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DALLA PADELLA ALLA BRACE? di Konrad Nobile

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Volentieri pubblichiamo questa analisi che condividiamo in larga parte.

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TRA SCONTRI GLOBALI E GUERRA CIVILE GLI SCHIERAMENTI SI RIORDINANO. PAROLA D’ORDINE: PREPARARSI A REGGERE ALLA GRANDE CRISI

In un mio recente articolo ho prefigurato a grandi linee l’arrivo della c.d. civil war americana in Europa.

Ecco che, dopo poche settimane di presidenza Trump, lo scontro e la frattura hanno già platealmente investito l’Europa e tutto l’occidente.

Nelle relazioni tra governo americano ed istituzioni europee è calato un gelo che, stando ai parametri in essere fino a poche settimane fa, ha dell’incredibile, se non addirittura del “rivoluzionario”.

Il potente discorso del vicepresidente statunitense Vance pronunciato a Monaco, una vera e propria strigliata agli esponenti europei presenti, dà l’idea della portata del cambio di linea e della profondità della frattura generatasi tra le fazioni della classe dominante occidentale.

La grande borghesia europea piange nel realizzare che i miliardi che ha investito, scommettendo sulla nazione guidata da Zelensky pregustandosi già una fetta della torta ucraina (rappresentata dalle ricchezze – industriali, minerali e agricole – del Paese e dal promettente business della ricostruzione), vanno in fumo. Alla faccia di tutti gli accordi presi negli incontri bilaterali degli ultimi anni o negli eventi come l’Ukraine Recovery Conference di Berlino (1).

Fa male realizzare di essere stati usati e poi scalzati, rendersi conto che a papparsi “il granaio d’Europa” rischiano di essere solo in due. Si tratta di miliardi di euro in fumo, e difatti il diplomatico tedesco Christoph Heusgen, presidente della Conferenza sulla sicurezza di Monaco, ben consapevole della sberla americana (e russa) agli “alleati” europei, alla chiusura del forum è letteralmente scoppiato in lacrime.

La nuova politica americana nei confronti della Russia, uno degli elementi più significativi per quanto riguarda gli equilibri internazionali, sconvolge gran parte dei governi del Vecchio Continente, che ora sbraitano in preda ad un connubio di isteria e disperazione e inscenano grotteschi ritrovi, come quello avvenuto a Parigi il 17 febbraio, dove l’impotenza di tali paesi si manifesta pure nelle divergenze interne sulle azioni da prendere “per non abbandonare Kiev”, come la delirante proposta di mandare truppe europee direttamente in Ucraina, che trova una netta opposizione tedesca e polacca (l’Italia tergiversa e non trova nemmeno il coraggio di opporsi dichiaratamente contro una tale opzione).

Questa situazione che si è venuta a creare genera un grande imbarazzo per il governo Meloni, che forse si trovava quasi più a suo agio nel precedente ordine retto dagli USA di Biden. Almeno allora le direttive di Washington e Bruxelles convergevano, ma ora quale servitore deve scegliere l’Arlecchino? Come far quadrare le simpatie per il duo Trump/Musk con la nuova politica americana su Ucraina e Russia? Dopo essersi sputtanato con 2,2 miliardi di aiuti militari a Kiev e dopo aver fatto della solidarietà a Zelensky una salda questione di principio, fin dalla campagna elettorale del 2022, il governo a guida FDI ha enormi difficoltà a far tornare i conti e si barcamena tra le parti, cercando di ottenere il massimo possibile. Ma, per quanto il ministro degli esteri Tajani, l’ex monarchico papabile alla futura presidenza della repubblica (che bella e coerente virata! Sic), si sia dimostrato un abile diplomatico in pieno stile italiano, essere amici di tutti sarà sempre più difficile. In più si aggiunge il fatto che parte importante della grande burocrazia italiana è espressione di una fazione decisamente avversa a quella di Trump, cosa che rende gli spazi di manovra della Meloni ancora più angusti.

La distensione russo-americana, che staremo a vedere se prossimamente approderà veramente ad un reale accordo di pace in Ucraina, rappresenta un terremoto che scuote però non solo gli equilibri e le relazioni interne all’occidente, ma anche quelle di tutto il globo.

Deve essere ben chiaro che la nuova politica estera americana persegue il rilancio del proprio imperialismo con altri mezzi e con una diversa strategia generale rispetto alla linea del precedente governo Dem, e il vigoroso e borioso protagonismo dettato da Trump appare essere, per ora, trionfale e coronato da successo. Anche fin troppo (la storia spesso insegna che chi inizia alla grande, fin troppo bene, spesso finisce per bruciarsi e cadere malamente).

