CACCIARE MACRON! di Leonardo Mazzei
Verso un “Libano senza sole”?
Ad una settimana dalle elezioni europee le onde sismiche del tracollo macroniano continuano a propagarsi nella politica francese. Sarà così almeno fino al 7 luglio, data del ballottaggio. Ma forse anche dopo, se si realizzerà lo scenario previsto dall’ex ministro del lavoro Olivier Dussopt (quello della controriforma delle pensioni), che ha descritto la futura situazione istituzionale in Francia come “un Libano senza sole”. Un quadro un po’ desolante per l’improbabile Napoleone del XXI secolo. Ed è interessante che colui che da mesi scalpita per lanciare le sue truppe verso il fronte ucraino, debba adesso combattere una battaglia interna che potrebbe vederlo alla fine cadere di sella. Potenza della guerra e della vertigine del potere!
Questa cartolina che ci arriva da Parigi, oltretutto se affiancata a quella proveniente da Berlino, ci parla in effetti di una cosa sola. Il vero vincitore delle elezioni europee è un signore che risiede a Mosca e che non era candidato per alcun seggio a Strasburgo: Vladimir Putin. I capoccioni dell’escalation euroatlantica sono usciti scornati dalle urne, questo è il fatto. Nulla di definitivo, ovviamente, riguardo al futuro ruolo dei paesi Ue nella guerra. Ma di certo una sberla dalle conseguenze imprevedibili. E gli sviluppi da seguire maggiormente nelle prossime settimane saranno proprio quelli francesi.
Tre le questioni fondamentali: chi vincerà le elezioni legislative del 30 giugno – 7 luglio? Potrà uscirne un governo stabile? Macron potrà restare davvero all’Eliseo dopo le elezioni? Per provare a rispondere a queste tre domande è necessario comprendere come si sta ridisegnando il quadro delle alleanze e dei programmi elettorali in questa brevissima campagna elettorale. Tutto questo alla luce del particolare sistema elettorale del Paese transalpino.
Il sistema elettorale francese
In linea con il modello presidenziale, il sistema elettorale francese è stato costruito per schiacciare una ben più ampia articolazione partitica dentro un rigido schema bipolare. La chiave di questo meccanismo risiede nel sistema dei collegi uninominali a doppio turno. L’Assemblea nazionale francese è dunque eletta con un sistema fortemente maggioritario, nel quale in teoria una forza di maggioranza relativa del 30%, ma capace di arrivare con le alleanze al 51% al secondo turno, potrebbe aggiudicarsi il 100% dei seggi.
Naturalmente questa è solo un’ipotesi estrema, ma per capire quanto sia disproporzionale (e dunque antidemocratico) quel sistema basta fare l’esempio di quanto accadde alle elezioni legislative del 2017. In quell’occasione, la lista di allora di Macron (La République En Marche!) ottenne il 53,4% dei seggi (308 su 577) con il 28,2% dei voti al primo turno; mentre il Front National (oggi Rassemblement National) di Marine Le Pen ebbe solo 8 seggi con il 13,2% dei voti. Stessa penalizzazione per La France Insoumise, che con l’11,0% dei voti raccolse soltanto 17 seggi. Un po’ meno disproporzionale il quadro uscito dalle elezioni del 2022. Nelle quali, comunque, il gioco delle alleanze garantì alla lista di Macron (Ensemble) 244 seggi con il 25,7% di voti; mentre sostanzialmente con gli stessi voti (il 25,6%) l’alleanza di sinistra Nupes ne ottenne solo 127.
Come si sarà capito, quel che conta è vincere anche per un solo voto nei singoli collegi, dove la vittoria arriva quasi sempre soltanto al secondo turno. Nel 2022, ad esempio, soltanto 5 seggi vennero aggiudicati già al primo turno, contro i restanti 572 che furono assegnati al ballottaggio. Da qui l’importanza decisiva delle alleanze, che possono esprimersi sia con la desistenza in alcuni collegi, sia con le indicazioni di voto espresse dalle forze che non hanno avuto accesso al ballottaggio.
