività economica annuale mondiale e una frazione di quanto abbiamo speso per la pandemia. Non c’è dubbio che possiamo “permetterci” di sviluppare il nucleare, anche su una scala molto più ambiziosa di quella prevista dall’AIEA».

Ammazzate! Che precisione! Intanto, dire 10-20 reattori non dice nulla, se non se ne specifica la potenza. Ma poi, assumendo il costo totale di 80 miliardi, se i reattori fossero 20 il costo unitario sarebbe di 4 miliardi, mentre se fossero 10 la spesa raddoppierebbe. Vabbè, ma lì c’è la Scienzaaa!

Ma anche lasciando perdere queste “cosucce”, il problema è che i costi delle centrali nucleari non sono questi. Nell’Unione Europea si sono costruiti due soli reattori negli ultimi 15 anni: uno in Francia, l’altro in Finlandia. E già lì uno dovrebbe interrogarsi sul perché di questa debacle: se l’energia atomica è così vantaggiosa, perché quasi nessuno ci investe più?

Ma veniamo agli ultimi due reattori europei. Il primo è stato installato ad Olikuoto, in Finlandia, dove i lavori sono iniziati nell’agosto 2005, con un costo previsto di 3,2 miliardi di euro, ed un’entrata in funzione annunciata per il maggio 2009. Ma, chissà perché, nel meraviglioso mondo del nucleare deve essere successo qualcosa. Sta di fatto che l’entrata in servizio è avvenuta (con trionfali annunci notturni sui laghi finlandesi) alle ore 3:22 del 21 dicembre 2021, mentre la spesa è salita a 12 miliardi. Insomma, sia i costi che i tempi di costruzione sono quadruplicati: un successone!

Ora qualcuno potrebbe pensare ad una particolare inefficienza dei finlandesi, ma non è così. Nella francese Flamanville, cioè nella patria dell’atomo, dove (unico paese al mondo) la fonte atomica copre oltre il 70% della produzione elettrica, le cose non sono andate meglio. Qui i lavori, iniziati nel 2007, dovevano finire nel 2014 e invece… invece non sono ancora terminati (ed adesso si parla di fine 2023). Ed i costi? Électricité de France (Edf) ammette che sono quadruplicati, passando da 3,3 a 12,7 miliardi, ma altre fonti parlano invece di un conto finale da circa 20 miliardi. Complimenti! Vista la malparata, bene fece l’Enel, che deteneva una quota del 12,5% sull’impianto di Flamanville, a tirarsi fuori da quell’impresa nel 2012, facendosi rimborsare da Edf con 630 milioni di euro.

Ci fermiamo qui per non tediare i lettori, ma si dovrà pur riconoscere che la realtà dei fatti – ammessa peraltro dalle stesse compagnie elettriche – nulla ha a che fare con il trionfalismo del Fazi.

Ecco a voi un’autentica perla!

Il problemino non dev’essergli però sfuggito, visto che dopo aver sostenuto l’estrema convenienza economica del nucleare, il Nostro si contraddice passando a chiedere sovvenzioni pubbliche per l’energia atomica. Ora, qui i casi sono due: o questa economicità c’è ed allora non si vede il perché delle sovvenzioni, oppure non c’è ed allora non si capisce perché lo Stato dovrebbe farsene carico magari a discapito delle rinnovabili.

Ma il passaggio sul punto è un’autentica perla che va riportata per intero:

«Il fatto che l’energia nucleare sia diventata un’ancora di salvezza in Occidente è certamente incoraggiante. Ma il futuro del settore in questi paesi rimane poco chiaro, afflitto com’è da una miriade di sfide, tra cui un sostegno statale insufficiente, una regolamentazione troppo gravosa e una tiepida percezione pubblica». (le sottolineature sono nostre)

Abbiamo qui quattro affermazioni, tutte assai gravi, ma la terza va al di là di ogni decenza. Non solo il nucleare sarebbe «un’ancora di salvezza per l’Occidente», non solo meriterebbe un sostegno statale, non solo l’opinione pubblica sarebbe fatta da un popolo notoriamente inconsapevole, ma il nucleare soffrirebbe per «una regolamentazione troppo gravosa». Ecco qui un tipico discorso ultraliberista, quello dei famosi “lacci e lacciuoli” sempre da rimuovere, stavolta però sulle labbra di un antiliberista, per giunta “sovranista e di sinistra”. Roba da restare allibiti.

