EFFETTO COLLATERALE (III)
una critica marxista
Partiamo dunque dalle origini: dagli anni ’60, dall’esperienza dei Quaderni Rossi e dal gruppo di giovani teorici (Panzieri, Tronti, Alquati) che anima questa rivista.
L’ondata di lotte operaie che culmina nell'”autunno caldo” del 1969 sembra fornire alle premesse teoriche dell’operaismo una straordinaria conferma. L'”operaio massa” dà prova non solo la propria esistenza, ma anche dell’auspicata potenza conflittuale. E’ una figura socialmente reale e un soggetto politicamente forte, capace di porsi come punto di riferimento per gli altri movimenti che in quegli anni si esprimono nella società: potrebbe essere l’avanguardia di un movimento rivoluzionario italiano.
Non sarà Tronti, in ogni caso, a trarre queste conclusioni. La categoria dell'”operaio sociale” prende forma negli anni ’70, gli anni bui della crisi, della ristrutturazione e della repressione politica, ed è al centro soprattutto dell’elaborazione di Antonio Negri.
Il ripristinato determinismo tecnologico, insieme alla fuga dalla fabbrica che la linea dell’autonomia della riproduzione configura, formano un terreno estremamente favorevole alla recezione del grande battage pubblicitario che, negli anni ’80, accompagna la prima grande ondata di diffusione delle tecnologie basate sull’informatica e sull’elettronica. Le vie di fuga imboccate hanno evidentemente spuntato le “armi della critica”, e le novità tecnologiche vengono prese per buone, con tutto l’apparato propagandistico che le accompagna, e che pure non era poi così difficile da smascherare.
[2] Del “frammento”, il passo ritualmente citato è il seguente: “Il furto del tempo di lavoro altrui, su cui poggia la ricchezza odierna, si presenta come una base miserabile rispetto a questa nuova base che si è sviluppata nel frattempo e che è stata creata dalla grande industria stessa. Non appena il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande forma della ricchezza, il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere la sua misura, e quindi il valore di scambio deve cessare di essere misura del valore d’uso. Il plusvalore della massa ha cessato di essere la condizione dello sviluppo della ricchezza generale, così come il non-lavoro dei pochi ha cessato di essere condizione dello sviluppo delle forze generali della mente umana. Con ciò la produzione basata sul valore di scambio crolla, e il processo di produzione materiale immediato viene a perdere anche la forma della miseria e dell’antagonismo. [Subentra] il libero sviluppo delle individualità…” (K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, La Nuova Italia, Firenze 1978, vol. II, p. 401). Per chi oggi si richiama all’operaismo, questo breve testo rappresenta il riferimento a Marx necessario e sufficiente: è tutto quanto di Marx occorre sapere.
[3] R. Panzieri, Plusvalore e pianificazione. Appunti di lettura del “Capitale”, in Quaderni Rossi, n. 4, 1964; poi in R. Panzieri, Spontaneità e organizzazione. Gli anni dei “Quaderni Rossi” 1959-1964, a cura di S. Merli, BFS Edizioni, Pisa 1994, pp. 54-55.
[4] Le due facce del capitale, per Panzieri, sono “dispotismo (piano) nella fabbrica” e “anarchia nella società” (cfr. ivi, p. 55).
[5] Il frammento viene citato per la prima volta da Panzieri in Plusvalore e pianificazione e pubblicato nello stesso n. 4 dei Quaderni rossi nella traduzione di Renato Solmi. E’ forse il caso di notare che Panzieri segnala in nota come il “modello di ‘passaggio’ dal capitalismo direttamente al comunismo” delineato nel frammento sia contraddetto da “numerosi passi del Capitale” (cfr. ivi, p. 68, in nota)
[6] Cfr. R. Panzieri, Plusvalore e pianificazione. cit. pp. 47-54.
