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IDIOZIE CLIMATICHE (sulla Romagna e non solo) di L. Mazzei

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Idiozie climatiche (sulla Romagna e non solo)

C’è da essere sgomenti. Le idiozie che circolano sul clima, più esattamente sui cosiddetti “cambiamenti climatici”, sono talmente tante che non si sa più da che parte cominciare.

La tecnica del terrorismo climatico è semplice. C’è un periodo di siccità? La causa va senz’altro ricercata nel “cambiamento climatico”. Si verificano eventi alluvionali da qualche parte? Il colpevole è sempre lo stesso. Ma poiché nel medio periodo piogge e siccità alla fine si compensano, come è sempre avvenuto e come mostreremo di seguito, ecco allora l’invenzione decisiva: i cosiddetti “eventi estremi”.

Questo meccanismo narrativo è implacabile, unendo in un unico ed interessato coro i decisori politici, i loro referenti “scientifici” e la bassa (ma decisiva) manovalanza mediatica di servizio.

Nella primavera del 2019, quando era appena scoppiato il “fenomeno Greta”, mi dedicai al tema del clima con 7 pezzi che credo possano essere tuttora utili a chi volesse cercare di inquadrare la questione al di fuori del pensiero unico dominante.

Questi i 7 articoli del 2019: — Clima 1 – E se fosse la lobby nucleare? (18 marzo 2019). Clima 2 – Quelli che non se la bevono (25 marzo 2019). Clima 3 – Nessuna catastrofe in vista (1 aprile 2019). Clima 4 – La bufala dell’aumento degli “eventi estremi” (11 aprile 2019). Clima 5 – Tutta colpa della CO2? (26 aprile) – Clima 6 – Catastrofismo e socialismo (6 maggio 2019). Clima 7 – Perchè lo fanno? (21 maggio 2019).

Ma veniamo all’oggi, dunque alla discussione sull’alluvione romagnola. In linea con il tam tam catastrofista, il Corriere della Sera ha commissionato un editoriale sul tema allo scrittore Paolo Giordano, il quale va così dritto al punto che interessa ai moderni padrone del vapore:

«Crisi climatica significa l’aumento in intensità e frequenza dei fenomeni estremi. Di un segno e di quello opposto: siccità e alluvioni, ondate di caldo e ondate di gelo. La parola chiave, quella su cui sventatamente non è stato concentrato lo sforzo comunicativo dall’inizio è proprio “estremo”. Siamo già entrati in un’epoca in cui il clima in ogni sua manifestazione, è più estremo di come lo conoscevamo».

Bingo! In questo modo lorsignori avranno sempre ragione. Qualunque cosa accada, “di un segno e di quello opposto”, la loro narrazione sarà confermata, l’essenziale è che crediamo al concetto chiave di “estremo”.

La spudoratezza di questo discorso è autoevidente. E chiaro è stato il progressivo perfezionamento lessicale di questo imbroglio. Quando fa caldo si usa il concetto di “riscaldamento globale”, quando fa freddo si preferisce invece parlare di più sfuggenti “cambiamenti climatici”. Ma siccome i cambiamenti ci sono sempre stati, ecco allora l’arma decisiva degli “eventi estremi”. Questi ultimi sono meno definibili, ed in ogni caso si può giocare sia con i notevoli limiti della memoria umana, sia con gli effetti del sensazionalismo mediatico.

I fondamentali per capire l’imbroglio

Per smascherare l’imbroglio dell’ossessiva narrazione dominante bisogna innanzitutto fissare alcuni concetti.

Primo: clima e meteorologia. Come ci ricorda l’ottimo Franco Prodi, bisogna sempre distinguere tra clima e meteorologia. Mentre lo studio delle tendenze climatiche deve basarsi su statistiche almeno trentennali, fenomeni come quello della recente alluvione in Emilia Romagna sono invece spiegabilissimi con gli ordinari strumenti della meteorologia. Bando, dunque, agli assurdi collegamenti tra singoli eventi meteorologici e variazioni climatiche di lungo periodo.

