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CRISI ENERGETICA: FACCIAMO IL PUNTO di Leonardo Mazzei

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Gas: un tetto con cinque buchiDieci verità per fermare la catastrofeCase green: la rapina del secoloNucleare? No Grazie! In risposta a Thomas FaziPrezzi energia: cosa c’è dietro e come porvi rimedio

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E’ bene fare il punto sui costi dell’energia, in particolare su quelli del gas e dell’elettricità. Sul tema circola infatti un’ingannevole narrazione, quella secondo cui tutto starebbe andando ormai per il meglio. Ma è davvero così? Assolutamente no.

Siamo in guerra, dunque la propaganda non deve stupirci, ma in questo campo (quello di chi la spara più grossa) l’Occidente batte la Russia dieci a uno. Moreno Pasquinelli si è già occupato del comico trionfalismo di un russofobo come Federico Rampini, che tre giorni prima dell’inizio di una grave crisi bancaria (vedi il crac di due banche americane e le enormi difficoltà di un colosso come Credit Suisse), scriveva che “l’apocalisse della crisi economica era un’allucinazione”. Un tempismo davvero fantastico! Cosa non farebbero certo scribacchini pur di dimostrare quanto sono servi!

Ma quello del bretellato Rampini è solo un caso tra tanti. Il succo del messaggio che si vorrebbe far passare è che tutto va bene, l’Occidente è forte e la guerra fa male solo all’economia russa. E’ all’interno di questo refrain che assume una grande importanza il discorso sull’energia. Sul tema, la propaganda dei media occidentali è martellante. I prezzi del gas stanno scendendo – essi dicono – dunque la strategia Ue-Nato sta funzionando, possiamo fare a meno della Russia e vivremo felici e contenti.

Ovviamente, la realtà è assai diversa. Vediamolo in tre punti, cercando di ristabilire altrettante verità.

  1. Il calo dei prezzi e il crollo dei consumi: è davvero una buona notizia?

La prima verità che va ristabilita è quella sul prezzo all’ingrosso del metano, da cui dipende in larga parte lo stesso costo dell’energia elettrica.

E’ vero che il prezzo è calato negli ultimi mesi, ed è vero che questa diminuzione è stata più alta del previsto. Tuttavia, il prezzo del gas è tuttora il doppio di quello del 2021. Per lunghi anni il gas è rimasto sotto i 20 €/Mwh alla Borsa di Amsterdam, mentre adesso la quotazione si è assestata intorno ai 42 €/Mwh. Un bel calo rispetto al picco dell’estate 2022, ma pur sempre un prezzo ben più alto di quello precedente alla crisi.

Ma la cosa più interessante è un’altra. Questa diminuzione non ha nulla a che vedere con le misure europee, tantomeno con il famoso price cap introdotto dall’Ue. Il calo non è il frutto delle trovate dei tecnocrati di Bruxelles, bensì di un taglio dei consumi senza precedenti, una diretta conseguenza del livello straordinariamente alto raggiunto dai prezzi alla fine dell’estate scorsa.

Vediamo i dati. Secondo Eurostat, nel semestre agosto 2022 – gennaio 2023 i consumi di metano nell’Unione europea sono calati del 19,3% rispetto alla media dello stesso periodo negli anni che vanno dal 2017 al 2022. Questo semestre non è stato scelto a caso, perché è proprio con il boom dei prezzi di agosto 2022 che i consumi hanno cominciato a tracollare.

Lo stesso fenomeno si è verificato in Italia. Prendiamo i dati citati da Sara Deganello sul Sole 24 Ore del 13 marzo scorso:

«Continua il calo dei consumi di gas in Italia rispetto alle performance degli anni scorsi. A gennaio i volumi si sono fermati a 7,5 miliardi di metri cubi: il 22% in meno rispetto allo stesso mese del 2022. Una contrazione in linea con una tendenza che continua da settembre. Dopo lo scoppio della crisi energetica in estate, il rallentamento dei consumi è diventato evidente. Mentre nella prima parte del 2022 l’andamento della domanda è stato simile all’anno precedente, in seguito la differenza si è fatta più netta: rispetto allo stesso periodo del 2021, a settembre 2022 infatti il calo è stato del 17%, a ottobre del 24%, a novembre del 27%, a dicembre del 24%. In generale, nel 2022 l’Italia ha consumato meno gas naturale rispetto al 2021: 68,5 miliardi di metri cubi contro i 76 dell’anno precedente, con un calo del 10%».

Tiriamo dunque le somme. In Italia il consumo annuale è diminuito del 10%, ma il calo si è concentrato negli ultimi cinque mesi dell’anno quando è stato superiore al 20%. Certo, in una qualche misura ha pure influito il clima mite dei mesi autunnali, ma questo spiega solo in minima parte il fenomeno. A dircelo sono i dati di gennaio, un mese nel quale i consumi sono diminuiti del 22% pur con temperature medie esattamente in linea con quelle del gennaio precedente. Una conferma di questa nostra valutazione ci viene dall’analogo andamento al ribasso dei consumi dell’energia elettrica, tema sul quale qui non entriamo per ragioni di spazio.

A questo punto si pone una decisiva domanda: certo, il calo dei consumi ha prodotto una significativa diminuzione dei prezzi, ma quanto è positivo che una società sia costretta a stringere la cinghia a causa del prezzo troppo alto dell’energia? A noi pare che questa contrazione contenga al suo interno sia il dramma sociale delle fasce più deboli della popolazione, sia i prodromi di una crisi più generale

A questo proposito è interessante quanto ha affermato (sempre nello stesso articolo) Davide Tabarelli, presidente di Nonisma Energia:

«Dai numeri di gennaio, che dovrebbero essere confermati anche dal bilancio di febbraio, l’aspetto più evidente è il crollo della domanda di gas. Una tale contrazione non può essere spiegata solamente con il clima più mite. E neppure è ipotizzabile un repentino efficientamento degli impianti, sia domestici che industriali. L’ipotesi più probabile è che la gente abbia tagliato i consumi. Insieme a un calo dell’attività economica al momento nascosto dall’aumento dei prezzi. Quando la tendenza a ridurre i consumi è così pronunciata potrebbe portare a una recessione».

Eccoci così arrivati al punto che ci interessa sottolineare: il calo dei consumi, specie se così consistente, non può certo essere una buona notizia per l’economia e per la società italiana. Idem, nella sostanza (le tendenze sono infatti analoghe), per il resto d’Europa. Il tutto con buona pace degli ottimisti a gettone alla Rampini.

  1. Sorpresa, il gas russo è ancora qui fra noi!

Se il calo dei consumi è stato il vero protagonista degli ultimi mesi, c’è un secondo fattore che spiega l’attuale andamento dei prezzi. Ed è un fattore piuttosto spiacevole per l’informazione mainstream. Il punto è che, sia pure in quantità ridotte rispetto al passato, il gas russo fluisce ancora nei nostri tubi, e lo fa in una misura tutt’altro che trascurabile. Sta di fatto che la Russia è tuttora il secondo fornitore dell’Italia, dopo l’Algeria.

Secondo i dati citati dal Sole 24 Ore, nel 2022 l’Italia ha importato dalla Russia circa 14 miliardi di metri cubi di metano, pari al 20,4% dei consumi. Ora, è vero che si tratta di un dimezzamento rispetto all’anno precedente (-52%), ma siamo ben lontani dall’azzeramento perseguito dal governo. La cosa sorprendente è però un’altra. Mentre si potrebbe pensare che il dato del 2022 dipenda quasi per intero dalle importazioni avvenute nei primi mesi dell’anno, prima cioè della progressiva riduzione delle forniture russe, i dati relativi agli ultimi due mesi disponibili (dicembre 2022 e gennaio 2023) ci mostrano invece un’altra realtà.

