IL PESSIMISMO DELLA FORZA di Nello De Bellis
In uno dei suoi scritti più densi, Nichilismo, Verità, Storia, un Manifesto filosofico della fine del XX secolo, pubblicato dall’Editrice CRT di Pistoia nel 1998, Massimo Bontempelli, insieme a Costanzo Preve, tracciava un suggestivo e profondo profilo della situazione spirituale, umana e politica del nostro tempo, con una precisione e radicalità non inferiori a quella dei maggiori pensatori e filosofi del Novecento ormai concluso.
All’inizio della prima sezione del testo, sotto l’antitesi di verità e nichilismo, Bontempelli parlava dell’avvento di un mondo senza Spirito, adoperando ed approfondendo la categoria jaspersiana di naufragio, egli parlava di vero e proprio naufragio dello Spirito — come il romantico Schiffbruch der Hoffnung dell’ artista Caspar D. Friedrich.
Che cos’è il naufragio dello Spirito di cui ci parla il robusto hegelo-marxista (non certo uno schopenhaueriano di provincia) Bontempelli? Egli sostiene che alla fine del XX secolo e all’inizio del nuovo, l’umanità che conosciamo è avviata al naufragio. Non si tratta di una profezia apocalittica, ma della sobria constatazione della tendenza in atto. Tale naufragio, prosegue Bontempelli, non è un annientamento escatologico, ma un esito storico prevedibile, di cui tutti i segni sono già visibili. Non si tratta tanto dei mali, pur giganteschi, di cui soffre la Terra, quanto della evidente incapacità delle organizzazioni sociali esistenti non solo di vincerli, ma di affrontarli come tali.
Nell’età della tecnologia più avanzata, la fame nel mondo miete più vittime che mai. Si accrescono le masse miserabili ed emarginate nel cuore stesso dei Paesi più avanzati. Sono tornati i genocidi etnici. La tortura è praticata su più vasta scala che ai tempi dell’Inquisizione. Per la prima volta dalle sue origini, il genere umano ha alterato gravemente gli equilibri ecologici, cosicché i frutti stessi della Terra si rivelano frutti avvelenati e perniciosi. Il comportamento di tutti i centri del potere economico e politico, mostra che essi, in fin dei conti, non considerano questi problemi come mali per loro.
Il comportamento della popolazione mondiale, d’altro canto, mostra che nessun importante settore sociale si contrappone seriamente e complessivamente alle logiche dei poteri costituiti. Questi comportamenti collettivi segnalano (secondo il nostro filosofo) l’avvenuta estenuazione di ciò che la Filosofia classica tedesca aveva chiamato Spirito, pensandolo come eterno, e cioè un processo di acquisizione cumulativa di valori universalmente umani. Il naufragio cui l’umanità è avviata consiste appunto nell’avvento di un mondo senza Spirito, un mondo, cioè, di individui non più formati dalla memoria di culture e tradizioni anteriori, e perciò in totale balìa dell’immediatezza degli eventi, senza un’identità sociale e una struttura morale a cui riferirli: un mondo di estrema degradazione dei vincoli umani e personali.
Fin qui Bontempelli. Tutto ciò potrebbe essere scambiato ictu oculi per pessimismo metafisico e catastrofismo romantico (un po’ come la critica marxista ortodossa accolse le tesi dei Francofortesi), ma non è così. Tutto ciò richiede, come direbbe il Leopardi delle Operette morali (uno dei più grandi filosofi dell’Ottocento italiano) “coraggio e fortezza d’animo ad essere creduto”. Esiste un pessimismo della forza (ed è il caso degli Autori, e che Autori! citati) ed un pessimismo della debolezza. Io mi sono sempre iscritto con umile fierezza nel campo del primo. L’analisi epocale di Bontempelli è, a parer mio, la cornice teorica, filosofica ed antropologica, l’ambito fondativo in cui dobbiamo inserire realisticamente la nostra stessa azione politica, che trae forza e significatività dall'” arido vero” del grande pensatore toscano. Ciò, meglio di ogni analisi particolare, pur concreta, giustifica i nostri sforzi e spiega i nostri insuccessi. Qualcuno ha detto una volta che la Politica è impossibile e necessaria: è in questa contraddizione, di questa contraddizione, che noi pure viviamo e in questo senso può valere la citazione evoliana di essere “uomini in piedi fra le rovine”. Si attribuisce, per un equivoco nominalistico, a tale pessimismo “eroico” un atteggiamento decadente e disfattista, quando in realtà esso è l’opposto, sul piano del pensiero e dell’azione.
