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I GIOVANI E LA GUERRA di Filippo Dellepiane

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La manifestazione dello scorso sabato a Piazza del Popolo, quella degli europeisti, si è contraddistinta per una mancanza generale dei giovani. Non è che lo sostengo io, lo pensano anzitutto coloro i quali quella piazza l’hanno vista e l’hanno riempita. È il fallimento probabilmente più grande del sistema politico di questo paese e non solo. Nel maggio radioso del 1915, le piazze italiane degli interventisti erano soprattutto state riempite da giovani provenienti dalla piccola borghesia, ispirati da un urticante sentimento nazionalistico appositamente pompato dalla propaganda guerrafondaia di allora. Oggi la piazza degli europeisti no pax è l’esatto contrario di allora e rappresenta benissimo perché il nostro sistema sociale, economico e politico è nelle condizioni in cui si trova.

A tacitare qualsiasi dubbio, anzitutto, potrebbe già correrci in aiuto il sondaggio di Pagnoncelli sulla guerra in Ucraina: solo il 36% degli Italiani sostiene l’Ucraina e solo il 28% è a favore del piano di riarmo. Era ormai da tempo che non uscivano dati di questo tipo; infatti, nella primavera-estate del 2022, i sondaggi avevano già rilevato, in tempi non sospetti, la contrarietà di grande parte della popolazione italiana all’invio di rifornimenti militare a Zelensky. Per pura magia, i sondaggi si erano poi fermati e non erano stati più pubblicati o si erano, comunque, molto rarefatti. Misteri della fede.

Ma, dicevo, la questione della mancanza dei giovani ha scosso più di una coscienza “critica”, soprattutto nei settori della sinistra filoucraina. Seriamente, mi chiedo io?

Facciamo un rapido recap di alcuni problemi che attanagliano la generazione ‘95-‘07 (natali rispettivamente, di coloro i quali quest’anno compiranno 18 anni e chi invece ne farà 30):

Devo continuare?

Stante il fatto che i giovani non sono una classe e che il tema è tipico di una società anziana come la nostra, chi mai si interrogherebbe altrimenti su un argomento simile?, i dati sono impietosi.

Ma perché mai un giovane dovrebbe sentirsi parte di un qualcosa? Perché dovrebbe difendere con le unghie e coi denti questo sistema che nulla gli garantisce? Lo può, tutt’al più, sopportare, ma mai supportare entusiasticamente.

Con la caduta del muro, la fine delle grandi narrazioni, solo una se ne è imposta: l’idea del profitto e della realizzazione personale (a scapito degli altri). Il successo del paradigma tatcheriano del TINA (there is no alternative), della liquidità di genere e, nel frattempo, l’atrofizzazione delle capacità critiche di larga parte delle nuove generazioni hanno fatto il resto.

Siamo giunti, così, all’acme dell’individualismo liberale, della totale atomizzazione monistica. È questa la tragedia del neoliberismo: esso dissolve ogni idea di Stato e di comunità, il sacrificio è solo contemplato da un punto di vista economico ed è sempre riconducibile al benessere personale, dell’individuo.

Nessun sacrificio, perciò, per grandi cause (né per quelle rivoluzionarie, né per quelle del regime!), nessuno vuole fare più figli, nessuno è disposto, seguendo ciò che dice l’ “euroinomane” Scurati, a fare il guerriero. Vale sempre e soltanto la logica economica; d’altronde non è un caso che la Nato volesse piegare la Russia, anzitutto, con le sanzioni. Ed ora, dopo un martellamento mediatico durato anni, a suon di “80 anni di pace in Europa grazie all’Ue e la Nato” vorreste tirare su una generazione guerrafondaia e combattiva? Una generazione che è incapace, perché ne è stata privata nei mezzi e nella tempra, di rivendicare i suoi diritti?

Non basterà, statene certi, il refrain occidentalistico da due soldi di Vecchioni, il quale ci invita a pensare alle tante eccellenze europee nel campo del pensiero.

Peccato si dimentichi che la tragedia mondiale per ben due volte nello scorso secolo è partita proprio da qui, dall’Europa, e che la cultura araba o cinese, giusto per citarne due, sono altrettanto ricche e antiche. E che quella europea ed occidentale, non lo dico certo per lisciare il pelo a cancellazionisti e wokisti di oltreoceano, ha saputo anche partorire personalità come Hitler o genocidi come quello in corso a Gaza. Poi, diciamocelo, prima di parlare di Hegel o Marx sciacquarsi la bocca, con il collutorio possibilmente.