A dicembre l’Italia ha importato dalla Russia 732 milioni di metri cubi, a gennaio 794. Proiettando queste cifre su base annua si ottiene una fornitura superiore a 9 miliardi di metri cubi. Un terzo dell’anteguerra, ma non proprio una bazzecola. Ma c’è di più. Queste cifre si riferiscono alle quantità in ingresso a Tarvisio via gasdotto. Ma da dove arriva invece il Gnl (Gas naturale liquefatto) che approda ai rigassificatori in funzione?

Ecco cosa scrivevamo a dicembre, occupandoci della questione sulla base dei dati di Bloomberg:

«Come prevedibile, alla diminuzione del flusso dai gasdotti corrisponde un aumento del metano importato tramite liquefazione e rigassificazione. Ma qual è – dopo il Qatar – il maggior esportatore di Gnl in Europa? Molti penseranno certamente agli Usa. E invece no, piccola sorpresa! Come ci rivela Bloomberg, nel 2022 il secondo posto tra gli esportatori verso i paesi dell’Ue è stato conquistato dalla terribile Russia, che ha così incassato dal Gnl 12,5 miliardi di euro, contro i 2,5 del 2021».

Nel 2022 Mosca ha infatti aumentato il volume delle esportazioni di Gnl verso l’Ue del 50%. Ed anche se i dati relativi all’Italia non sono noti, è chiaro come pure il nostro Paese ne abbia usufruito, incrementando così il totale delle importazioni dalla Russia.

Anche in questo caso non è difficile osservare come la propaganda sia una cosa, la realtà un’altra.

  1. Bollette in diminuzione? E’ tutto da vedersi

Veniamo ora alle bollette. Sul punto l’informazione traballa – un giorno dice che caleranno, quello successivo che aumenteranno – generando così (ma forse è proprio questo l’effetto voluto) una confusione mai vista.

Cerchiamo allora di fare chiarezza. La prima cosa da dire è che una cosa sono i prezzi all’ingrosso di gas ed energia elettrica, altra cosa quelli al dettaglio. Questi ultimi, mentre da un lato cumulano altre voci di costo, dall’altro risentono degli effetti dei vari interventi governativi.

Abbiamo già detto dei prezzi all’ingrosso del gas, ma è il caso di soffermarsi brevemente anche su quelli dell’energia elettrica. Qui il valore di riferimento è il PUN (Prezzo Unico Nazionale), che è l’elemento base su cui si costruiscono le bollette degli italiani.

Per capire quanto sia variato questo decisivo indicatore bastano pochi dati. Nel periodo 2005-2020 il PUN medio è stato piuttosto stabile, con una media di 57,63 €/Mwh. Ancora nel maggio 2021 il prezzo era pari a 69 €/Mwh. Nel 2022 il boom, con una media annua di 303,95 €/Mwh. Negli ultimi mesi, in parallelo con i prezzi del gas dai quali dipende in larga parte, il PUN ha iniziato a calare, arrivando a 174 €/Mwh a gennaio ed a 161 €/Mwh a febbraio. Senza dubbio una diminuzione significativa, ma con un prezzo che è ancora quasi tre volte quello precedente all’inizio della crisi. Come si vede, siamo ben lontani da quel ritorno alla “normalità” che vorrebbero farci credere.

Chiarita anche questa questione, passiamo ora dai prezzi all’ingrosso a quelli al dettaglio ben stampigliati sulle bollette. Fino al terzo trimestre 2021 il prezzo della materia prima in bolletta, nel mercato tutelato, veleggiava intorno ai 20 centesimi a Kwh. Poi è arrivata la botta. Scoppia la guerra e si arriva ai 46,03 centesimi del 1° trimestre 2022, confermato dai 41,34 centesimi del 2° trimestre e dai 41,51 centesimi del terzo. A questo raddoppio abbondante fa seguito l’ulteriore impennata del 4° trimestre 2022, quando si arriva al picco di 66,01 centesimi a Kwh. Nel 1° trimestre 2023 il Kwh è ridisceso a quota 53,11 centesimi, ma cosa ci aspetta per i mesi a venire?

Ecco, qui la cosa è tutt’altro che chiara. In base ai prezzi all’ingrosso di gas ed elettricità le bollette dovrebbero calare ulteriormente, ma non è affatto detto che ciò avvenga. Tutto dipenderà dalle decisioni del governo.

Questo il titolo de La Stampa del 10 marzo: «Bollette, governo verso la proroga degli sconti: senza aiuti, gas +58% e luce +27%». Altro che ritorno alla “normalità”!

Quello che troppi tendono a dimenticarsi è che il raddoppio delle bollette di luce e gas è avvenuto nonostante l’intervento calmieratore dello Stato, pari come minimo ad un totale di 85 miliardi di euro, secondo altri calcoli addirittura vicino ai 100 miliardi. Solo per il trimestre in corso la Legge di bilancio ha stanziato 21 miliardi… Ma adesso il 31 marzo è vicino, e se non ci fossero nuovi interventi gli aumenti di aprile sarebbero esattamente quelli annunciati da La Stampa, alla faccia dell’attesa diminuzione delle bollette.

Altro non fosse che per ragioni di consenso è perciò probabile un nuovo provvedimento governativo, anche se probabilmente ridotto rispetto a quelli precedenti. Andando all’ingrosso, diciamo che almeno una decina di miliardi il governo dovrebbe metterli per il prossimo trimestre.

Ma se la natura e l’entità di questo intervento si chiariranno solo a fine mese, quel che è certo è che il prezzo che l’economia italiana dovrà continuare a pagare sarà comunque salatissimo.

Brevissima conclusione

Questa è dunque la situazione reale. Certo, chi ha perso una gamba può sempre consolarsi per non averne perse due, ma che non ci vengano a raccontare che ormai tutto sta andando per il meglio. La questione dei prezzi dell’energia è un po’ come quella dell’inflazione. Se si arriverà ad una pesante recessione caleranno magari gli uni e l’altra, ma di certo non ci sarà da gioire per la massa di disoccupati in più che ne deriverà.

La verità è che la situazione generale volge comunque verso il peggio, e la politica guerrafondaia delle élite occidentali (i problemi energetici nascono proprio lì) ne è l’insuperabile dimostrazione.




CECHI E ROSSOBRUNI di Giuseppe Russo

L’Autunno di Praga fra spontaneismo e populismo “colorato”. Prima la Repubblica Ceca!

Durante il mese di settembre di quest’anno, la Repubblica Ceca è stata scossa da due manifestazioni convocate dal movimento Česká republika na 1. místě! (“Prima la Repubblica Ceca!). Nata su iniziativa di Ladislav Vrabel il 30 giugno scorso per organizzare il raduno del 3 settembre a Praga (erano previsti 500 partecipanti, ne sono arrivati 70000), la piattaforma rivendicativa, inizialmente concentrata sulla necessità di stipulare nuovi contratti di fornitura di gas con la Russia e sulla richiesta di dimissioni del primo ministro Petr Fiala, si è poi allargata ad obiettivi più ambiziosi, come l’uscita del paese dall’Unione Europea, dalla NATO e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, oltre a fare proprie le istanze dell’indipendenza alimentare e della libertà vaccinale. Sul piano politico, hanno aderito sia le forze del variegato panorama “sovranista” della Repubblica Ceca, su tutte il movimento Libertà e democrazia diretta (alleato della Lega nell’Europarlamento) dell’imprenditore di origine giapponese Tomio Okamura, sia i micropartiti dell’estrema destra e sia il Partito Comunista di Boemia e Moravia, il cui candidato alle prossime elezioni presidenziali, Josef Skála, figura fra i sostenitori “ufficiali” di “Prima la Repubblica Ceca!”.

