Browse By

LA SFIDA DELLA DENATALITÀ di Filippo Dellepiane

308 visite totali, 2 visite odierne

La demografia è una scienza complicata e per questo non è mai semplice parlarne, soprattutto se lo si fa con l’intento di usarla in maniera critica e non solamente descrittiva. Negli ultimi anni, si è molto parlato di denatalità e cambiamenti della popolazione italiana e non solo. In realtà, in questa disciplina, concorrono molti elementi: culturali, ambientali, sociali ed economici. Quello che mi prefisso di fare in questo breve articolo è segnalare alcune questioni a mio parere vitali per porre al centro una questione quanto mai sottovalutata.

Il caso dell’Italia

L’Italia ha oggi circa 58 milioni e 990000 abitanti. Ciò la rende uno dei paesi più densamente popolati dell’Europa: spazi stretti, territorio collinare (41%) o montuoso (35%) ne fanno un unicuum sicuramente a livello continentale e non solo. La sua popolazione ha registrato una crescita non stop fin dall’unificazione, salvo una leggerissima flessione durante il periodo della Prima Guerra Mondiale:

La crescita è poi rallentata dopo il periodo del boom economico e si è definitivamente stabilizzata alla fine degli anni 70. Il motivo è presto detto: il tasso di sostituzione è sceso sotto il 2. Che cos’è questo indice? Facciamo un semplice esempio: una coppia ha intenzione di fare figli. Se essi decidono di fare due bambini, essi sostituiranno i genitori che li hanno fatto nascere, mantenendo così l’equilibrio. Per il nostro paese questa soglia è generalmente fissata intorno al 2,1 [1].

L’Italia ha avuto un tasso di fecondità attorno al 2.5 per tutti gli anni ’60 ed ha registrato l’ultimo 2.1 nel 1976, cifra che è poi scesa intorno al 1.97 alla fine del decennio in questione.

Negli anni 80 e 90 il tasso è ulteriormente calato, dando il nome a questo periodo di baby bust  (inserisco nelle note l’andamento fra anni 80 e 90 [2]).

Oggi la cifra si aggira attorno al 1.18, il che significa che il nostro paese è nelle ultime posizioni di questa triste classifica. In altri termini, l’Italia è sotto il tasso di sostituzione da circa 50 anni.

Questo dato è stato parzialmente mascherato nella seconda metà degli anni ’90 e ad inizio anni 2000. Perché? Principalmente per il contributo dell’immigrazione. Come infatti è noto, l’Italia è divenuto paese di immigrazione da poco più di 40 anni e questo processo ha avuto un’impennata all’inizio del XXI secolo ( alcuni dati interessanti ).

Gli immigrati hanno tendenzialmente un tasso di fecondità maggiore (ancora oggi è attorno al 1.7 nei casi migliori, altrimenti attorno al 1.3/1.4, ma in ogni caso è in rapida discesa) e questo ha permesso che la popolazione italiana crescesse fino al 2008, raggiungendo i 60 milioni [3].

Dopodiché, ha iniziato a scendere. Ecco l’andamento della popolazione italiana dal 2008 in poi:

Come si può notare fra il 2010 e il 2012 ci fu un calo dovuto anzitutto al nuovo sondaggio Istat che rivide le stime sulla popolazione residente in Italia. In ogni caso, si palesava la tendenza alla diminuzione, che si è ripresentata con ulteriore forza a partire dal 2016 e che da allora non pare arrestarsi.

Le previsioni per il paziente Italia

Fino a qui ciò che è successo, in maniera sommaria, negli ultimi circa 50 anni, ma adesso?

Le previsioni sono varie, alcune molto pessimiste ed altre più ottimiste.

Facendo una media, l’Istat prevede circa questo scenario, con una popolazione che sarà attorno ai 54 milioni nel 2050 e scenderà ulteriormente di 13 milioni di abitanti entro il 2080. La stima, in realtà, sarà rivista con ogni probabilità, come è già avvenuto in passato.