Poiché passano per legge al secondo turno tutti i candidati che abbiano ottenuto il voto del 12,5% degli elettori iscritti nel collegio, teoricamente si possono avere dei ballottaggi con 2, 3 o 4 candidati. In realtà, visto anche il progressivo abbassamento della partecipazione al voto, la soglia del 12,5% sugli iscritti equivale ormai ad una percentuale molto più alta se calcolata sui voti espressi. Nel 2022, con un’affluenza alle urne del 47,5%, questa percentuale fu mediamente del 26,3% su scala nazionale, escludendo quasi ovunque chi non aveva raggiunto almeno il 25%. Vista la diversa importanza delle prossime elezioni, è probabile che stavolta la percentuale dei votanti si alzi, ma ben difficilmente la soglia di accesso al secondo turno potrà essere inferiore al 20%.
La desistenza, che può consistere ad esempio nel ritiro del candidato arrivato terzo a favore del primo o del secondo, diventa così sempre meno praticabile, dato che in genere il secondo turno si svolge sempre più spesso tra due soli candidati. Da qui l’importanza delle alleanze già realizzate al primo turno. In conclusione: decisivo è il secondo turno, ma fondamentali sono le coalizioni già scese in campo al primo.
Effetto “schiaccianoci”?
Ci siamo soffermati sui meccanismi tecnici perché sono proprio questi a spiegarci in larga parte i contorcimenti della politica francese in questi giorni.
Queste convulsioni hanno investito tutto lo spettro dei partiti politici in lizza. A destra si è assistito alla telenovela tra la Le Pen zia e la nipote Marion Maréchal: alla fine accordo fatto tra il Rassemblement National e la Maréchal, ma al prezzo della rottura con Reconquéte (alle europee alla testa di una coalizione che ha ottenuto il 5,5%) e con Eric Zemmour, leader di questa ala più tradizionalista e xenofoba della destra francese, troppo estremista anche per Marine Le Pen. Zemmour, denunciando il suo “ritorno all’ovile”, ha annunciato in televisione l’espulsione di Maréchal da Reconquéte.
Nella vecchia destra gollista (oggi Les Républicanes) lo scontro è stato ancora più virulento. Mentre il presidente Ciotti ha rapidamente siglato un accordo con Le Pen, la maggioranza del gruppo dirigente e dei parlamentari – favorevoli a sostenere Macron – gli si è rivoltata contro espellendolo dal partito. Come in tutte le migliori famiglie, la simpatica lite è finita in tribunale, dove i giudici hanno dato ragione (annullando la sua espulsione) a Ciotti. Come questo caos possa tradursi in alleanze e voti è tutto da vedere, ma la crisi dei gollisti è solo un epifenomeno che ci parla del terremoto in corso.
A sinistra lo scioglimento dell’Assemblea nazionale decretato da Macron ha rimesso insieme i cocci della “vecchia” Nupes, la Nouvelle Union populaire écologique et sociale, nata nel 2022 e defunta qualche mese fa anche a causa dei dissidi sulla questione palestinese, che avevano portato i socialisti francesi ad attaccare Jean-Luc Mélenchon per non aver condannato a sufficienza Hamas dopo il 7 ottobre. Come noto, il sionismo è molto forte nella sinistra francese, ma è chiaro come la rottura di Nupes sia stata il frutto di divergenze ben più ampie. Nonostante tutto ciò, la mossa di Macron ha portato ad una nuova unità a sinistra, stavolta sotto la sigla del NFP (Noveau Front Populaire) con un patto sul programma e sui collegi firmato il 13 giugno dal Partito Socialista (PS), La France Insoumise (LFI), Verdi, Partito Comunista (PCF) ed altre formazioni minori. Anche questa alleanza è percorsa da scontri e polemiche di tutti i tipi, con una violenza particolare negli attacchi della componente liberaldemocratica (PS ma non solo) nei confronti di LFI. In questa contesa spicca ovviamente lo scontro su chi dovrebbe essere eventualmente il capo del governo, con i socialisti che iniziano addirittura a vagheggiare l’idea di rimettere in pista l’osceno François Hollande, intanto già ricandidatosi a deputato nel dipartimento della Corréze.