Nella piazza praghese si è incontrata quella parte della cittadinanza che non condivide la russofobia che dal crollo del regime comunista caratterizza il discorso pubblico in nome del ricordo della celebre primavera di Praga del 1968, quella che si concluse con l’arrivo dei carri armati sovietici. Quando, in occasione della seconda manifestazione del 28 settembre, ha preso la parola l’europarlamentare tedesca Christine Anderson, del partito Alternativa per la Germania, ed ha fatto un’analogia con la liberazione dal comunismo, l’accoglienza della piazza è stata freddissima.

L’incontro fra “estrema destra” ed “estrema sinistra”, fra istanze nazionaliste e nostalgia del regime filosovietico, fra euroscetticismo e panslavismo (per non parlare dei “no vax”), ha fatto sì che la stampa di tutto il continente ululasse al pericolo “rossobruno”. Sulle pagine de Il Foglio, Adriano Sofri ha tratto spunto dalle manifestazioni rossobrune (a suo dire molto più “brune” che rosse) per scagliarsi contro “l’avversione di una parte consistente della popolazione europea alla resistenza ucraina”. Ad ogni modo il KSČM, il Partito Comunista di Boemia e Moravia che ha presidiato coi suoi stand e le sue bandiere il raduno del 28 settembre, sembra avere le idee piuttosto confuse sulla strategia politica da seguire. Sopravvissuti, caso unico fra i paesi dell’Europa Orientale entrati nell’orbita dell’Occidente dopo il 1989, alla violenta “decomunistizzazione” che ha caratterizzato la transizione al capitalismo, i comunisti cechi sono stati per trent’anni una delle principali forze del panorama politico, prima di suicidarsi con l’appoggio esterno al governo del miliardario (in corone ceche) Andrej Babiš, il cui secondo dicastero è caduto, dopo una serie di scandali montati ad arte, nel 2021.

Alle successive elezioni, tenutesi nell’ottobre dello scorso anno, il KSČM è infatti uscito dal parlamento ceco per la prima volta dal 1990, stessa sorte toccata al Partito Social Democratico, che era partner di minoranza nei governi Babiš. La stessa neopresidente del partito, l’europarlamentare Kateřina Konečnáche è stata fra le oratrici della piazza “nazionalista” praghese, ebbe a dichiarare in passato durante una trasmissione televisiva che “il progetto dell’Unione europea è di fatto un progetto socialista”. Il Partito Comunista è stato anche partecipe della politica “pandemica” di Babiš, che è stata caratterizzata, almeno fino ad aprile 2020, da estremo rigore (la Repubblica Ceca fu il primo paese europeo a promuovere l’obbligo delle mascherine), salvo poi abbracciare posizioni “negazioniste” dopo la disfatta elettorale.

Più che ai comunisti, i manifestanti cechi con il cuore “a sinistra” sembrano guardare al capo dello stato Miloš Zeman, che nell’arco dei suoi due mandati ha avuto più volte occasione di comportarsi come attore autonomo sulla scena politica con le sue prese di posizione (moderatamente) euroscettiche.

Il politologo Petr Fiala si è insediato come primo ministro della Repubblica Ceca dopo le già citate elezioni legislative dell’ottobre 2021 a capo di una coalizione fra la sua lista Spolu (“Insieme”: alleanza di centrodestra fra il Partito Civico Democratico, i democristiani del KDU-ČSL ed i liberali di TOP 09) ed il Partito Pirata, il quale, forte del 15% dei voti ottenuti dalla sua lista “Pirati e Sindaci” (è un “pirata” il sindaco di Praga Zdeněk Hřib), ha espresso nel nuovo governo la delicata figura del ministro degli esteri nella persona di Jan Lipavský, la cui nomina venne vanamente avversata dal presidente della repubblica Miloš Zeman.

Lipavský, deputato del Partito Pirata dal 2017, si è costruito negli anni la fama di politico russofobo e “occidentalista” a oltranza: protagonista di battaglie parlamentari per escludere le imprese russe e cinesi dalle gare d’appalto, sostenitore dell’invio di truppe in Iraq e in Afghanistan e promotore di una maggiore “integrazione” nella NATO e nell’UE, l’attuale ministro degli esteri ceco ha più volte definito la Russia “una minaccia” e, al deflagrare della crisi bellica, ha paventato il rischio di un’invasione militare russa, rievocando i fantasmi del 1968. Il governo Fiala si è da subito contraddistinto per la sua politica di sostegno all’Ucraina, di cui sono stati accolti nel territorio ceco circa centomila profughi. Tutte le richieste di Zelensky sono state oggetto del plauso di Fiala, dall’ingresso immediato del paese nell’Unione Europea all’invio di armi e munizioni in quantitativi sempre più elevati. Si è venuto formando un asse dei “russofobi dell’Est” fra i governi di Repubblica Ceca, Polonia e Slovenia, i cui premier hanno visitato congiuntamente Kiev nel marzo scorso, e ciò ha determinato la reazione russa in termini di erogazione del gas verso questi paesi, i cui tangibili effetti sulla popolazione ceca si attendono per il prossimo mese di febbraio, quando è previsto il pagamento delle bollette, che avviene con cadenza annuale.

Dopo aver assunto, nel luglio di quest’anno, la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea nel semestre in cui tale carica spetta al suo paese, Fiala si è fatto ancor più oltranzista in termini di russofobia, e gli stessi manifestanti di “Prima la Repubblica Ceca!” sono stati da lui liquidati come lobbisti che lavorano per Putin allo scopo di ripristinare la dipendenza energetica di Praga da Mosca. Il primo ministro getta benzina sul fuoco della protesta, in un paese in cui la classe politica è delegittimata da un elevato astensionismo (oltre un terzo dei cechi non ha votato alle ultime elezioni politiche) e l’ultimo turbolento decennio è stato caratterizzato dall’eclissi dei partiti “storici” e dall’affermazione di forze “populiste” come il già citato movimento Libertà e democrazia diretta o il partito ANO 2011 dell’ex capo del governo Andrej Babiš.

Mai come oggi l’abisso che separa la piazza dal palazzo è stato così profondo: quando la speaker del parlamento Markéta Pekarová Adamová si permette di dare alla popolazione consigli su come affrontare l’inverno per non darla vinta a Putin il cattivone, l’effetto è analogo a quello che produssero sui sanculotti parigini le famose frasi attribuite alla regina Maria Antonietta sui poveri, il pane e le brioche.

L’insoddisfazione di massa verso una classe politica disposta a sacrificare i bisogni primari della cittadinanza sull’altare dell’obbedienza alle oligarchie della guerra e del denaro è stata intercettata da “Prima la Repubblica Ceca!”, movimento apparso sulla scena nel momento più propizio come “quella cosa che ancora non c’era” e al quale si sono giocoforza accodate tutte le forze “sovraniste” e “populiste” già esistenti. Il suo fondatore, Ladislav Vrabel, è un imprenditore nei settori dell’accoglienza e della ristorazione gravato da circa tre milioni di corone di debiti (pari a poco più di centomila euro).

“Attivista” apparentemente apparso dal nulla, Vrabel è in realtà legato ad un altro “paperone” ceco, Karel Janeček, dal quale ottenne un ingente prestito alcuni anni fa. Janeček, un matematico di rango arricchitosi applicando le sue conoscenze al trading, ha recentemente lanciato la sua candidatura alla carica di presidente della repubblica, dopo aver fatto irruzione nel panorama politico finanziando un’imponente campagna anti-corruzione nel 2011 e facendosi poi una solida reputazione di mecenate e filantropo finanziando pure fondazioni, gallerie d’arte e festival musicali. I suoi fondi sono giunti anche al movimento Milion Chvilek pro demokracii (“Un milione di momenti per la democrazia”), realtà in grado di portare avanti una campagna di 1041 giorni per chiedere le dimissioni dell’allora premier Andrej Babiš, accusato di volta in volta di corruzione, conflitti di interesse, pratiche clientelistiche, soffiando sul fuoco degli scandali che hanno coinvolto il figlio del primo ministro, vittima di un presunto rapimento in Crimea, e diversi ministri dei suoi governi. La campagna puntava inizialmente a raccogliere un milione di firme contro Babiš; il successo ha indotto i promotori ad organizzare presidi permanenti nelle piazze e due oceaniche manifestazioni (le più partecipate della storia post-comunista della Repubblica Ceca) nel giugno e nel novembre 2019.