Pensate ora di poter rispolverare i vecchi temi della patria, del nazionalismo (di marca europea), dopo averli delegittimati per anni, declassandoli a immaginazioni reazionarie, fuori dal tempo? Dopo aver inneggiato alla libertà dei confini, ad un mondo di fiori e senza la guerra (sempre e solo rigorosamente nel giardino europeo, lontano dagli occhi, lontano dal cuore), ora vorreste convincere una generazione di giovani, cresciuta in un mondo di vecchi e che si percepisce vecchio, a fare la guerra? Dopo averla sospesa, vorreste reintrodurre la leva militare? Vorreste che, dopo esservi disinteressati totalmente di ciò che i giovani pensano, non curandovi se vi dessero o meno la loro approvazione, vi applaudissero e corressero alle armi per mostrare il loro valore (semicit.)? Piangete sul latte versato, quando siete stati voi stessi a volere tutto questo e a foraggiarlo. Chi è causa del suo mal compianga se stesso, insomma.

C’è un prezzo da pagare ora. I giovani europei ed americani vedono ormai la guerra come qualcosa solo da libri di storia, di medievale. Oltretutto, con gli eserciti professionali, si è imposta anche l’idea che fare la guerra sia un lavoro e non certo, come in maniera ipocrita riporta (per fare un esempio) Ivan Scalfarotto, un dovere del cittadino. Di quale patria parlate? Di quella dei partigiani? Di quella delle annessioni imperialistiche? Di quella mazziniana, repubblicana e socialista? Vorreste farci credere, azzardo, che la nostra patria è a Kiev? È per caso l’Unione Europea, la stessa che maltratta gli italiani da 25 anni, che ci giudica arretrati e scansafatiche, che crede che la Grecia dei bambini morti per i tagli alla sanità sia il più grande successo, la nostra patria?

L’idea di un nuovo slancio “patriottico” (la patria, francamente, è qualcosa di altro e di ben più nobile) si infrange contro le nuove credenze della generazione Erasmus, la quale, checché ne dica Quirico, non ha grandi interessi a marciare su Mosca. Diversa è la situazione in altre parti del mondo, dove le grandi narrazioni (di cui il nazionalismo è una forma) esistono ancora oppure dove le condizioni materiali, religiose e ideali lo permettono (a Gaza, per esempio).

Dicevo, c’è un prezzo da pagare. I tedeschi lo stanno imparando molto bene, per esempio. In un recente articolo del Financial Times dal titolo “L’esercito tedesco fatica a preparare le reclute della Generazione Z alla guerra”  , si segnala come un quarto dei 18.810 uomini e donne arruolati nel 2023 hanno lasciato le forze armate entro sei mesi. Si parla, poi, di un libro pubblicato questa settimana, Why I Would Never Fight for My Country, in cui un ventisettenne sostiene che la gente comune non dovrebbe essere mandata in battaglia per conto degli stati nazionali e dei loro governanti, nemmeno per respingere un’invasione. L’occupazione da parte di una potenza straniera potrebbe portare a una vita “di merda”, “ma preferirei essere occupato che morto”.

Sorprende? No, se si guarda al nostro paese si vedrà, per esempio, che solo il 36% dei giovani tra i 18 e i 34 anni è favorevole alla leva obbligatoria e che lo stato maggiore inizia a pensare ad un sistema per integrare dentro l’esercito proprio quei nuovi italiani che provengono dall’incivile, si fa per dire, mondo extra europeo pronti a combattere al posto nostro le guerre.

Guardate infine, questa mappa:

I colori potrebbero trarre in inganno, ma no, non è una mappa della cortina di ferro. È una mappa che segnala la percentuale di persone pronte a combattere per il proprio paese. Come vedete, più si va ad est più le percentuali si alzano. Interessante notare come Italia e Germania abbiano fra i valori più bassi al mondo, classifica nella quale il mondo occidentale si trova nelle ultime posizioni in termini di fedeltà al proprio paese.

Di fronte a tutto questo, la domanda da porsi è la seguente. Il piano di riarmo previsto (sotto il punto di vista di carri armati, aerei, navi ecc) è enorme. Si accompagnerà ad esso anche un piano di riarmo “mentale” e della “coscienza” dei cittadini europei? E soprattutto, funzionerà? L’inattività e la passività dei cittadini (soprattutto giovani), in quel caso, passerebbe dall’essere un vantaggio ad un grandissimo svantaggio. Non avere giovani generazioni battagliere e ideologizzate rischia di essere un elemento decisivo, anche da un punto di vista demografico.

Alcuni autori, primo su tutti E. Todd nel suo libro La sconfitta dell’Occidente, credono che il declino delle nostre élite sia ormai irreversibile. All’origine di questa sconfitta ci sarebbero proprio alcune delle motivazioni che mi sono permesso di rilevare: la caduta delle grandi narrazioni, il neoliberismo, la denatalità, la pace imposta con la forza al dissenso interno ed ai nemici esterni e, aggiungo io, una certa hybris che forse ha accecato i nostri governanti. In questo senso, Putin è stato molto astuto nell’inchiodare l’Occidente alle sue responsabilità, puntando sulla guerra guerreggiata ed evitando il terreno della guerra economica, fin troppo familiare all’Occidente neoliberista.