[7] R. Alquati, Composizione organica del capitale e forza-lavoro alla Olivetti, in Quaderni Rossi, n. 2, 1962, pp. 63-98. Palano fa opportunamente notare la vasta acquisizione, negli anni ’70, della categoria di “operaio massa”: “le ironie sul ‘sociologismo idealistico’ dell”operaio massa’, dopo l’esplosione conflittuale degli anni Settanta, lasciarono il posto ad una vera e propria accettazione di quell”astrazione’ anche da parte delle scienze sociali ufficiali, dando luogo ad una sorta di legittimazione della vecchia eresia” (Damiano Palano, Cercare un centro di gravità permanente? , cit.).
[8] Il concetto ricalca chiaramente quello marxiano di “composizione organica del capitale” come sintesi di “composizione tecnica” e “composizione di valore”.
[9] R. Panzieri, Sull’uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo, in Quaderni Rossi, n. 1, 1961, poi in Spontaneità e organizzazione, cit., p. 30.
[10] R. Panzieri, Spontaneità e organizzazione, cit., pp. XLVII-XLVIII.
[11] M. Tronti, La fabbrica e la società, in Quaderni Rossi n. 2, 1962, poi in M. Tronti, Operai e capitale, Einaudi, Torino 1971.
[12] Con un uso piuttosto discutibile della terminologia marxiana, Tronti intende di fatto per “processo produttivo” la sfera della produzione e per “processo di valorizzazione” la sfera della circolazione delle merci e del denaro.
[13] D. Palano, Sogni Incubi Visioni. Immagini della politica nella crisi della società del lavoro, in M. Hardt, A. Negri, D. Palano, Sogni Incubi Visioni. Politica e conflitti nella crisi della società del lavoro, Lineacoop, Milano 1999, p. 60.
[14] L’espressione è di Palano, cfr. Sogni Incubi Visioni, cit., p. 57.
[15] R. Panzieri, Plusvalore e pianificazione, cit., p. 68.
[16] M. Tronti, La fabbrica e la società, cit., p. 51.
[17] R. Panzieri, Plusvalore e pianificazione, cit., p. 70 (in nota).
[18] Ivi, p. 69.
[19] Cfr. ivi, pp. 57-70.
[20]M. Tronti, La fabbrica e la società, cit., p. 53.
[21] K. Marx, Introduzione a Per la critica dell’economia politica,Editori Riuniti, Roma 1974, p. 187.
[22] In ciò consiste l'”hegelismo” di cui dicevo: tanto più discutibile, in quanto proprio l’Introduzione del 1857 contiene il monito – esplicitamente rivolto da Marx contro Hegel – a non confondere “il modo con cui il pensiero si appropria il concreto” con “il processo di formazione del concreto stesso”: “è per questo che Hegel cadde nell’errore di concepire il reale come il risultato del pensiero automoventesi” (K. Marx, Introduzione, cit., p. 189).
[23] M. Tronti, La fabbrica e la società, cit., p. 51.
[24] Il 1980 rappresenta in effetti un anno di svolta nei rapporti di forza tra le classi. Alla Fiat, fallita l’occupazione seguita all’annuncio di 14.469 licenziamenti, furono messi in cassa integrazione 23.000 lavoratori. Tra il 1980 e il 1986 l’occupazione cala del 40% mentre la produttività aumenta, nello stesso periodo, di oltre il 50% (cfr. G. Bonazzi, Lasciare la fabbrica: cassa integrazione e mobilità negli anni Ottanta, Feltrinelli, Milano 1989, p. 34 e ss.).
[25] Così Palano, Cercare un centro di gravità permanente? cit. e F. Berardi, La nefasta utopia di Potere operaio. Lavoro tecnica movimento nel laboratorio politico del Sessantotto italiano, Castelvecchi-DeriveApprodi, Roma 1998. Il saggio di Negri, Crisi dello Stato-piano. Comunismo e organizzazione rivoluzionaria, fu pubblicato prima nella rivista Potere Operaio, n. 43, 1971; successivamente presso Feltrinelli, Milano 1974.