Il sito di giornalismo indipendente AENews (al cui lavoro questo articolo è debitore) fa notare come la storia di “Un milione di momenti per la democrazia” abbia diverse similitudini con quella di “Prima la Repubblica Ceca!”: in entrambi i casi ci sono “attivisti” che escono dal cilindro ottenendo grande risalto sui mass media, in entrambi i casi ci sono le firme da raccogliere (nel secondo caso sarebbero due milioni) per far dimettere i capi del governo, in entrambi i casi ci sono le manifestazioni convocate via web. Quella di Milion Chvilek pro demokracii è stata a tutti gli effetti una piccola “rivoluzione colorata”; quello di Česká republika na 1. místě! minaccia di essere una sorta di “populismo colorato”, un processo di canalizzazione e sterilizzazione preventiva del dissenso. A sostegno di questa tesi, AENews rileva anche il collegamento di “Prima la Repubblica Ceca!” con Reignite Freedom, società australiana che si prefigge di “attuare una reazione globale, unificata e strategica contro l’agenda globalista, garantendo il mantenimento della nostra libertà individuale e collettiva”, e che ha lanciato la campagna Global Walkout , che dovrebbe avere avuto nell’evento praghese del 3 settembre scorso il suo atto fondativo. Nonostante le nobili intenzioni dichiarate, coltivare il dubbio nei loro riguardi appare quantomeno lecito. Nel frattempo, Ladislav Vrabel è stato accusato di gestione fraudolenta dei fondi raccolti in queste settimane (il corrispettivo di duecentomila euro), ed il suo ex sodale Jiří Havel già minaccia azioni legali per stabilire chi sia il titolare del marchio Česká republika na 1. místě! ed il legittimo gestore del ricco salvadanaio. Del resto, quasi tutti i politici o aspiranti tali nominati in questo pezzo sono o sono stati degli “imprenditori”; la politica, a Praga come altrove, è un business come un altro.

* Fonte: Avanti!




DEUTSCHLAND ÜBER ALLES di Sandokan

«Per chiunque si senta cittadino d’Europa è stato triste vedersi sbattere in faccia la prova provata che il nostro compatriota di lingua tedesca Olaf Scholz pensa essenzialmente ai comodi suoi.  (…)
La pandemia e le sanzioni alla Russia ci avevano illuso che l’Europa stesse diventando una cosa seria. Invece restiamo sempre a metà del guado: fieri europeisti quando si tratta di dare una patente di sovranismo agli altri, ma fierissimi sovranisti quando entrano in ballo gli interessi di bottega. Senza renderci conto che sono proprio «scholzate» come questa ad alimentare la diffidenza di vasti strati della popolazione verso un’Europa che non sarà mai di nessuno finché non si deciderà a mettere insieme i soldi di tutti».

Massimo Gramellini [Corriere della Sera di sabato 1 ottobre] ha scoperto l’acqua calda: i tedeschi fanno i sovranisti. Il governo di Berlino devolverà ben 200 miliardi per attutire il colpo della “crisi energetica”. Anche Draghi è incazzato: in barba ai regolamenti della Ue il più grosso e sfrontato aiuto di stato nella storia dell’Unione. La stampa italiana gli fa il verso e grida allo scandalo: “decisione unilaterale e antisolidale”; “pericolosa e ingiustificata distorsione del mercato interno”; “mercato drogato”; “le aziende italiane non possono competere con quelle tedesche dovendo pagare l’energia a costi nettamente superiori”. Quindi la ridicola accusa di “bullismo” al governo olandese che non ne vuole sapere di cessare di essere la capitale della speculazione finanziaria.

Direte dunque: “La borghesia italiana si è svegliata. Era ora!”. Vi sbagliate! Serva era e serva resta.

Se la borghesia italiana avesse avuto, non diciamo un briciolo di patriottismo ma di buon senso, il suo governo avrebbe dovuto minacciare di bloccare la catena di comando dell’Unione. Invece niente, non ha nemmeno “battuto i pugni sul tavolo”. Ci rammentano che siamo un Paese fondatore solo quando si tratta di giustificare la sottomissione.

Roma non vuole far pace con la Russia? Né vuole mettersi di traverso in sede Ue? Potrebbe almeno seguire l’esempio tedesco per finanziare un piano di sostegno all’economia di dimensioni simili a quelle tedesche. Risposta: “I vincoli di bilancio non ci consentono di finanziarci ricorrendo al deficit. I mercati ci punirebbero”. Oltre al rispetto dei vincoli ordoliberisti di bilancio qui c’è di mezzo la dipendenza dalla finanza predatoria globale. Lorisgnori sanno bene che lo Stato potrebbe finanziarsi senza ricorrere agli strozzini. Basterebbe usare una parte della ricchezza finanziaria privata italiana — parliamo di oltre 5mila miliardi di euro, per l’esattezza 5.256* — dirottandola sui titoli di Stato e facile sarebbe reperire quanto serve per sostenere cittadini e imprese ed evitare la catastrofe economica.

Non sarebbe signor Draghi quello che lei stesso ha definito “debito buono”? Certo che sì, perché sarebbe un debito interno e gli interessi che lo Stato pagherà non andranno agli squali esteri ma finirebbero nelle tasche dei cittadini italiani.

Non si scappa dal principale dato politico, che al comando abbiamo una classe economica e politica di servi e di collaborazionisti col nemico. Ove il nemico non è certo la Russia ma sono proprio gli Stati Uniti che usano il conflitto e la crisi energetica non solo per assoggettare definitivamente l’Europa occidentale e dividerla dalla Russia, ma per indebolire economicamente anzitutto Germania e Italia.

A Roma piagnucolano per il piano di aiuti di stato tedesco, ma non dicono una parola sul fatto che il piano tedesco è una conseguenza della sleale concorrenza americana, nè alzano un dito contro gli USA, contro il fatto che l’industria americana, grazie al conflitto con la Russia da essi provocato e alimentato, paga l’energia ad un decimo di quanto si paga qui, producendo quindi da noi una strage di posti di lavoro e di aziende.

Mala tempora currunt….

* Ricchezza privata italiana cresciuta nell’ultimo decennio di quasi 1.700 miliardi (+50%) Rispetto a fine 2020 l’aumento è stato pari a 320 miliardi (+6,5%).




EPURARE IL MOVIMENTO di Moreno Pasquinelli

Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io

«Il trasporto ferroviario è un servizio pubblico essenziale che garantisce il diritto costituzionale alla mobilità dei cittadini. Chi decidesse di interromperlo arbitrariamente violerebbe la legge».

Sembrerebbe un sacrosanto j’accuse contro le misure restrittive e di Stato d’emergenza adottate dal governo Conte e poi potenziate da quello Draghi col “Green Pass”. Invece no, è quanto scrivono ieri, in un comunicato ufficiale Cgil, Cisl e Uil Trasporti in merito al proclama con cui “Basta Dittatura” (canale Telegram amministrato da loschi provocatori) invita per oggi a bloccare le stazioni ferroviarie. Verrebbe da ridere se non ci fosse da piangere che gli stessi sindacati, che non hanno alzato un dito quando il governo ha letteralmente abolito assieme a quello della mobilità sostanziali diritti di libertà, oggi facciano la voce grossa.