Nel caso dell’Emilia Romagna – lo afferma sempre il prof. Prodi in questo video – il problema è stato quello del posizionamento e dell’insistenza della bassa pressione sull’Italia centrale. Chi non è proprio giovanissimo ricorderà le ricorrenti alluvioni nel Nord Ovest del Paese (Piemonte e Liguria in primis), con la bassa pressione centrata in maniera insistente sul Mar Ligure e sull’Alto Tirreno. Nell’ultimo periodo c’è stato invece uno spostamento verso est dei fenomeni calamitosi, ma non un loro aumento. E possiamo essere ragionevolmente certi (non me ne vogliano gli amici liguri e piemontesi) che, dopo aver avuto alcuni anni di tregua, entro qualche tempo certi eventi torneranno a ripresentarsi proprio nel Nord Ovest.

Secondo: gli eventi estremi. Contrariamente a quanto si afferma, gli eventi estremi non sono in aumento, né in Italia né nel resto del mondo. Come ha sottolineato, in suo recente studio, il professore di statistica Bjorn Lomborg, la mortalità generale per condizioni meteorologiche estreme è diminuita del 95% nell’ultimo secolo (1920-2020), nonostante che la popolazione mondiale sia aumentata di quattro volte nello stesso periodo. Insomma, la mortalità odierna è pari ad un ventesimo rispetto a quella di un secolo fa, ma se si considera la popolazione la probabilità di morire a causa di eventi meteorologici estremi è pari ad un ottantesimo rispetto ad allora!

Capisco come questi numeri possano sembrare irrealistici, tanto cozzano brutalmente con la narrazione dominante, ma i dati di Lomborg coincidono esattamente con quelli pubblicati dall’Economist nel 2017. Della vergognosa bufala sull’aumento degli “eventi estremi”, con particolare attenzione all’Italia, ci siamo occupati in maniera approfondita in un articolo già citato del 2019, ed a quello rimandiamo i lettori più volenterosi.

Terzo: il regime delle piogge. Sempre in totale contrasto con la narrazione dominante, va saputo che il regime delle piogge nel nostro Paese è straordinariamente stabile. In questo caso, un grafico del Cnr parla più di mille parole.

Deviazione annua delle precipitazioni in Italia nel periodo 1800-2018 rispetto alla media 1971-2000 (fonte Cnr)

Questa figura evidenzia gli scostamenti avvenuti in ben 218 anni. Lo zero rappresenta la media delle precipitazioni del trentennio 1971-2000. Come si vede, e come è naturale che sia, significativi scostamenti annui ci sono sempre stati. Ma essi sono regolarmente avvenuti sia verso l’alto che verso il basso, tant’è che la media mobile ottenuta con questi numeri risulta estremamente stabile, con oscillazioni che non vanno mai oltre il 10% (vedi la curva nera del grafico). Non c’è dunque nessuna variazione significativa del regime delle precipitazioni, nessun annuncio di disastrose siccità e di incombenti desertificazioni, ma neppure il suo contrario.

Quarto: le medie meteorologiche. Per i funamboli del terrorismo climatico quanto scritto fin qui non conta, però, un fico secco. Loro, i furbetti del clima, ti fanno un sorrisetto e ti spostano continuamente il discorso con le tipiche tecniche del sensazionalismo mediatico. Uno degli “argomenti” preferiti è quello della continua “eccezionalità” dei singoli eventi. Ad esempio, nel caso dell’Emilia Romagna essi ti dicono che in tre settimane è caduta la stessa quantità di acqua che mediamente cade in quelle zone in sei mesi. E qui il trucco – è perfino avvilente dover ricordare una simile banalità – sta nel concetto elementare di “media”. Mentre sui mezzi di (dis)informazione ogni minima deviazione dalla media stagionale di un qualsiasi indicatore diventa un dramma, si è costretti a ricordare che le medie meteorologiche sono sempre il frutto di picchi (talvolta assai rilevanti) sia verso l’alto che verso il basso.

Gli eventi alluvionali avvengono appunto quando si verifica una pioggia che solitamente cade in alcuni mesi. E’ sempre stato così, ed anzi i dati della Romagna sono semmai ben inferiori a quelli registrati in altre occasioni. Ad esempio, nell’ottobre 1954 l’alluvione del salernitano (318 vittime) vide una precipitazione di oltre 500 millimetri in meno di 24 ore, in una zona dove le precipitazioni medie annue sono di 1.300 millimetri. Peggio ancora a Genova nell’ottobre 1970, quando (a fronte di una precipitazione media annua di 1.064) caddero in meno di 24 ore dai 700 agli 800 millimetri nei vari punti della città, con un picco di 948 millimetri in 22 ore a Bolzaneto!

