I DILEMMI DELLA CHIESA di Moreno Pasquinelli
Rispettiamo il lutto sincero di tanti cattolici addolorati per la dipartita di Papa Bergoglio. Non riusciamo tuttavia ad aderire, Roma Caput Mundi, all’imponente piagnisteo messo in scena per le esequie del Pontifex Maximus, nella sua duplice veste di spirituale Vicario di Cristo e di successore politico del romano imperatore. Abbiamo il fondato sospetto che Francesco, quello vero, avrebbe rifiutato di prendere posto accanto a tanti satrapi e regnanti.
Se ci sottraiamo a quella che ha tutta l’aria di una frettolosa beatificazione da parte dei suoi veri o presunti adoratori, con medesima fermezza prendiamo le distanze dai suoi tanti nemici, nella gran parte dei casi anche nostri — compresi quelli clericali, molto spesso reazionari travestiti da tradizionalisti, Augusto Del Noce docet; né ci appartiene la dietrologica controversia sul “vero Papa”, tra seguaci della Sede Impedita e quelli della Sede Vacante, di cui la presunta congiura per defenestrare Ratzinger attraverso il ricatto dell’esclusione della banca vaticana dallo SWIFT.
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Non ci è possibile perdonare al Papa il peccato mortale di aver sostenuto l’Operazione Covid-19, l’aver fatto genuflettere la Chiesa davanti al nuovo Dio redentore delle sette transumaniste, la tecnoscienza, di cui la cosiddetta “vaccinazione” sarebbe stata niente meno che un “atto d’amore”. Non si trattò di un errore di percorso (può sbagliare chi gode di infallibilità?) ma del fatale sbocco di una Chiesa che con Woytila, orami cinquant’anni fa, fece la scelta di sostenere, armi e bagagli, la nascente globalizzazione neoliberista a guida yankee. Era l’idea, che si rivelerà esiziale, che l’universalismo cattolico sarebbe andato a nozze con l’universalismo cosmopolitico iper-capitalista traendone vantaggio. Il globalismo ha finito invece per corrompere e vampirizzare la Chiesa. Di qui, visto il fallimento del tentativo ratzingeriano di resistere e rievangelizzare l’Occidente, l’arrivo di Bergoglio, lo spostamento del baricentro cattolico verso il Sud Globale; l’apertura alle altre fedi, l’ambizioso proposito di cavalcare la globalizzazione proponendone una versione terzomondista e alter-mondialista, addirittura pensando di poter primerear (fregare) i Padroni Universali.
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Quel peccato mortale è stato sufficiente per alcuni a seppellire quanto invece di buono Bergoglio ha fatto nel suo pontificato. Per altri addirittura è stata la prova che egli sarebbe stato addirittura l’Anticristo, venuto a distruggere la Chiesa prima della fine del mondo:
«Fanciulli, è l’ultima ora. E, come avete udito, l’anticristo deve venire, e fin d’ora sono sorti molti anticristi; da questo conosciamo che è l’ultima ora». [Prima lettera di Giovanni 2:18].
Non entriamo in queste dispute teologiche, tantomeno escatologiche. Solo segnaliamo agli apocalittici che di crimini ben più esecrabili la Chiesa romana, nella sua bimillenaria storia segnata dal perpetuo sodalizio coi poteri secolari, ne ha compiuti diversi. Potremmo metterli in ordine di malvagità scoprendo che quelli che per noi sono crimini per gli apocalittici sono opere sante.
Bergoglio è giunto al soglio pontificio trovandosi tra le mani una Chiesa in stato comatoso, dilaniata dalla discordia e dalla corruzione. Ha tentato di sottoporla ad una terapia riformistica forse già consapevole che per una rinascita vera una vera rivoluzione sarebbe stata necessaria. Di qui le sue oscillazioni: dalla condanna dell’aborto come omicidio e dei medici che lo attuano come sicari, all’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati civilmente; dal “chi sono io per giudicare i gay” alla condanna della “frociaggine” e della teoria del gender. Prima avemmo il fervore ugualitario ed anticapitalista dell’Enciclica Laudato Si’ (maggio 2015), le innumerevoli dichiarazioni programmatiche a difesa degli ultimi e degli “scarti” dell’economia liberista, quindi la bordata anti-yankee del settembre 2019 (“per me è un onore se mi attaccano gli americani”), infine le preghiere per fermare il genocidio a Gaza e l’appello all’Ucraina ad alzare bandiera bianca.
Chi dimentica questo suo lascito terzomondista e umanista (un umanesimo diverso dal nostro ma pur sempre umanesimo), la sua proposta di un cristianesimo prossima assai ad una riabilitata Teologia della Liberazione, non potrà capire né giustificare l’enorme quanto inattesa partecipazione popolare alle sue esequie — che non si spiega certo per il sostegno all’Operazione Covid-19, evento traumatico che gli stessi credenti hanno sottoposto a rimozione.