Come se non bastasse, ancora una volta un ex-sindacalista e ora araldo di +Europa, Giuliano Cazzola, in diretta TV, invoca un nuovo Bava Beccaris a ”sparare sui no vax”. Non si tratta solo di istigazione alla violenza (punibile in base all’art. 604bis c.p.), siamo davanti all’invocazione stragista. Non illudetevi che ci sia un magistrato che deciderà di metterlo in galera. Non ci sarà come non ci sono stati magistrati che, malgrado le tante e argomentate denunce, abbiano trovato il coraggio di mettere sotto accusa governi, ministri e politicanti che hanno palesemente violato leggi dello Stato e la stessa Costituzione.

In galera finiranno invece di sicuro coloro i quali, magari in buona fede, aderendo all’appello di “Basta Dittatura”, bloccheranno oggi, da qualche parte, stazioni ferroviarie e binari.

L’annunciato blocco è una vera e propria manna per un governo in grande difficoltà davanti ad un movimento che in queste settimane è andato crescendo, e alle prese con gli intoppi della campagna vaccinale. Gli consente di trasformare una vicenda tutta politica in questione di ordine pubblico.

Ecco che ci spieghiamo come, da alcuni giorni, è stata scatenata ad arte una vera e propria campagna di criminalizzazione contro il movimento No Green Pass”. Vecchia e collaudata tecnica made in Italy quella della Strategia della tensione. La differenza è che nei tempi andati ci volevano una strage o dei morti nelle piazze per scatenare la repressione, ora, a conferma dei tempi minacciosi che viviamo, basta l’annuncio di blocchi ferroviari. Come ogni Strategia delle tensione essa va fatta precedere dalla campagna propagandistica del fango e della criminalizzazione del movimento. Ecco quindi che i giornaloni in edicola oggi affermano che il movimento sarebbe “guidato dall’estrema destra”. Una menzogna ovviamente, ma tutto fa brodo per sputtanare le proteste e isolare il movimento.

Non che non siano giustificate azioni di protesta contundenti tese a inceppare la macchina della nascente dittatura. Ma ciò che è moralmente e teoricamente giustificabile non per questo è fattibile e ammissibile politicamente. Chi dirige un movimento deve ben calcolare le mosse, e questo implica intelligenza, maestria, senso della realtà. Deve tenere conto dei rapporti di forza tra esso e il nemico e, soprattutto avere contezza della natura del movimento stesso, delle sue peculiarità. Ogni azione produce una reazione. Se si decide di alzare il livello dello scontro bisogna essere attrezzati alla eventuale risposta del nemico. Questo movimento appena nato sarebbe in grado di tenere testa ad un’eventuale dura offensiva del governo? La risposta è no, e se la risposta è no vanno evitate velleitarie fughe in avanti.

Non stiamo parlando agli occulti personaggi che giocano ad estremizzare le forme di resistenza. Non dialoghiamo coi provocatori.  Noi vogliamo mettere in guardia gli attivisti che dovessero cadere nella loro trappola. Che il movimento fosse stato infiltrato lo avevamo detto già nei mesi scorsi. Questo è il momento di separare il grano dal loglio. Se il movimento non saprà epurarsi presto dai provocatori e dagli avventurieri, se non sarà capace di sbarazzarsi degli azzeccarbugli, esso andrà incontro, per la gioia del potere, ad una veloce sconfitta.

Occorre quindi lasciarsi alle spalle la fase della spontaneità, fisiologica di ogni movimento che muove i primi passi. Giunti a questo punto ogni culto impolitico della “spontaneità” è un assist al governo. Come abbiamo detto l’entusiasmo deve diventare tenacia. Bisogna ficcarsi bene in testa che abbiamo una lunga e difficile Resistenza davanti e non illudersi di ottenere qualche clamorosa vittoria. E Resistenza implica organizzazione, visione politica, direzione.

Fonte: liberiamolitalia.org




FACCIAMO IL MIRACOLO

Grande adesione all’assemblea del Circo Massimo

Il capo della Polizia di Stato, via Corriere della Sera di oggi 23 aprile, ci informa che da inizio anno ci sono state in Italia ben 4.500 manifestazioni di protesta, la gran parte delle quali per porre fine allo stato d’emergenza permanente.

E’ più di un sintomo, è la prova di un risveglio generale, che la pentola bolle e il coperchio potrebbe saltare. E’ il segnale che si sta uscendo dal clima di paura narcotizzante, che Draghi ed i satrapi che lo sostengono non dormono sonni tranquilli.

Da Sud a Nord in questi mesi è stato un proliferare di iniziative, a volte piccole, a volte molto grandi. Sono germogliate in questo anno, malgrado le catene della “dittatura sanitaria”, una moltitudine di associazioni e comitati. Una vivacità sorprendente — alla faccia di chi blaterava di un popolo italiano assuefatto e inerte — che fa dell’Italia il Paese dove la nuova resistenza è più capillare, forte e politicamente avanzata.

Tutti questi rivoli vanno ora fatti confluire in un unico grande fiume in piena. Basta con la frammentazione e la dispersione. Occorre unità, occorre fare fronte comune.

Per questo la MARCIA DELLA LIBERAZIONE ha indetto l’assemblea che si svolgerà domani a partire dalle ore 14:00 a Circo Massimo (Roma).

Siamo a più di 90 movimenti e associazioni che hanno aderito e assicurato la loro presenza, assieme a tanti comuni cittadini ribelli. Ribelli non eversori, poiché eversivo è il regime che è stato istituito col pretesto della pandemia. Quando un governo agisce fuori dalla legalità la ribellione è legittima.

Qui sotto l’elenco delle adesioni aggiornate ad oggi pomeriggio:

Aggregazione Spontanea Base; Alle Arti Collettivo artistico; Alleanza Cristiana; Alleanza Stop5G; Alternativa Riformista; Ancora Italia; APS Country Road (Formigine-Mo); APS Vivibensipo; Arca dell’Alleanza Ct; Assis (Serravalle); Associazione Fieristi Italiani (AFI); Associazione Happiness University; Associazione Rinascita VCO; Atto Primo SALUTE AMBIENTE CULTURA; Becciolini Network; Coalizione Etica; Coemm-Clemm; Comilva; Comitato covid19-Basta Paura; Comitato di Cittadinanza (Salento); Comitato E ORA BASTA!; Comitato federativo provvisorio; Comitato Liberi Pensatori (Cinisello Balsamo); Comitato MoNo5G! (Modena); Comitato Nonna Maura; Comitato Romagna per la Costituzione; Comitato Romagna per la scuola; Comitato sana e robusta costituzione; Comitato Salute Bene Comune; Comitato spontaneo Il Quadrifoglio (Friuli Venezia Giulia); Comitato tecnologie sostenibili – stop5g Romagna; Comitato valdostano per la Tutela dei Diritti Umani; Confederazione Sovranità Popolare; Contrordine Sociale; Coordinamento umbro per la Costituzione; Costituzione in azione – Udine; ESC (Palermo); FaCiviltà; Faremondo (Bologna); Federazione Civica Italiana Bene Comune; Federazione Popolo Sovrano; Fococlaro R2020 (Roma); Forza del Popolo; Forze Popolari (Toscana e La Spezia); Fuoco Energia Vulcanica R2020 Catania; Fuoco R2020 (Chieti); Fuoco R2020 Economia del dono; Fuoco R2020 (Gravellona); Fuoco R2020 (Pesaro); Fuoco Sacro (Fuoco di resistenza R2020 Napoli); Genitori Lombardia; Io apro tutto Roma; Italexit; Italia unita; La Genesi (Milano); L’Eretico; La Prima Linea; Le Partite Iva Italia; Libera Scelta Campania; Libera Scelta Terni; Liberazione Italia; Liberiamo l’Italia; Liberi cittadini Milano; M.e.d.a. Movimento Europeo Diversamente Abili; Medici per la Verità; Medici e Operatori Sanitari Istanza Diritti Umani (IDU); Movimento Cittadini Italiani; Movimento Imprese Italiane; Movimento Italia Unita; Movimento Libertario; Movimento Ristoratori; Movimento Sport e Salute; MPL-P101; Nel nome del padre Ippocrate; Onda Popolare; Palestre GimFIVE; Partito Nazionale; Partito Sovranità Popolare; Partito Valori Umani; Popolo Sovrano; Reopen Italia; Resistenza Attiva; Resistenza Tricolore; Rete Informazione Europea; Riconquistare l’Italia (FSI); Rinascita Nazionale; Riscossa Italia; Romagna per la Costituzione; Romagna per la scuola; RRI2020 & The Walk of Change; Salviamo i bambini dalla dittatura sanitaria; Sìamo; Soprattutto Liberi; Teatri Consapevoli; Unialeph; Unione Partite Iva (UPI); World Wilde Demonstration Italia
Fonte: Liberiamo l’Italia