La confusione sulle fonti rinnovabili

Dopo aver segnalato che anche le energie rinnovabili pongono comunque diversi problemi ambientali – e qui siamo d’accordo: è questo un tema che va seriamente discusso – il Nostro ricade immediatamente nella narrazione nuclearista a senso unico:

«Anche con un’alta percentuale di energie rinnovabili, sarebbe comunque necessaria una fonte di energia stabile e costante, e si tratterebbe di combustibili fossili o di energia nucleare. In effetti, innumerevoli studi hanno dimostrato che l’energia nucleare, in combinazione con le rinnovabili, è l’unica via percorribile per una rapida decarbonizzazione globale. Non solo l’energia nucleare è disponibile 24 ore su 24, a differenza delle energie rinnovabili, ma è anche significativamente più concentrata dell’energia eolica o solare, il che significa che richiede un uso minimo del suolo».

Questo ragionamento presenta una verità, una premessa assai discutibile ed un’inesattezza inaccettabile. La verità è nella prima frase: almeno per un periodo non breve (30-40 anni?) le rinnovabili da sole non potranno bastare. Vero, ma perché preferire il nucleare al gas? La risposta sta nella totale adesione del Fazi al dogma imperante sul clima, quello che piace tanto (domandiamoci il perché) ai signori di Davos. Da qui la necessità di una decarbonizzazione accelerata costi quel che costi. Questa premessa è del tutto discutibile e chi scrive non la condivide affatto. Ma chi invece la prende come buona, riaprendo così la strada alla follia nuclearista, dovrebbe allora riconoscere che i tempi biblici della realizzazione delle centrali atomiche risulterebbero comunque troppo lunghi, incompatibili con l’obiettivo dichiarato della rapida decarbonizzazione.

Veniamo ora all’inesattezza inaccettabile. Ovviamente è vero che quella nucleare è una fonte costante, ma lo è pure quella termica tradizionale (gas, carbone, petrolio). Tuttavia, proprio questa costanza, che è fissa e non modulabile, può rappresentare essa stessa un problema. Facciamo un esempio. Siccome la notte i consumi giornalieri si dimezzano, la Francia – proprio a causa dell’elevatissima quota di nucleare – è normalmente costretta a vendere sottocosto la produzione in eccesso ad altri paesi. Detto questo, è proprio vero che le fonti rinnovabili sono tutte incostanti, volatili e dunque ingovernabili come si lascia intendere?

Ecco, le cose non stanno esattamente così. Ed è su questa voluta inesattezza che giocano i pro nuke. A prescindere dalla loro “bontà”, su cui si può discutere, cinque sono le fonti classificate come rinnovabili: solare, eolico, geotermico, biomasse, idroelettrico.

Per sua natura il solare produce solo di giorno, ma è proprio durante il giorno che si registrano i picchi della domanda. Diverso è il discorso dell’eolico, certamente incostante ma senza preferenze orarie. Geotermico e biomasse funzionano come le centrali termiche tradizionali, dunque normalmente a carico costante. L’idroelettrico è invece la fonte più modulabile di tutte, e potendo giocare sugli invasi (unica forma di immagazzinamento potenziale dell’energia elettrica oltre alle batterie), ove servisse sarebbe possibile privilegiare la sua produzione notturna rispetto a quella diurna. Conclusione: su cinque fonti, due sono costanti, una è discontinua ma senza preferenze orarie, una è attiva solo nelle ore diurne, mentre l’ultima è modulabile a piacere almeno per il 90% della produzione.

Questo non significa che in un futuro sistema di sole rinnovabili non vi sarebbero problemi nella programmazione del carico giornaliero. Ma questi problemi non saranno affatto irrisolvibili come si vorrebbe far credere. Chi continua a sostenerlo o è disonesto o è ignorante. Naturalmente, essere ignoranti su questo o quel problema non è una colpa, ma nel caso bisognerebbe essere più prudenti prima di rilanciare certe panzane.