[26] A. Negri, Proletari e Stato. Per una discussione su autonomia operaia e compromesso storico, Feltrinelli, Milano 1976, p. 9.
[27] Cfr. R. Alquati, Università, formazione della forza-lavoro e terziarizzazione, in Aut aut, n. 154, 1976.
[28] Sergio Bologna, ad esempio, lega il movimento dei consigli del primo dopoguerra, particolarmente forte in Germania, alla figura dell’operaio di mestiere: “Laddove l’industria meccanica […], elettromeccanica e ottica erano più concentrate, laddove esisteva cioè all’interno della forza-lavoro complessiva una predominanza dell’operaio d’industria altamente specializzato, là il movimento dei consigli acquisterà le sue più forti caratteristiche politico-gestionali” (S. Bologna, Composizione di classe e teoria del partito alle origini del movimento consiliare, in S. Bologna et al., Operai e Stato. Lotte operaie e riforma dello Stato capitalistico tra Rivoluzione d’Ottobre e New Deal, Feltrinelli, Milano 1972, p. 15).
[29] K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, La Nuova Italia, Firenze 1978, vol. II, p. 401.
[30] Cfr. R. Panzieri, Plusvalore e pianificazione, cit., p. 51 e ss.
[31] Cfr. A. Negri, La forma Stato, Feltrinelli, Milano 1977, p. 310 e ss. In questo testo, Negri teorizza l'”autonomia della riproduzione della forza-lavoro”, sostenendo l’estraneità della “piccola circolazione” (la parte del capitale anticipato, indicata con L, con cui l’operaio acquista i propri mezzi di sussistenza) alla valorizzazione capitalistica: “L’estraneità di L e del consumo operaio […] presuppone non solo la possibilità della relativa indipendenza dei consumi, bisogni, valori d’uso di classe operaia, rispetto allo sviluppo capitalistico, ma anche la forma di una dialettica (antagonistica) su questo terreno complessivo” (ivi, p. 314).
[32] Mi riferisco ai vari “rapporti” che in quegli anni diventano veri best sellers: da G. Friedrichs e A. Schaff (a cura di), Rivoluzione microelettronica. Rapporto al Club di Roma, Mondadori, Milano 1982, a S. Nora, A. Minc, Convivere con il calcolatore, Bompiani, Milano 1979, a Japan Computer Usage Developement Institute, Verso una società dell’informazione. Il caso giapponese, Ed. Comunità, Milano 1974, fino ai classici D. Bell, The coming of Post-Industrial Society, New York 1973 e E. F. Schumacher, Small is Beautiful, London 1973. Un’ampia rassegna di questa letteratura è contenuta nell’antologia P. M. Manacorda (a cura di), La memoria del futuro, NIS, Roma 1986.
[33] Cfr. P. Virno, Citazioni di fronte al pericolo, in Luogo comune, n. 1, 1990, pp. 9-13.
[34] Il quotidiano Il manifesto lancia in quell’anno un “Appello all’intellettualità di massa”, firmato da Bascetta, Bernocchi e Modugno (Appello all’intellettualità di massa, in Il manifesto, 27 febbraio 1990, poi in Banlieus, n. 1, 1997) che raccoglie ciò che rimane dell’area operaista. Il termine “intellettualità di massa” è impiegato inoltre da Virno nell’articolo citato alla nota precedente.
[35] Cfr. M. Lazzarato, A. Negri, Lavoro immateriale e soggettività, in DeriveApprodi, n. 0, 1992.
[36] Cfr. Che te lo dico a fare?, a firma “Immaterial Workers of the World”, in DeriveApprodi, n. 18, 1999, pp. 31-39.
[37] A. Negri, Biopolitica e contropotere, in DeriveApprodi, n. 18, 1999, p. 45.
[38] A. Negri, Lettera dal Carcere di Rebibbia, Roma 10/9/97, circolata in rete.