IL GRANDE RESET di Ilaria Bifarini

Dalla pandemia alla nuova normalità. Fresco di stampa il libro di Ilaria Bifarini

Nulla tornerà come prima. Dimentichiamoci il mondo come lo avevamo conosciuto prima di febbraio 2020.

Esagerazione? Catastrofismo? No, è l’inizio di una nuova era. La crisi che stiamo vivendo farà da catalizzatore a cambiamenti necessari per accelerare la realizzazione di un disegno già predisposto, che prevede l’annientamento dell’attuale sistema socioeconomico. È il Grande Reset, il tema del prossimo Forum di Davos, il consesso annuale dove si riuniscono i grandi della terra per decidere su questioni che riguardano la governance mondiale. Un piano preciso, ufficiale e ben documentato, sul quale istituzioni internazionali, filantropi, organizzazioni non governative e mega-aziende private collaborano apertamente già da tempo.

Nelle menti di chi progetta il nuovo mondo la dichiarata pandemia rappresenta un’occasione troppo preziosa per essere sprecata: nulla dovrà tornare come prima. Le misure restrittive adottate dai  governi hanno sdoganato definitivamente pratiche comportamentali funzionali alla nuova normalità, dallo smartworking alla teledidattica. Le nuove abitudini acquisite dalle popolazioni durante la crisi del coronavirus hanno apportato quell’impulso alla digitalizzazione e all’automazione decisivo per implementare la Quarta Rivoluzione Industriale, che finora stentava a realizzarsi. Milioni di imprese spariranno, molte avranno un futuro incerto. Altri nuovi mercati verranno a crearsi, sulle ceneri dei vecchi che dovranno far posto alla trasformazione.

Intanto, mentre si procede alla realizzazione del piano, presentato dai suoi fautori come l’alba di un mondo migliore, più equo e sostenibile, ovunque si assiste a un ulteriore aggravamento delle disuguaglianze e della concentrazione di ricchezza, con un’impennata straordinaria dei redditi dei miliardari e uno scivolamento di milioni di cittadini nella fascia di povertà. Una tendenza destinata ad aggravarsi, con la distruzione di milioni di posti di lavoro e dell’economia di produzione, destinata a dissolversi per far posto ad altri mercati, sempre più digitalizzati e supportati dalle nuove intelligenze artificiali.

A differenza delle rivoluzioni tecnologiche del passato, che inauguravano un periodo di crescita e di creazione di nuovi lavori, oggi l’azione combinata delle tecnologie informatiche e di quelle biologiche apre scenari inediti. L’essere umano, minacciato da un’intelligenza artificiale sempre più performante e capace di sostituirlo in attività un tempo impensabili -dalla medicina al giornalismo- si troverà a fare i conti con un senso di inutilità e inadeguatezza. La crescente disoccupazione e la distruzione dell’economia reale, frutto della gestione della crisi del Covid, lasceranno una desertificazione industriale e lavorativa,  destinata a rimanere tale secondo i progetti stessi del Grande Reset.

Riuscirà questo piano nel suo compito di trasformare non solo l’economia e la società, ma anche la natura stessa dell’essere umano? Una sfida aperta, su cui fa luce questo mio ultimo lavoro.

* Fonte: Ilaria Bifarini



SCISMA NEL CATTOLICESINO UNIVERSALE? di F.f.

Riceviamo e pubblichiamo

Ci eravamo già occupati, più di un anno fa, della guerra civile ideologica a bassa intensità che caratterizza il mondo cattolico contemporaneo (QUI; QUI). Avevamo cercato di non schierarci né con il fronte conservatore cattolico né con quello progressista, oggi di certo egemone grazie al Pontefice Francesco. E’ uscito in questi giorni un importante documento del più rappresentativo corifeo di quello che chiamavano il Partito Nero di Bergoglio; si tratta di un importante scritto del gesuita Antonio Spadaro per la “Civiltà Cattolica” sulla spinta propulsiva dell’attuale pontificato, la quale (Cfr. Accenti, 09, 2019) dette spazio anche all’ermeneutica dell’identità cristiana russa, rimanendo in sostanza nel clichè neo-bizantinista e non soffermandosi sulla sostanza escatologica di Mosca “Terza Roma” quale “Quarta Gerusalemme” o Nuova Israele. Spadaro non ritorna qui sul concetto di Rivoluzione profetica e antiapocalittica quale misura del Pontificato di Francesco, non caratterizza più il Governo di Francesco come governo del cambiamento storico mondiale, ma si limita, abbassando assai il tiro, a rimarcare l’ispirazione bergogliana dal “prete riformato Pietro Savre (1506-1546), teologo francese vicino a Ignazio di Loyola (fondatore della Compagnia di Gesù, 1491-1556) e da qui sviluppa la sua nuova tesi. Il Savre fu il primo gesuita nella storia ad esser ordinato sacerdote e il recupero di Spadaro è a nostro avviso finalizzato alla spinta nel senso del massimo realismo storicista da parte della chiesa “progressista” odierna, oltre ogni ideologia e teologia, che non sia la teologia politica gesuitica.

La contraddizione è politica

Non a caso, nel nostro scritto avevamo già sottolineato l’intimo politicismo clericalistico e machiavellista dell’attuale pontificato, oltre ogni retorica pseudoterzomondista o pseudoumanitaria. Ora tutto ciò viene finalmente allo scoperto senza eccessivi giri di parole. In questo contesto, inoltre, Spadaro fa valere l’importante concetto di discernimento spirituale, dispozione interiore ignaziana, quale base dell’azione decisionale di Governo del Pontefice, quale intimo ascolto consolante, a fronte della desolazione planetaria. Alla “rivoluzionaria” parresia pontificale di fronte ai potenti del mondo, si aggiunge il discernimento come acuminato punteruolo adialettico di possibile armonizzazione di conflitto e contraddizione. Vi è, in nuce, la risoluzione storico-spirituale del discernimento “riformato” gesuita come modello di condotta etica, e politica, rispetto alla contrapposizione ideocratica e teologico-politica che divampa nella Chiesa dal concilio Vaticano II, quella appunto tra conservatori e progressisti. Il fatto che Spadaro rimetta al centro del discorso la spinta propulsiva dell’attuale pontificato significa chiaramente che varie cose non sono andate, in questi sette anni, nel verso auspicato.

