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LE RADICI DEL PESSIMISMO ANTROPOLOGICO di Moreno Pasquinelli

Dopo secoli dalla loro fondazione i diversi ordini religiosi cattolici sono l’ombra di quel che furono e per cui nacquero. Quello degli agostiniani a cui l’attuale Papa appartiene non fa eccezione alla regola. Posto che quando diventi Papa sei il punto da cui passano le infinite rette del cattolicesimo universale, Dio non voglia che Leone XIV, di Agostino d’Ippona, voglia seguire le orme, che certo non fu… uno stinco di santo.

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In altre occasioni abbiamo difeso il paradigma schmittiano secondo “Tutti i concetti più pregnanti della moderna teoria dello Stato sono concetti teologici secolarizzati”. [1] Questo paradigma implica che per comprendere la dimensione della Politica nei suoi strati più profondi siamo obbligati a risalire alle sue radici teologiche, qui in Occidente anzitutto cristiano-cattoliche. Inevitabile quindi imbattersi in Agostino d’Ippona, a torto o a ragione considerato il principale architetto della cristianità, “padre spirituale dell’Europa”, e attraverso la Riforma Protestante, anticipatore della modernità borghese.

Questo ruolo di Sant’Agostino come capostipite si spiega anche perché il nostro operò in tempi paragonabili ai nostri, segnati da una profonda catastrofe storica (simboleggiata dal Sacco di Roma da parte dei visigoti di Alarico nel 410), dal passaggio dalla civiltà classica a quella medioevale, da feroci lotte intestine, sia religiose che politiche in seno alla Chiesa. Il nostro non fu solo un fine teologo. Abbandonato il manicheismo, una volta convertitosi al cristianesmo, dopo una prima fase mistica e cenobitica diventa, per usare una figura weberiana, un tenace e implacabile “asceta intramondano”. In qualità di Vescovo di Ippona (396-430), fu uno spietato uomo politico, si relazionò con il potere secolare romano di cui invocò l’aiuto nella sua lotta spietata contro quelle che lui considerò “eresie”, non solo manichei e ariani, ma anzitutto contro i donatisti — è proprio in virtù di questa lotta che la Chiesa ne farà uno dei quattro grandi padri.

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Nota è la polemica tra studiosi se l’Agostinismo Politico medievale, la tesi teocratica della superiorità assoluta del potere religioso su quello politico, [2] fosse davvero coerente con quanto Agostino scolpì nei ventidue libri del De Civitate Dei, [3] dove il nostro svolge una potente apologia del cristianesimo che si dipana sui più piani: teologico, antropologico, ecclesiologico, infine di filosofia della storia.

Si è poi a lungo discusso se Agostino abbia mai davvero smesso di abbeverarsi alla sorgente di tutte le antropologie passimistiche, il radicale dualismo gnostico-manicheo di gioventù. Non pare ci sia davvero riuscito. La irriducibile opposizione manichea tra mondo materiale e mondo spirituale riemerge infatti quando Agostino sottolinea la distanza incommensurabile tra la Città terrena e quella celeste, tra il “regno della carne” e il “regno dello spirito”; di qui il disprezzo della società degli uomini condannata come “società degli empi” e “società del diavolo”; quindi la diffidenza verso ogni res publica e la svalutazione della dimensione politica che rasenta quella che oggi chiamiamo antipolitica.—ove questa antipolitica è una forma della Politica. Per chi scrive con Agostino siamo alle prese con quella che può essere definita teologia politica nichilista.

Agostino appoggia questa sua teologia politica nichilista su una potente base antropologica, ovvero un giudizio radicalmente pessimista dell’essere umano, essere imperfetto il quale, malgrado abbia il dono dello spirito, dal momento che è macchiato dal peccato originale, è condannato permanentemente a peccare, ad essere schiavo della carne.

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È qui entra in gioco la disputa sul libero arbitrio tra Agostino e Pelagio.