La categoria di naufragio ha una chiara ascendenza jaspersiana, ben presente a Bontempelli, il quale però fornisce una declinazione storica dell’approccio ontologico di Jaspers. Per Jaspers il naufragio è l’esperienza dolorosa della finitezza umana. L’Uomo come Dasein perisce, la conoscenza non riesce a comprendere l’Essere, l’azione non riesce a conseguire uno scopo stabile e duraturo, malgrado ogni sforzo Ragione ed Esistenza (Ragione ed Esistenza è uno scritto fondamentale dell’Autore) non riescono mai a rapportarsi completamente fra loro, ad incontrarsi e a compenetrarsi. L’assurdo è il sentimento, prima ancora che il concetto, del divorzio tra ragione e vita. Tale consapevolezza è indotta dall’esperienza delle situazioni-limite (come le recenti elezioni di Firenze…). Si tratta di situazioni in cui l’individuo avverte di trovarsi come di fronte ad un muro (i convegni di Chianciano e la tetragona irriducibilità della Sinistra sinistrata…): situazioni necessitanti, che si presentano come un “non poter non”, cioè come scelte obbligate, nelle quali si evidenzia la difficoltà di un essere “autentico”. La situazione limite, prosegue Jaspers, è il non poter vivere senza lotta e dolore, il doversi assumere le responsabilità di situazioni che pure non dipendono radicalmente da noi, l’inevitabilità della morte (allegramente rimossa e banalizzata dalla cultura dominante), la crisi del pensiero di fronte all’Essere. Sono situazioni inaggirabili e con le quali tuttavia bisogna fare i conti.
La soluzione data da Jaspers allo scacco dell’esistenza va nella direzione di un recupero laico della nozione di Trascendenza, dell’Essere come simbolo o cifra, di una razionale “fede filosofica”, come apertura all’Altro. Ma di ciò in altra sede.
Invece mi sembra importante ricordare come la situazione spirituale descritta incisivamente da Jaspers, trovi il suo corrispettivo nell’interpretazione di Heidegger secondo cui la crisi dell’umanità europea è il frutto di una razionalità impegnata nella costruzione di un mondo fondato sul numero, l’organizzazione, la pianificazione e l’efficienza produttiva. Heidegger, come lo Husserl della Crisi delle scienze europee (1935), è convinto che la scienza e la tecnica siano gli esiti di questa razionalità per cui “le mere scienze di fatti creano meri uomini di fatto” e rappresentino i modi essenziali della modernità, di cui svolge una critica radicale. Per Heidegger, infatti, l’esito della Metafisica è la tecnica planetaria e l’attuale sistema di dominio è determinato da quello che definisce l’oblìo dell’Essere. Esso è alla base della “desolante frenesia della tecnica scatenata e dell’organizzazione senza radici dell’uomo massificato”; “lo spirito, così falsato e ridotto ad intelletto, scade al ruolo di strumento posto al servizio di altro e il cui uso si può insegnare ed apprendere”. Ne deriva lo “oscuramento del Mondo, la fuga degli dèi, la distruzione della Terra, la riduzione dell’Uomo a massa, il sospetto gravido d’odio contro tutto ciò che è creativo e libero”. Questo è il tempo della povertà, della miseria spirituale, tempo in cui bisogna non solo resistere in attesa che l’Essere torni a manifestarsi, ma anche predisporre attivamente le condizioni in cui esso torni ad essere intellegibile come verità dell’ordinamento del mondo.
molto più interessanti i pezzi di grimaldi di questa minestrina qua, il mondo brucia, svegliamoci su
Proprio perché il mondo brucia bisogna capirne la ragione profonda . La Filosofia non serve immediatamente a qualcosa, come una bicicletta o i bagni termali. Anzi essa non è la serve di nessuno, tantomeno dei poveri di spirito che la fraintendono. Stà a vedere che hai capito più tu che Husserl, Heidegger , Jaspers e Bontempelli messi insieme!