Dalla Brexit al conservatorismo cristiano trumpiano al timone nella nazione più importante d’Occidente, dalla avanzata della Nuova Destra israeliana anti-occidentale e filorussa sino al ridimensionamento di quelle frazioni islamiche rivoluzionarie, derivanti dalle Rivoluzioni Colorate arabe, più fanatiche e violente, genericamente vicine al “progressismo cattolico”, il quadro globale è profondamente mutato dal 2013. Il pontificato di Francesco è stato quasi un lasciapassare per sovranisti e conservatori di ogni sorta, dal mondo arabo-mediterraneo a quello occidentale. La politica sui migranti e sul cambiamento climatico, è di pochi giorni fa il discorso inviato dal Pontefice al Forum Ambrosetti, basato su ecologia, fratellanza, discernimento, rimangono in un certo senso le ultime carte che Francesco si può giocare su quel tavolo storicistico-politico a cui l’elite gesuita tiene così tanto. La sfida storica contro il conservatorismo e il sovranismo è sostanzialmente perduta, a prescindere dal risultato elettorale del novembre americano, anzi a maggior ragione dovessero prevalere Biden e Kamala Emhofff Harris. Con Trump, Bergoglio può continuare recitare la parte di presunto “oppositore globale” e rimane un solido punto di riferimento ideocratico dell’elitismo globalista; con i Liberal e la Sinistra progressista globalista al timone in Occidente, la sua voce sarebbe inevitabilmente ai margini e vieppù solo tollerata.

A destra e sinistra di Cristo

L’elitismo gesuita, sin dal concilio Vaticano II, ebbe di mira il costantinismo e la teologia eusebiana come modello di cultura teologica organicista e comunitaria da estinguere e superare. Il pragmatismo, grande e nobile punto di forza del gesuitismo, è al riguardo d’obbligo nell’analisi ed in tal senso dobbiamo tentare di apprendere qualcosa proprio dallo studio della storia italiana; storia che fu dalla prima guerra alla fine della guerra fredda l’ avanzato laboratorio politico internazionale dell’epoca, con le varie frazioni cattoliche in prima linea. Lo scontro tra queste due frazioni, modernisti e conservatori nella chiesa, è infatti da allora a oggi ininterrotto. La vittoria conciliare del “progressismo”, un grande e significativo momento nella storia della chiesa, fu al tempo stesso la vittoria globale della sinistra democristiana filosocialista (Y. Congar) ma anche dell’elitismo progressista cattolico, come sottolineò con arguzia il teologo gesuita Danièlou, una rarissima voce fuori dal coro della “sinistra gesuita”.

La chiesa dei poveri, la chiesa del popolo si identificava infatti con la chiesa conservatrice del Pontificato di Pio XII (1876-1958) e con il tradizionalismo antimodernista, che non dovrebbe significare antimoderno, di Padre Pio (1887-1968); la chiesa conciliare e progressista fu invece la chiesa dei soli puri, degli eletti, degli “iniziati”, fu la chiesa dei Teilhard de Chardin e dei Rahner, fu la chiesa dei sapienti e degli “scienziati” con a cuore problematiche sociali progressiste. Del resto, specificò Del Noce, il progressista cattolico si trova teologicamente più a suo agio con un altro progressista o rivoluzionario, anche se ateo, piuttosto che con un altro cristiano, soprattutto se ortodosso slavo o russo. Realisticamente, va infine detto che la “eversione” elitista conciliare – sono parole di Mons. Lefebvre, fondatore della Fraternità San Pio X e scismatico, secondo Papa Paolo VI e Giovanni Paolo II, ma non secondo Benedetto XVI – ha finito per rendere l’Italia un paese culturalmente e religiosamente più vicino a quel secolarismo protestante ateo, materialistico e nichilista che la fa da padrone in Nord Europa e in alcune metropoli del Nord America.

La Sinistra democristiana dossettiana o neo-dossettiana, alleata del radicalismo ideologico di massa, ha di fatto trionfato nella storia italiana mediante Paolo VI, Bergoglio ma anche Karol WoJtyla che fu certamente un carismatico condottiero politico modernista e progressista russofobo, con notevoli spunti sociali antimercatisti, di sinistra. Le analisi di Baget Bozzo sulla storia del “partito cristiano italiano”, che va ben oltre la storia della DC ma coinvolge lo stesso fascismo e il movimento storico socialista, sono a nostro avviso illuminanti. Il centrismo degasperiano e andreottiano, strategicamente basati sul concetto “populista”, si direbbe oggi, di “democrazia sovrana e protetta” (Cfr U. Nieddu, De Gasperi e lo Stato forte, “Concretezza”, 1 luglio 1972) repressiva verso le Sinistre ma finalizzata all’assorbimento dei neofascisti del Msi dentro il centrismo decisionista e “sovranista”, veniva considerato dai dossettiani prima, dai fanfaniani poi, una metamorfosi postfascista forse più pericolosa del Movimento sociale anche in virtù dell’ambigue posizioni di Alcide De Gasperi in occasione della guerra civile spagnola e delle disposizioni razziali antiebraiche del 1938, salutate come un dono della provvidenza.

Tale interpretazione sarà fatta propria anche dal filosofo marxista Ugo Spirito, quando negli anni ’70 si pose all’ordine del giorno il procedimento di scioglimento del Msi. La dicotomia cattolica novecentesca fu in effetti il frutto di una politicizzazione del teologico operata in entrambi i campi, non solo dai destri degasperiani e andreottiani, ben rappresentati da correnti presidenzialiste, antiregionaliste e ultraconservatrici come “Europa 70”, ma anche dai sinistri dossettiani. Se vogliamo parlare di costantinismo, dunque, entrambi gli schieramenti lo furono, costantiniani, e lo sono tuttora.

E’ una dicotomia che rimanda evidentemente al posto che il sacro occupi nella società civile, al fatto, come dichiarò Ratzinger nel lontano 1971 contro il cosidetto centro-sinistra (Cfr “Democrazia nella chiesa: possibilità, limiti, pericoli”) che in democrazia individualistica o sociale non vi sarebbe spazio per i cosiddetti “valori non negoziabili”, il mercato trionferebbe comunque con la sua anarchia spietata, lo Stato non sarebbe perciò il garante di valori morali e spirituali superiori ma sarebbe un semplice meccanismo burocratico. E non a caso, la linea di faglia è oggi, ben più di quanto si creda, sul ruolo e la missione della Russia cristiano-ortodossa nel nuovo ordine internazionale. “Vaticano e Russia nell’era Ratzinger” di Nico Spuntoni, uscito proprio in questi tempi, ha evidenziato il ruolo centrale, invero assai trascurato, che l’asse Mosca-Benedetto XVI ha giocato e forse sta tuttora giocando nel disegnare un nuovo ordine globale non progressista e non rivoluzionario, ma escatologico cristiano.

La Terza Roma sarà quindi la Nuova Israele? Ciò che dovrebbe chiamare, se così fosse, i cattolici conservatori a guardare più verso Mosca, meno verso Occidente…..?




DRAGHI? NO GRAZIE! di Moreno Pasquinelli

Il fatto del giorno è l’intervento di Mario Draghi alla kermesse di Comunione e Liberazione.
Non c’è oggi giornale o telegiornale che non parli di questa sortita.

Non c’è dubbio che potenti frazioni dell’élite dominante, dato l’alto rischio che una crisi economica senza precedenti possa trasformarsi in devastante rivolta popolare, vorrebbero Mario Draghi al posto di Conte.

Si tratta degli stessi poteri forti i quali, dopo aver reso la vita impossibile e alla fine piegato il “governo giallo-verde”, hanno tramato affinché nascesse quello “giallo-rosso”. Si trattava, un anno fa, di guadagnare tempo, di servirsi di Conte per impedire che Salvini l’avesse vinta. Compiuta la sua missione ora lo “avvocato del popolo” deve farsi da parte. Si annunciano tempi durissimi e turbolenti, a Palazzo Chigi occorre un leader di ben altra levatura (e con ben altri e poderosi appoggi).

Non è detto che la manovra vada a buon fine, ma che ci sia un disegno per portare presto Draghi a Palazzo Chigi, non c’è dubbio. Visto che a guardia del cadavere c’è rimasto soltanto il pretoriano Marco Travaglio, si può dire che l’esito non è più soltanto possibile, ma altamente probabile.