In pochi giorni la Casa Bianca ha sconquassato lo scenario globale, e penso stia efficacemente muovendo i suoi primi passi nell’obiettivo di  far crollare il castello dei BRICS faticosamente costruito in anni di lavoro, un castello assai fragile (e tutt’altro che roseo come vuole una certa contronarrazione) che però ha nei tempi recenti posto la questione più pericolosa per l’impero a stelle e strisce, ovvero l’egemonia del dollaro e il suo ruolo di divisa internazionale. Il mancato rinnovo da parte dell’Arabia Saudita (guarda caso il Paese dove ora le delegazioni russa e americana si incontrano) dell’accordo stipulato con gli Stati Uniti nel 1974, il c.d. Petrodollaro, che prevedeva l’impegno di Riyad a vendere il proprio petrolio esclusivamente in dollari, e l’interessamento del regno arabo alla galassia BRICS, sono stati un eclatante campanello d’allarme per il cuore dell’impero.

Poco dopo la telefonata tra Trump e Putin del 12 febbraio, il presidente americano ha incontrato Narendra Modi, primo ministro di una delle “stelle” (per quanto sempre stata molto ambivalente) dei BRICS, trovando una grande intesa e siglando cospicui accordi in materia di energia, difesa (l’India investirà in armamenti americani, tra cui i famosi F-35) e commercio, laddove in quest’ultimo campo l’India decide di spalleggiare il corridoio Imec tanto voluto dagli USA (che prevede come suo snodo cruciale nientemeno che il porto israeliano di Haifa), ovvero la c.d. “nuova via del cotone”, l’alternativa americana alla temuta Via della Seta cinese.

Messa un’ennesima croce sulla narrazione BRICS? Non si sa.

D’altronde che tra India e Cina (divise su dispute territoriali e nelle alleanze regionali) non scorra buon sangue è un segreto di pulcinella, basti pensare che il 15 giugno 2020 ci fu uno scontro diretto presso il confine hymalayano tra i due giganti asiatici, dove hanno perso la vita almeno 20 soldati indiani e 45 cinesi. Niente male questa prospettiva multipolare, anelito alla pace e fratellanza tra i popoli!

Ma non è solo dalla fuga indiana verso gli Stati Uniti che la credibilità della retorica e della prospettiva BRICS può essere messa in crisi.

È mia opinione, infatti, che la sorprendente Entente cordiale russo-americana di cui siamo testimoni possa essere possibile solo giocando sulla testa di qualcuno. E chi sarà mai questo qualcuno?

Certamente, come già detto, ci sono i bonzi europei. Ovviamente, come sempre, ci sono le popolazioni, le classi lavoratrici e la gente comune, in particolar modo quella ucraina, usata come carne da cannone per poi essere depredata e sfruttata dalla macchina imperialista (pare che Trump, in cambio della tregua in ucraina, voglia accaparrarsi molte delle risorse ucraine, come le famose “terre rare”).

Ma, almeno credo, c’è ben di più. E quel di più sta in Medio Oriente.

Se c’è chi ha reso esplicita l’intenzione di non dialogare con Washington, costui è la Guida Suprema della Repubblica Islamica dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei.

Prima di volare a Riyadh per incontrare la delegazione russa guidata dal ministro degli esteri Lavrov, il Segretario di Stato americano Marco Rubio si è recato a Gerusalemme, accolto da un Netanyahu che, solo due settimane fa, aveva già fatto visita a Trump  a Washington (regalandogli un bel cercapersone dorato, Sic). Assieme a Rubio, è sbarcato in Israele un carico di 1800 bombe americane Mk-84.

In quest’incontro, dove tra le altre cose i due sono ritornati a discutere la proposta di scacciare i Palestinesi dalla loro terra, le cose sono state dette in maniera chiara e tonda.

Rubio ha affermato che l’Iran rappresenta “la più grande fonte di instabilità nella regione, è dietro a ogni gruppo terroristico, dietro a ogni atto di violenza, dietro a ogni attività destabilizzante, dietro a tutto ciò che minaccia la pace e la stabilità per milioni di persone che vivono in questa regione“.

Netanyahu infine ha promesso: “Finiremo il lavoro con l’Iran”.

La “testa del serpente”, ossia l’Iran nella terminologia israeliana, è chiaramente nel mirino assieme ad Hamas (che nonostante i mesi di guerra totale a Gaza è ancora in piedi), Hezbollah (gravemente indebolito dall’aggressione israeliana in Libano e dalla caduta lampo di Bashar Al-Assad, che garantiva un corridoio di approvvigionamento per le milizie del “Partito di Dio”) e agli Ansar Allah yemeniti.

