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SCHLEIN: DOVE CADRÀ L’ASINO di Leonardo Mazzei

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Facciamo bene attenzione a comprendere il fenomeno Elly Schlein. E soprattutto i problemi che porta con sé. Bando, dunque, alle letture superficiali, quelle secondo cui la sua elezione segnerebbe la “fine del Pd”. Magari fosse vero! Temo, invece, che avverrà l’opposto, con un certo rilancio piddino almeno nel breve-medio periodo. Certo, Schlein è un personaggio leggero, ma proprio per questo potrà avere un relativo successo. Beninteso, i tempi che viviamo, altro non fosse che per la guerra in corso, “leggeri” proprio non sono. Ma leggero è il modo in cui si interpreta oggi la politica nel teatrino ufficiale ove si rappresenta. E questo non è poco, specie per chi ha il vantaggio di stare all’opposizione senza competitors adeguati.

Attenzione, questa “leggerezza” non è affatto casuale. Essa è invece l’altra faccia di una medaglia sulla quale stanno scritti i pesanti dogmi dell’attuale sistema di dominio: globalizzazione, atlantismo, europeismo. Questa griglia può essere declinata in vari modi. L’idea tecnocratica di un Draghi è certamente diversa da quella di una politica di destra alla Meloni, ed entrambe differiscono dalla prospettiva del “progressismo sistemico” (alla Davos) di una Schlein. Ma, alla fine, tutte e tre queste declinazioni del pensiero unico, convergono nella stessa direzione: nel caso di Draghi per la profonda convinzione nella superiorità della tecnica (il “pilota automatico”), nel caso di Meloni per la consapevolezza della propria subalternità culturale, in quello di Schlein perché alla fine la durezza della governance prevale sempre sulla edificante chiacchiera progressista. Il vantaggio di Schlein è che in questo momento la prospettiva del governo è evidentemente assai lontana.

La nuova segretaria del Pd ha vinto le primarie con un piccolo scarto e con la più bassa partecipazione mai registrata; dunque il suo trionfalismo (e quello del suo partito) è assolutamente fuori luogo. Tuttavia, il suo successo qualcosa ci dice. L’annullamento di ogni identità nell’agenda dei dominanti (vedi lo sbandieramento della cosiddetta “Agenda Draghi” in campagna elettorale), ha prodotto un profondo smarrimento (aiutato ovviamente dal trauma del 25 settembre) anche nel mondo del Pd. Da qui la sconfitta di quel campione della continuità chiamato Stefano Bonaccini. Attenzione: qui si parla del “mondo del Pd”, non del Pd in quanto tale. Ed è infatti noto che la votazione nei congressi di partito aveva visto prevalere il presidente della Regione Emilia Romagna, risultato poi rovesciato nelle primarie aperte.

Ma queste due distinte entità – il partito ed il “mondo del Pd” – vivono in stretta simbiosi. L’uno ha bisogno dell’altro, ed in particolare il partito ha bisogno del consenso, di quei voti che garantiscono alla ditta un buon fatturato, con adeguati profitti e dividendi. Ecco perché molti capibastone della ditta piddina hanno scommesso su Schlein fin dall’inizio.

C’è chi pensa che la svolta a “sinistra” (molte virgolette) di queste strane primarie possa favorire un rafforzamento della pittoresca coppia di avvoltoi del cosiddetto “Terzo Polo”. Naturalmente non possiamo escludere che qualche personaggio diriga le sue vele in quella direzione, ma con quale seguito? A parere di chi scrive con nessun seguito sostanziale. Grazie alla grancassa mediatica, Renzi e Calenda hanno fatto il pieno il 25 settembre, ma adesso sembrano sfiatati assai.

Schlein non avrà dunque grossi problemi sul fianco destro, mentre potrà dedicarsi a fare il pieno pescando alla grande su un fianco sinistro (M5s, ma non solo) assolutamente privo di smalto e di sostanza. Tutto andrà dunque bene alla decima segretaria (in 15 anni) del Pd? Ovviamente no, ma è bene capire quali saranno i suoi veri punti critici.

Essi non stanno né nella sua giovane età, né nell’appartenenza all’èlite transnazionale, tantomeno nelle sue preferenze sessuali. Anche se “invecchierà” alla svelta, almeno per un po’ l’età continuerà a giocargli a favore, visto che nella confusione imperante i più cercano disperatamente il “nuovo” purchessia. Apparire come l’espressione chimicamente pura del globalismo assoluto gli precluderà sì il consenso di molti, ma gli schiuderà al tempo stesso quello di tanti altri, garantendogli peraltro il sicuro applauso mediatico. In quanto all’identità sessuale, è ben noto come l’ibrido ed il fluido siano alla moda in questo strano presente, anche perché chiavi di accesso al tremendo futuro che i dominanti stanno preparando.

I punti critici di Elly Schlein non stanno dunque in ciò che è, ma nella politica che si prefigge di portare avanti. E’ qui che i nodi verranno al pettine, come ha messo bene in luce la sua intervista sdraiatamente realizzata (come al solito con i potenti) da Fabio Fazio a Che tempo che fa.

In quasi mezz’ora di trasmissione, mentre la retorica sgorgava a fiumi da un viso sempre sorridente (che ci sarà mai da sorridere di questi tempi?), Schlein ha alternato l’evocazione sempre generica di temi sociali, all’assunzione – viceversa sempre puntuale – di una precisa collocazione di fondo globalista, atlantista ed europeista.

Partiamo dalla retorica: i giovani… le donne… la straordinaria partecipazione… saremo con l’Italia che fa più fatica… Poteva dire il contrario? Ovviamente no, dunque fin qui tutto ovvio e banale.

Tra i temi sociali la neosegretaria del Pd ha citato la scuola pubblica, la progressività del sistema fiscale, il salario minimo, la lotta alla precarietà, la questione meridionale aggravata dal progetto del regionalismo differenziato. Naturalmente, a quei titoli più che condivisibili non è seguito però alcunché di concreto. E non è seguito non per caso, ma perché affrontarli sul serio vorrebbe dire mettere davvero in discussione storia, natura (e verrebbe da dire essenza) del partito che si ritrova a guidare.

Facciamo solo un esempio. Nella stessa intervista a Fazio, Schlein si è dichiarata una “federalista europea”. Bene, cioè malissimo. Che la Schlein lo sappia oppure no, è un fatto documentabile che la diminuzione dei salari e l’aumento della precarietà sono una conseguenza diretta dell’essersi collocati nella gabbia dell’euro. Altro che Europa federale, è proprio da quella prigione che si dovrà uscire! Che se invece non lo si vorrà fare, sarà allora inutile lagnarsi dei bassi salari e del super sfruttamento.

Ma Schlein non si è limitata a questa esaltazione dell’Ue, che vorrebbe addirittura rafforzare in senso federale. Ella, dopo aver tessuto le lodi della digitalizzazione (ma guarda un po’) ha confermato che si deve continuare a fornire armi all’Ucraina. Sapevamo già quanto la sua bandiera della pace fosse sporca del sangue provocato dalle guerre della Nato, ma la sua dichiarazione rende tutto più chiaro. “Bisogna costruire la pace” ha detto, ma continuando a rifornire il governo nazistoide di Kiev. Ecco il succo dell’antifascismo da operetta andato in onda sabato scorso a Firenze!

Poste queste premesse, non poteva mancare un invito alla collaborazione a Renzi e Calenda. Ma questo è in fondo un fatto secondario. Quello che emerge dall’intervista a Fazio è che tre saranno i punti in cui cadrà l’asino della narrazione di Schlein: il suo atlantismo, il suo europeismo (che oggi coincide peraltro con l’atlantismo stesso), la sua adesione all’agenda globalista di Davos et similia.

Affinché una vera opposizione possa prendere il posto di quella finta attuale, è su questi tre punti che Schlein andrà smascherata da subito per sconfiggerla quanto prima. Se il progressismo è l’abito perfetto dietro al quale si cela l’orribile volto disumano dell’attuale sistema, il progressismo euro-atlantico ne è la manifestazione più odiosa ed antipopolare.

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