Per l’umanista ante litteram Pelagio, l’uomo può, in virtù delle facoltà di volontà e ragione, agire virtuosamente senza bisogno del soccorso della Grazia, ottenere perciò la salvezza eterna malgrado il peccato originale, visto che esso non si sarebbe trasferito ai discendenti macchiando ab aeterno la natura umana —di qui la considerazione del battesimo come superfluo.

Agostino d’Ippona, di contro, nella sua maturità, rettificando la sua previa concezione e riallacciandosi al suo giovanile manicheismo, tirando le estreme conseguenze dalla sua tesi della predestinazione, bollò come eretica la posizione pelagiana e la combatté con la sua proverbiale veemenza. Per il nostro l’uomo non possiede alcun libero arbitrio, siccome Dio e solo Dio, in virtù della sua prescienza, ha già deciso chi sarà salvato e chi no — ed a nulla servono le opere. Per Agostino la stirpe umana, compresi i neonati, fatta salva la loro capacità potenziale di cercare e amare Dio, sarebbe una “unica massa condannata di peccatori”, poiché “infetta del peccato originale”. Gli uomini dunque meritano il castigo divino e possono evitarlo solo grazie ad un gratuito atto di bontà da parte di Dio.

Per Agostino quindi, proprio a causa del peccato originale, non solo la carne ma la stessa anima umana è indelebilmente macchiata e corrotta. Per giustificare la tesi dell’ereditarietà del peccato originale il nostro è costretto a ricorrere ad uno stratagemma, adotta la concezione del traducianesimo (dal latino traducĕre: trasportare, trasferire; nel tardo latino tradux indica il seme procreatore). Secondo questa dottrina l’anima non sarebbe direttamente creata da Dio per ogni individuo ma verrebbe biologicamente trasmessa attraverso la procreazione. Interessante notare che la chiesa cattolica, nel 498, condannerà come eresia il traducianesimo.

Ci si potrebbe a questo punto chiedere se Sant’Agostino non sia stato egli stesso un eretico. Il fatto è che la teologia cattolica non è nata dal giorno alla notte ma si è venuta sincreticamente componendo e stratificando nei secoli, e i confini tra ortodossia ed eresia non sono mai stati stabiliti una volta per tutte e continuano ancora oggi a spostarsi.

Il peccato originale diventa in Agostino una specie di Grundnorm negativa, ciò che funge da base alla validità oppositiva di tutte le altre norme etiche spiritualmente positive. Vale segnalare che il nostro contribuisce in modo determinante alla sessualizzazione del peccato originale, che viene appunto assimilato al maligno proprio della carne (la concupiscenza infatti lo trasmetterebbe), mentre sappiamo che in Genesi esso consiste nella brama di conoscenza e disobbedienza a Dio. [4]   

Un’ulteriore prova che nel periodo della sua maturità intellettuale tende a prevalere in Agostino, sotto le mentite spoglie dell’ortoprassi cristiana, il dualismo gnostico-manicheo di gioventù, l’ossessiva per non dire paranoica convinzione della potenza del male, assoluto padrone del mondo materiale, una soggezione da cui l’uomo non si può emancipare con le sue proprie forze ma soltanto grazie all’intervento divino.

Questa fobia della sessualità, questo considerare la concupiscenza come depravazione dello spirito, di cui la donna come agente infettivo, non era solo un marchio di fabbrica di alcune sette gnostico-manichee, apparteneva anche a certe correnti di spiritualismo cristiano intransigente. Non si trattava solo di elogiare la castità, molti imitarono il grande teologo cristiano Origene, che si evirò prendendo alla lettera le parole attribuite a Gesù: “Ci sono eunuchi che si sono fatti eunuchi a motivo del regno dei cieli” [Matteo 19:12]. Un fenomeno quello del misticismo che giunge all’evirazione, talmente diffuso, che proprio il Concilio di Nicea (325) escluse espressamente dal sacerdozio gli uomini che si erano inflitti l’autoevirazione.