Le forme di aggressione che Israele potrebbe attuare contro l’Iran sono molteplici, e vanno dalla plateale e diretta aggressione militare (presumibilmente mirata a distruggere il potenziale nucleare iraniano) al tentativo di attuare un regime change interno, tramite una sorta di “primavera persiana”, opzione particolarmente subdola che potrebbe purtroppo trovare terreno fertile dalla grave stagione di crisi economica e inflazionistica che sta colpendo l’Iran, creando non poca difficoltà al governo di Teheran. Esso deve già fare i conti con una parte (una parte, si badi) di opinione pubblica interna critica dell’interventismo estero iraniano, giudicato da alcuni uno sforzo che sottrae risorse ed opportunità allo sviluppo economico nazionale, gravemente minato dalle sanzioni americane ed internazionali.

Il fatto che l’Iran, avamposto antimperialista nell’area e nemico n.1 di Israele e degli USA, si ritrovi ad affrontare queste difficoltà proprio in questo momento rappresenta un pericoloso punto di debolezza.

Per avere un’idea della crisi economica e inflattiva iraniana, che nonostante tutto riesce a mantenere un sistema assistenziale e sociale veramente notevole (avanguardia in tal senso nell’area mediorientale), si pensi che ultimamente si è dovuti in molte località ricorrere a blackout programmati per risparmiare energia, o che un affitto per un normale appartamento in una città medio-grande può arrivare a erodere anche il 100% dello stipendio di un lavoratore. A salvarsi dal caro prezzi sono generalmente i generi alimentari, ma il prezzo delle case e delle automobili è salito alle stelle. Per acquistare un pacchetto di sigarette ormai è quasi inevitabile ricorrere ad un pagamento con carta elettronica (a circuito esclusivamente nazionale, essendo l’Iran tagliato fuori dai circuiti internazionali), essendo improponibile il pagamento in contante (che richiederebbe fisicamente troppo contante, ovvero decine di migliaia di Ryal). (2)

È di ieri la notizia che presto partirà la procedura di impeachment contro il ministro delle finanze iraniano Abdolnasser Hemmati, vicino all’attuale premier riformista (e aperturista verso l’occidente) Pezeshkian, il quale governo è fortemente messo sotto accusa per i problemi economici e valutari.

Se l’Iran dovesse effettivamente essere aggredito in una qualsiasi forma da Israele, con il sostegno americano e nel disinteresse di fatto della Russia, dopo un possibile accordo tra Putin e Trump, allora credo che tutta l’impalcatura dei BRICS sia destinata a crollare.

Qualora la Russia accetti segretamente di vedere l’Iran (paese da poco membro dei BRICS) sotto attacco, nonostante la recente firma del partenariato Russia-Iran (che un po’ a sorpresa ha escluso clausole che implicano un’alleanza militare, a differenza degli accordi presi dalla Russia con la Corea del Nord), allora la credibilità internazionale della Russia e di tutta la rete BRICS si scioglierebbe come neve al sole.

La Russia, in cambio della sostanziale fine dei BRICS, potrebbe accettare di essere cooptata dagli USA di Trump nel grande club imperialista, che alla fine è lo storico desiderio segreto della borghesia nazionale russa. In merito, proprio Trump avrebbe espresso il suo desiderio al reintegro della Russia nel G7 (che tornerebbe così al formato G8). Che sia questa la grande offerta, posta assieme ad una soluzione in Ucraina, che Trump propone al governo di Mosca?

Molto dipenderà quindi da quello che sarà disposto ad accettare il Cremlino, tenendo presente che per Putin porre fine al macello ucraino è una priorità. Il sanguinoso conflitto in Ucraina è infatti un problema sempre più spinoso da gestire a livello di politica interna. Esso, per come è stato gestito, genera una stanchezza e insofferenza popolare che si fa sempre più diffusa, seppur silenziosa. Ciò è comprensibile, tenendo presente che l’epopea dell’ “Operazione Militare Speciale” ha visto esplodere lampanti casi di corruzione ed inefficienza interne agli apparati burocratico-militari ed è stata segnata da fallimenti di intelligence, affondamenti di navi ammiraglie, decine di migliaia di morti, un putsch militare fallito, droni nemici su città, magazzini militari e centri energetici  nonché dall’occupazione di una propria regione, che nonostante i proclami ufficiali non si è ancora riusciti a riconquistare, con migliaia di cittadini del Kursk che si ritrovano profughi e sfollati.

Qualora la strategia MAGA di integrare lo Stato russo nella rete imperialista, magari a discapito di qualche vetusto attore europeo, e di spezzare la minaccia dei BRICS dall’interno abbia successo (agendo sugli anelli deboli come India e Brasile, ma ora forse pure sulla Russia), allora ci ritroveremmo di fronte ad uno scenario internazionale totalmente riorganizzato.

Per quanto riguarda il fronte con la Cina, al netto della concorrenza geopolitica e commerciale, è difficile capire come si svilupperà quel fronte e come si muoverà il Celeste Impero nel nuovo scenario internazionale.