Ma torniamo al punto. Come abbiamo visto, le fonti rinnovabili non sono tutte bizzose, incostanti, imprevedibili e dunque ingovernabili. Per venire a capo dei problemi di programmazione del carico basterà tenere conto di tre direttrici: un giusto mix tra le varie fonti, una potenza installata di riserva, un forte ritorno al pompaggio negli impianti idroelettrici. Ovviamente tutto questo richiederà investimenti importanti, ma non maggiori a quelli necessari nel nucleare o nel termico tradizionale. Con la differenza che alla fine si avrà meno inquinamento (non parlo della CO2, sulla quale si sarà capito cosa penso), meno sfruttamento delle risorse naturali, materia prima a costo zero.

Oggi, a differenza di quarant’anni fa, puntare sulle rinnovabili è assolutamente realistico. Basti pensare che negli ultimi anni (con l’eccezione del 2022, a causa del calo dell’idroelettrico) la produzione da rinnovabili in Italia ha già raggiunto e superato il 40% del totale. Dunque, non si parte da zero.

Un “risveglio” nucleare?

Dopo aver riconosciuto che il nucleare arranca, il Nostro ci annuncia che la recente crisi energetica sta ormai portando ad un “risveglio” del nucleare. Ma andiamo con ordine, partendo dalla sua ammissione sul reale stato delle cose:

«A metà del 2022, 411 reattori erano in funzione in 33 paesi, sette in meno rispetto al 1989 e 27 al di sotto del picco del 2002 di 438. Tra il 2002 e il 2021 sono stati realizzati 98 impianti (mentre 105 sono stati chiusi), ma più della metà delle nuove costruzioni è avvenuta in un solo Paese: la Cina. Nel frattempo, al di fuori della Cina, negli ultimi 20 anni si è registrato un calo netto di 57 unità».

Dopo questa fotografia, dal suo punto di vista un vero grido di dolore, Fazi passa agli annunci trionfali:

«Ma c’è un lato positivo nella crisi energetica. Gli ultimi mesi hanno segnato una grande ripresa per le prospettive dell’energia nucleare in tutto il mondo sviluppato».

In realtà questa “ripresa” si limita per ora (e per fortuna) ad alcuni annunci tutti da verificare, e tuttavia questo è sufficiente per far esultare il Nostro, fino a parlare di un “risveglio nucleare” in corso. Ma perché un “sovranista di sinistra” dovrebbe esserne così felice? Ecco la sua spiegazione:

«È di vitale importanza che la fornitura di energia abbondante, sicura e priva di emissioni di carbonio sia vista come un bene pubblico essenziale e in effetti come una questione cruciale per la sicurezza nazionale, nella misura in cui libererebbe in gran parte i paesi dalla dipendenza dai produttori di energia stranieri. In quanto tale, non può essere valutato esclusivamente sulla base di metriche economiche grezze a breve termine. Abbiamo visto le conseguenze dell’affidarsi a gas straniero “economico”. Inoltre, le nuove tecnologie nucleari, come gli SMR e le centrali nucleari galleggianti, possono essere sviluppate a un costo molto inferiore».

Avete capito? Con il nucleare saremmo “sovrani”, per cui tutte le altre considerazioni di carattere ambientale, economico e sociale nulla contano. E’ accettabile tutto ciò? No, non lo è. Ma c’è dell’altro.  A parte il fatto che il combustibile nucleare in Italia proprio non c’è, il Fazi sottovaluta la dipendenza tecnologica che si determinerebbe in ogni caso. Quando 15 anni fa Berlusconi ebbe la brillante idea di riprendere un programma nucleare, la fornitura dei reattori era tutta in mano alla francese Areva (oggi Orano), quella dei grandiosi risultati a Flamanville ed Olikuoto che abbiamo visto. Ci sono forse delle ragioni per pensare che stavolta andrebbe diversamente? Assolutamente no.