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Max Weber, com’è noto, ricostruisce la genealogia teologica della modernità considerando il “disincanto del mondo” (Entzauberung der Welt), l’abbandono di concezioni e tradizioni animistico-magiche, il punto d’innesco della razionalizzazione tecnico-scientifica che il capitalismo occidentale porta alle estreme conseguenze. Punto decisivo di passaggio fu per Weber il calvinismo il quale, con la sua torsione immanentistica della agostiniana dottrina della predestinazione (Dio ha già deciso chi verrà salvato), considerava il successo economico un segno manifesto della grazia divina. Com’è possibile, si chiede Weber, che una religione che considera il rifiuto del mondo condizione di salvezza sia potuta divenire veicolo di razionalizzazione. Trova la risposta nella differenza tra le due figure del mistico e dell’asceta intramondano: la religiosità mistica porta alla fuga dal mondo, quella dell’asceta intramondano considera che la salvezza si ottiene attraverso il “domino sul mondo tramite l’agire”. [5]

Com’è potuta avvenire, con il luteranesimo e il calvinismo, questa transustanziazione dell’agostinismo dal più assoluto trascendentalismo teologico al più radicale immanentismo? La risposta sta nella contraddittorietà e ambivalenza della figura di Sant’Agostino, al contempo mistico nemico del mondo e asceta combattente che non solo sta nel mondo ma cerca di sottometterlo alla sua volontà con ogni mezzo, anche ricorrendo ad invocare la frusta del potere secolare.

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Per comprendere questa duplice natura di Agostino dobbiamo soffermarci sulla sua strenua battaglia teologica e politica contro il donatismo, una setta scismatica africana che fece tremare la chiesa in tutto il Nord Africa e non solo. All’indomani delle grandi persecuzioni (250-313), la Chiesa si era interrogata sull’atteggiamento da tenere nei confronti di coloro che avevano abiurato la fede rinnegando Cristo davanti al potere secolare dell’impero (in latino lapsi, caduti), ma che in seguito vollero tornare a far parte della comunità dei fedeli. Le autorità ecclesiastiche optarono per l’indulgenza riaccettando, previa penitenza, i lapsi.

Rimaneva tuttavia il problema se i sacramenti amministrati da un sacerdote apostata fossero validi o no. Secondo i donatisti i sacramenti amministrati da tali vescovi (bollati come traditores in quanto avevano compiuto una traditio, ovvero la consegna dei testi sacri ai pagani) non sarebbero stati validi. Questa posizione implicava che i sacramenti non avessero efficacia di per sé, ma che la loro validità dipendesse dalla dignità di chi li amministrava. Agostino, guadagnandosi il titolo di “martello dei donatisti”, oppone che l’efficacia dei sacramenti non dipende dalla bontà di chi li conferisce ma è un dono di Dio che prescinde dalla qualità di chi li trasmette (tesi che poi verrà adottata dal Concilio di Arles del 314).

Al di là del problema dell’apostasia, il movimento donatista assunse forti connotati politici rappresentando il nazionalismo punico antiromano, e raccogliendo il sostegno delle classi sociali più povere. Agostino giunse ad invocare pubblicamente l’imperatore Costantino affinché il potere dello Stato venga usato contro gli scismatici, che vengono infatti colpiti direttamente e duramente dell’autorità imperiale.

È la prima volta nella storia del cristianesimo che il potere politico interviene a difesa del potere religiose per reprimere un’eresia.

Malgrado le persecuzioni tuttavia, alcune frange di donatismo resisteranno fino alla conquista araba di Cartagine nel 698, venendo quindi assorbiti dall’islamismo, di cui influenzeranno il concetto di martirio per fede religiosa.  [6]

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Mille anni più tardi, non a caso nel periodo di un nuovo storico di passaggio d’epoca, mentre l’Occidente prende congedo dal medioevo e si avvia verso la modernità, risorge la polemica sul libero arbitrio. Non a caso ribadiamo, poiché ogni grande svolta epocale è annunciata dall’affacciarsi di nuove visioni del mondo, dell’uomo e del suo posto in questo mondo. Due sono le dottrine teologico-politiche che si affrontano in Europa, quella a vario titolo umanista e quella anti-umanista.

