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TRUMP, PUTIN E LA VARIABILE CUBANA di Gianandrea Gaiani

Di seguito l’ultima parte di un articolo pubblicato oggi sul sito ANALISIDIFESA*.

Per questo dovremmo chiederci quanto abbia influito, non solo nella apparente decisione di Trump di frenare sulla fornitura dei Tomahawk a Kiev ma sul contesto complessivo che ha portato i due presidenti a decidere di vedersi in un campo amichevole per entrambi (Budapest) un elemento del tutto esterno alla guerra in Ucraina e che potremmo definire la “variabile cubana”.

Anche se, come spesso accade per le notizie davvero rilevanti, i nostri media e TV non ne hanno quasi per nulla riferito, l’8 ottobre il Consiglio della Federazione Russa ha ratificato in sessione plenaria l’accordo intergovernativo di cooperazione militare con Cuba che fornisce piena base giuridica per definire gli obiettivi, le modalità e gli ambiti della cooperazione militare tra i due Paesi, rafforzando ulteriormente i legami bilaterali nel settore della difesa.

L’accordo era stato firmato il 13 marzo all’Avana e il 19 marzo a Mosca. In passato, esperti e funzionari russi avevano ipotizzato un possibile dispiegamento di sistemi militari russi nell’area caraibica, tra cui Cuba e il Venezuela. La portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha ribadito che eventuali decisioni in tal senso rientrano nelle competenze del ministero della Difesa ma secondo i servizi segreti militari ucraini almeno un migliaio di volontari cubani combatterebbero attualmente al fianco dei russi in Ucraina.

In base al nuovo accordo potrebbero forse venire trasferiti in Russia reparti organici dell’Esercito Cubano, come è accaduto con l’esercito della Corea del Nord.

L’accordo russo-cubano viene ratificato mentre le forze statunitensi operano al largo delle coste del Venezuela e un attacco alla nazione alleata di Mosca non viene escluso dallo stesso Trump, che ha confermato di aver autorizzato operazioni clandestine della CIA in Venezuela, come anticipato dal New York Times.

Non a caso Alexander Stepanov, dell’Istituto di Diritto e Sicurezza Nazionale dell’Accademia Presidenziale Russa di Economia Nazionale e Pubblica Amministrazione, ha dichiarato alla TASS che la ratifica dell’accordo di cooperazione militare russo-cubano, rappresenta “una risposta simmetrica alla potenziale fornitura di Tomahawk”.

“L’accordo ratificato amplia al massimo la nostra cooperazione militare e consente, nell’ambito dell’interazione bilaterale e in coordinamento con il governo della Repubblica di Cuba, di schierare praticamente qualsiasi sistema offensivo sul territorio dell’isola”.

Per intenderci, è probabile che Putin abbia spiegato a Trump che in risposta ai Tomahawk in Ucraina, la Russia potrebbe schierare i missili ipersonici Kinzhal o Oreschnik a Cuba.

In attesa di avere tra poche ore chiarimenti ulteriori dall’incontro tra Trump e Zelensky, a indurre Trump a rivalutare la cessione dei Tomahawk potrebbe aver contribuito la valutazione che mentre i missili americani subsonici verrebbero almeno in parte intercettati dalle difese aeree russe, contro i missili ipersonici russi non ci sono al momento difese efficaci negli Stati Uniti e in Europa.

Quindi il contesto che potrebbe aver dato vita al nuovo summit russo-americano potrebbe risultare molto diverso da quello raccontato da Zelensky, cioè la paura russa dei Tomahawk.

Di conseguenza le possibilità di giungere alla pace in Ucraina dipenderanno soprattutto dalla disponibilità di Zelensky e degli europei ad accettare le ben note condizioni poste da Mosca (che sta vincendo la guerra sui campi di battaglia), tese a ridefinire una cornice di sicurezza ai confini occidentali della Russia e a quelli orientali dell’Europa con l’obiettivo di concludere definitivamente il conflitto, non solo di sospenderlo a tempo determinato.

* Fonte: AnalisiDifesa

2 pensieri su “TRUMP, PUTIN E LA VARIABILE CUBANA di Gianandrea Gaiani”

  1. Nello dice:

    “Contraria per contraria expiantur”

  2. Graziano+PRIOTTO dice:

    Qual è il bottino più facile e meno rischioso da ottenere ?

    Evidentemente i falchi del Pentagono e l’oligarchia finanziario -industrial militare che domina le scelte da far eseguire ai Presidenti USA di turno valutavano che una cambio di regime in Venezuela avrebbe consentito più facilmente di mettere le mani sul più grande giacimento petrolifero del mondo e con minori rischi che non un cambio di regime a Mosca per rapinare gas e petrolio alla Russia.
    Ciò anche a motivo del fallimento dell’operazione di destabilizzazione e subordinazione dell’ Ucraina agli interessi Angloamericani culminata col Maidan che era la chiave per obbligare la Russia ad intervenire militarmente per essere poi sconfitta e smembrata secondo l’illusiione dei grandi strateghi USA privi di memoria storica (perché doveva riuscire contro la più grande potenza atomica mondiale quello che era fallito contro il Vietnam ?!). Vero è che in un caso la perversa operazione è riuscita : in Siria. Ma solo con modestissimo bottino (il poco petrolio siriano) e parzialmente (La Russia mantiene colà le proprie basi) ed a prezzo di una vergognosa ammissione: i terroristi che combattevano Assad lo facevano per gli interessi USA ed erano da loro pagati ed armati (con collaborazione della Turchia che per tradizione tiene il piede in più scarpe) .

    Che con gli accordi di assistenza militare fra Venezuela e Cuba con Russia e Cina la situazione per gli USA abbia ora reso più arduo impossessarsi del bottino venezuelano è evidente. E probabilmente i fondi investiti per comprare il Nobel Pace ad una destabilizzatrice del Venezuela non frutteranno i risultati sperati.

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