Se a destra qualche alleanza, per quanto sbrindellata, c’è; se a sinistra una coalizione è nata, pur in presenza di conflitti interni solo momentaneamente e soltanto parzialmente sopiti; al centro resta quasi in perfetta solitudine la piccola formazione macroniana. Gli esponenti del governo uscente – ultimo il potente ministro dell’Economia Bruno Le Maire – insistono a battere il chiodo degli opposti estremismi, sostenendo che «tanto l’estrema destra come l’estrema sinistra porterebbero direttamente all’impoverimento dei francesi». Argomento assai trito e ritrito, tanto più che in molti sono precipitati nella povertà proprio con Macron.
Questo giochino “centrista”, tipico delle oligarchie neoliberiste, ha funzionato in passato. Funzionerà ancora oggi? Pensiamo proprio di no. Ed il paradosso è che il meccanismo bipolare indotto dall’uninominale a doppio turno potrebbe stavolta rovesciarsi nel suo opposto. Se in passato esso è sempre stato giocato contro le cosiddette “estreme”, stavolta ad esserne stritolato sarà probabilmente il centro macroniano.
E’ proprio riferendosi a questo probabile meccanismo che i giornali francesi parlano di effetto “schiaccianoci”, dove la noce da schiacciare nelle prossime elezioni si chiama appunto Emmanuel Macron!
Attenzione! Nel fronte di sinistra non mancano certo gli opportunisti che si dicono già pronti a sostenere i candidati macroniani negli eventuali ballottaggi con la destra di Le Pen. Ma quanti macroniani andranno al ballottaggio il 7 luglio? In base ai risultati delle europee ci andranno in pochi. Anche se quei pochi potrebbero essere sufficienti a rendere ingovernabile la situazione, negando la maggioranza tanto alla destra quanto alla sinistra.
Molto dipenderà da come le elezioni verranno vissute dai francesi. Se verranno viste come un referendum sul Presidente è certo che Macron soccomberà. Se, sciaguratamente, dovesse invece riuscire il giochino di trasformare il voto in un referendum su Le Pen allora i macroniani, benché falcidiati, avrebbero qualche possibilità di restare in qualche modo in gioco. Vedremo.
L’opinione del cortigiano Alain Minc
Alain Minc è un personaggio molto particolare. Sempre al servizio dei potenti, con le sue consulenze a politici e multinazionali, Minc conosce la politica francese come pochi, anche per essere stato un consigliere molto ascoltato di diversi inquilini dell’Eliseo, tra questi Mitterand e lo stesso Macron. In una recentissima intervista al Corriere della Sera, Minc se la prende con tutti. Per lui Mèlenchon è al limite dell’antisemitismo, la Le Pen invece no visto che ha marciato per Israele, però resta anti-europea ed anti-americana.
Ma che speranza allora hanno quelli come lui, sempre col sistema comunque, ovunque e quantunque? Secondo il Minc, non ne hanno alcuna. E questo perché il loro amato presidente ha dato di matto indicendo le elezioni. Diamogli la parola:
«Se va bene otterrà il caos, se va male il Rassemblement National al potere. Macron ha inventato la roulette russa al contrario, con cinque pallottole e un solo spazio vuoto nel tamburo».
Ma perché l’ha fatto?
«Direi che questo punto è una questione psicoanalitica. Come può una persona razionale pensare che avrà più voti subito dopo una sconfitta elettorale? Penso che Macron abbia ormai una visione della realtà totalmente falsa».
Ma come si spiega questa disconnessione dalla realtà?
«Con il narcisismo. Il macronismo è morto. Macron finirà con l’avere un centinaio di deputati, nel migliore dei casi».