Simboleggiano questa battaglia Erasmo da Rotterdam e Martin Lutero.

L’umanista Erasmo Da Rotterdam, pur avendo anticipato molte delle accuse protestanti alla corrotta Chiesa cattolica, nel testo De libero arbitrio, sostien, sulla scia di Pelagio, che l’uomo è in grado di scegliere se salvarsi o dannarsi, sostenendo che rifiutare il libero arbitrio significa negare la dignità e il valore dell’essere umano.

Contro l’umanesimo erasmiano entra in campo il principale condottiero, progenitore di ogni anti-umanesimo, l’agostiniano Lutero il quale, nel De servo arbitrio, con vera e propria “furia del dileguare”  radicalizzata la stessa concezione predestinazionista di Agostino, sostiene che Dio, avendo già deciso a priori chi sarà salvato, priva l’uomo del libero arbitrio, così che l’uomo non è in grado di compiere il bene né di scegliere per la salvezza poiché la sua volontà è schiava del peccato, costitutivamente segnata dal male — un secolo dopo Lutero e Calvino saranno i giansenisti, di nuovo facendo tremare l’edificio della Chiesa cattolica, a raccogliere il testimone di Agostino.

Come a suo modo segnalerà Max Weber [7] sarà proprio l’anti-umanesimo protestante luterano-calvinista, pur tra paradossali vie, a fornire alla nascente civiltà capitalistica la sua armatura teologica, ovvero ideologica e politica. Seguendo Agostino Lutero, istituisce una netta separazione fra mondo dello spirito e mondo della carne, spinge alle sue estreme conseguenze quella che abbiamo chiamato teologia politica nichilista agostiniana, giunge infine a difendere solo la tirannia del potere secolare e invoca la cieca obbedienza ad esso da parte dei cristiani, condanna qualsivoglia ribellione come peccaminosa “sedizione”. Per Lutero l’autorità secolare è infatti stata voluta e imposta da Dio allo scopo di punire, anche col terrore, i malvagi, che infatti costituiscono la grande maggioranza tra i sudditi. La servitù della gleba è sacrosanta. L’apologia del dispotismo è totale: il principe è legibus solutus, sciolto da ogni vincolo etico e morale. Buona o malvagia che sia l’autorità politica, il cristiano deve sottomissione completa ed anzi, se necessario egli deve obbedire anche impugnando la spada in guerra, mentre la sola guerra illecita sarebbe quella dell’inferiore contro il superiore. [8]

Lutero non si limitò a esecrare gli spiriti di ribellione. Davanti alla rivolta egualitaria che sconquassò l’Europa centrale, non solo esortò i principi (anche cattolici) alla spietata ribellione, salutò entusiasticamente il massacro dei contadini cristiani taboriti e anabattisti al comando di Thomas Münzer, ovvero quella che passerà alla storia come carneficina di Frankenhausen del 1525. Definì opera meritoria “colpire, scannare, massacrare” i rivoltosi affinché fosse restaurata “col sangue la supremazia dell’autorità secolare”. [9]

Il teologo asceta Lutero anticipa così, di quasi un secolo, il filosofo materialista Thomas Hobbes per il quale lo stato assoluto è ontologicamente giustificato a causa della natura egoistica e maligna dell’essere umano quindi la necessità della tirannia per la salvezza stessa dei sudditi che altrimenti si sbranerebbero a vicenda.

Calzante quant’altri mai lo sferzante giudizio dello storico cattolico Luigi Firpo: «La dottrina politica luterana si conclude così in uno squallore senza speranza: l’ordine vigente è raggelato in una staticità negatrice di ogni progresso, misconosciuti appaiono gli elementari diritti della persona umana, il principe è giustificato in perpetuo, se non come governatore saggio, come flagello di Dio; il mondo si riduce ad una turba di dannati perversi duramente coatti entro costrizioni esteriori». [10]

