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SIRIA: LE OTTO CANTONATE DEI MANICHEI di Moreno Pasquinelli

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Alcuni sono in lutto per l’implosione del regime di al-Assad, anzi sono caduti in uno stato di profonda e tragica disperazione. Due più due, affermano, fa sempre quattro: siccome la caduta di al-Assad va a vantaggio dell’asse americano-sionista, essa è stata da questi ultimi non solo auspicata, ma orchestrata e pilotata. In politica però l’aritmetica non aiuta, perché i soggetti non sono numeri né palle di biliardo, le loro relazioni non sono meccaniche e il determinismo non aiuta a comprendere le complesse dinamiche del reale.

*  *  *

(1) Non è vero che la dipartita di al-Assad equivale, sic et simpliciter, ad una vittoria dell’asse americano-sionista, che cioè produca una stabilizzazione a loro vantaggio dei precari equilibri nel Vicino Oriente. È certo vero che Israele per il momento gongola e che il cosiddetto “Asse della Resistenza” a trazione iraniana ha subito un colpo letale, ma questo non significa affatto che avremo una pax americano-sionista. L’instabilità passa da una fase ad un’altra, forse ancor più profonda e dalle imprevedibili conseguenze. Un dirigente di Hezbollah, eravamo nel 2012, ci disse che «Il Vicino Oriente è appena entrato nella sua Guerra dei Trent’anni. L’intera configurazione dell’area, eredità dei vecchi colonialisti europei, è destinata a cambiare. La nostra Pace di Westfalia è ancora lontana». Sì, il disastro siriano è solo l’ultima tappa di questa lunga guerra.

(2) Il brutto vizio di semplificare conduce i dualisti manichei sempre fuori pista. In preda alla disperazione, essi sentenziano che la Resistenza avrebbe subito una sconfitta di proporzioni catastrofiche. Si tratta di una palese esagerazione. Se quella palestinese è l’avanguardia della Resistenza, come dimostra Gaza, essa è ancora viva. È sbagliato considerare che nel Vicino Oriente si affrontavano e si affrontano solo due campi: quello sionista-imperialista e quello della Resistenza. Questa è stata, ed è, solo uno dei molteplici fattori in campo, tra cui le ambizioni di egemonia delle potenze regionali, principalmente Iran, Turchia, Arabia Saudita ed Egitto, ognuno coi suoi rispettivi protettori globali. I contrasti tra queste forze regionali si placheranno dopo il cambio di regime in Siria o aumenteranno? Aumenteranno!

(3) Il terzo errore dei manichei è quello di falsare mitizzandolo il ruolo dell’Iran nel grande gioco, come se le mosse di Tehran fossero determinate solo dal sostegno alla Resistenza palestinese. In verità l’appoggio alla Resistenza sta dentro una strategia di potenza che implica diverse possibili declinazioni tattiche. Un esempio su tutti è stato il semaforo verde offerto dall’Iran a tutte e due le guerre d’aggressione imperialiste contro l’Iraq di Saddam Hussein, la cui caduta fu davvero una catastrofe, per quanto momentanea, per le resistenze antimperialiste. Della sua “prudenza strategica” l’Iran ha dato prova con la sua più che ponderata risposta alle smaccate provocazioni sioniste, l’uccisione a Tehran di Isma’il Haniyeh prima e il bombardamento in Iran poi. L’ultimo esempio ci è fornito proprio dalla Siria: quando a Tehran hanno compreso che il regime di al-Assad si stava squagliando, in accordo coi russi, hanno deciso non solo di abbandonare quel paese ma di consegnarlo alla tutela della Turchia. È la Real Politik bellezza!

(4) E qui veniamo al quarto errore dei dualisti manichei. È noto che l’avanzata lampo del Comitato di Liberazione del Levante al comando di Abu Mohammad al-Jolani (Aḥmad Ḥusayn al-Sharʿa) è stata autorizzata e sostenuta dalla Turchia di Erdogan, il cui braccio armato in Siria, l’Esercito Nazionale Siriano, ha partecipato sia all’attacco su Aleppo che alla successiva marcia su Damasco e detiene diversi ministri nel nuovo governo. Erdogan è dunque, almeno per adesso, il vero vincitore della partita, non l’asse americano-sionista, colui che copre le spalle e da direttive alle nuove autorità siriane. Parlare di vittoria imperialista-sionista in Siria sarebbe giustificato se e solo se Erdogan fosse un fantoccio di americani e sionisti, una loro pedina. È forse così? Per niente! Egli svolge una sua propria politica di potenza, nonché quella di assurgere a nuovo grande califfo della Umma musulmana. Per questo né americani (che cercarono infatti di farlo fuori) né israeliani si fidano, né di lui né dei suoi alleati di Damasco. Avremo presto, proprio in terra siriana, la cartina di tornasole per verificare se Erdogan si piegherà agli interessi americani lasciando loro il controllo della strategica zona nord-orientale, o se invece entrerà con loro in rotta di collisione aiutando le nuove autorità di Damasco a riunificare un Paese che era ormai ridotto a brandelli.