Qui il Minc se la cava con il narcisismo (peraltro indubitabile) di Macron, ma trascura del tutto – dato che questo lo chiamerebbe in causa – la responsabilità di un’oligarchia famelica quanto arrogante che ha bellamente ignorato le proteste di piazza, anche quando queste erano di massa (come sulle pensioni), tenaci e persistenti (come nel caso dei Gilet Gialli). Adesso il politologo e cortigiano Alain Minc si accorge che il re è nudo, ma l’unico errore che gli imputa è quello di aver convocato le elezioni. Come se si potesse ignorare la batosta del 9 giugno…
Minc è quello che è. Ma, proprio perché si tratta di persona informata dei fatti, le sue conclusioni sono interessanti e – a modesto parere di chi scrive – condivisibili oltre che auspicabili. La sua tesi è che, a differenza del passato, stavolta la “coabitazione” (così viene chiamata in Francia la convivenza di un presidente con un governo di orientamento diverso dal suo) non sarà possibile. E non lo sarà non solo perché oggi la situazione è ben più grave, e dunque le scelte ben più dirimenti (questo lo diciamo noi, ma probabilmente lo stesso Minc sarebbe d’accordo), ma anche perché (parole sue) Macron non ha la statura politica di Mitterand e Chirac.
D’altronde, il voto del 9 giugno è stato innanzitutto un pronunciamento contro Macron in prima persona, ancor prima che contro il suo governo, in ogni caso a lui fedelissimo. E la sera delle elezioni europee le prime dimissioni avrebbero dovuto essere le sue. Certo, nulla obbligherà formalmente Macron ad andarsene, ma la scadenza naturale del 2027 è davvero troppo lontana per lui. Difficile pensare che possa reggere, improbabile che ad un certo punto la ragion politica non si imponga. Del resto, se perfino quelli come Minc già ne parlano così oggi, cosa avverrà dopo che il patatrac si sarà completato?
E i programmi?
Sappiamo quanto valgono i programmi nelle elezioni del ventunesimo secolo, quando la genericità è il trucco per catturare consensi da ogni dove, ed il “politicamente corretto” è l’ingannevole lingua accettata da tutti. Tuttavia, i programmi esistono ancora ed hanno la loro importanza.
A destra il discorso è semplice. Il cuore del programma è lo stesso di sempre: la sicurezza e la lotta all’immigrazione. Il Rassemblement National prevede di contrastare i flussi migratori, anche abolendo l’assistenza sanitaria statale ed imponendo il principio della “preferenza nazionale”. Sulla guerra RN, accusato di filo-putinismo, cerca adesso di barcamenarsi. Da una parte, Marine Le Pen condanna la Russia, dall’altra denuncia le sanzioni come sconsiderate. Anche se i giornali francesi parlano ormai di una posizione in un certo senso “ucraino-compatibile”, è chiaro che un governo Bardella non potrebbe mai spingersi a sostenere la linea interventista di Macron. E questo per l’oligarchia euro-atlantica è sicuramente il problema più grande.
Mentre sulle questioni istituzionali RN sposa alcuni obiettivi della sinistra, come l’introduzione del Ric (referendum d’iniziativa popolare) e del sistema proporzionale per l’elezione dell’Assemblea nazionale, è sulle questioni sociali che la destra mostra fortemente il suo volto conservatore, e se vogliamo “meloniano”. No alla tassazione della ricchezza, aumenti salariali solo con la parallela detassazione per le aziende, questione pensioni messa per ora nel dimenticatoio nonostante l’opposizione alla controriforma voluta da Macron: sono questi alcuni dei punti più significativi del programma di Le Pen.
Al centro i macroniani di Renaissance non possono far altro che difendere le loro leggi, quelle che hanno portato in piazza milioni di francesi. Dunque, la controriforma delle pensioni non si tocca, i salari si possono aumentare solo tagliando i contributi sociali (vedi il modello italiano della riduzione del cuneo fiscale), no all’aumento delle tasse, sì a nuovi tagli draconiani alla spesa pubblica. Costoro interpretano alla perfezione, senza sbavatura alcuna, il modello classico neoliberista. Ed il loro programma è dunque in perfetta continuità con quanto fatto in questi anni. Ma il punto sul quale Reinassance si distanzia alla grande da tutti gli altri è la guerra, con la proposta di inviare apertamente i soldati francesi in Ucraina, in un primo momento con compiti di addestramento nelle retrovie.