Thomas Mann, nel suo celebre discorso a Washington il 6 giugno 1945, parlando di Lutero tra le altre cose pronuncio queste parole: «Non mi sarebbe piaciuto essere ospite alla tavola di Lutero, mi sarei probabilmente sentito come nella dimora di un orco, mentre sono persuaso che me la sarei cavata molto meglio con Leone X, cioè con Giovanni de’ Medici, il cortese umanista, che Lutero soleva chiamare “la scrofa del demonio”, il Papa». [11]

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Una delle ragioni per cui abbiamo scritto queste note è che, come andiamo da tempo insistendo (vox clamantis in deserto?), la storia è di nuovo davanti ad un bivio. Come si afferma nel Manifesto del FRONTE del DISSENSO l’umanità è alle prese con un passaggio inedito, deve sciogliere il dilemma: accettare o impedire che venga alla luce la mostruosa creatura del cybercapitalismo che il sistema globalizzato porta in grembo.

In forme inedite siamo alle prese con un’altra tappa della eterna guerra tra umanesimo e anti-umanesimo. Come ai tempi del passaggio dal medioevo alla civiltà capitalistica, anche oggi si svolge una grande battaglia ideologica. Allora l’incipiente società borghese si fece strada non solo grazie alla scienza e alla tecnica, ma pure grazie ad una teologia politica radicalmente anti-umanista. Quella miscela vincente di scientismo e pessimismo antropologico oggi si ripresenta nelle vesti di un’ideologia prometeica e ultra-progressista che teorizza l’avvento di una società distopica governata dalla “scienza”, da algoritmi e intelligenze artificiali dove, estinta la Politica a favore della amministrazione calcolante, gli umani che stanno sotto, dovranno ubbidire alle macchine come servi della gleba, come ombre e replicanti biologici, mentre quelli che stanno sopra, potranno ibridarsi con le macchine diventano così una razza nuova di super uomini. La condanna al regresso antropologico per i primi, un potenziamento addirittura genotipico per i secondi. Per semplificazione chiamiamo quest’ideologia, questa teologia tecno-scientifica, transumanesimo.

Le implicazioni dei questo “balzo di tigre” sono evidentemente esistenziali, apocalittiche. L’umanità deve fermare questa metamorfosi, può farlo solo se prova orrore per quel che è diventata, se cioè prende coscienza della minaccia incombente.

NOTE

[1] Carl Schmitt, Teologia Politica. In: Le categorie del ‘politico’, il Mulino 1972

[2] Una pretesa, quella teocratica, che la Chiesa abbandonò molto tardi, con Leone XIII (1878-1903), e definitivamente sancito dal Vaticano II.

[3] Sant’Agostino, La città di Dio, Gribaudo editore, 1984

[4] Quale sia la dottrina ufficiale della Chiesa cattolica è noto, e non è propriamente agostiniana, ce lo dice il Catechismo, per cui, posto che si può fare cattivo uso del libero arbitrio, “Dio ha creato l’uomo ragionevole conferendogli la dignità di una persona dotata dell’iniziativa e della padronanza dei suoi atti”. «L’uomo è dotato di ragione, e in questo è simile a Dio, creato libero nel suo arbitrio e potere». [Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses]

Del resto non è forse un dogma cattolico che con la sua crocifissione Gesù ha ottenuto dal Padre la salvezza di tutti gli uomini? Non si sarebbe sacrificato per riscattarli dal peccato originale che li temeva in schiavitù? «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi» (Paolo di Tarso, Gal 5,1). Non è infatti vero che il sacramento del battesimo perdona dal peccato originale e per questo sancisce l’appartenenza al popolo di Cristo?

[5] Max Weber, Considerazione intermedie. Armando Editore 2006

[6] Qui una ricostruzione “ortodossa” della vicenda storica del movimento donatista e del ruolo di Agostino

[7] Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni 1988

[8] Martin Lutero, Sull’autorità secolare; in Scritti politici, UTET 1959

[9] Martin Lutero, Contro le empie e scellerate bande dei contadini, ibidem

[10] Martin Lutero, Scritti politici, introduzione, ibidem pp. 14-15

[11] Thomas Mann,  Discorso sul male della Germania e dei tedeschi

2 pensieri su “LE RADICI DEL PESSIMISMO ANTROPOLOGICO di Moreno Pasquinelli”

  1. Francesco dice:

    Un articolo davvero molto accurato dal punto di vista dell’analisi storica. Sarebbe piaciuto molto al mio povero Papà che insegnava storia e letteratura.