Nelle parole del Fazi c’è pure un accento antirusso che non ci saremmo aspettati, laddove dice che: «Abbiamo visto le conseguenze dell’affidarsi a gas straniero “economico”». Biden non avrebbe potuto dire di meglio. In realtà, quello che le persone comuni hanno visto, e soprattutto subito, sono state semmai le conseguenze dello smettere di rifornirsi di gas russo economico, non il suo contrario.

L’abbiamo fatta lunga con le citazioni, ma credo lo meritassero. Così ognuno si sarà fatto un’idea della materia del contendere. Ma qualora ci fossero ancora dei dubbi sulla sua enfatica posizione, ecco come il Fazi chiude l’articolo:

«La nostra paura è irrazionale: il nucleare è  “mortale” come l’energia eolica e solare , cioè per niente».

Non ci sono parole. Ma quello che ci viene da pensare è che con simili propagandisti il nucleare un gran futuro non potrà mai averlo!

Conclusioni

Abbiamo utilizzato l’articolo del Fazi per tornare su un tema, quello del nucleare, che ultimamente ha preso a farsi strada in ambienti insospettabili. Ho ricordato all’inizio il convegno al quale ho volentieri partecipato nell’autunno scorso. Confrontarsi è sempre positivo, anche se di fronte ad un ingegnere nucleare che ti propone con tranquillità l’installazione di 650 (seicentocinquanta) reattori SMR da 35 Mw cadauno in Italia, non puoi far altro che farti una sonora risata.

I neo-fanatici dell’atomo non riescono proprio a fare i conti con la realtà. In particolare, non riescono a rispondere ad una domanda: perché in quasi settant’anni di storia (la prima centrale è entrata in servizio nel 1956 in Gran Bretagna) il nucleare non è mai riuscito a sfondare? Nel campo della tecnologia, se una cosa non si afferma in un lasso di tempo così lungo vuol dire che presenta dei limiti insormontabili.

Ma negli ultimi decenni l’energia atomica non solo non è andata avanti, essa è regredita nel tempo. Se nel passato il nucleare era arrivato a coprire il 6% dei consumi energetici totali, nel 2021 la sua quota è scesa al 4%. Limitandoci alla produzione elettrica (sostanzialmente l’unico settore in cui l’energia atomica è utilizzata) i dati sono altrettanto chiari. Secondo la Statistical Review of World Energy 2022 della Bp plc, autentica “Bibbia” delle statistiche in campo energetico, nel 2021 la quota del nucleare era del 9,8%, contro il 12,1% del 2011. In questo decennio, mentre i consumi globali passavano da 22.689 a 28.466 miliardi di Kwh (+ 25,4%), la produzione nucleare restava ferma attorno ai 2.800 miliardi. Nello stesso periodo una fonte “matura” come l’idroelettrico cresceva del 16% arrivando a 4.273 miliardi di Kwh nel 2021. Il “risveglio” atomico di cui parla Fazi ci sarà pure, ma per intanto il declino appare inarrestabile.

Nel frattempo sono usciti proprio in questi giorni i dati della produzione di elettricità nell’Unione Europea nel 2022. Secondo la Rassegna europea dell’elettricità del think tank Ember, le cose per il nucleare sono andate malissimo. Nell’anno appena trascorso la produzione nucleare è diminuita di 119 miliardi di Kwh (-16%) rispetto al 2021. Certo, il calo è stato causato principalmente dal clamoroso tracollo del nucleare francese (- 82 miliardi), ma il fatto che quest’ultimo sia stato il frutto di gravi problemi di sicurezza ad un gran numero di reattori (si è arrivati a fermarne 32 su un totale di 56) ci dimostra le criticità del nucleare e la rapida obsolescenza degli stessi (costosi) impianti.Insomma, questa scoperta dell’atomo in nome della sovranità proprio non è convincente. Anzi, a dirla tutta, ci pare proprio una sciocchezza incredibile. Altre sono le strade da percorrere, ma qui ci siamo dilungati fin troppo ed è perciò il caso di limitarci ad enunciare solo i quattro punti principali di una strategia alternativa.