Una cosa è bene da tenere però a mente, onde evitare di idealizzare un qualche Stato o schieramento in campo. Questo riassetto globale, che a suo modo ha comunque un ché di rivoluzionario, è finalizzato a rilanciare la macchina imperialista e a reggere l’onda d’urto di una crisi economica (e sociale) globale sempre più difficile da contenere. Il sistema economico in crisi, che necessita di un centro forte che ne sia il tutore (ruolo giocato prima dalla Gran Bretagna e, dopo la Prima Guerra Mondiale, poi dagli Stati Uniti), lega a sé tutte le nazioni della Terra (oggi come mai prima), ed un suo eventuale collasso porterebbe con sé non solo l’impero americano, ma anche quelle potenze che, all’interno di questo sistema, sono contrapposte e concorrenziali ad esso.

È per questo che, in un periodo apocalittico come quello che stiamo vivendo (dove apocalisse può essere interpretata nel suo senso etimologico di “rivelazione”), i più importanti blocchi nazionali contrapposti potrebbero trovare un compromesso e fare una tacita Union Sacrée per salvare un sistema che, almeno per le classi dominanti globali, non ci si può permettere di far crollare. La pandemia globale del Covid-19 fa scuola (io sposo le tesi che vedono nella strumentalizzazione globale del Covid cause economiche e una crisi sistemica, e sul tema rimando alla lettura degli illuminanti articoli del prof. Fabio Vighi pubblicati a partire dal 2021 e reperibili in rete). Anche secondo questa prospettiva trova spazio l’ipotesi, che per ora rimane tale, di un accordo russo-americano che vada ben oltre la tregua ucraina, anche a discapito di alcune precedenti alleanze e di paesi considerati minori, fagocitabili o sacrificabili (gli Stati europei per gli USA, l’Iran per la Russia). In tal caso la necessaria furia distruttiva e aggressiva che il sistema necessita di riversare per ridare slancio, più o meno temporaneo, al sistema economico e di potere sarebbe concentrata sulle vittime sacrificabili del momento (Medio oriente, popolazioni civili…).

L’evolversi dei fatti stabilirà se le tesi qui esposte siano mere congetture o se vi sia un fondo di verità.

In ogni modo novità e grandi sviluppi non mancheranno: dagli esiti della contesa ucraina, dall’Iran nel mirino al furibondo scontro intestino all’occidente, il globo è tutto infiammato.

L’Europa, come già scrissi in un precedente articolo, è diventato un terreno di scontro. Cerchiamo, noi cittadini comuni, di non essere pedine di nessuna delle fazioni che, dalle nostre parti, si contendono il potere (MAGA Trumpiani vs. Democrat-globalisti), ma ricerchiamo una via alternativa e indipendente che possa portarci ad una liberazione da quest’assurdo sistema che ci schiaccia e ci depreda.

Almeno proviamoci.

20.02.2025

Fonte: comedonchisciotte.org

NOTE

(1) Qui alcuni link per farsi un’idea:

https://www.ilsole24ore.com/art/ucraina-summit-roma-ricostruzione-energia-export-e-trasporti-AE4K4rLD

https://www.esteri.it/it/sala_stampa/archivionotizie/approfondimenti/2023/03/conferenza-di-ricostruzione-dellucraina-26-aprile-2023/

https://www.g7italy.it/it/dichiarazione-congiunta-di-supporto-per-la-ripresa-economica-e-la-ricostruzione-dellucraina/

https://www.consilium.europa.eu/it/meetings/international-summit/2023/02/03/

https://www.urc-international.com/past-conferences/old-home

(2) https://www.sinistrainrete.info/politica/29665-l-altro-italiano-in-iran-iran-il-prezzo-della-resistenza-reportage.html

Un pensiero su “DALLA PADELLA ALLA BRACE? di Konrad Nobile”

  1. Francesco dice:

    Interessante articolo.
    In effetti l’improvvisa caduta di Assad (e il mancato intervento in suo aiuto da parte dei Russi e degli Iraniani) sembrerebbe avvalorare la tesi per cui Putin abbia deciso di scendere a compromessi con gli Usa, “sacrificando” alcuni suo alleati, in cambio del Donbass e della neutralità dell’Ucraina. Se le cose dovessero stare così, i prossimi sacrificati saranno proprio gli Iraniani. (…che a quel punto si pentiranno di aver obbedito agli ordini russi di non aiutare Assad). In fin dei conti il Medio Oriente è una regione importante per il sistema economico americano così come l’Ucraina lo è dal punto di vista militare per la Russia e quindi potrebbe esserci uno scambio tra i due “attori” internazionali. A ciò si aggiunga la presenza nella classe dirigente russa di svariate figure apertamente filo-sioniste… (A trarre vantaggio da uno scenario simile sarebbe infatti anche la criminale entità sionista…)

    Francesco F.
    Manduria (Ta)

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