    Francesco F.
    Manduria (Ta)

  2. Nello dice:

    Il problema dell”ambiguità di Agostino sta nel concetto di onniscenza di Dio ( esasperato poi da Lutero e Calvino). Se Dio è onniscente, Egli mi dà sì la libertà ma sa pure come la userò: se per eleggermi o per dannarmi. Non a caso le oscillazioni del pensiero agostiniano riemergeranno all’inizio della modernità, ,fornendo spunto a Lutero per la dottrina della “sola fede”, come fonte di salvezza ( dalla Lettera ai Romani di San Paolo) per criticare il valore delle opere, che giustificava la mondanizzazione e la corruzione della Chiesa di Roma, e il concetto di doppia predestinazione di Calvino ( ( “Non è la fede che dona la grazia, ma la grazia che dona la fede”). Da qui il passaggio alla mondanizzazione come ascesi intramondana ( Weber). Cosa deve fare il riformato ( non alla visita di leva) ? Glorificare Dio mediante il lavoro, che certo non gli darà la salvezza ( hai voglia di pittare santi, come Michelangelo nella cappella sistina…), sarebbe troppo facile. Non facevano lo stesso i cattolici che acquistavano le indulgenze per salvarsi l’anima e prenotarsi un posto in Paradiso o almeno in Purgatorio con il benevolo interessamento dell’Elettore Albrecht von Hohenzollern , della munifica banca Fugger e dell’instancabile propagandista Johan Tetzel? ( ” Quando il soldin cade giù nella cassetta, l’anima vola in cielo benedetta!”) Soltanto il successo nel lavoro, secondo Calvino, è indizio della salvezza. Se sono un bravo uomo d’affari, ma anche un cinico speculatore, vuol dire che forse ( fuochino) Dio mi ha eletto. Nel frattempo non devo cedere un centesimo della mia fortuna a qualche povero miserabile che potrebbe anche averne bisogno, perché questo sarebbe uno sminuirmi agli occhi di Dio e un periclitare verso la perdizione. Ma con ciò siamo già alla superfetazione dell’accumulazione economica e finanziaria capitalistica esemplata nella figura dell’ Ebenezer Scrooge di Dickens e del Paperon de’ Paperoni disneyano ( che compare la prima volta in una deliziosa parodia di ” Christmas Carol” ” Donald Duck in A letter to Santo, 22-12-1947). Da qui all’Etica protestante e allo spirito del Capitalismo del succitato Weber il passo è breve. Diversa rimane però la posizione della Chiesa cattolica sulla Grazia nella posizione di San Tommaso d’Aquino, che tenta di attutire il rigorismo agostiniano, dicendo che la prescienza divina non è necessitante per le azioni umane e che ogni uomo, grazie al sacrificio di Cristo, possiede una quota di Grazia che starà a lui saper amministrare ( un pò come una patente a punti…) Faccio notare che questa posizione compromissoria era ed è tuttora alla base della dottrina cattolica, che riconosce ancora in Tommaso ( non in Agostino) il suo teologo di riferimento. Ovviamente Lutero, tornando alla fase dissolutiva della Scolastica e al misticismo tedesco del XIV secolo , parlerà di tutto ciò come “ciarle scolastiche”. Sono argomenti questi di cui discorro ogni giorno in classe coi miei alunni, ai quali faccio capire che la società capitalistica deriva da un fondamento teologico non secolarizzato. Per il passaggio al cybercapitalismo sarei più cauto nel farlo discendere come un esito inevitabile e predeterminato. Ci tornerò. In ogni caso l’articolo rivela una indubbia capacità di sintesi sul piano della storia delle idee.

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