In primo luogo, occorre una risposta politica immediata alla crisi energetica in corso. Il che significa nazionalizzazione del settore dell’energia, prezzi amministrati dallo Stato, fine delle sanzioni e ripristino delle forniture del gas russo. In secondo luogo, la produzione da fonti rinnovabili va sicuramente sviluppata, ma in maniera equilibrata, senza le ansie interessate da “sindrome Thunberg” e secondo i criteri già accennati in questo articolo. In terzo luogo, per alcuni decenni il contributo dei combustili fossili potrà (e dovrà) essere ridotto con decisione, ma senza l’illusione di poterlo azzerare del tutto. In quarto luogo, perché non pensare ad un rapporto virtuoso (cioè conveniente per entrambe le parti) tra la sponda sud e quella nord del Mediterraneo? Utilizzando per la produzione fotovoltaica solo lo 0,02% del Sahara (2.000 Kmq su 9 milioni di Kmq) si coprirebbe l’intero fabbisogno elettrico dell’Italia.

So che quest’ultima idea può sembrare folle, ma in realtà non lo è. Tra l’altro, con un 40% di rinnovabili sul territorio nazionale, e con la loro prevedibile crescita futura, la superfice di deserto da utilizzare già si dimezzerebbe. Certo, si tratterebbe comunque di un’opera imponente, con diversi problemi tecnici, ma tutti sicuramente risolvibili. D’altronde, non esiste la soluzione perfetta alle questioni dell’energia come ai problemi della società umana in genere. Ma immaginate quanto sarebbe meglio, dal punto di vista ambientale e sociale, utilizzare le aree desertiche piuttosto che riempire l’Adriatico di piattaforme eoliche galleggianti!

Al tempo stesso, questo progetto, se concepito e realizzato in base a rapporti economici e politici amichevoli e paritari, favorirebbe la formazione di un’area economica mediterranea alternativa all’Unione Europea. E, forse, per i sovranisti sarebbe proprio questa la miglior notizia. Altro che nucleare!

Pensiamoci seriamente, che i nostri nemici già si stanno muovendo – naturalmente a modo loro – in quella stessa direzione. E’ infatti del dicembre scorso la notizia dell’apertura di un primo corridoio elettrico tra Italia ed Africa. Che sia una mossa stupida? Non credo proprio. Di nuovo: altro che nucleare!




IL MOMENTO CHE VIVIAMO di Moreno Pasquinelli

«Ora quanto ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva, perché voi stessi sapete molto bene che il giorno del Signore verrà come viene un ladro nella notte. Quando diranno: “Pace e sicurezza”, allora una rovina improvvisa verrà loro addosso, come le doglie alla donna incinta, e non scamperanno affatto». [Tessalonicesi, 5,1-11]

Sono molti i pifferai anti-russi indignati per il fatto che il discorsetto di Zelensky sia stato letto a notte fonda quando, ad ascoltare il Festival di Sanremo, erano rimasti pochi superstiti stremati. Ciò che per lorsignori è motivo di lagnanza, per noi è certo nota di conforto, che non compensa tuttavia una giornata dal bilancio negativo.

Sia la manifestazione nazionale a Sanremo, sia i diversi presidi sotto le sedi regionali della RAI, hanno visto una partecipazione scarsa per non dire peggio. Non esiste e non sembra riesca a prendere il via —malgrado la grande maggioranza degli italiani non condivida l’appoggio sfrontato all’Ucraina—, un movimento di massa contro la guerra. Si mobilitano solo piccole agguerrite minoranze. Un dato, questo, che riguarda tutta l’Europa occidentale, per non parlare degli Stati Uniti.

Alcuni addossano a quelli come noi le colpe per l’assenza di questo movimento di massa contro la guerra. “La vostra linea filo-russa spaventa i cittadini”. Fosse così sarebbe dovuta essere un grande successo proprio la manifestazione di Sanremo, strombazzata ai quattro venti dal cosiddetto “CLN” come “Festival del disarmo” mondiale. Che non sia così lo dimostrano le non meno fiacche manifestazioni di pacifisti del “né con Zelenski né con Putin”. Idem quelle dei sinistrati che condannano “l’aggressione russa”. Né tantomeno (e per fortuna!) riescono le manifestazioni di regime a favore della NATO e dell’Ucraina.