Ciò che preoccupa, tuttavia, più del dato in sé, è la composizione della popolazione. Sarebbe un errore, infatti, sottovalutare l’impatto dell’età media e dell’aspettativa di vita, una delle più alte al mondo (circa 83 anni), sul numero globale. Le previsioni sono allarmanti: sempre più famiglie con un solo figlio o senza, in rapido aumento i single, ed un’età media della popolazione sempre più elevata.

Già oggi quest’ultimo dato è uno dei peggiori al mondo, attorno ai 46 anni:

Sappiamo che oggi in Italia vivono circa meno di 10 milioni di under 18, quindi circa il 16% degli abitanti nel nostro paese. Per capirci, sebbene il paragone non possa reggere per vari motivi, in Iran la popolazione al di sotto dei 30 anni è circa il 70%, più del 40% della cifra totale residente.

Ma perché è così difficile trovare una soluzione al problema? Anzitutto, l’Italia non ha politiche di natalità sufficienti e adeguate.

La Francia, per fare un esempio, ha dirottato da tempo attenzione e finanze sul tema e se la passa meglio di noi oggi, avendo un tasso di fertilità maggiore rispetto al nostro (anche in questo caso la presenza di immigrati alza il dato e lo compensa). Riprova che politiche a favore della natalità aiutino è che nel momento in cui Parigi ha tagliato i fondi si è assistito ad una contrazione delle nascite. Il nostro paese è indietrissimo da questo punto di vista e Giorgia Meloni, al di là della retorica, ha fatto ben poco per cercare di ovviare al problema, inserendo nella legge di bilancio una cifra irrisoria per contrastare il problema della denatalità (lo 0.078 del Pil).

Ma c’è un altro dato che ben spiega questa diminuzione apparentemente inarrestabile. Gli esperti chiamano questo fenomeno la glaciazione demografica o trappola demografica. In sintesi, la natalità si riduce non solo per la sempre minor propensione (o possibilità…) ad avere figli, ma anche per la riduzione del numero di potenziali genitori, una questione numerica e strutturale, che prescinde da comportamenti e scelte individuali. In Italia le donne in età fertile (15-49 anni) sono in calo e si attestano a circa 11,5 milioni di unità nel 2024, come segnalato da alcuni studi recenti.

Per farla ancora più semplice, se anche domani facessimo tutti 4 figli potrebbe non bastare, come ben spiegato in una conferenza da LIMES qualche tempo fa.

Nel novero delle cause, non mancano però quelle di ordine culturale e sociale, che renderanno più che mai difficoltoso trovare una soluzione al problema.  Se, infatti, molti rinunciano ai figli per via della situazione economica, altrettanti non vogliono averne oggigiorno. Questo avviene principalmente perché il bisogno di creare una famiglia con figli non è più avvertito, ma è vissuto oggi come una scelta che deve avvenire senza condizionamenti da parte della società. Ecco la situazione delle nascite negli ultimi 60 anni (nel 2024 è stato toccato il nuovo record negativo di 379’000, a fronte di più di 650’000 decessi):

È evidente, quindi, il ruolo giocato dalla crisi economica, ma lo è altrettanto quello di una crisi di un sistema di valori che aveva condizionato il comportamento degli italiani fino a pochi decenni fa [5].

Possibili soluzioni al problema

Sebbene la cosiddetta trappola demografica sia già in moto e macini terreno, è possibile trovare alcune soluzioni per ammorbidire la curva decrescente della popolazione.

Anzitutto, l’introduzione di sussidi seri e strutturali e quindi non bonus dalla durata di un anno che non diminuiscono il senso di precarietà di chi vuole avere figli. Ciò potrebbe permettere di aumentare il tasso di fertilità verso cifre più sostenibili. Con misure particolarmente efficaci, come quelle che vediamo in alcuni paesi nordici (Svezia, Norvegia, Finlandia) [6], dove il tasso di fertilità si aggira intorno a 1,8-2,0, l’Italia potrebbe potenzialmente raggiungere un tasso vicino a 1,6-1,7 figli per donna. Questo implicherebbe un recupero parziale della popolazione nel lungo termine, sebbene sarebbe comunque lontano dal livello di sostituzione.