Un record quello di Genova? Sulle 24 ore certamente sì, ma come non ricordare l’ottobre 1951 quando venne registrato un picco di 1.431 mm. in Sardegna (a fronte di una media annua sui 1.000) e di 1.770 mm. in Calabria, contro una media annua di 1.074? E, restando al dopoguerra, si potrebbe continuare con dati sempre ben più elevati di quelli romagnoli nelle varie alluvioni del Piemonte, della Liguria, della Versilia, eccetera. Attenti, dunque, a parlare di “eccezionalità”. Quando si verificano certi disastri una qualche “eccezionalità” c’è sempre, ma chi pensa ad eventi unici, peggio ancora legati all’attuale presunta “crisi climatica” è davvero fuori strada.

La recente alluvione ed i suoi precedenti

A seguito del dramma della recente alluvione in tanti hanno fatto a gara per diffondere a piene mani il verbo della nuova religione climatica. Paradossalmente, sono esattamente gli stessi che fino a due settimane fa calcavano la scena dei talk show per sproloquiare sulla siccità.

Su la Repubblica del 18 maggio leggiamo questo titolo: «Piogge tropicali dopo la siccità: “Il clima malato presenta il conto”». Siamo dunque al “clima malato”! E chi potrà mai “guarirlo”, se non quei Padroni universali che si sentono già investiti del diritto al controllo di un futuro termostato globale?

Ad un certo punto l’articolista dà la parola al meteorologo Giulio Betti, che non perde l’occasione per fare una sviolinata agli scienziatoni dell’Ipcc. Queste le sue parole:

«Situazioni così eccezionali sono il perfetto identikit del cambiamento climatico. Ovvero grandi quantitativi d’acqua che cadono rapidamente e in maniera intensa, sulle stesse zone, dopo la siccità. Si tratta degli scenari che da anni indicano gli scienziati dell’Ipcc».

Ora, a parte il fatto che il problema è stato semmai il contrario – le piogge più intense del 16-17 maggio sono arrivate dopo quelle già notevoli di inizio mese, non dopo la siccità (e su questo ha già svolto delle eccellenti considerazioni Stefano Beneforti) – il fatto è che nello stesso articolo de la Repubblica parla anche Pietro Randi, presidente dell’Associazione meteorologi professionisti, il quale ammette che:

«Nel primo caso (quello di inizio maggio, ndr) le piogge non sono nemmeno state violente, ma costanti per oltre 36 ore».

«Piogge non violente ma costanti». Ma guarda un po’! Sbaglio o si tratta proprio dell’esatto contrario di quanto afferma la narrazione dominante? E perché non domandarsi, allora, il motivo per cui simili piogge determinano allagamenti? Dipende anche questo dal riscaldamento globale? Suvvia, siamo seri.

Più serio di certi espertoni si dimostra, sempre su la Repubblica del 18 maggio, un personaggio insospettabile, quell’Arrigo Sacchi da Fusignano (Ravenna) che ha allenato il Milan e la nazionale di calcio. Sacchi dice infatti al suo intervistatore di aver rivissuto l’incubo di quando aveva tre anni ed il fiume esondava… Che dire? Finalmente qualcuno che, usando la memoria, mette in discussione la costante idea dell’evento “unico ed eccezionale”.

Ora, Sacchi è un uomo del 1946 e ci è quindi venuta la curiosità di andare a vedere cosa era successo nel 1949. In quell’anno Greta era di là da venire e l’Ipcc con i suoi report un tanto al chilo pure, ciò nonostante il fiume Senio ebbe la sfacciataggine di esondare ugualmente, provocando danni assai ingenti proprio a Fusignano, tant’è che nel 2019, settantesimo anniversario dell’evento, la Pro Loco gli ha dedicato un’apposita mostra fotografica.

Ma, si sa, la curiosità vien curiosando, e ci siamo chiesti allora quali siano i precedenti di quelle zone. Posto che l’Emilia Romagna è di gran lunga la regione con la percentuale di territorio esondabile più alta d’Italia, ci pare interessante conoscere in maniera più mirata le principali alluvioni subite in particolare dalla Romagna.

A questo proposito ci è venuto in soccorso un interessante studio di Vincenzo Catenacci, del servizio geologico nazionale – “Memorie descrittive della carta geologica d’Italia”, 1991. La lista degli eventi riportati, così come elencati in un articolo di Jacopo Giliberto su Il Foglio, è davvero impressionante.

Nel trentennio che va dal 1949 (l’anno di Sacchi) al 1978, cioè in un periodo anteriore alle teorie sul global warming, quando semmai la temperatura globale era in leggero calo e il terrorismo climatico (incluso quello cinematografico) inclinava piuttosto verso un’imminente glaciazione, guardate un po’ cosa ne viene fuori:

«Il 27 novembre 1949 in provincia di Ravenna il Senio rompe l’argine e allaga 2.200 ettari.

Il 5 dicembre 1959 a Sant’Agata in provincia di Ravenna il Santerno sommerge 3.300 ettari.

Il 27 dicembre 1961 il Marecchia in piena sbriciola il ponte di Santarcangelo di Romagna mentre vi passava un’auto; annegano le tre persone che vi erano dentro. 

Autunno 1963. Frane e allagamenti in Romagna e in Emilia per le piogge torrenziali. In provincia di Forlì crolli a Bagno di Romagna, a Civitella Romagna (2 frane), a Predappio (5), a Premilcuore, Santa Sofia, Sarsina, Torriana, Verghereto. In provincia di Ravenna crollano terreni a Brisighella, con 11 frane tra le quali quella di Monticello che travolge anche la chiesa e la canonica di Monticino e lambisce il centro di Brisighella; ma anche a Casola (7 frane) e a Riolo Terme (4 frane). In Romagna le frane di quei giorni coprono in tutto circa 1.700 ettari. 

Il 4 novembre 1966, mentre vanno sott’acqua Firenze e Venezia, il Senio tracima a Passo Donegallia e inonda 2.200 ettari.

L’anno 1973 è devastante. Dal 1° gennaio al 1° ottobre ci sono decine e decine di alluvioni in tutta la regione. Il 7 e l’8 marzo 1973 a Ravenna la rete di fossi non riesce più a smaltire l’acqua e sono allagati 20 chilometri quadri fra città e campagna. Il 27 settembre 1973 a Cesena il torrente Pisciarello allaga le campagne fra Ponte Pietra e Casone e interrompe la statale 304. 

Il 19 agosto 1977 un nubifragio (non è ancora stata inventata la locuzione corriva “bomba d’acqua”) allaga Cattolica e San Giovanni in Marignano. 

Nel 1978 crolla ancora la frana di Linaro, frazione di Mercato Saraceno (Forlì). Il paese si affaccia su uno sperone alto su un’ansa del torrente Borello; la parete verticale di roccia continua a cedere da secoli. Una parte dell’abitato fu sbriciolata nel 1819, poi attorno al 1955. Accadrà ancora.

Nella primavera del 1978 a Brisighella (Ravenna) in località Zattaglia la frana sul torrente Sintra si rimette in movimento e sprofonda nel letto del fiume; danneggia due case abitate e distrugge un capannone».

Ora, almeno nei loro effetti, gli eventi di questo maggio 2023 sono stati sicuramente peggiori di quelli qui citati, ma risulterà almeno chiaro come si stia parlando di un’area estremamente fragile, da sempre esposta ad eventi alluvionali. Una conferma di come i cosiddetti “cambiamenti climatici” non c’azzecchino proprio nulla con quanto avvenuto.

Le vere cause dell’alluvione

Abbiamo già visto come le precipitazioni verificatesi sulla Romagna siano state ben più basse di quelle registrate in occasione di altre alluvioni. All’ingrosso (i dati variano da zona a zona) la precipitazione complessiva è stata di circa 400 mm. in quasi tre settimane – mediamente un po’ meno di 200 nel primo evento, ed un po’ più di 200 nel secondo – a fronte di una media annua di circa 800 millimetri.

Davanti a questi dati, alcuni si sono chiesti da dove sia arrivata tutta quell’acqua che si è riversata sulla pianura. Una domanda certamente legittima, ma che ha delle risposte piuttosto semplici.

Le alluvioni non dipendono solo dalla quantità di pioggia. Esse avvengono anche a causa di altri fattori. Tra questi il grado di cementificazione, la condizione degli alvei di fiumi e torrenti, lo stato di manutenzione degli argini, la cura della vegetazione sulle sponde dei corsi d’acqua, lo stato complessivo del territorio a cominciare da quello dei boschi.

Ora, il grado di cementificazione, dunque di impermeabilizzazione, della pianura romagnola è noto, ma non è che altrove vada meglio. E’ chiaro, però, che se non si mette fine a quello che oggi pudicamente viene chiamato “consumo del suolo” le alluvioni diventeranno sempre più frequenti: questo perché l’acqua finisce per defluire tutta assieme, non per l’inesistente aumento dei cosiddetti “eventi estremi”.

Ma se lo stop alla cementificazione è fondamentale (e non solo per la sicurezza idraulica), il ritorno ad una manutenzione adeguata dei corsi d’acqua lo è altrettanto. Troppi argini sono crollati già ad inizio maggio, ma gli argini sono fatti per dare sicurezza, dunque il loro crollo è inammissibile da ogni punto di vista. Se questo è avvenuto, vuol dire che il controllo è stato pari a zero, la manutenzione idem. E su questo non può esserci giustificazione alcuna.

Ma gli argini non sono tutto. La sezione idraulica adeguata ad accogliere la portata prevista nei picchi di piena è fatta dalla base e dalle sponde del corso d’acqua. Purtroppo, questa sezione non è mai stabile nel tempo. Se la base si innalza, a causa dei detriti che inevitabilmente si accumulano negli anni, la sezione si riduce, la portata massima pure, e l’acqua tracima verso campagne e città. Da molti decenni questi lavori di sistemazione degli alvei non si fanno più, o non si fanno comunque in misura sufficiente. Così come non si fanno come si dovrebbe le casse di espansione, utilissime a limare in maniera decisiva le punte delle piene.

Stesso discorso per la vegetazione presente sulle sponde, che ormai cresce incontrollata quasi ovunque, con la conseguenza di creare strozzature al normale deflusso dell’acqua. Strozzature che diventano vere e proprie “dighe mobili” quando le piante sulle sponde cadono, cosa che negli eventi di piena è piuttosto frequente.

Ma non basta. A monte dei corsi d’acqua ci sono assai spesso territori dove domina l’incuria. E’ questo in particolare il caso dei boschi, il cui abbandono facilita le frane ed il precipitare a valle di materiali che finiscono poi per ingrossare ed ostruire fiumi e torrenti.

L’assenza di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria adeguati è una delle conseguenze della politica dei tagli imposta dall’austerità targata Europa, ma spesso ritardi ed omissioni si sposano (o quantomeno si giustificano) anche grazie ad un certo ambientalismo naif che contesta ogni intervento, in base all’idea assurda secondo cui la natura modellerebbe assai meglio dell’uomo gli alvei dei corsi d’acqua. Peccato che questo modellamento “naturale” abbia portato nei secoli a disastri ben maggiori di quelli attuali.

Individuate le cause del problema, è chiaro che la risposta spetta alla politica. E questa risposta è fatta di tre punti. Innanzitutto, bisogna dire basta alla cementificazione, cambiando radicalmente l’attuale modello di sviluppo. In secondo luogo, è necessario un piano straordinario di sistemazione idraulica dell’intero territorio nazionale in grado di recuperare decenni di inazione irresponsabile. Questo piano straordinario deve includere ovviamente gli interventi di prevenzione delle frane, problema gravissimo in alcune aree del Paese, a partire da quelle dell’Appennino tosco-romagnolo. In terzo luogo – e questa sarebbe in teoria la questione più semplice, ma per certi aspetti la più decisiva – occorre una programmazione degli interventi sul territorio ispirata a tre principi: manutenzione, manutenzione, manutenzione!

Altro che cambiamenti climatici! Qui si tratta di cose ben più semplici, di tornare a fare quel che un tempo si faceva ed oggi non più. L’alluvione della Romagna è di questo che ci parla, ma la stessa cosa si può dire per i due precedenti (Marche settembre 2022 e, soprattutto e scandalosamente, Ischia novembre 2022).