C’è poi chi, scambiando la causa con l’effetto, prova a spiegare l’estrema debolezza del movimento contro la guerra della NATO, con le divisioni di queste minoranze, ciò che porta a pensare che se il frazionamento non ci fosse, avremmo la fine dell’assenteismo politico delle masse. Non che la divisione non conti, tuttavia sono l’isolamento e la prevalente sensazione di solitudine dei gruppi militanti che alimentano la discordia e le reciproche diffidenze.

L’apatia lascia il posto alla protesta popolare non tanto perché qualche minoranza ha predicato ed evocato il risveglio, ma come risultato di rotture sociali profonde ed eventi oggettivi favorevoli. La guerra tra la NATO e la Russia è un evento gigantesco che fa da spartiacque tra un periodo e un altro, ma è un fenomeno che per sua natura non può né aiutare né agevolare la protesta sociale; al contrario! determina una psicologia di massa segnata dall’attesa del peggio che verrà e dal senso d’impotenza. Il timor panico causato dall’Operazione terroristica Covid-19 dovrebbe averci insegnato qualcosa, ed esso è ben poca cosa rispetto allo spavento che suscita il rischio della terza guerra mondiale. Se all’angoscia strisciante aggiungiamo la martellante campagna bellicista delle armate mediatiche di regime è già un “miracolo” che la maggioranza degli italiani, pur assenteista, si dichiari contraria al sostegno armato all’Ucraina.

Provare a trasformare questo disimpegno in impegno, a costruire un movimento per tirare fuori l’Italia dalla guerra collegando la lotta per la pace a tutto il resto: questo è un compito da cui non si scappa.

Verrà il momento nel quale spireranno venti favorevoli e si potrà quindi alzare le vele. Per adesso, pena essere trascinati via dalle correnti, si è costretti a remare. In queste condizioni penose non tutti saranno in grado di resistere. Si produrrà una inevitabile selezione, non tuttavia darwiniana: si salverà chi avrà più intelligenza e più forza, chi dunque saprà leggere le stelle e traccerà la giusta rotta, non piuttosto chi saprà adattarsi all’ambiente — la famigerata “resilienza”. Chi si adatterà ha già perduto in partenza.




CI SAREMO COMUNQUE di Fronte del Dissenso

In sfregio ai sentimenti della grande maggioranza degli italiani — che condannano la partecipazione alla guerra contro la Russia e sono contrari all’invio di armi e soldi al regime filonazista ucraino—, la direzione della RAI, certo con l’autorizzazione del governo Meloni, aveva offerto all’invasato Zelensky la possibilità di sfruttare il palco del Festival di Sanremo per promuovere la sua politica guerrafondaia.

Contro questa decisione, assieme ad altri movimenti, abbiamo deciso di organizzare, proprio a Sanremo, sabato 11 febbraio, una grande manifestazione di protesta e, in simultanea, presidi sotto tutte le sedi regionali della RAI.

La scelta di usare il Festival per amplificare la propaganda di guerra è talmente scandalosa che da ogni parte si sono levate voci di indignazione e di disapprovazione.

Ecco dunque che la RAI ha annunciato che non ci sarà alcun collegamento in video con Zelensky ma che un suo messaggio scritto verrà letto dall’altro giullare de noantri Amadeus.

LA PEZZA È PEGGIORE DEL BUCO!

Si tratta di un modo ancor più subdolo di sostenere il regime ucraino e l’indecente isteria russofoba, quindi di spingere il mondo verso la terza guerra mondiale.

Per questo, per condannare il servile governo italiano e per dare voce ai sentimenti di pace del popolo italiano:

NESSUN PASSO INDIETRO! CONFERMIAMO CHE  MANIFESTEREMO SABATO 11 FEBBRAIO A SANREMO E SOTTO TUTTE LE SEDI REGIONALI DELLA RAI.

La pace si conquista con la lotta!

Né un’arma né un soldo alla guerra contro la Russia!

Fuori l’Italia dalla NATO!