In ogni caso, ora, risalire la china per lorsignori non sarà affatto semplice.

3 pensieri su “I GIOVANI E LA GUERRA di Filippo Dellepiane”

  1. Graziano+PRIOTTO dice:

    Combattere per il proprio Paese ?

    La chiave interpretativa sta nell’aggettivo “proprio”: decenni di propaganda globalista hanno cancellato nella popolazione e soprattutto nei giovani il senso di appartenenza alle nazione di nascita o di acculturazione. La mobilità dei lavoratori si chiamava nei secoli scorsi “fuga dalla fame e dalla miseria” , da tutta l’Europa fuggirono milioni di persone per sopravvivere o per fare una vita meno grama. Negli ultimi decenni del secolo scorso l’emigrazione iniziò a cambiare aspetto, la percentuale di emigrati con medie ed alte qualifiche professioni andò crescendo e lo sradicamento culturale venne spacciato com emulticulturalismo, gli emigrati ricevettero la qualifica di “cittadini del mondo”. Tutto giusto e lecito, io stesso sono emigrato dal Nord Italia in Germania nel 1972. Ma non ho mai dimenticato che essere “cittadini del mondo” significa anche essrere cittadini di nessuno, e che insieme ai doveri, i diritti dei cittadini sono sempre legati ad uno stato. Che il globalismo neoliberista abbia cercato di relativizzare o di far scomparire i confini nazionali era funzionale al dominio sui popoli, ed infatti ora, per scongiurare il crollo dei propri profitti l’oligarchia mondiale deve come sempre ricorrere all’ultimo rimedio (armamenti, guerre senza fine) e quindi aizzare i cittadini a credere nella necessità di difendere le patrie da fantomatiche invasioni. In Germania l’ancora attuale ministro della difesa (diciamo pure della guerra), un certo Pisto(lo)rius sbraita oscenamente che i giovani devono divenire “Kriegstüchtig” (bellicosi, pronti per la guerra): nessuno dei partiti ancora al governo o che entreranno nin quello in corso di formazione lo contraddice. I “Verdi” che erano il partito dei pacifisti per eccellenza si sono dinostrati i più sanguinari.
    E dunque è confortante apprendere che i giovani in Europa NON sono disposti a morire … per i profitti della citata oligarchia. e credo che, se costretti ad indossare una divisa e ad andare a morire per arricchire i suddetti, forse farebbero come i partigiani l’8 settembre 1943.
    I governi tutti dell’UE sono ormai democrazie Potemkin, dietro lel quali c’è il nulla (o meglio la dominazione fascistoide come evidenzia il funzionamento dell’UE).
    Essendo l’Europa una colonia statunitense, ceduta in gestione alla NATO quale forza di occupazione, l’unica speranza di rompere il giogo per i cittadini potrebbe esssere quella tipica delle colonie che si rivoltano. L’ipotesi migliore sarebbe una ripetizione a livello europeo dell’esempio portoghese, la pacifica “rivoluzione dei garofani” (1975): giovani ufficiali stanchi di vedere i propri soldati morire per gli interessi del potere marcio che opprimeva il proprio Paese si ribellarono e fu la fine del fascismo di Salazar/Caetano. Attualmente gli eserciti europei sono costituiti da mercenari, ovvero volontari sotto contratto che mai si ribellerebbero al potere che li foraggia.
    Ma nella loro follia i governanti europei stanno proponendo di reintrodurre la leva obbligatoria: potrebbe essere, lo spero ardentemente, l’inizio della loro fine, parola di ex-ufficiale di complemento.

  2. Francesco dice:

    Verrebbe da dire: “chi di atomismo sociale ferisce, di atomismo sociale perisce” purtroppo però le cosiddette Elites hanno ancora un asso nella manica: il potere economico. Con quello, almeno per un po’, potranno purtroppo continuare le loro criminali azioni, servendosi di orde di mercenari delle più svariate nazionalità. Lo hanno fatto in Iraq, in Libia, in Siria e lo stanno facendo in Ucraina. Il ricorso ai mercenari inoltre presenta per le Elites anche un vantaggio dal punto di vista “sociale”: non comporta la pericolosa (…per le Elites) destabilizzazione sociale (…Leggasi rivolte popolari contro i governanti guerrafondai) all’interno delle singole nazioni occidentali che invece di sarebbe con l’arruolamento “tradizionale/obbligatorio” dei cittadini.

    Francesco F.
    Manduria (Ta)

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