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LA TRAPPOLA FRANCESE di Leonardo Mazzei

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Parigi, 6 aprile. Davanti a poche migliaia di fedelissimi, Marine Le Pen ha sostenuto di essere vittima di una “caccia alle streghe”, denunciando la sua incredibile condanna come una “sentenza politica”. Ha torto od ha ragione la figlia del fondatore del Front National?

La risposta è meno banale di quel che sembrerebbe. Mentre sulla seconda affermazione ha ragione da vendere – e chi ieri manifestava a difesa della magistratura (dall’ex primo ministro Attal a Manuel Bompard della France Insoumise) ha torto marcio –, la prima (sulla “caccia alle streghe”) è piuttosto infondata. L’obiettivo dell’operazione “ineleggibilità” non è né Le Pen né il Rassemblement national (RN), la cui astensione resta peraltro decisiva per tenere in piedi l’antipopolare governo Bayrou. Lo scopo è ben più “alto”: quello di conservare la residenza all’Eliseo di un certo Emmanuel Macron, il capo dei “volenterosi” riarmisti europei.

Ora, in apparenza, si potrebbe pensare che le due cose coincidano, ma non è così. Il disegno che parte dalla sentenza della giudice Bénedicté de Porthuis è in realtà più complesso. Del resto, se davvero fossimo allo scontro frontale, perché RN non fa cadere Bayrou? Se ciò avvenisse, si andrebbe alle elezioni anticipate a luglio. E se ancora la situazione restasse bloccata, come praticamente certo, Macron non avrebbe altra strada delle dimissioni. A quel punto il Rassemblement national potrebbe tentare la scalata alla presidenza con Bardella o con un altro candidato. Ma invece RN ha palesemente scelto la tattica attendista, e forse anche per questo ha portato poca gente in piazza. Ecco il primo effetto della trappola tesa a favore di Macron.

Il primo aprile, ad appena 24 ore dal giudizio di primo grado, la Corte d’Appello di Parigi ha annunciato di stare valutando un processo d’appello che possa arrivare ad una sentenza nell’estate del 2026, cioè ad almeno 8 mesi dalla data delle elezioni presidenziali. Nella sua nota, assolutamente irrituale (ed evidentemente di natura prettamente politica), la Corte ha scritto che “esaminerà questo caso entro un lasso di tempo che dovrebbe consentire di emettere una decisone nell’estate del 2026”. Miele per le orecchie di Le Pen, ma ancor più per quelle di Macron. Per Le Pen la speranza di una sentenza favorevole giusto in tempo per rientrare in corsa, per Macron la quasi certezza di restare in sella fino al 2027.

La trappola sta dunque funzionando. Se la sentenza di condanna di Le Pen a 4 anni di carcere, di cui due da scontare col braccialetto elettronico, è semplicemente scandalosa per una pratica di finanziamento utilizzata da tutti i partiti, ciò che la rende politicamente micidiale è la sanzione dell’ineleggibilità per 5 anni, accompagnata dall’ancor più vergognosa “esecuzione provvisoria” che ne ha determinato l’applicazione subito dopo la sentenza di primo grado.

La natura politica di questa esecuzione immediata è evidente. E le motivazioni che l’hanno giustificata – addirittura il “rischio di recidiva” e il “turbamento dell’ordine pubblico” – si commentano da sole.

Ma se il giudizio sulla magistratura va da sé, quel che va ora considerato sono le conseguenze politiche di questa mostruosità giuridica. Poiché il Rassemblement national è di fatto la stampella indispensabile del governo Bayrou, e poiché RN non intende andare alle elezioni senza la sua capa, la prospettiva è quella di una situazione di stallo fino alla sentenza d’appello. Uno stallo destinato ad estendersi all’intera vita politica francese. Uno stallo con un solo vincitore: Emmanuel Macron.

Si dirà che forse Le Pen potrà così preparare la sua rivincita, ma ne dubitiamo assai. Non tanto perché l’esito dell’appello non è scontato, ma soprattutto perché il 2027 è lontano e molte cose potrebbero accadere. Del resto, la carriera politica di Marine Le Pen è sì una storia di successi, ma anche di secche sconfitte alle elezioni presidenziali. Il suo miglior risultato è stato il 41,5% al ballottaggio del 2022, dopo il 33,9% del 2017. Insomma, da un certo punto di vista Marine Le Pen è una minestra riscaldata, ma soprattutto una rivale perfetta. E considerando il 17,8% del padre Jean-Marie nel 2002, il cognome Le Pen suona piuttosto come una discreta garanzia per il successo finale del candidato dell’oligarchia dominante.

Naturalmente non tutte le ciambelle riescono col buco, e qui nessuno è in grado di fare profezie, specie in tempi tempestosi come quelli odierni. Ma per l’establishment parigino l’ideale sembrerebbe proprio questo: escludere momentaneamente Le Pen per consentire a Macron di restare in sella; riammetterla al momento giusto per sconfiggerla per la terza volta nel 2027, magari con un Gluksmann, un Attal od un altro come loro. E’ vero che Le Pen ha da tempo abbandonato l’uscita dall’euro ed è considerata dalla stampa francese “ucraino-compatibile”, ma altri sono i successori designati di Macron. A loro, lei può dare il suo aiutino di eterna seconda, un ruolo decisivo nel sistema a doppio turno…

E’ un’ipotesi complottista? Vedremo. A me pare semplicemente realista.

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