Il programma del Nuovo Fronte Popolare, messo in piedi dalla sinistra nei giorni scorsi, è sicuramente il più completo e dettagliato di tutti. Questo anche perché le diverse posizioni, che vi convivono all’interno, hanno imposto ai suoi promotori notevoli compromessi, che è stato poi necessario mettere nero su bianco. Il programma di NFP è avanzato sul piano sociale ed istituzionale, ma molto allineato e Nato-compatibile sulla questione ucraina.
Sulle pensioni il Fronte è per l’abrogazione integrale della controriforma del 2023. Sui salari la proposta è quella della loro indicizzazione all’inflazione e di un aumento del salario minimo a 1.600 euro netti. Sulle tasse si propone un aumento della progressività dell’Irpef, passando da 5 a 14 scaglioni (non ditelo al Pd!) ed il ripristino della patrimoniale abolita da Macron. Sulle istituzioni il progetto è quello del passaggio alla “Sesta Repubblica”, con la convocazione di un’assemblea costituente, l’introduzione del referendum d’iniziativa popolare e l’abrogazione del famigerato articolo 49.3 della Costituzione che consente di approvare una legge aggirando il parlamento.
Se sulle questioni sociali ed istituzionali forte è il marchio de La France Insoumise (LFI), è sulla guerra ed in generale sulla politica estera che ha vinto la linea subalterna alla Nato ed all’Ue capeggiata dal Partito Socialista, dai Verdi e da Raphaël Glucksmann, leader di Place Publique. Manuel Bompard, coordinatore di LFI, ha cercato di cavarsela parlando di “un cammino di pace per la Francia sulla scena internazionale”, ma nel pieno sostegno all’Ucraina “di fronte alla guerra di aggressione di Vladimir Putin e dandosi i mezzi per ottenere un cessate il fuoco immediato di fronte ai massacri in corso a Gaza”. In realtà il programma segna una capitolazione di LFI (sul PCF sorvoliamo, vista la collaudata mentalità opportunista che vi impera), nei confronti del blocco filo-Nato interno al Nuovo Fronte Popolare. Sta di fatto che nel programma si parla di “sostenere fortemente la sovranità e la libertà del popolo ucraino, nonché l’integrità dei suoi confini”, in particolare attraverso “la fornitura delle armi necessarie”. E con questo abbiamo detto tutto…
Chi vincerà? Cosa cambierà?
Visti i programmi e gli schieramenti passiamo ora alla parte più difficile, a cercare di capire come potranno andare le cose. Siamo partiti da tre domande – Chi vincerà le elezioni? Potrà uscirne un governo stabile? Macron resterà davvero all’Eliseo fino al 2027? – e lì vogliamo tornare.
Alla luce di quanto abbiamo detto fin qui di certo non vincerà Macron, e la partita si giocherà tra il NFP e la destra di Le Pen. E’ questa la risposta fin troppo facile alla prima domanda. Un pronostico confermato anche dai sondaggi. Secondo una rilevazione di Cluster17-Le Point, al Rassemblement National andrebbero da 195 a 245 seggi, al Fronte della sinistra da 190 a 235, ai macroniani da 70 a 100, mentre i traballanti Républicans ne otterrebbero da 25 a 35.
Su questi numeri sarà bene essere prudenti, dato che la vittoria e la sconfitta si giocheranno su scarti molto limitati in parecchi collegi. Ma se essi si rivelassero anche solo minimamente attendibili avremmo già la risposta alla seconda domanda, con l’impossibilità della formazione di un governo stabile. Per ottenere la maggioranza assoluta occorrono infatti 289 seggi, una soglia che non verrebbe raggiunta dalla destra neppure se ottenesse il miglior risultato previsto (245) ed ammettendo poi l’improbabile aggiunta di tutti i 35 deputati previsti come massimo per i gollisti.