La cosa, da queste parti, non ci sorprende.
Scrivevo 31 marzo scorso, dopo il fragoroso intervento di Draghi sul Financial Times  in un pezzo dal titolo NO AL PROGRAMMA DRAGHI:

«Con la sua sortita, l’ex-governatore della Bce non solo certifica la sua auto-candidatura a guidare il nostro Paese — dato il precipitare degli eventi più come primo ministro che come presidente della Repubblica. Egli indica la terapia per guarire il malato, la via per tirar fuori l’Unione europea dalla sua crisi mortale».

Il tentativo Draghi è dopiamente insidioso.

Accanto ad una minoranza di cittadini che ha capito chi egli sia e quali interessi difenda, c’è una maggioranza di italiani che sperano invece nella sua discesa in campo.

E’ la maggioranza di cittadini sconsolati e che non sanno più a che santo votarsi, i quali pensano che Draghi possa tirarci fuori dal marasma proprio perché gode di entrature potenti, perché ha voce in capitolo negli ambienti che contano.

Perché non è un fantoccio politico dei poteri forti, ma egli stesso è quel vero potere.

Sarebbe un errore quindi scambiare Draghi per un tecnico laqualunque, alla Mario Monti o alla Cottarelli per capirci.

Va da sé che questa intronizzazione non avverrebbe tramite legittimazione popolare, con delle elezioni, ma grazie alla usuali trame di palazzo. Sarà sostenuto, come si vocifera, da una “maggioranza Ursula”? Vedremo.

Certo quello è lo schema, ma uno schema che potrebbe terremotare il panorama politico, scompaginando il centro-destra e causando nuove scosse all’interno del M5s.

Significativo assai anche visto come Draghi viene presentato dal porcile mediatico. Egli è l’uomo che fa alla bisogna poiché, alla testa della Bce, avrebbe, lui contro tutti, evitato il colasso dell’Unione. E se ha potuto salvare l’Unione volete che non sia capace capace di guidare la “barchetta Italia”?

Il tentativo è insidioso per una seconda ragione.

Draghi viene presentato come il banchiere progressista pragmatico, che avrebbe addirittura capito che occorre farla finita con le politiche neoliberiste. Un esempio su tutti è quanto scrive su La Repubblica di oggi Tonia Mastrobuoni. Nel commentare l’intervento di Draghi in quel di Cielle, scrive:

«L’allievo di Federico Caffè ritiene che ci voglia il coraggio di Bretton Woods, di un progetto che già prima della fine della seconda guerra mondiale creò il Fondo monetario internazionale e l’ordine  onetario del dopoguerra. (…) Finché non si troverà un vaccino, un rimedio alla peste del nuovo secolo — e nessuno può essere certo che si torni all’ordine pre-Covid — l’importante è che la politica economica “non aggiunga incertezza a quella provocata dalla pandemia e dal cambiamento”. John Maynard Keynes è il faro di Draghi, quando esorta ad adattare il proprio pensiero alla realtà che cambia».

Non saprei se ridere o se piangere.

E’ vero che Draghi ebbe come docente il compianto Caffè (un economista che mise in evidenza l’intrinseca fallacia del mercato e che denunciò anzitempo e con estremo rigore i mali del neoliberismo), ma egli non seguì affatto i suoi insegnamenti per diventare invece, prima un servo poi una delle teste d’uovo dell’ordine neoliberista, europeo e mondiale.

La Mastrobuoni, non si sa se per ignoranza o malafede, mescola poi il diavolo con l’Acqua santa, facendo l’encomio sia di Bretton Woods che di Keynes quando è noto che Keynes abbandonò la conferenza di Bretton Woods proprio in dissenso con le deliberazioni assunte in merito al nuovo sistema monetario.

Aspettiamoci dunque che il porcile mediatico, pur di preparare la strada all’intronizzazione di Draghi, per quindi turlupinare gli italiani, ce lo descriverà con la menzogna del keynesiano redento.
Si dovrà pur giustificare il passaggio dall’adorazione (come banchiere salva-Ue) alla venerazione come santo e salvatore della patria…

Alcuni articoli sulla vicenda:

IL DIO EURO E DRAGHI L’ANTICRISTO
DRAGHI: IL DIAVOLO FA LE PENTOLE….
LA SOVRANITA’ SECONDO DRAGHI
LA MICIDIALE TRAPPOLA DI DRAGHI
IN ARRIVO IL GOVERNO DRAGHI
NO AL “PROGRAMMA DARGHI”
ARRIVA IL GOVERNO DRGAHI?
SALVINI: DRAGHI WHY NOT
SALVINI E IL SORRISETTO BEFFARDO DI DRAGHI




TIMEO BRUXELLES ET DONA FERENTES di Gianluigi Paragone

 

Fonte: Gianluigi Paragone




SE IL VIRUS INFETTA L’INTELLETTO di Sandokan

Chi non conosce Sergio Romano? Ambasciatore di lungo corso, quindi storico e giornalista, nonché editorialista del Corriere della Sera. Un liberale che sembra uscito da un esclusivo circolo dell’aristocrazia londinese. Il nostro è come un orologio rotto, che indica l’ora giusta almeno due volte al giorno. Di norma non ne azzecca una. Lo stile che s’è cucito addosso è quello del gentlemen sapiente, dello sparasentenze. L’atteggiamento quello della coscienza critica dell’élite italiana la quale, per l’appunto, sarebbe molto poco liberal e troppo gaglioffa.

Nel novembre 2017 dichiarava a la Repubblica: «Io snob? È il mondo che si è abbassato nella qualità. Parecchio».

Il nostro, sul Corrierone, cura una rubrica quotidiana (L’AGO DELLA BILANCIA) per mezzo della quale dispensa martellanti pillole liberali di saggezza.
L’ultima di ieri è degna di nota.

Il nostro esordisce con l’ammettere che “Il coronavirus non ha contagiato soltanto esseri umani ma anche la politica nazionale e internazionale, con risultati che potrebbero essere non meno pericolosi per le sorti del Paese e del continente in cui viviamo” — la scoperta dell’acqua calda, mi direte; vero, non fosse che in giro c’è gente che si ostina a non riconoscere che la dimensione socio-politica della vicenda è enormemente più importante di quella meramente sanitaria.

Dato il condivisibile esordio uno ci aspetterebbe che dall’alto della sua sapienza il Romano mettesse in guardia dallo sfrontato uso politico della pandemia messo in atto soprattutto nei paesi in cui lo Stato d’emergenza sanitaria è stata trasformata in vero e proprio Stato d’eccezione — ove la severa e prolungata quarantena ha drasticamente limitato e calpestato non solo libertà di movimento ma numerosi diritti politici, sociali e civili. Data la premessa, insomma, uno si aspetterebbe che avrebbe parlato dell’Italia e di come il governo, scatenata col decisivo assist dei media una virulenta campagna di terrorismo di massa, ha strumentalizzato la pandemia per sperimentare uno Stato di polizia su larga scala.

Invece no, invece se la prende con Viktor Orban “che ha usato il coronona virus per ottenere i pieni poteri”, quindi va giù pesante con Donald Trump che si sarebbe addirittura permesso di accusare l’Oms e la Cina, in verità pensando alla sua rielezione.

Pur di portare acqua al mulino dell’élite liberale mondialista il Romano accusa Trump e Orban, ovvero proprio due tra coloro che si sono rifiutati si seguire la via del terrorismo di massa e dello  Stato d’eccezione. E pur di difendere il suo totale rovesciamento della verità elogia i governi che hanno davvero soppresso diritti democratici e libertà civili poiché lo avrebbero in base al criterio per cui “il diritto alla salute è più importante di qualsiasi considerazione strettamente economica”…

Parafrasando Goebbels “Quando un gentlemen fa la morale viene da portare la mano alla cintola”.