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DICHIARAZIONE DI GUERRA di Leonardo Mazzei

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«All’Occidente le cose non stanno andando come previsto. Sbaglia, tuttavia, chi pensa che a Washington ci si stia predisponendo ad una soluzione alla “coreana”, con un cessate il fuoco sine die sull’attuale linea del fronte ucraino…»

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I 95 miliardi stanziati dal Congresso americano non sono “semplici” aiuti militari, bensì una vera e propria dichiarazione di guerra. Certo, una dichiarazione non nuova, ma che certifica definitivamente la scelta bellicista della Casa Bianca. Insieme all’analogo stanziamento approvato dall’Unione Europea, la decisione statunitense chiarisce infatti la volontà dell’Occidente collettivo di continuare a tutti i costi la guerra, quella alla Russia in primo luogo.

Ma a Washington sono andati ben oltre. Dei 95 miliardi di aiuti militari, 61 sono destinati all’Ucraina, 26 ad Israele, 8 a Taiwan. Insomma, sia pure in diversa misura, si è cercato di coprire finanziariamente lo sforzo bellico su tutti e tre i fronti principali di un conflitto sempre più concepito come globale.

Naturalmente, viste le grida di dolore di Zelensky, l’attenzione è puntata anzitutto sull’Ucraina. Riusciranno le nuove armi a ribaltare l’attuale situazione sul campo? Certamente no, ma l’idea degli strateghi della Nato è quella di inchiodare la Russia ad una lunga guerra di logoramento. E’ in questa prospettiva che va visto l’incessante flusso di armi verso Kiev.

Abbiamo detto “incessante” perché non abbiamo mai creduto che i rifornimenti di armi e munizioni si fossero in qualche modo interrotti in questi mesi, in attesa del mitico voto del Senato americano. Gli stessi numeri del provvedimento approvato ce lo dimostrano. Dei 61 miliardi dell’Ukraine Security Supplemental ben 19,85 sono destinati alla “ricostituzione delle scorte di armi e munizioni delle forze armate degli Stati Uniti donate all’Ucraina”. Traduzione: il flusso di armi verso Kiev è proseguito con regolarità, in maniera del tutto indipendente dai tempi dei congressisti di Washington. Ma adesso queste forniture verranno addirittura irrobustite.

Le stesse considerazioni valgono anche per Israele, visto che ben 4,4 miliardi vengono destinati alla “ricostituzione delle scorte di armi e munizioni delle forze armate degli Stati Uniti donate ad Israele”, e perfino per Taiwan, dove il valore delle scorte di armi da ricostituire è quantificato in 1,9 miliardi. Su Israele è da notare inoltre il massiccio impegno (5,2 miliardi) per sostenere i sistemi di difesa aerea Iron Dome, David’s Sling ed Iron Beam, segno che in quel campo le cose non vanno così bene come vorrebbero farci credere.

Visti questi numeri fa sorridere l’affermazione di Biden sugli aiuti all’Ucraina che “riprenderanno già nelle prossime ore”, come se davvero si fossero in precedenza interrotti. Vero è che ora i rifornimenti si rafforzeranno, innanzitutto nel settore missilistico, rendendo ancora più chiara la volontà di colpire la Russia in profondità. Ma per Biden il pronunciamento del Senato è stato importante soprattutto sul piano politico. Qui la sua vittoria è stata schiacciante, con 79 voti a favore e 18 contrari. Un risultato che già ci dice molto su quanto siano infondate certe speranze di cambiamento legate alle prossime elezioni presidenziali.

Sta qui, in questa ritrovata normalizzazione della politica statunitense, il segnale di guerra di cui abbiamo parlato all’inizio. Un segnale con il quale, secondo le parole del segretario di Stato Antony Blinken, “gli Stati Uniti inviano un messaggio forte sul potere della leadership americana”. In altre parole, la guerra va avanti e la guidiamo noi.

Certo, le intenzioni sono una cosa, i fatti un’altra. Ed all’Occidente le cose non stanno andando come previsto. Sbaglia, tuttavia, chi pensa che a Washington ci si stia predisponendo ad una soluzione alla “coreana”, con un cessate il fuoco sine die sull’attuale linea del fronte ucraino. Una situazione che, se pure non consentirebbe alla Russia il raggiungimento degli obiettivi strategici della neutralità e denazificazione dell’Ucraina, determinerebbe comunque il consolidamento di un vantaggio tattico non indifferente per Mosca.

Proprio per questo il blocco Usa-Nato-Ue insiste con la scelta della guerra di logoramento, nella speranza di un indebolimento russo, ed in attesa di un parallelo rafforzamento delle forze terrestri della Nato.

Quanto siano fondate queste speranze ce lo dirà il futuro. Se la Russia sarà capace di passare ad un effettivo contrattacco nei prossimi mesi la guerra arriverà davvero ad un punto di svolta, mandando a rotoli l’attuale strategia occidentale. A quel punto la Nato si troverebbe davanti ad un bivio: o accettare una sostanziale sconfitta di fatto, o passare all’invio di truppe occidentali in Ucraina.

Sarebbe quello il momento della verità, un punto di svolta drammatico anche per il coinvolgimento diretto del nostro Paese. E’ questa un’ipotesi estrema da scartare? Purtroppo, no. Non facciamoci ingannare dalle apparenze. E’ vero che sull’invio delle truppe a Macron hanno detto tutti di no, ma intanto si è iniziato a parlarne. Del resto, la guerra ha una sua logica interna cui è difficile sfuggire. E se si fanno scelte e dichiarazioni belliciste, come quelle provenienti da Washington, certe conseguenze saranno poi inevitabili.

Ecco perché non dobbiamo stancarci di lanciare l’allarme. Ecco perché bisogna chiamare alla mobilitazione contro la terza guerra mondiale.

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