(5) Prova provata di quanto sopra detto, e quinto errore dei manichei, è l’atteggiamento assunto da anglo-americani e israeliani davanti alla caduta di Damasco. Non sono restati con le mani in mano. I primi, aiutati dai loro ascari curdi, prima ancora che al-Assad fuggisse, partendo dal Nord Est sotto loro controllo, hanno tentato di occupare e annettere nuovi territori. I secondi non solo hanno sferrato sulla Siria circa cinquecento attacchi distruggendo arsenali e postazioni militari ma si sono spinti ad occupare tutto il Golan tenendo quindi Damasco a tiro della propria artiglieria pesante. È sconcertante che questi attacchi vengano letti dai nostri manichei come una conferma che queste autorità siano zimbelli dei sionisti. Siamo al vero e proprio delirio: invece di esprimere solidarietà con le vittime dell’aggressione israeliana,  negano l’evidenza cioè che quell’aggressione è tesa appunto a impedire preventivamente alle nuove autorità siriane di ricostruire in fretta un esercito, e la ragione è evidente: non si fidano e le considerano anzi nemiche in pectore.

(6) Il sesto errore dei manichei riguarda la natura del regime di al-Assad e la qualità della sua postura antisionista. Essi ne fanno un luminoso esempio di antimperialismo, fino al punto di considerare la vicinanza o la distanza da esso il parametro per misurare il grado di antimperialismo di chicchessia. Preme ricordare il massacro di Tal al-Zaatar del 1976, ovvero l’attacco perpetrato dai falangisti cristiani e dalle Forze armate siriane contro le Resistenza palestinese dell’omonimo campo profughi a Beirut. Dimenticano poi, i nostri manichei, l’adesione operativa della Siria alla più grande alleanza militare imperialista ovvero l’aggressione del 1991 contro l’Iraq denominata Desert Storm.

Il documento che attesta i contatti tra il Ministero della Difesa siriano e quello di israele riguardo alle postazioni militari iraniane.

Per dire che il regime degli al-Assad ha badato anzitutto a fare i suoi propri interessi, che più volte sono entrati in contrasto con la Resistenza ed i suoi protagonisti. È la Real Politik bellezza! Vero è che la Siria di al-Assad ha assicurato il corridoio grazie al quale l’Iran poteva sostenere Hezbollah, ma è altrettanto vero che nei decenni la Siria ha subito decine di attacchi aerei e missilistici israeliani senza tuttavia mai reagire in alcuna forma — sorvoliamo sulle prove documentate per cui il Ministero siriano della difesa avrebbe addirittura agevolato alcuni degli attacchi israeliani contro le postazioni iraniane e di Hezbollah.

(7) Un appiglio determinante con cui i manichei giustificano il loro indefesso sostegno alla Siria degli al-Assad è che secondo loro il regime ba’athista sarebbe socialista e paladino della laicità. Sorvoliamo per carità di patria sul concetto tutto occidentale di “laicità” del tutto estraneo alla civiltà islamica. Che forse non si dovrebbe difendere la Repubblica islamica dell’Iran perché non è “laica”? Oppure il libanese Partito di Dio? O i palestinesi di HAMAS o di Jihad Islamica? Com’è noto gli al-Assad (che presero il potere nel 1970 dopo la sconfitta di Michel Aflaq, la vera anima socialista del Ba’th) sono essi stessi membri di spicco e paladini della setta religiosa minoritaria degli alawiti, la quale cosa spiega perché nel 1981 manomisero la Costituzione siriana abolendo gli articoli che sancivano il carattere islamico della Repubblica e che il Presidente doveva essere un musulmano. Socialismo? Più modestamente la Siria fu un sistema a capitalismo di stato. Fu, poiché sin dalla fine degli anni  ’70 del secolo scorso già al-Assad padre avviò le prime grandi privatizzazioni (infitah) dei settori dell’edilizia, dei trasporti, del commercio e del turismo. Con l’arrivo al potere di suo figlio le porte furono letteralmente spalancate ai predatori del FMI, della Banca Mondiale delle petro-monarchie del Golfo. Alle porte della Primavera araba del 2011, in Siria vigeva una piena economia di mercato con in cima una potente quanto corrotta borghesia nazionale. Un’economia che non solo aveva accentuato profonde diseguaglianze sociali, ma il cui motore si era brutalmente inceppato —fattore scatenante della rivolta popolare iniziata nel marzo 2011.