Il complottismo aiuta la narrazione del sistema

I fatti sono chiari. Le cause e le misure da prendere pure. Ma imponenti sono le forze che hanno tutto l’interesse a deviare il discorso in senso catastrofista. Partendo dal “basso”, è chiaro come per gli amministratori locali buttarla sui “cambiamenti climatici” sia il modo migliore per sfuggire da ogni responsabilità. In questa maniera la peggior classe amministrativa dall’unità d’Italia in poi riesce ad assolversi, dandosi di gomito con una dirigenza politica nazionale forse ancora peggiore. E’ a questo livello, e con la benedizione dei media, che avviene l’incontro con il terrorismo climatico globale promosso dai Padroni universali. Quelli del Grande Reset e di una “transizione ecologica” a tappe forzate, finalizzata unicamente agli interessi economici di una ristrettissima cupola oligarchica.

Purtroppo, queste forze hanno dalla loro anche un piccolo esercito di complottisti, entrato in campo anche sulla vicenda romagnola, che anziché dedicarsi ad un’analisi attenta dei fatti e ad una critica serrata della narrazione dominante, risponde ad essa con le più strampalate teorie del complotto: dalle piogge provocate da qualche misterioso aereo, alle inesistenti responsabilità della diga di Ridracoli.

Volutamente o no, chi diffonde certe cose favorisce di fatto il sistema. Che avrà infatti buon gioco a dimostrare l’assurdità di certe teorie.

Ma che bisogno c’è di tirare in ballo gli aerei della geoingegneria, quando sono proprio i dati delle precipitazioni a mostrarci un evento intenso sì, ma di certo non così inusuale come si vorrebbe far credere?

La questione della diga di Ridracoli è ancora più clamorosa. In rete sta circolando un video che accusa questa diga di aver provocato l’alluvione. Si tratta di una bufala clamorosa. In generale, la tracimazione di una diga è un fatto assolutamente normale, che di per sé non incrementa la portata naturale del fiume che ne viene alimentato. In secondo luogo, il modestissimo svaso effettuato preventivamente il 15 maggio proprio per provare a limare (sia pure in maniera sostanzialmente trascurabile) la piena prevista per il giorno successivo, non ha arrecato alcun danno a valle. I danni li ha fatti invece la piena “naturale” del fiume Bidente, in nessun modo alterata dalla diga di Ridracoli.

Ricordiamoci, infine, che i corsi d’acqua esondati il 16-17 maggio sono stati 23 e che la diga in questione ne alimenta solo uno. Dunque, anche volendo pensare che le cose non siano andate come descritto sopra, che la piena a Ridracoli sia stata gestita contravvenendo a tutte le normali norme di esercizio, che i comandi della diga siano stati assunti da Satana in persona con la volontà di far fuori i romagnoli, chi ha fatto esondare gli altri 22 fiumi e torrenti???

Attenzione, dunque, alle stupidaggini. Abbiamo una quantità incredibile di argomenti per seppellire la narrazione dei nostri nemici. Usiamoli con intelligenza, diffondiamoli con convinzione, insistiamo sulle risposte necessarie da dare, battiamoci per un diverso modello di sviluppo, denunciamo le responsabilità politiche, incalziamo Regione e Governo perché si assumano le loro responsabilità.

E’ questo, fra l’altro, il modo più serio per essere concretamente a fianco delle popolazioni colpite. Al bando le idiozie: in primo luogo quelle “climatiche” sostenute dai dominanti, ma pure quelle di un complottismo che porta soltanto acqua al mulino del marcio regime di cui ci dobbiamo liberare.

3 pensieri su “IDIOZIE CLIMATICHE (sulla Romagna e non solo) di L. Mazzei”

  1. alex dice:

    Seppur vere le argomentazioni a carattere scientifico che si contrappongono al pensiero dominante in fatto di clima, rimane una domanda sempre più pressante di carattere geo ingegneristico: che ci fanno tutti quei aerei che solcano il cielo italiano ed europeo, formando tutte queste scie. Aerei militari che quotidianamente si alzano in volo in solitudine e scaricano composti a base di zolfo. Cos’è una nuova forma di espressione artistica contemporanea ?

  2. Nicola dice:

    Attribuire la colpa a qualche entità malvagia che si diverte a irrorare le nuvole con non si sa che è speculare all’attribuzione della colpa all’anidride carbonica o al cambiamento climatico. L’affermazione della verità trova incagli (e belli grossi) anche nel mondo della cosiddetta resistenza. E alla fine indovina un po’ chi se la ride.

  3. Anonimo dice:

    Chissà se i cancel culture censureranno pure l’alluvione di don Camillo, che pare si sia ripetuto nel 2017.

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