TE LA DO IO VENTOTENE! di Moreno Pasquinelli
«Per quanto non si possa dire pubblicamente, il fatto è che l’Europa per nascere ha bisogno di una forte tensione russo-americana, e non della distensione, così come per consolidarsi essa avrà bisogno di una guerra contro l’Unione Sovietica». [Altiero Spinelli. Diario europeo (1948-1969), Il Mulino, Bologna, 1989, p. 175)
Il discorso su Spinelli per noi si chiude qui. Uno dei tanti casi di presunti rivoluzionari che col tempo hanno cambiato casacca.
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Ho sempre considerato l’adagio per cui “Ogni popolo ha il governo che si merita” l’ultimo rifugio degli ignavi, la foglia di fico dei reazionari che tendono a difendere e giustificare l’ordine esistente. L’adagio ci dice infatti che sarebbe vano non solo agire ma sperare che le cose possano andare diversamente: c’è chi sta sopra e comanda, mentre chi sta sotto deve rassegnarsi e subire. Tuttavia l’adagio, per quanto contenga un pregiudizio, ha una sua euristica efficacia quando parla di tempi ordinari, di stabilità sociale e di ristagno politico. In temi storici di burrasca, l’adagio perde la sua validità: la consonanza tra popolo e governo diventa dissonanza, l’armonia precipita in contrasto latente. Ciò dipende dal fatto che chi detiene il potere, in genere chi esercita il dominio, tende per sua stessa natura a conservare i privilegi ed il sistema vigente, mentre chi sta sotto, per il fatto che non trae più tangibili benefici dal sistema, è molto più sensibile, emotivamente se non intellettualmente, a percepire i segnali della tempesta in arrivo. Oggi il popolo italiano, quantomeno la sua maggioranza, non si merita di essere governato dall’attuale governo, né si merita la sedicente opposizione.
La sceneggiata napoletana andata in onda ieri in Parlamento rispecchia icasticamente, uso un eufemismo, l’evidente inadeguatezza di chi guida il nostro Paese mentre il mondo vive un tornante storico, mentre la NATO si va sgretolando, mentre l’Unione europea rischia di rompersi il collo nel suo doppio salto mortale. Che la Meloni non difettasse in furbizia era assodato. Ieri ha compiuto un geto simbolico da maestro.
Ci ricordava Lenin che quando una comunità politica è davanti ad una discussione segnata dalla controversia, chi vince nel decidere l’ordine del giorno, più facilmente otterrà il successo finale. Mentre si doveva discutere e decidere come l’Italia si sarebbe schierata in vista di una forse storica seduta del Consiglio europeo, la Meloni, tirando in ballo il famigerato Manifesto di Ventotene, ha di fatto cambiato l’ordine del giorno. Meschina e geniale. Meschina perché così facendo ha evitato si discutesse delle divisioni in seno al suo governo; del suo patetico funanbolismo politico e della ridicola postura né-neista davanti al micidiale scontro USA-UE; dei suoi tentennamenti davanti all’inaudito piano di riarmo della von der Leyen, davanti al dilemma se continuare o cessare di armare Zelensky, quindi di fronte al terribile strappo tedesco per cui un Parlamento decaduto cambia la costituzione in vista di fondare il Quarto Reich. E figuratevi se voleva dire qualcosa sul vero e proprio colpo di stato colorato in Romania. Geniale perché era sicura del pavloviano riflesso condizionato delle opposizioni sinistrate, queste sarebbero cadute in trappola trasformando il postribolo parlamentare in un circo.
Tuttavia lo psicodramma su Ventotene si è risolto in un vantaggio anche per le opposizioni sinistrate. Anche esse hanno usato il pretesto per nascondere le loro devastanti divisioni, una scappatoia per evitare di entrare nel merito delle scottanti questioni sul tavolo. Alla fine abbiamo assistito ad un gioco delle parti da sembrare concordato. Governo e opposizioni hanno a loro modo tratto vantaggio dalla farsa messa in scena per nascondere la loro pornografica, duplice e simmetrica nullità.
No, gli italiani non si meritano questa casta politica di buffoni. Pur soggetti ad una sconfortante fatalistica catalessia, essi stanno più avanti di chi dice di rappresentarli, avvertono la gravità dei tempi che viviamo, percepiscono con paura che sta arrivando il momento delle grandi decisioni.
Per quanto riguarda i pagliacci che fingono di darsele in Parlamento, ricordiamo la differenza che Max Weber stabiliva tra chi vive “per” la politica e quelli che vivono “di” politica. Chi vive “per” la politica «costruisce tutta la propria esistenza intorno ad essa, alimenta il proprio equilibrio interiore e il proprio sentimento di sé con la coscienza di dare un senso alla propria vita per il fatto di servire una causa». Chi invece vive “di” politica pensa anzitutto «di trarre dalla politica una durevole fonte di guadagno».
Per tornare a Lenin, egli immaginava che lo stipendio di questi politicanti fosse come il salario medio di un metalmeccanico. Estremismo pauperistico? Forse. Ma provate ad immaginare: quanti degli attuali pagliacci calcherebbero la scena?
D’ACCORDO