A questo punto resterebbe solo l’ipotesi di un’alleanza di governo tra sinistra e macroniani, una tentazione che molti nell’area liberaldemocratica di NFP (socialisti, verdi, ecc.) certamente accarezzano. Ma sarebbe davvero possibile questo obbrobrio? Assolutamente no, dato che su 577 collegi La France Insoumise esprime propri candidati in 229 collegi, contro i 175 dei socialisti ed i 92 dei Verdi.
Torniamo dunque alla ragionevole previsione di Alain Minc: o la vittoria di Le Pen o il caos. Con la seconda ipotesi più probabile della prima. Ma di fronte al caos – che comunque si determinerebbe anche nel caso di una “coabitazione” di Macron con la destra piuttosto che con la sinistra – potrebbe il piccolo Napoleone restare ancora a lungo all’Eliseo? A chi scrive (terza risposta) pare proprio di no, alla faccia delle sue ambizioni anti-russe.
Detto questo, resta però un’altra domanda di fondo. Quella che si fanno tanti astensionisti. Considerati i programmi, potrà davvero cambiare qualcosa con la prevedibile sconfitta di Macron?
Abbiamo visto come i programmi siano stati depurati dalle questioni più spinose, con speciale riguardo alla politica estera. Tuttavia, almeno sulla questione della guerra – che per importanza supera tutte le altre messe assieme –, appare ben difficile che la Francia possa continuare a porsi come avanguardia del fronte interventista interno alla Nato ed all’Ue. E non è poco. Anzi, nella situazione data sarebbe tantissimo.
La crisi del sistema francese e quella dell’Ue
Comunque vada, le elezioni legislative 2024 saranno uno spartiacque, sia per la Francia che per l’Unione Europea. Quel che è in crisi, oltre alla politica neoliberista e guerrafondaia di Macron, è lo stesso sistema istituzionale della Quinta Repubblica, nonché il ruolo della Francia nell’Ue.
Un sistema presentatoci da sempre come l’assoluto garante della stabilità di governo (qualcuno si ricorda del mitico Renzi che lo voleva imitare?), si appresta ora a sfornare il massimo dell’instabilità, anche in virtù dei meccanismi antidemocratici (il maggioritario, anzitutto) sui quali si è retto finora. Bingo!
Ma è sull’Ue che l’impatto sarà in ogni caso devastante. Certo, Le Pen non è più per l’uscita dall’euro, ma il “più Francia” mal si coniuga con il “più Europa” fin qui sostenuto. E le tensioni a Bruxelles non potranno che aumentare, anche se RN dovesse restare minoranza (ma di peso) a Parigi.
Adesso cacciare Macron, il resto verrà dopo
Noi non siamo in Francia, ma qualora vi fossimo non avremmo dubbi sulla bussola da seguire. In politica è bene agire sempre in base a dei criteri, degli obiettivi, delle priorità. La prima delle priorità si chiama guerra, ed è per questo che il primo obiettivo – quello fondamentale ed imprescindibile – dev’essere la cacciata di Macron.
Certo, dietro a Macron vi è la Nato. E dietro alla Nato c’è la Casa Bianca. Ma perché non cominciare a far saltare qualche birillo del dispositivo guerrafondaio dell’Occidente? Forse che quel risultato sarebbe insignificante? Al contrario, esso rappresenterebbe un segnale ed una spinta formidabile per tutti coloro che si battono contro la guerra.
Adesso bisogna cacciare Macron. E’ su di lui, sulle sue politiche guerrafondaie, neoliberiste ed antipopolari, che il popolo francese è chiamato a pronunciarsi come se fosse un referendum. Tutto il resto verrà dopo. Ma intanto un passo avanti, dunque uno indietro verso il baratro della Terza guerra mondiale, sarà stato compiuto. Cacciare Macron!
Grande chiarezza Mazzei, grazie
Dietro ad ogni mossa politica si nascondono interessi economici;ed è su questo presupposto che si giocano il futuro non solo delle nazioni , ma dell’umanità stessa.