(8) La tenacia con cui i manichei difendono al-Assad giunge fino all’insolenza, al punto di disprezzare e schernire le principali formazioni della Resistenza palestinese (HAMAS, Jihad islamica, Fronte Popolare ed altre) poiché esse non hanno espresso alcun rimpianto per il defunto regime ed hanno anzi, pur in modi differenti, salutato i nuovi governanti, chiedendo loro di sostenere la causa palestinese. Né i manichei hanno tenuto in alcuna considerazione le ponderate dichiarazioni delle forze democratiche e comuniste siriane che non sono scappate con al-Assad, ma sono restate nel paese assumendo un atteggiamento non ostile verso le nuove autorità e, prendendole in parola, hanno assicurato la loro disponibilità a partecipare alla transizione politica da cui dovrà uscire la nuova Siria. Del resto, che i manichei sono nel pallone, è attestato dal loro imbarazzato rifiuto di spiegare il comportamento di russi e iraniani, di abbandonare gli al-Assad al loro destino, quindi di ammettere che quella siriana è stata una “demolizione controllata”, frutto non di una macchinazione imperial-sionista, bensì di un accordo tra Turchia, Russia e Iran.

I lettori, a questo punto, potrebbero chiederci se alla base di certe cantonate non ci sia dell’altro. E in effetti dell’altro c’è. Del semplicismo dualista e manicheo abbiamo detto. L’edificio di congetture e sospetti presentati come categoriche certezze, oltre ad avere un disgustoso sapore islamofobo — sarà un caso che quando i manichei si riferiscono ai ribelli siriani usano i due epiteti distintivi del vocabolario imperialista, ovvero “tagliagole” e “terroristi”? —, poggia su due pilastri. Il primo: che il Jihad, ovvero quella che potremmo chiamare l’ala internazionalista armata dell’Islam politico, non sarebbe un fenomeno storico e sociale genuino, bensì una maschera dell’imperialismo, un’invenzione dei servizi segreti americani. Il secondo: quella enorme sollevazione popolare che nel 2011 sconvolse il mondo islamico e arabo e che passò alla storia come Primavere Arabe, neanche questa sarebbe davvero genuina, ma un diabolico complotto degli stessi servizi segreti americani che escogitarono il jihadismo.

Dio è morto, Marx pure, e le capacità cognitive di molti sono andate a Ramengo.

4 pensieri su “SIRIA: LE OTTO CANTONATE DEI MANICHEI di Moreno Pasquinelli”

  1. antonella montagnini dice:

    davvero azzeccato! garzie per tutet le informazioni ed analisi, sto cercando attorno a me di fermare il delirio manichieista che ci circonda anche fra di noi anti sistema..

  2. Francesco dice:

    Premesso che non sono assolutamente un islamofobo e che non sono un “tifoso” di Assad, vorrei fare una considerazione in merito alla questione delle cosiddette “Primavere arabe”: sarà un caso se di tutte le rivolte che ci sono state nel 2011 NESSUNA ha riguardato Paesi guidati da regimi apertamente filo-sionisti (Arabia Saudita e Giordania) e che L’UNICA vera rivoluzione andata INIZIALMENTE a buon fine, quella in Egitto, con il passaggio da un regime filo-sionista (quello di Mubarak) ad un governo anti-sionista (quello dei Fratelli Musulmani) ha immediatamente dopo avuto un TRAGICO finale con il sanguinoso golpe militare del 2013 e il ritorno ad un regime filo-sionista (quello di Al Sisi)? Evidentemente no. Non credo che sia una “semplice coincidenza”. Di conseguenza credo sia lecito sospettare che dietro una buona parte di quelle rivolte ci sia stata la mano di coloro che avevano e hanno ancora interesse a eliminare qualsiasi governo/regime che si opponga (anche solo moderatamente) alle politiche imperialiste occidentali e sioniste.

    Francesco F.
    Manduria (Ta)

  3. Chiarchiaro dice:

    “La morte di Dio è un’opinione interessante, ma che non interessa Dio.” Nicolás Gómez Dávila

    A parte gli scherzi, è tutto molto condivisibile. Tuttavia (c’è sempre un tuttavia), voglio manifestare l’auspicio che il termine ‘islamofobia’ non s’aggiunga al tormentone (o meme, come si usa dire oggi) della russofobia.

    Anzi ritengo il concetto dinotato dalla parola islamofobia vie più insidioso: allora che dovesse prender piede tale forma di stigmatizzazione sociale, infatti, anche il fedele cristiano-cattolico (fedele non-marxiano, dunque), che volesse ributtare rispettosamente gli errori teologici dei maomettani, potrebbe dover sostenere la taccia di islamofobo; e questo, nonostante il rispetto, che magari egli nutre per la storia del mondo arabo e per la sua cultura (è ad esempio il caso del sacerdote don Nitoglia).

    Stiamo attenti.

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