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Si discetta se il successore di Bergoglio continuerà a calcare la sua strada. Sarà modernista o antimodernista? Improbabile che possa violare le prescrizioni ecclesiologiche del Vaticano II. Dirimenti sono i dilemmi strategici della Chiesa. Potrà tenere botta l’ecumenismo terzomondista dopo il cambio di guardia alla Casa Bianca e la fine dell’ultima globalizzazione a guida yankee? Come rideclinare l’universalismo umanista cattolico in un quadro di crescente scristianizzazione dell’Occidente e di rinascita degli stati-potenza? Come attraversare la terza guerra mondiale? Persa la scommessa sulla centralità dell’Unione Europea, si farà affidamento sulla Cina per tenere in vita la globalizzazione o si dovrà “baciare il culo” di Trump? Al fondo il vero e proprio aut aut esistenziale: impedire (come in effetti noi riteniamo necessario) il parto che darà vita ad un sistema disumano governato da algoritmi e macchine (il mostro del cybercapitalismo), oppure accompagnarne le doglie nell’illusione che in questa weberiana Gabbia d’Acciaio ci sia posto per altre fedi se non quella propugnata dagli stregoni della tecnoscienza, l’utopia che il cybercapitalismo lo si possa eticamente e cristianamente imbrigliare.
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Per noi resta che senza una rivoluzione profonda (non solo quindi il superamento della sua interna e passatista architettura di tipo feudale) la chiesa non fermerà il suo tramonto. La domanda è d’obbligo: quale eventuale rivoluzione? Vale qui ricordare cosa la chiesa fu quando nacque dal seno dell’ebraismo, prima che cadesse preda della Sindrome Costantiniana, cioè prima che si incistasse col potere imperiale.
«Tutti quelli che credevano stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le proprietà e i beni e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno». [Atti deli Apostoli; 2,44-45]
Significativa la nota a margine nell’edizione cattolica della Bibbia:
«Questa pittura dimostra come diventerebbe il mondo, se tutti fossero veramente cristiani, e se il Vangelo divenisse codice della società. Ma questo santo comunismo esige alta perfezione, e non può mai abbracciare tutta la società». [La Sacra Bibbia, Edizioni Paoline; 1968]
La Chiesa non può negare l’evidenza che le prime comunità cristiane erano comunisticamente organizzate, ammette anzi la santità di quel comunismo, per poi tuttavia inferire che tale “alta perfezione non può abbracciare tutta la società”. La storia, ahinoi, sembra averle dato ragione.
Non c’è rivoluzione se non nella tradizione, dunque radicata nella speranza imperitura di un ordine sociale in armonia col creato, fondato sull’eguaglianza e l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Si dica pure che questo sogno recupera l’idea del Regno di Dio, e prima ancora il mito arcadico dell’Età dell’oro. C’è forse in questo qualcosa di male?
Di queste utopie i necrofili progressisti dell’iper-modernità non hanno solo fatto scempio, vorrebbero addirittura occultarne i cadaveri. Causa persa. La lotta per la giustizia, la verità e la vita è lotta eterna, come la lotta di classe contro i nuovi Padroni Universali. A nessuno è dato sapere chi e quando accenderà la scintilla, e quali praterie prenderanno fuoco per prime. Ma la Resurrezione è certa. Come scrisse Paolo di tarso:
«Ora, quanto ai tempi e alle stagioni, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva, poiché voi stessi sapete molto bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. Quando infatti diranno: “Pace e sicurezza”, allora una subitanea rovina cadrà loro addosso, come le doglie di parto alla donna incinta e non scamperanno affatto» [ I Tessalonicesi 5,1-3].
E quindi non stupitevi se spezziamo una lancia a favore degli “abominevoli” gesuiti, di cui Bergoglio è stato adepto. Se ne dicono tante sui gesuiti, si dimentica una pagina, quella gloriosa, la Repubblica dei Guaranì, di cui certo l’argentino avrà senz’altro avuto contezza non fosse che per la prossimità alla sua patria. Malgrado la tenace opposizione dei colonialisti schiavisti spagnoli e portoghesi i gesuiti, al comando di padre Montoya, verso il 1612 trasformarono le reducciones in Paraguay in una vera e propria grande comunità di indios a perfetta immagine del cristianesimo primitivo, una repubblica fondata sulla regola del lavoro obbligatorio, del “a ciascuno secondo i suoi bisogni”, dove vigevano l’istruzione generalizzata in lingua guaranì e il rispetto delle donne. Non v’era proprietà privata, denaro e moneta erano aboliti e negli scambi si ricorse ad un pesos virtuale che consentiva ad ognuno di disporre dei beni depositati nei magazzini generali.
La Repubblica, che sopravvisse per quasi centocinquanta anni malgrado i diversi tentativi di spazzarla via con la forza e la corruzione (consenso papale incluso), passò alle cronache come la prima rigogliosa comunità industriale dell’America Latina. Noi vorremmo ricordarla come la prima vera repubblica socialista della storia dell’Occidente.
Notevole il richiamo alle “reduzcciones” in Paraguay, oltre a tutto l’impianto dell’articolo: la città ideale della Controriforma. Mentre in Europa si accendevano i roghi per gli eretici e i protestanti, in America latina gli stessi gesuiti proteggevano gli indios dalle nefandezze del colonialismo ispano-portoghese, li istruivano e davano loro un lavoro ed un’esistenza semplice, serena e dignitosa. Interessante contraddizione della storia della Chiesa che porta ad interrogarsi sulla fede e sulle sue molteplici declinazioni nella storia.