Non è un caso che la regione d’Italia con più servizi per le famiglie, il Trentino Alto Adige, abbia il tasso di fertilità più alto del paese. Non secondario è, poi, la percentuale di donne lavoratrici, ancora basso in Italia, e che, contrariamente a ciò che si potrebbe pensare per senso comune, è uno dei fattori determinanti perché la natalità aumenti. Infine, misure per fare rientrare i tanti italiani all’estero: la famosa fuga di cervelli, meglio detta come la depredazione delle future classi dirigenti nostrane, ha raggiunto livelli mai visti prima ed è un’emorragia che va perlomeno tamponata ed anche in fretta.

Inoltre, la regolarizzazione degli immigrati sul territorio nazionale, secondo criteri scelti dallo Stato, potrebbe ulteriormente aiutare. Un piano di vera integrazione, gestito in maniera intelligente, disciplinando i flussi e regolarizzando più facilmente coloro che ne hanno diritto, porterebbe ad un aumento della popolazione e garantirebbe nascituri al paese [7].

Infine, forse più importante di tutti, è necessaria una rivoluzione culturale soprattutto nei confronti delle nuove generazioni. Sebbene i giovanissimi di oggi, secondo alcune contraddittorie rilevazioni ISTAT, siano più orientati a volere dei bambini, è chiaro che si sia persa la volontà di lasciare un segno nella propria comunità, anzitutto poiché ogni rete sociale (dalla parrocchia alla sede locale del partito, fino allo Stato giudicato inaffidabile e vessatorio) si è disciolta. Fare una famiglia e dei figli dev’essere percepito come un modo per lasciare una traccia, dare speranza al futuro e investirvi, anche idealmente. Non deve essere visto come un atto isolato, una proprietà esclusiva della coppia che li mette al mondo. Al contrario, dovrebbe essere concepito come un impegno che va oltre, aprendo la famiglia alla propria comunità e a chi ci circonda.

[1] Nei paesi industrializzati, il tasso è sempre intorno al 2.1 perché esso è il frutto di questo calcolo: 1 figlio “sostituisce la madre”, 1 figlio “sostituisce il padre” e lo 0.1 rimanente è per chi non si riproduce e/o muore alla nascita. L’Italia ha uno dei tassi di mortalità infantile più bassi al mondo.

[2] 1980: 1,68 figli per donna; 1981: 1,60 figli per donna; 1982: 1,60 figli per donna; 1983: 1,54 figli per donna; 1984: 1,48 figli per donna; 1985: 1,45 figli per donna; 1986: 1,37 figli per donna; 1987: 1,35 figli per donna; 1988: 1,38 figli per donna; 1989: 1,35 figli per donna; 1990: 1,36 figli per donna; 1991: 1,33 figli per donna; 1992: 1,31 figli per donna; 1993: 1,26 figli per donna; 1994: 1,22 figli per donna; 1995: 1,19 figli per donna; 1996: 1,22 figli per donna; 1997: 1,23 figli per donna; 1998: 1,21 figli per donna; 1999: 1,23 figli per donna.

[3] A tal riguardo, può essere utile ricordare che chi, come il sottoscritto, è andato alle scuole elementari nel quinquennio 2007-2012 ha imparato che l’Italia ha 60 milioni di abitanti. Sarebbe interessante capire se oggi, data la velocità del fenomeno, si è aggiornato il dato oppure se è rimasta questa usanza e si arrotonda per eccesso.

[4] Nel novero delle cause va anche considerato l’invecchiamento progressivo della popolazione che aumenta la quota di decessi.

[5] Anticipo una eventuale critica, dicendo che l’influenza della IVG impatta meno di quanto si pensi sul numero totale delle nascite (anche alla luce della sempre meno frequenza di questo tipo di trattamento fin dalla sua introduzione). L’India permette l’aborto, con leggi financo più permissive di quelle italiane, ed ha un tasso di fertilità alto, sebbene il contesto sia molto diverso.  Altro discorso è l’utilizzo di pratiche contraccettive, ormai stabilizzato all’interno di quasi tutte le società occidentali e non solo.

[6] da affiancare ad un piano di ripresa economica che abbandoni i dogmi dell’austerità e la politica di deindustrializzazione

[7] Come abbiamo detto, gli immigrati tendono a fare più figli, anzitutto per motivi culturali.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *