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IDIOZIE CLIMATICHE (sulla Romagna e non solo) di L. Mazzei

Idiozie climatiche (sulla Romagna e non solo)

C’è da essere sgomenti. Le idiozie che circolano sul clima, più esattamente sui cosiddetti “cambiamenti climatici”, sono talmente tante che non si sa più da che parte cominciare.

La tecnica del terrorismo climatico è semplice. C’è un periodo di siccità? La causa va senz’altro ricercata nel “cambiamento climatico”. Si verificano eventi alluvionali da qualche parte? Il colpevole è sempre lo stesso. Ma poiché nel medio periodo piogge e siccità alla fine si compensano, come è sempre avvenuto e come mostreremo di seguito, ecco allora l’invenzione decisiva: i cosiddetti “eventi estremi”.

Questo meccanismo narrativo è implacabile, unendo in un unico ed interessato coro i decisori politici, i loro referenti “scientifici” e la bassa (ma decisiva) manovalanza mediatica di servizio.

Nella primavera del 2019, quando era appena scoppiato il “fenomeno Greta”, mi dedicai al tema del clima con 7 pezzi che credo possano essere tuttora utili a chi volesse cercare di inquadrare la questione al di fuori del pensiero unico dominante.

Questi i 7 articoli del 2019: — Clima 1 – E se fosse la lobby nucleare? (18 marzo 2019). Clima 2 – Quelli che non se la bevono (25 marzo 2019). Clima 3 – Nessuna catastrofe in vista (1 aprile 2019). Clima 4 – La bufala dell’aumento degli “eventi estremi” (11 aprile 2019). Clima 5 – Tutta colpa della CO2? (26 aprile) – Clima 6 – Catastrofismo e socialismo (6 maggio 2019). Clima 7 – Perchè lo fanno? (21 maggio 2019).

Ma veniamo all’oggi, dunque alla discussione sull’alluvione romagnola. In linea con il tam tam catastrofista, il Corriere della Sera ha commissionato un editoriale sul tema allo scrittore Paolo Giordano, il quale va così dritto al punto che interessa ai moderni padrone del vapore:

«Crisi climatica significa l’aumento in intensità e frequenza dei fenomeni estremi. Di un segno e di quello opposto: siccità e alluvioni, ondate di caldo e ondate di gelo. La parola chiave, quella su cui sventatamente non è stato concentrato lo sforzo comunicativo dall’inizio è proprio “estremo”. Siamo già entrati in un’epoca in cui il clima in ogni sua manifestazione, è più estremo di come lo conoscevamo».

Bingo! In questo modo lorsignori avranno sempre ragione. Qualunque cosa accada, “di un segno e di quello opposto”, la loro narrazione sarà confermata, l’essenziale è che crediamo al concetto chiave di “estremo”.

La spudoratezza di questo discorso è autoevidente. E chiaro è stato il progressivo perfezionamento lessicale di questo imbroglio. Quando fa caldo si usa il concetto di “riscaldamento globale”, quando fa freddo si preferisce invece parlare di più sfuggenti “cambiamenti climatici”. Ma siccome i cambiamenti ci sono sempre stati, ecco allora l’arma decisiva degli “eventi estremi”. Questi ultimi sono meno definibili, ed in ogni caso si può giocare sia con i notevoli limiti della memoria umana, sia con gli effetti del sensazionalismo mediatico.

I fondamentali per capire l’imbroglio

Per smascherare l’imbroglio dell’ossessiva narrazione dominante bisogna innanzitutto fissare alcuni concetti.

Primo: clima e meteorologia. Come ci ricorda l’ottimo Franco Prodi, bisogna sempre distinguere tra clima e meteorologia. Mentre lo studio delle tendenze climatiche deve basarsi su statistiche almeno trentennali, fenomeni come quello della recente alluvione in Emilia Romagna sono invece spiegabilissimi con gli ordinari strumenti della meteorologia. Bando, dunque, agli assurdi collegamenti tra singoli eventi meteorologici e variazioni climatiche di lungo periodo.

Nel caso dell’Emilia Romagna – lo afferma sempre il prof. Prodi in questo video – il problema è stato quello del posizionamento e dell’insistenza della bassa pressione sull’Italia centrale. Chi non è proprio giovanissimo ricorderà le ricorrenti alluvioni nel Nord Ovest del Paese (Piemonte e Liguria in primis), con la bassa pressione centrata in maniera insistente sul Mar Ligure e sull’Alto Tirreno. Nell’ultimo periodo c’è stato invece uno spostamento verso est dei fenomeni calamitosi, ma non un loro aumento. E possiamo essere ragionevolmente certi (non me ne vogliano gli amici liguri e piemontesi) che, dopo aver avuto alcuni anni di tregua, entro qualche tempo certi eventi torneranno a ripresentarsi proprio nel Nord Ovest.

Secondo: gli eventi estremi. Contrariamente a quanto si afferma, gli eventi estremi non sono in aumento, né in Italia né nel resto del mondo. Come ha sottolineato, in suo recente studio, il professore di statistica Bjorn Lomborg, la mortalità generale per condizioni meteorologiche estreme è diminuita del 95% nell’ultimo secolo (1920-2020), nonostante che la popolazione mondiale sia aumentata di quattro volte nello stesso periodo. Insomma, la mortalità odierna è pari ad un ventesimo rispetto a quella di un secolo fa, ma se si considera la popolazione la probabilità di morire a causa di eventi meteorologici estremi è pari ad un ottantesimo rispetto ad allora!

Capisco come questi numeri possano sembrare irrealistici, tanto cozzano brutalmente con la narrazione dominante, ma i dati di Lomborg coincidono esattamente con quelli pubblicati dall’Economist nel 2017. Della vergognosa bufala sull’aumento degli “eventi estremi”, con particolare attenzione all’Italia, ci siamo occupati in maniera approfondita in un articolo già citato del 2019, ed a quello rimandiamo i lettori più volenterosi.

Terzo: il regime delle piogge. Sempre in totale contrasto con la narrazione dominante, va saputo che il regime delle piogge nel nostro Paese è straordinariamente stabile. In questo caso, un grafico del Cnr parla più di mille parole.

Deviazione annua delle precipitazioni in Italia nel periodo 1800-2018 rispetto alla media 1971-2000 (fonte Cnr)

Questa figura evidenzia gli scostamenti avvenuti in ben 218 anni. Lo zero rappresenta la media delle precipitazioni del trentennio 1971-2000. Come si vede, e come è naturale che sia, significativi scostamenti annui ci sono sempre stati. Ma essi sono regolarmente avvenuti sia verso l’alto che verso il basso, tant’è che la media mobile ottenuta con questi numeri risulta estremamente stabile, con oscillazioni che non vanno mai oltre il 10% (vedi la curva nera del grafico). Non c’è dunque nessuna variazione significativa del regime delle precipitazioni, nessun annuncio di disastrose siccità e di incombenti desertificazioni, ma neppure il suo contrario.

Quarto: le medie meteorologiche. Per i funamboli del terrorismo climatico quanto scritto fin qui non conta, però, un fico secco. Loro, i furbetti del clima, ti fanno un sorrisetto e ti spostano continuamente il discorso con le tipiche tecniche del sensazionalismo mediatico. Uno degli “argomenti” preferiti è quello della continua “eccezionalità” dei singoli eventi. Ad esempio, nel caso dell’Emilia Romagna essi ti dicono che in tre settimane è caduta la stessa quantità di acqua che mediamente cade in quelle zone in sei mesi. E qui il trucco – è perfino avvilente dover ricordare una simile banalità – sta nel concetto elementare di “media”. Mentre sui mezzi di (dis)informazione ogni minima deviazione dalla media stagionale di un qualsiasi indicatore diventa un dramma, si è costretti a ricordare che le medie meteorologiche sono sempre il frutto di picchi (talvolta assai rilevanti) sia verso l’alto che verso il basso.

Gli eventi alluvionali avvengono appunto quando si verifica una pioggia che solitamente cade in alcuni mesi. E’ sempre stato così, ed anzi i dati della Romagna sono semmai ben inferiori a quelli registrati in altre occasioni. Ad esempio, nell’ottobre 1954 l’alluvione del salernitano (318 vittime) vide una precipitazione di oltre 500 millimetri in meno di 24 ore, in una zona dove le precipitazioni medie annue sono di 1.300 millimetri. Peggio ancora a Genova nell’ottobre 1970, quando (a fronte di una precipitazione media annua di 1.064) caddero in meno di 24 ore dai 700 agli 800 millimetri nei vari punti della città, con un picco di 948 millimetri in 22 ore a Bolzaneto!

Un record quello di Genova? Sulle 24 ore certamente sì, ma come non ricordare l’ottobre 1951 quando venne registrato un picco di 1.431 mm. in Sardegna (a fronte di una media annua sui 1.000) e di 1.770 mm. in Calabria, contro una media annua di 1.074? E, restando al dopoguerra, si potrebbe continuare con dati sempre ben più elevati di quelli romagnoli nelle varie alluvioni del Piemonte, della Liguria, della Versilia, eccetera. Attenti, dunque, a parlare di “eccezionalità”. Quando si verificano certi disastri una qualche “eccezionalità” c’è sempre, ma chi pensa ad eventi unici, peggio ancora legati all’attuale presunta “crisi climatica” è davvero fuori strada.

La recente alluvione ed i suoi precedenti

A seguito del dramma della recente alluvione in tanti hanno fatto a gara per diffondere a piene mani il verbo della nuova religione climatica. Paradossalmente, sono esattamente gli stessi che fino a due settimane fa calcavano la scena dei talk show per sproloquiare sulla siccità.

Su la Repubblica del 18 maggio leggiamo questo titolo: «Piogge tropicali dopo la siccità: “Il clima malato presenta il conto”». Siamo dunque al “clima malato”! E chi potrà mai “guarirlo”, se non quei Padroni universali che si sentono già investiti del diritto al controllo di un futuro termostato globale?

Ad un certo punto l’articolista dà la parola al meteorologo Giulio Betti, che non perde l’occasione per fare una sviolinata agli scienziatoni dell’Ipcc. Queste le sue parole:

«Situazioni così eccezionali sono il perfetto identikit del cambiamento climatico. Ovvero grandi quantitativi d’acqua che cadono rapidamente e in maniera intensa, sulle stesse zone, dopo la siccità. Si tratta degli scenari che da anni indicano gli scienziati dell’Ipcc».

Ora, a parte il fatto che il problema è stato semmai il contrario – le piogge più intense del 16-17 maggio sono arrivate dopo quelle già notevoli di inizio mese, non dopo la siccità (e su questo ha già svolto delle eccellenti considerazioni Stefano Beneforti) – il fatto è che nello stesso articolo de la Repubblica parla anche Pietro Randi, presidente dell’Associazione meteorologi professionisti, il quale ammette che:

«Nel primo caso (quello di inizio maggio, ndr) le piogge non sono nemmeno state violente, ma costanti per oltre 36 ore».

«Piogge non violente ma costanti». Ma guarda un po’! Sbaglio o si tratta proprio dell’esatto contrario di quanto afferma la narrazione dominante? E perché non domandarsi, allora, il motivo per cui simili piogge determinano allagamenti? Dipende anche questo dal riscaldamento globale? Suvvia, siamo seri.

Più serio di certi espertoni si dimostra, sempre su la Repubblica del 18 maggio, un personaggio insospettabile, quell’Arrigo Sacchi da Fusignano (Ravenna) che ha allenato il Milan e la nazionale di calcio. Sacchi dice infatti al suo intervistatore di aver rivissuto l’incubo di quando aveva tre anni ed il fiume esondava… Che dire? Finalmente qualcuno che, usando la memoria, mette in discussione la costante idea dell’evento “unico ed eccezionale”.

Ora, Sacchi è un uomo del 1946 e ci è quindi venuta la curiosità di andare a vedere cosa era successo nel 1949. In quell’anno Greta era di là da venire e l’Ipcc con i suoi report un tanto al chilo pure, ciò nonostante il fiume Senio ebbe la sfacciataggine di esondare ugualmente, provocando danni assai ingenti proprio a Fusignano, tant’è che nel 2019, settantesimo anniversario dell’evento, la Pro Loco gli ha dedicato un’apposita mostra fotografica.

Ma, si sa, la curiosità vien curiosando, e ci siamo chiesti allora quali siano i precedenti di quelle zone. Posto che l’Emilia Romagna è di gran lunga la regione con la percentuale di territorio esondabile più alta d’Italia, ci pare interessante conoscere in maniera più mirata le principali alluvioni subite in particolare dalla Romagna.

A questo proposito ci è venuto in soccorso un interessante studio di Vincenzo Catenacci, del servizio geologico nazionale – “Memorie descrittive della carta geologica d’Italia”, 1991. La lista degli eventi riportati, così come elencati in un articolo di Jacopo Giliberto su Il Foglio, è davvero impressionante.

Nel trentennio che va dal 1949 (l’anno di Sacchi) al 1978, cioè in un periodo anteriore alle teorie sul global warming, quando semmai la temperatura globale era in leggero calo e il terrorismo climatico (incluso quello cinematografico) inclinava piuttosto verso un’imminente glaciazione, guardate un po’ cosa ne viene fuori:

«Il 27 novembre 1949 in provincia di Ravenna il Senio rompe l’argine e allaga 2.200 ettari.

Il 5 dicembre 1959 a Sant’Agata in provincia di Ravenna il Santerno sommerge 3.300 ettari.

Il 27 dicembre 1961 il Marecchia in piena sbriciola il ponte di Santarcangelo di Romagna mentre vi passava un’auto; annegano le tre persone che vi erano dentro. 

Autunno 1963. Frane e allagamenti in Romagna e in Emilia per le piogge torrenziali. In provincia di Forlì crolli a Bagno di Romagna, a Civitella Romagna (2 frane), a Predappio (5), a Premilcuore, Santa Sofia, Sarsina, Torriana, Verghereto. In provincia di Ravenna crollano terreni a Brisighella, con 11 frane tra le quali quella di Monticello che travolge anche la chiesa e la canonica di Monticino e lambisce il centro di Brisighella; ma anche a Casola (7 frane) e a Riolo Terme (4 frane). In Romagna le frane di quei giorni coprono in tutto circa 1.700 ettari. 

Il 4 novembre 1966, mentre vanno sott’acqua Firenze e Venezia, il Senio tracima a Passo Donegallia e inonda 2.200 ettari.

L’anno 1973 è devastante. Dal 1° gennaio al 1° ottobre ci sono decine e decine di alluvioni in tutta la regione. Il 7 e l’8 marzo 1973 a Ravenna la rete di fossi non riesce più a smaltire l’acqua e sono allagati 20 chilometri quadri fra città e campagna. Il 27 settembre 1973 a Cesena il torrente Pisciarello allaga le campagne fra Ponte Pietra e Casone e interrompe la statale 304. 

Il 19 agosto 1977 un nubifragio (non è ancora stata inventata la locuzione corriva “bomba d’acqua”) allaga Cattolica e San Giovanni in Marignano. 

Nel 1978 crolla ancora la frana di Linaro, frazione di Mercato Saraceno (Forlì). Il paese si affaccia su uno sperone alto su un’ansa del torrente Borello; la parete verticale di roccia continua a cedere da secoli. Una parte dell’abitato fu sbriciolata nel 1819, poi attorno al 1955. Accadrà ancora.

Nella primavera del 1978 a Brisighella (Ravenna) in località Zattaglia la frana sul torrente Sintra si rimette in movimento e sprofonda nel letto del fiume; danneggia due case abitate e distrugge un capannone».

Ora, almeno nei loro effetti, gli eventi di questo maggio 2023 sono stati sicuramente peggiori di quelli qui citati, ma risulterà almeno chiaro come si stia parlando di un’area estremamente fragile, da sempre esposta ad eventi alluvionali. Una conferma di come i cosiddetti “cambiamenti climatici” non c’azzecchino proprio nulla con quanto avvenuto.

Le vere cause dell’alluvione

Abbiamo già visto come le precipitazioni verificatesi sulla Romagna siano state ben più basse di quelle registrate in occasione di altre alluvioni. All’ingrosso (i dati variano da zona a zona) la precipitazione complessiva è stata di circa 400 mm. in quasi tre settimane – mediamente un po’ meno di 200 nel primo evento, ed un po’ più di 200 nel secondo – a fronte di una media annua di circa 800 millimetri.

Davanti a questi dati, alcuni si sono chiesti da dove sia arrivata tutta quell’acqua che si è riversata sulla pianura. Una domanda certamente legittima, ma che ha delle risposte piuttosto semplici.

Le alluvioni non dipendono solo dalla quantità di pioggia. Esse avvengono anche a causa di altri fattori. Tra questi il grado di cementificazione, la condizione degli alvei di fiumi e torrenti, lo stato di manutenzione degli argini, la cura della vegetazione sulle sponde dei corsi d’acqua, lo stato complessivo del territorio a cominciare da quello dei boschi.

Ora, il grado di cementificazione, dunque di impermeabilizzazione, della pianura romagnola è noto, ma non è che altrove vada meglio. E’ chiaro, però, che se non si mette fine a quello che oggi pudicamente viene chiamato “consumo del suolo” le alluvioni diventeranno sempre più frequenti: questo perché l’acqua finisce per defluire tutta assieme, non per l’inesistente aumento dei cosiddetti “eventi estremi”.

Ma se lo stop alla cementificazione è fondamentale (e non solo per la sicurezza idraulica), il ritorno ad una manutenzione adeguata dei corsi d’acqua lo è altrettanto. Troppi argini sono crollati già ad inizio maggio, ma gli argini sono fatti per dare sicurezza, dunque il loro crollo è inammissibile da ogni punto di vista. Se questo è avvenuto, vuol dire che il controllo è stato pari a zero, la manutenzione idem. E su questo non può esserci giustificazione alcuna.

Ma gli argini non sono tutto. La sezione idraulica adeguata ad accogliere la portata prevista nei picchi di piena è fatta dalla base e dalle sponde del corso d’acqua. Purtroppo, questa sezione non è mai stabile nel tempo. Se la base si innalza, a causa dei detriti che inevitabilmente si accumulano negli anni, la sezione si riduce, la portata massima pure, e l’acqua tracima verso campagne e città. Da molti decenni questi lavori di sistemazione degli alvei non si fanno più, o non si fanno comunque in misura sufficiente. Così come non si fanno come si dovrebbe le casse di espansione, utilissime a limare in maniera decisiva le punte delle piene.

Stesso discorso per la vegetazione presente sulle sponde, che ormai cresce incontrollata quasi ovunque, con la conseguenza di creare strozzature al normale deflusso dell’acqua. Strozzature che diventano vere e proprie “dighe mobili” quando le piante sulle sponde cadono, cosa che negli eventi di piena è piuttosto frequente.

Ma non basta. A monte dei corsi d’acqua ci sono assai spesso territori dove domina l’incuria. E’ questo in particolare il caso dei boschi, il cui abbandono facilita le frane ed il precipitare a valle di materiali che finiscono poi per ingrossare ed ostruire fiumi e torrenti.

L’assenza di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria adeguati è una delle conseguenze della politica dei tagli imposta dall’austerità targata Europa, ma spesso ritardi ed omissioni si sposano (o quantomeno si giustificano) anche grazie ad un certo ambientalismo naif che contesta ogni intervento, in base all’idea assurda secondo cui la natura modellerebbe assai meglio dell’uomo gli alvei dei corsi d’acqua. Peccato che questo modellamento “naturale” abbia portato nei secoli a disastri ben maggiori di quelli attuali.

Individuate le cause del problema, è chiaro che la risposta spetta alla politica. E questa risposta è fatta di tre punti. Innanzitutto, bisogna dire basta alla cementificazione, cambiando radicalmente l’attuale modello di sviluppo. In secondo luogo, è necessario un piano straordinario di sistemazione idraulica dell’intero territorio nazionale in grado di recuperare decenni di inazione irresponsabile. Questo piano straordinario deve includere ovviamente gli interventi di prevenzione delle frane, problema gravissimo in alcune aree del Paese, a partire da quelle dell’Appennino tosco-romagnolo. In terzo luogo – e questa sarebbe in teoria la questione più semplice, ma per certi aspetti la più decisiva – occorre una programmazione degli interventi sul territorio ispirata a tre principi: manutenzione, manutenzione, manutenzione!

Altro che cambiamenti climatici! Qui si tratta di cose ben più semplici, di tornare a fare quel che un tempo si faceva ed oggi non più. L’alluvione della Romagna è di questo che ci parla, ma la stessa cosa si può dire per i due precedenti (Marche settembre 2022 e, soprattutto e scandalosamente, Ischia novembre 2022).

Il complottismo aiuta la narrazione del sistema

I fatti sono chiari. Le cause e le misure da prendere pure. Ma imponenti sono le forze che hanno tutto l’interesse a deviare il discorso in senso catastrofista. Partendo dal “basso”, è chiaro come per gli amministratori locali buttarla sui “cambiamenti climatici” sia il modo migliore per sfuggire da ogni responsabilità. In questa maniera la peggior classe amministrativa dall’unità d’Italia in poi riesce ad assolversi, dandosi di gomito con una dirigenza politica nazionale forse ancora peggiore. E’ a questo livello, e con la benedizione dei media, che avviene l’incontro con il terrorismo climatico globale promosso dai Padroni universali. Quelli del Grande Reset e di una “transizione ecologica” a tappe forzate, finalizzata unicamente agli interessi economici di una ristrettissima cupola oligarchica.

Purtroppo, queste forze hanno dalla loro anche un piccolo esercito di complottisti, entrato in campo anche sulla vicenda romagnola, che anziché dedicarsi ad un’analisi attenta dei fatti e ad una critica serrata della narrazione dominante, risponde ad essa con le più strampalate teorie del complotto: dalle piogge provocate da qualche misterioso aereo, alle inesistenti responsabilità della diga di Ridracoli.

Volutamente o no, chi diffonde certe cose favorisce di fatto il sistema. Che avrà infatti buon gioco a dimostrare l’assurdità di certe teorie.

Ma che bisogno c’è di tirare in ballo gli aerei della geoingegneria, quando sono proprio i dati delle precipitazioni a mostrarci un evento intenso sì, ma di certo non così inusuale come si vorrebbe far credere?

La questione della diga di Ridracoli è ancora più clamorosa. In rete sta circolando un video che accusa questa diga di aver provocato l’alluvione. Si tratta di una bufala clamorosa. In generale, la tracimazione di una diga è un fatto assolutamente normale, che di per sé non incrementa la portata naturale del fiume che ne viene alimentato. In secondo luogo, il modestissimo svaso effettuato preventivamente il 15 maggio proprio per provare a limare (sia pure in maniera sostanzialmente trascurabile) la piena prevista per il giorno successivo, non ha arrecato alcun danno a valle. I danni li ha fatti invece la piena “naturale” del fiume Bidente, in nessun modo alterata dalla diga di Ridracoli.

Ricordiamoci, infine, che i corsi d’acqua esondati il 16-17 maggio sono stati 23 e che la diga in questione ne alimenta solo uno. Dunque, anche volendo pensare che le cose non siano andate come descritto sopra, che la piena a Ridracoli sia stata gestita contravvenendo a tutte le normali norme di esercizio, che i comandi della diga siano stati assunti da Satana in persona con la volontà di far fuori i romagnoli, chi ha fatto esondare gli altri 22 fiumi e torrenti???

Attenzione, dunque, alle stupidaggini. Abbiamo una quantità incredibile di argomenti per seppellire la narrazione dei nostri nemici. Usiamoli con intelligenza, diffondiamoli con convinzione, insistiamo sulle risposte necessarie da dare, battiamoci per un diverso modello di sviluppo, denunciamo le responsabilità politiche, incalziamo Regione e Governo perché si assumano le loro responsabilità.

E’ questo, fra l’altro, il modo più serio per essere concretamente a fianco delle popolazioni colpite. Al bando le idiozie: in primo luogo quelle “climatiche” sostenute dai dominanti, ma pure quelle di un complottismo che porta soltanto acqua al mulino del marcio regime di cui ci dobbiamo liberare.




C’È LA SICCITÀ, MA PIOVE di Stefano Beneforti*

Alcune considerazioni sui recenti eventi calamitosi in Emilia Romagna  

Prendo spunto da un recente articolo apparso sul sito Greenme.it, veri e propri spacciatori di verità sul riscaldamento globale antropico, dove con il titolo saccente “Siccità e alluvioni in Emilia Romagna: ti spiego perché, in realtà, sono direttamente collegate”, si parla dei recenti eventi calamitosi in Emilia Romagna.

Ci concentreremo solo sui primi due paragrafi dell’articolo, dove le falsità che vengono riportate superano la soglia della decenza, il resto è tutta fuffa mirata ad associare siccità, alluvioni e riscaldamento globale antropico utilizzando una vera e propria comunicazione manipolatoria.

Il primo paragrafo recita: “Il fatto è parecchio elementare: il suolo arido non riesce a contenere piogge torrenziali. I terreni secchi, infatti, non sono in grado di assorbire la grande quantità di pioggia che cade in poche ore, le acque si accumulano in superficie e causano disastri. Evitabili.

Essendo “il fatto parecchio elementare”, coloro che hanno una visione diversa sono evidentemente delle capre che non hanno capito niente. Il fatto è che non corrisponde assolutamente al vero, anzi è proprio completamente sbagliato fisicamente, affermare che “il suolo arido non riesce a contenere piogge torrenziali, infatti, non sono in grado di assorbire la grande quantità di acqua che cade in poche ore, le acque si accumulano in superficie e causano disastri”. Sarebbe poi stato comunque quanto meno cortese nei riguardi delle capre, dare un’idea del motivo per cui un terreno riarso assorbe meno acqua, sempre che sia possibile trovare una spiegazione plausibile senza doverla sparare ancora più grossa.

Infatti, come si può leggere nell’introduzione di qualunque libro di geotecnica, il terreno è composto da tre fasi: la solida (grani litoidi), la liquida (acqua) e la gassosa (aria nei vuoti). Un volume di terreno secco ha i vuoti pieni di aria, un terreno saturo ha i vuoti pieni di acqua. Il volume di aria, la fase gassosa, è un volume che può essere riempito dall’acqua, che a differenza dei grani di terreno ha la proprietà di modificare la propria forma adattandosi a quella del contenitore, e diminuisce via via che diminuisce la granulometria, passando dalle ghiaie alle sabbie fino ai limi, mentre per le argille il comportamento è un po’ diverso essendo costituite da elementi di forma tipo lamellare, con vuoti molto ridotti, che le rendono praticamente impermeabili all’acqua.

Se paragoniamo i volumi di terreno ad una spugna, il terreno secco può essere pensato come una spugna ben strizzata, mentre un terreno saturo è assimilabile ad una spugna ben bagnata. È’ evidente, stavolta anche a prova di capra, che se versiamo acqua sulle due spugne, la spugna strizzata assorbirà molta più acqua di una spugna già bagnata e questo accade esattamente anche al terreno.

Quindi, contrariamente a quanto esposto nell’articolo, illustrato anche con uno schemino, un terreno riarso assorbe più acqua di un terreno saturo e anche più rapidamente, semplicemente perché possiede più spazio vuoto a disposizione per essere riempito dall’acqua.

Il secondo paragrafo prosegue con: “Si chiama crisi climatica, questo è ormai chiaro agli occhi di chi (almeno) non nega. Se c’è enorme siccità e poi acqua stra-abbondante, quell’acqua stra-abbondante non sa dove andare e crea un danno gigantesco. Crisi idrica, insomma, e disastri tipo quello dell’Emilia Romagna di queste ore sono terribilmente collegate.

Con triplo salto mortale carpiato e avvitamento, eccoci immediatamente giunti alla crisi climatica, che secondo loro, dovrebbe essere chiaro almeno a chi non nega, facendo intendere che, se nutri un minimo dubbio su questo dogma di base, sei una capra negazionista delle evidenze, talvolta descritta anche come analfabeta funzionale affetto dalla sindrome di Dunning-Kruger. Ciò mi induce a domandarmi se quest’articolo abbia davvero lo scopo di dare una spiegazione dei fatti, oppure voglia solo convincerti di una certa visione ben orientata del cambiamento climatico, facendoti sentire un deficiente se la pensi diversamente.

Comunque, il link con la crisi climatica è stato stabilito e si può andare avanti con tutta la fuffa successiva…… menzionando solo di striscio verso la fine, la cementificazione selvaggia dei territori e quasi per niente la manutenzione dei bacini idrici, alla quale non si poteva certo non accennare, tanto ormai la colpa dei disastri è già stata attribuita e collegata alla siccità e al global warning, di cui l’uomo è responsabile.

In questo caso c’è però del vero. È proprio responsabilità dell’antropizzazione dei suoli (e quindi dell’uomo) se avvengono questi disastri, ma non a causa delle emissioni di CO2 che non c’entrano un bel niente, bensì a causa dell’incuria e dell’abbandono del territorio e della costante omissione della sua messa in sicurezza.

Sappiamo ormai da anni che dovrebbero essere realizzati urgentemente lavori per il ripristino del dissesto idrogeologico e la messa in sicurezza del territorio e dei suoi abitanti.

Nel 2020 è stata chiusa la struttura di missione #italiasicura, l’unica cosa buona fatta dal governo Renzi. Di opere di salvaguardia del territorio sono riusciti a realizzarne ben poche, ma ciononostante è stata fornita una fotografia piuttosto precisa del dissesto idrogeologico italiano, esponendo una stima attendibile della spesa da sostenere per la messa in sicurezza il territorio. Da questo lavoro risulta che sarebbero necessari più di 9,000 interventi (di cui poco meno della metà per il rischio alluvioni) per un costo complessivo di oltre 29 miliardi di euro, che però non si riescono a stanziare, se non in minima parte, perché la UE li giudica spesa improduttiva che andrebbe a gravare ulteriormente il debito.

Inoltre, nessuno di quelli che contano pare davvero interessato a questo grande numero di lavori, la maggior parte per importi minori al milione di euro, sparpagliati per tutto il territorio nazionale.

Si osserva anche che, per questo capitolo di spesa, tra le pieghe del PNRR si trova solo qualche spicciolo, dedicato com’è alla digitalizzazione, alla transizione energetica e al green.

Trovando questi 29 miliardi di euro, oltre 8 milioni di cittadini e innumerevoli infrastrutture economiche e sociali (scuole e ospedali) potrebbero essere messi in sicurezza, ma niente, è più conveniente investire in grandi lavori tipo l’Alta Velocità, concentrati nelle mani dei soliti pochi, e manipolare mediaticamente la popolazione per convincerla che il problema sia la siccità causata dal global warming antropico. Per contrastare il quale bisogna decarbonizzare il mondo, elettrificando l’elettrificabile (non si capisce però come l’energia elettrica necessaria sarà prodotta), disaccoppiando l’economia dalla domanda energetica (in un sistema economico fondato sulla crescita anche questo obiettivo pare piuttosto arduo, se non impossibile da raggiungere) e efficientando i consumi energetici degli edifici (poi chi non riuscirà a permetterselo dovrà svendere la propria abitazione, ma questo è solo un effetto collaterale).

Tutto questo sforzo nel fare quello che non serve realmente alla comunità ce lo ritroviamo poi pari pari nella sanità, nella scuola, nelle pensioni, nella gestione della risorsa idrica e in tutti i servizi alla persona che, come la messa in sicurezza del territorio, soffrono del fatto di essere tutte attività in perdita, dove il vero profitto è il benessere del cittadino, che, ahimè! è solo un costo non convertibile in rendita finanziaria (a meno che il singolo non se lo paghi da solo).

Molto meglio attribuire la colpa alla siccità al cambiamento climatico per poter spingere il green e la transizione energetica (gestite sempre dai soliti pochi), e magari anche aumentare la spesa militare (che fa sempre PIL) e insistere nell’inviare armamenti all’Ucraina (per non disobbedire agli ordini di Washington).

Il mondo alla rovescia è fatto così…….

Fortunatamente si trova ancora qualcuno (bisogna però impegnarsi a cercarlo) che non parla a vanvera di siccità e global warning quale causa degli eventi calamitosi avvenuti in Emilia Romagna (vedi qui e qui) mettendo in luce i motivi reali di questa tipologia di eventi. Il fatto che poi alcuni degli intervistati desideri mantenere l’anonimato la dice lunga anche sui pericoli che corre chi si azzarda a svelare certe verità…

* del Fronte del Dissenso – Toscana

Note

[1] Il Paradosso di Schrödinger




CLIMA: CARTE FALSE di Emanuele Quarta

In Australia esplode lo scandalo delle misurazioni truccate delle temperature

In Australia sta esplodendo uno scandalo intorno alle misurazioni delle temperature nelle stazioni meteorologiche in tutto il paese. Nei giorni scorsi, il Bureau of Meteorology, il dipartimento del governo australiano che si occupa del monitoraggio del clima e delle temperature, ha pubblicato i risultati delle misurazioni termiche, sottolineando – ovviamente col solito allarmismo – un aumento della temperatura di 0,7 gradi (in alcune stazioni anche di un grado) dal 1995 ad oggi. Questa notizia, però, ha scatenato le domande e i dubbi degli scettici, soprattutto tra chi di clima e di temperature ne capisce qualcosa; dunque, sono dubbi e domande che provengono anche dal mondo scientifico, lungi dal poter essere tacciato di complottismo e/o di ignoranza.

La prima incongruenza la fa notare la giornalista Jo Nova. Secondo la Nova, il governo australiano avrebbe installato proprio nel 1995 dei termometri elettronici in tutte le stazioni meteo del paese, in alcuni casi sostituendo gli strumenti al mercurio, in altri casi affiancandoli. Il problema delle apparecchiature elettroniche sta nel fatto che queste misurano la temperatura ogni secondo, per cui sono sensibili anche ad un aumento repentino della temperatura causato da un improvviso, quanto repentino passaggio di una corrente d’aria calda; un aumento che i termometri al mercurio non avrebbero il tempo di percepire e tradurre in misurazione termica. Sempre la Nova fa notare – seconda incongruenza – che da più parti si è chiesto al governo australiano di tarare gli intervalli di misurazione della temperatura ad un minuto per evitare proprio queste distorsioni; da BoM hanno risposto che la taratura è proprio di un minuto, una cosa che però non risulta dai dati pubblicati dallo stesso dipartimento. Sulla base di queste caratteristiche, è emerso – grazie anche al lavoro di molti siti investigativi e di ricerca sul clima – che tra i termometri al mercurio e quelli elettronici – c’è una differenza di 1 grado, con ovviamente quelli elettronici a misurare le temperature più alte. Oltre alla manipolazione dei dati, secondo il sito di informazione The Daily Sceptic, il governo australiano ha anche omesso i dati delle misurazioni che attestavano temperature più fredde – fatte sia con i termometri elettronici sia con quelli a base di mercurio – proprio per portare acqua al mulino della fantomatica crisi climatica.

Ma il Bureau of Meteorology australiano non è l’unico a giocare coi dati. Il National Oceanic and Atmospheric Administration, agenzia del Dipartimento del commercio degli Stati Uniti, quattro giorni fa ha pubblicato una mappa tutta colorata di rosso per lanciare l’ennesimo allarme: “dal 1885 ad oggi le temperature sono aumentate su tutto il pianeta”, con picchi di più di 1 grado. Peccato, però, che il NOAA non possa fornire alcuni dati di comparazione perché nel 1885 sul pianeta c’erano poche stazioni meteorologiche; come fanno a dire che in Africa la temperatura è aumentata di più di un grado se, nel 1885, nel continente africano non erano state installate stazioni meteo?

Ecco, dunque, che ogni giorno che passa diventa foriero di una nuova truffa sui cambiamenti climatici per diffondere il messaggio della colpevolezza dell’uomo – ovviamente l’uomo semplice, noi che andiamo in giro con la Panda a benzina, mica i padroni che volano coi jet privati – per degli eventi che comunque avverrebbero a prescindere dall’uomo e dalle sue attività. I padroni del mondo non fanno altro che confondere le acque tra cambiamenti climatici – influenzati da forze di una potenza che l’uomo non può nemmeno immaginare, come l’attività solare – e l’inquinamento causato, guarda caso da chi oggi vuole arricchirsi con le bufale sull’economia green e tutta la speculazione che vi ruota attorno, causando nuovi danni ancora più gravi per estrarre minerali preziosi necessari per alimentare l’industria green.

Fonte: avanti.it




LA TEMPESTA E LA FAVOLA CLIMATICA de Il Simplicissimus 2

Secondo un sito americano nell’ultimo mese sulla grande stampa gli articoli diretti e gli accenni al riscaldamento climatico sono calati di oltre l’80 per cento. Non ho la possibilità di controllare questo dato, ma ho notato anche io  che da quando è arrivato il freddo l’argomento è stato messo in ghiacciaia, pronto per essere scongelato al momento opportuno. Non è che l’abominio scientifico di certe tesi sia venuto meno o che l’intenzione di usare il clima come un randello sociale e motore della distopia neomedievale sia cambiata, ma la strategia  comunicativa consiglia una ritirata strategica della narrazione quando essa è troppo in conflitto con la realtà.

E specie negli Stati Uniti alle prese con un eccezionale ondata di freddo che è arrivata a punte di – 57 gradi e che tra poco saranno investiti da quella che sia preannuncia come la più grande tempesta di neve del secolo, questa realtà sarà sotto gli occhi tutti, non è qualcosa di immateriale come l’inflazione sulla quale Biden incespicando sul gobbo cerca di dare fantasiose interpretazioni, non è nemmeno qualcosa di lontano come la guerra in Ucraina o di disorientante  come la pandemia, è semplice, puro freddo: dire che invece bisogna rinunciare al riscaldamento per evitare che il pianeta si surriscaldi ha lo stesso effetto del mal di mare su una grande nave. Vale a dire i dati dell’orecchio interno non corrispondono più a quello che gli occhi vedono.

E’ pur vero che in tema di clima girano balle grandi come le cattedrali, essendo in effetti i luoghi di culto del reset: quello dell’aumento dei fenomeni climatici disastrosi è uno dei più ridicoli perché almeno sul numero e sulla forza degli uragani ed altri eventi estremi ci sono tabelle inequivocabili che mostrano come al contrario ci sia una lieve  tendenza alla riduzione che non può essere ammessa per non dar saltare la teoria della Co2 e dunque anche il sabotaggio verso agricoltura e industria che viene attuato con ottusa tracotanza. Addirittura quella nullità del segretario generale dell’Onu, una scimmietta  che non vede, non sente ma ahimè parla, di nome  António Guterres  a settembre arrivò a dire che i disastri climatici, meteorologici e legati all’acqua sono aumentati del 500% negli ultimi 50 anni. Ecco un esempio tipico della disinformazione, anzi dalla pura menzogna che arriva dall’alto. Come detto ci sono tabelle come quella qui sotto basata sui dati del CRED EM-DAT, lo stesso database su cui WMO, l’Organizzazione meteorologica mondiale e Guterres basano le loro false affermazioni. Stime preliminari suggeriscono che circa 11.000 persone hanno perso la vita quest’anno a causa di disastri meteorologici e climatici, una cifra intorno alla media dell’ultimo decennio. Il tasso di mortalità complessivo è di circa 0,14 persone per milione ed era uno dei cinque tassi di mortalità annuali più bassi da quando i dati sono stati raccolti. Solo due decenni fa, la cifra era 20 volte superiore a 2,9 per milione. La diminuzione dell’impatto umano dei disastri è un successo scientifico e politico che è ampiamente sottovalutato. come del resto qualunque buon risultato che dimostra come si possa lavorare bene anche senza emergenze fasulle.

Naturalmente nessuno conta gli eventi estremi e solo pochissimi sanno come arrivare ai dati, quindi mentire per la gola è qualcosa che funziona perché a forza di farlo le bugie diventano verità  Ma se le temperature calano, scende la neve e vengono cancellati migliaia di voli (2200 per la precisione) a causa delle prime avvisaglie della tempesta di neve, allora il riscaldamento globale diventa qualcosa di così lontano dalla realtà del momento che un certo numero di persone potrebbe essere indotto a guardarsi i dati e magari leggere qualche libro invece di dare per scontato ciò che dice la grande stampa. In realtà il riscaldamento globale è un tema da spiaggia cui tutti danno un credito sensoriale durante l’afa.

Fonte: ilsimplicissimus2.com




NON FATE FIGLI CHE A FERRAGOSTO FA CALDO di Leonardo Mazzei

Qualche giorno fa i fenomeni dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) hanno consegnato il loro nuovo rapporto sul clima. Per la precisione si sono limitati a renderne pubblica la prima parte. Le altre due sezioni verranno infatti più avanti. Meglio spalmare il terrorismo climatico su più mesi. Al resto penseranno i media ed i megafoni del globalismo. Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, ha detto che «la Terra è in codice rosso». Un linguaggio da pronto soccorso che in tempi di Covid dovrebbe far rizzare gli orecchi.

In realtà l’Ipcc non ha portato elementi nuovi. Ma questo non conta, l’importante è la ripetizione infinita del solito concetto: il pianeta vive un’emergenza dalla quale potranno salvarci solo gli “esperti”. Naturalmente quelli benedetti dalla cupola oligarchica che comanda il mondo. E’ stato così per la crisi economica (tutto il potere ai bocconiani!), è così per il coronavirus, vogliono fare in modo che sia così anche per il clima.

Il nuovo regime autoritario si basa proprio sul potere di una tecnocrazia legittimata da una scienza che si è fatta religione. In questo senso clima e virus presentano analogie impressionanti.

In primo luogo entrambi i temi vengono enfatizzati oltre misura. La fine del mondo sembra proprio lì ad un passo. Ai dati oggettivi si sostituiscono le visioni catastrofiche, onde sottrarre spazio ad ogni discussione degna di questo nome. In questo clima non può esserci posto per la democrazia, bisogna solo combattere al seguito di una tecno-scienza che ci indicherà la retta via da seguire. Un pensiero unico da far impallidire le pretese dei vecchi totalitarismi, ma che reca con sé un’insanabile contraddizione: quella tecno-scienza che oggi dovrebbe salvarci non è forse la stessa che ci ha condotto alla situazione attuale? Se fino a ieri ha prodotto il Male che ci dicono, perché da ora in avanti dovrebbe essere l’unico rimedio in grado di far trionfare il Bene? Domande che non possono trovare risposta nel mondo alla rovescia del tempo che ci troviamo a vivere.

In secondo luogo clima e virus ci vengono narrati non come problemi, bensì come emergenze. I problemi, infatti, sono fatti per essere risolti. E la soluzione sta anche nel confronto tra ipotesi diverse. L’emergenza produce invece la cultura e la pratica dell’emergenzialismo, conducendo di fatto allo “stato d’eccezione”, che è esattamente la situazione che stiamo vivendo da un anno e mezzo. Un condizione che lorsignori vorrebbero non finisse mai.

In terzo luogo, clima e virus diventano degli “assoluti” che fanno scomparire tutto il resto. I problemi sanitari del pianeta (come pure quelli di un paese come l’Italia) si riducono al Covid. La stessa cosa avviene per l’ambiente. Tutte le grandi devastazioni ambientali figlie del capitalismo, dall’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, dall’uso dei pesticidi in agricoltura all’elettrosmog, scompaiono di fronte al cosiddetto “cambiamento climatico”. Decisamente molto comodo, sia per i grandi inquinatori (difatti oggi tutti “green”) che per i governi di ogni dove.

Due anni fa ho dedicato alla questione climatica una serie di articoli (qui il settimo pezzo con i link a tutti i precedenti articoli), un tema tosto che prima o poi andrà preso di petto. Qui mi limito invece a segnalare un fatterello rivelatore di cosa si celi dietro la narrazione del catastrofismo climatico.

I signori del depopolamento

Il 10 agosto il Corriere della Sera faceva commentare il rapporto dell’Ipcc a Gary Shteyngart, un romanziere americano di origini russe. Dopo tanto scientismo un tanto al chilo, meglio far tradurre cotanta catastrofe annunciata ad un personaggio che può permettersi qualche licenza sopra le righe del politicamente corretto.

Shteyngart non va infatti per il sottile. Il romanziere aderisce senz’altro al terrorismo imperante, anche se del clima palesemente non sa nulla. Ma proprio per questo è perfetto per trasmettere un preciso messaggio. Leggiamolo:

«Avere figli ai giorni nostri è una follia, e fate bene voi italiani che avete quasi smesso. Nel mio nuovo libro, una delle coppie ha una figlia dell’età di mio figlio, 7 anni, ma gli adulti pensano che non sia più il caso di riprodursi nel mondo che verrà. La Generazione L, che sta per Last, sarà l’ultima».

Eccoci così arrivati alla teorizzazione aperta del depopolamento. Qualche giorno fa Giorgio Agamben, riflettendo sulle possibili conseguenze della gestione dell’epidemia, ipotizzava che la linea della “pura sopravvivenza biologica”, cioè di una vita che nega la socialità, possa infine portare l’umanità verso un suicidio di massa simile a quello praticato dai lemmings.

Un’esagerazione? Speriamo sia così, ma quanto sostenuto dal romanziere americano va esattamente in quella direzione.

Capito dove porta il catastrofismo climatico, al pari di quello pandemico? Ora, noi potremmo anche non prendere in considerazione il signor Shteyngart, di cui mai leggeremo un libro, ma possiamo ignorare la paginata dedicatagli dal Corriere? Evidentemente no, anche perché lo stesso giornale è recidivo. Il 13 agosto la parola viene passata ad un altro romanziere, Maurizio de Giovanni. Il tema è l’ondata di calore di questa metà agosto. La sua prosa si commenta da sola:

«C’è piuttosto una vera paura, dapprima individuale e poi subito condivisa, che stavolta ci si trovi al cospetto di una catastrofe lenta e progressiva, probabilmente senza ritorno, l’inizio di una caduta verso l’abisso alla quale, probabilmente, è troppo tardi per mettere riparo».

E ancora:

«C’è qualcosa di definitivo, in questo caldo. Perché da un caldo così non è possibile fuggire, se non chiudendosi in casa, di nuovo».

Ora, potessimo discutere seriamente ci verrebbe da osservare che il caldo a Ferragosto non è cosa poi così strana, che le medie stagionali sono fatte di valori sotto (talvolta molto sotto) e di valori sopra (talvolta molto sopra) la media. Ma la discussione è impossibile, e la narrazione è costruita in modo da impedire ogni dubbio sul pensiero unico dominante. Esattamente come col Covid.

Discutere non si può e non si deve più fare figli. Ecco il loro futuro: chi ama il suicidio si adegui, chi ama la vita combatta.

Ultima noterella: sapete quanto è variata la temperatura media in Italia nei primi sette mesi del 2021 rispetto al 2020? Di 0,4 °C. Ma in meno. Chi lo direbbe a guardar la Tv!




L’ULTIMA GOCCIA? di Luigi Monsellato

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che il Green Deal europeo sarà per l’Europa “come lo sbarco dell’uomo sulla Luna” — poichè renderebbe l’Europa il primo continente ad aver raggiunto la neutralità climatica. Se serviva un mito per ridare lustro alla traballante Unione europea, mai esso fu più farlocco.

Le energie non rinnovabili della società industriale

Alla fine del presente decennio, se l’estrazione del petrolio continuasse al ritmo attuale raggiungendo con il suo apice l’inizio del proprio declino, il paradigma vigente nelle società industriali di una pace sociale basata sul miglioramento continuo e cumulativo di generazione in generazione che a prescindere dai sistemi di governo si è perpetuato fino a noi, sarà messo definitivamente in crisi.

Il processo generato dallo stretto legame tra potere economico e potere politico che, alimentato da una crescente richiesta di risorse energetiche, ha determinato gli assetti geopolitici mondiali, nell’età moderna con l’avvento della macchina a vapore presentata da Watt come Agente della Grande Industria, ha contestualmente reso l’egemonia del modello di sviluppo occidentale strutturalmente dipendente dall’incremento dei consumi energivori.

Furono le grandi miniere di carbon coke a permettere il salto di qualità nella produzione industriale sostegno dell’Impero Britannico nel XIX secolo, come furono i pozzi di petrolio a permettere all’industria statunitense di minarne l’egemonia e fare del XX il cosiddetto secolo americano, per gran parte del quale le Sette Sorelle, tutte compagnie americane con l’esclusione della British Petroleum e dell’anglo olandese Royal Dutch Shell, riuscirono a dominare il mercato petrolifero internazionale e ancora fu la politica dei prezzi da esse imposti ai paesi produttori a permettere alle nazioni industrializzate dell’occidente, importatrici di petrolio, lo straordinario sviluppo dell’industria automobilistica, dell’aviazione, della navigazione marittima, del riscaldamento domestico e dell’industria petrolchimica, potendo contare sulla stabilità e sul prezzo basso del greggio che ha permesso di poter effettuare un prelievo fiscale considerevole sul crescente consumo di idrocarburi e contemporaneamente di finanziare una parte delle spese per le reti di distribuzione.

Dalla crisi petrolifera del 1973 a seguito della guerra del Kippur che portò il mondo arabo a triplicare il prezzo del greggio, utilizzandolo come arma di ricatto contro i paesi occidentali, le guerre per il controllo delle risorse petrolifere, mascherate come scontri di civiltà e religione, si sono susseguite senza soluzione di continuità fino ai giorni nostri e non perché il petrolio si stia esaurendo, ma perché è finita l’epoca del petrolio a basso prezzo in quanto dal 2005 l’offerta è garantita dallo sfruttamento di giacimenti non convenzionali la cui gestione è più costosa sia in termini economici che energetici.

Le fluttuazioni subite dai prezzi del greggio non sono state comunque un deterrente sufficiente visto che il rapporto annuale della British Petroleum sullo stato dell’energia mondiale fornisce per il 2018 il dato record di oltre 99 milioni di barili e secondo il report The Future of Petrochemicals della IEA, Agenzia Internazionale dell’Energia, la domanda è prevista in aumento.

Neppure l’inquietante scenario disegnato dal sistema di propaganda che addebita i cambiamenti climatici alle emissioni di anidride carbonica di cui gas, petrolio e carbone sarebbero i principali responsabili, sembra intaccare l’accelerazione dei consumi connaturata a un mercato i cui attori paiono comportarsi come quel branco di lupi, magistralmente forgiato da Cai Guo-Qiang nel suo Head On, che corrono pedissequamente, mantenendo la stessa direzione e andando a schiantarsi contro un pannello di vetro, al seguito di un capobranco che dopo l’impatto torna indietro rintroducendosi all’inizio della fila per intraprendere nuovamente il percorso.

Guardando a quel capobranco non può non venire in mente la grande inchiesta del giornalista investigativo, già vincitore di due premi Pulitzer,  Steve Coll che nel suo libro Private Empire svela come la Exxon abbia per anni sistematicamente operato per convincere politici e opinione pubblica a diffidare delle politiche ambientali che potrebbero avere un impatto sull’utilizzo dei combustibili fossili.

Anche se la posizione della Exxon è stata la più aggressiva, non è stata certamente la sola, il rapporto “Big Oil’s Real Agenda on Climate Change” pubblicato da InfluenceMap  mostra che, nei tre anni successivi all’Accordo di Parigi, le cinque più grandi multinazionali del petrolio e del gas quotate in borsa hanno investito oltre un miliardo di dollari in operazioni di lobbying contro l’adozione di politiche di controllo climatico e al contempo impegnano 195 milioni di dollari l’anno per attività di branding mirate a presentare una immagine aziendale schierata a favore delle questioni ambientaliste.

Alle azioni di greenwashing  le cinque multinazionali hanno affiancato investimenti nel settore delle energie rinnovabili, ma come ha osservato Jan Erik Saugestad, amministratore delegato di Storebrand Asset Management, il più ricco fondo sovrano del mondo, commentando il report di InfluenceMap “Sorprendentemente, queste 5 major petrolifere prevedono un mero 3% delle loro spese in conto capitale per il 2019 per le tecnologie low carbon, mentre 110,4 miliardi di dollari saranno investiti in più petrolio e gas”.

* Fonte: Sovranità Popolare, n.7 novembre 2019




CLIMA 7: PERCHÉ LO FANNO? di Leonardo Mazzei

[ martedì 21 maggio 2019 ]

Questo articolo — l’ultimo della serie dedicata ai “cambiamenti climatici” — non ha certo la pretesa di dare risposte definitive alla domanda contenuta nel titolo. Esso ha invece uno scopo più limitato, ma ugualmente importante: quello di esaminare i tanti motivi ed interessi che sembrano convergere nell’attuale narrazione dominante.
Tuttavia, nella formulazione della domanda c’è già un giudizio ben preciso. Ci chiediamo infatti “perché lo fanno”, solo perché diamo per assodato il fatto che sul clima non ce la stanno raccontando giusta. Una convinzione, questa, che credo di aver motivato a sufficienza nei sei articoli già pubblicati.

I precedenti interventi sul cosiddetto “riscaldamento globale” — Clima 1 – E se fosse la lobby nucleare? (18 marzo 2019). Clima 2 – Quelli che non se la bevono (25 marzo 2019). Clima 3 – Nessuna catastrofe in vista (1 aprile 2019). Clima 4 – La bufala dell’aumento degli “eventi estremi” (11 aprile 2019). Clima 5 – Tutta colpa della CO2? (26 aprile) – Clima 6 – Catastrofismo e socialismo (6 maggio)

*  *  *
 
Una necessaria premessa (a proposito delle critiche ricevute)
Come i precedenti, anche l’ultimo articolo ha suscitato commenti di segno diverso. Ed agli apprezzamenti fanno riscontro diverse critiche. E’ normale che sia così. Purtroppo, però, nessuno dei critici entra minimamente nel merito degli argomenti trattati. Eppure su temperature e livello dei mari, sugli eventi estremi come sul ruolo della CO2, i temi caldi non sono certo mancati. Perché, allora, questo silenzio? Forse mi sbaglierò, ma la sensazione è che tra i critici prevalga un atteggiamento religioso nei confronti della teoria dell’AGW (Anthropogenic Global Warming).
Quella del “riscaldamento globale” è in fondo una religione assai degna del nostro tempo. Essa è infatti cangiante e personalizzabile, una merce ideale nel supermarket di un capitalismo che punta a colpevolizzare l’uomo per assolvere se stesso. Questa religione acchiappa tutto va bene, infatti, sia per chi crede alla neutralità ed alla sacralità della scienza, sia per chi immagina un bucolico ritorno ad un imprecisato “stato di natura”. Nulla di nuovo in tutto questo: turbocapitalismo e figli dei fiori son sempre state due facce di un’identica medaglia.
 
Qualche riga in più la devo dedicare a Mauro Pasquinelli, il quale si è nuovamente scagliato contro i miei articoli sul clima con una foga degna di miglior causa. Come già in precedenza, Mauro mi attribuisce cose che non ho detto e convinzioni che non ho. E fin qui passi, che nel mondo ci vuol tanta pazienza. Poi, siccome a lui non va giù che mi sia dedicato alla questione del clima seriamente, entrando cioè nel merito delle incongruenze della teoria dell’AGW — tema sul quale in tutta evidenza non sa cosa dire —, mi attacca perché avrei trattato la questione separandola dalle altre catastrofi prodotte dal capitalismo. Ragion per cui, egli ne consegue, sarei affetto da “idiotismo specialistico”.
 
E’ questo un modo per non prendere atto di quella che è la mia tesi centrale, che ripeto per la centesima volta, e cioè che bisogna distinguere tra la sacrosanta lotta per l’ambiente e la salute (da promuovere e sostenere con ogni forza) e l’ingannevole narrazione dominante sul clima. Il perché l’ho già spiegato diverse volte e non ci torno sopra. Dico solo che si tratta di lottare, qui e ora, contro la catastrofe reale prodotta dal capitalismo reale, senza farsi avvolgere nelle spire di una narrazione basata su una teoria non dimostrata, che ha lo scopo di condannare indistintamente gli essere umani proprio per meglio assolvere il sistema. Questa mia tesi può essere ovviamente disapprovata (ci mancherebbe!), ma non si può dire che non l’abbia esposta in maniera chiara. Dunque non si può fingere di non averla intesa. 
 
Che dice invece Mauro? Semplice, poiché io respingo il catastrofismo sul clima sarei sostanzialmente diventato un “agente” del capitalismo. A questo punto, dopo essermi fatto quattro risate, che fan sempre bene alla salute, la chiudo qui. Su queste basi, al momento ogni discussione è palesemente impossibile. Più avanti vedremo, che il tempo è galantuomo. So bene che nella lotta contro il capitalismo la razionalità non basta, ma questo significa forse che le sciocchezze catastrofiste siano più efficaci? Ai lettori la ben poco ardua sentenza.
In questo articolo
Passiamo al tema che qui ci interessa trattare. In primo luogo vedremo cos’è l’IPCC, com’è nato, come funziona, qual è la sua credibilità. In secondo luogo – e questo è ovviamente il cuore dell’articolo – affronteremo i diversi interessi (economici, politici, di controllo sociale) che ben si intravvedono dietro la narrazione ufficiale. In terzo luogo, cercheremo di arrivare ad alcune conclusioni.
Cos’è l’IPCC 
Partiamo dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) perché in fondo è quella la decisiva fonte che alimenta incessantemente la teoria dell’AGW. La qual cosa è del tutto naturale, dato che l’IPCC non è sorto per studiare il clima, ma per avallare la tesi dei “cambiamenti climatici”, che se per caso dovesse arrivare alla conclusione che i cambiamenti in corso sono del tutto compatibili con la ciclicità climatica storicamente conosciuta, l’IPCC dovrebbe semplicemente chiudere i battenti con tutte le spiacevoli conseguenze del caso.
Il nome, del resto, dice già tutto. L’IPCC non è un’istituzione scientifica in senso proprio, bensì un “gruppo intergovernativo”, cioè di fatto una struttura sostanzialmente politica. A chi risponde questa struttura? Lasciamo la parola a due scienziati, Sonja Boehmer-Christiansen e Aynsley John Kellow:

«Il Dipartimento di Stato USA voleva che le conclusioni scientifiche fossero nelle mani del governo e non di accademici senza controllo. Così usò la sua influenza sulla Commissione Esecutiva dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) per dare il via alla creazione dell’IPCC sotto l’egida del WMO e dell’UNEP (il Programma ONU per l’Ambiente), nel 1988… L’IPCC fu disegnato come un’organizzazione intergovernativa formata da scienziati ma con il coinvolgimento dei governi nel processo di approvazione delle conclusioni: in pratica i governi tengono il controllo dei processi di formazione dei documenti finali».

Siamo dunque alla scienza di Stato, ci dicono i due autori al pari di altre migliaia di scienziati in tutto il mondo. Già, ma quale Stato in particolare? Evidentemente gli Stati Uniti d’America. Comprendo che questa affermazione possa prestarsi a critiche. Non è forse proprio negli USA che si manifestano a livello politico i maggiori contrasti (vedi Trump) sulla teoria dei “cambiamenti climatici”? E’ indubbiamente così, ma è così perché essendo tuttora gli USA il centro del sistema, è lì che si addensano maggiormente i conflitti tra i diversi interessi in gioco. Quel che è certo, però, è che con la svolta degli anni ottanta gli Stati Uniti, assodata la sua rilevanza strategica (ed anche militare), abbiano deciso di prendere in mano la questione del clima. E lo strumento principale di questo controllo è proprio l’IPCC.
Come funziona l’IPCC?
I media amano presentarci l’IPCC come un consesso di scienziati intenti a studiare tutti gli aspetti dell’andamento climatico. Si tratta però di una falsa rappresentazione. In realtà l’IPCC è un ibrido senza precedenti. Esso include sia uomini di scienza che rappresentanti politici, ma alla fine le decisioni che contano spettano sempre a questi ultimi. 
 
I report finali, cioè i famosi documenti che dovrebbero orientare i decisori politici, vengono infatti definiti in un processo a tre stadi. Il primo è di competenza dei soli esperti, i quali però non sono per lo più climatologi, ma specialisti delle varie discipline che confluiscono nei report. In pratica ogni gruppo di lavoro – composto con criteri geografici e coordinato dal panel vero e proprio, in cui siedono i rappresentanti nominati dai governi – opera in maniera separata dagli altri. Nonostante questi limiti è questa la fase propriamente scientifica. Nel secondo stadio, di revisione dei lavori scientifici, un numero più ristretto di esperti lavora insieme ai rappresentanti governativi. Alla terza e decisiva fase, quella che porta alla stesura dei documenti finali, tra i quali i Summaries for Policy Makers, partecipano soltanto i rappresentanti dei governi.
 
Domanda leggermente retorica: possiamo definire “scienza” una roba del genere? Ovvio che no. A proposito delle “opportune modifiche” abitualmente apportate nella fase finale di cui sopra, già nel lontano 1996 così scriveva l’ex presidente dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti, Frederick Seitz:
«Non ho mai visto una insopportabile corruzione del processo di revisione come questa che ha portato al secondo rapporto dell’IPCC. Quasi tutte le modifiche hanno rimosso ogni accenno di possibile scetticismo con cui molti scienziati guardano alle affermazioni sul riscaldamento globale». (da Che tempo farà – R. Cascioli e A. Gaspari)
Ma non c’è solo l’IPCC. Giusto 10 anni fa, nel 2009, scoppiò il cosiddetto Climategate. La diffusione di 5mila e-mail dell’unità di ricerca climatica della University of East Anglia (Gran Bretagna) portò a galla la disonestà intellettuale di certi “scienziati”. «Il fatto è che non riusciamo a dar conto del mancato riscaldamento al momento. Non riuscirci è una farsa», scriveva ad esempio uno di loro. Insomma: se i dati non danno ragione alla nostra teoria bisognerà pure inventarsi qualcosa… 
 
Segui i soldi e… troverai l’AGW
«Segui i soldi e troverai la mafia», diceva Giovanni Falcone. Bene, seguire la scia dei soldi è un buon metodo per capire come funziona oggi la scienza. A dirlo non sono io. Sono gli scienziati, quelli seri.
 
Nel campo della climatologia, inteso qui in senso lato, i soldi vanno in una sola direzione, quella che incoraggia l’allarmismo climatico. Università, agenzie ed istituzioni varie che lavorano sul clima sanno perciò come devono comportarsi in proposito: mai ridurre l’allarme, piuttosto incrementarlo ad ogni passo. 
 

«I flussi di denaro sono diventati la raison d’être di molta della ricerca fisica, il sostentamento vitale di una sua porzione ancor maggiore, e forniscono il sostentamento ad un indicibile numero di occupazioni professionali». 

Queste le parole del fisico Harold Lewis – ne abbiamo già parlato nel secondo articolo – nella sua lettera di dimissioni dall’American Physical Society, dove denuncia la «frode del riscaldamento globale»… «che ha corrotto così tanti scienziati

Gli interessi in gioco
I sostenitori della teoria dell’AGW amano denunciare gli interessi delle grandi multinazionali che operano nel settore delle fonti fossili. Interessi indubbiamente giganteschi, ma non più grandi di quelli di altri settori dell’economia che dalla narrazione catastrofista sul clima hanno tutto da guadagnare. E’ il capitalismo, bellezza! Un sistema centrato sul profitto, non importa se ottenuto con la produzione di alimenti per bambini oppure con quella di mine antiuomo. 
 
Ma dietro alla teoria dell’AGW non ci sono soltanto interessi economici. Ci sono pure interessi politici e di classe, dato che quella teoria mentre da un lato si sposa alla perfezione con il disegno globalista, dall’altro funge anche da formidabile ingrediente di un più sofisticato meccanismo di controllo sociale. Andiamo dunque a vedere meglio tutti questi aspetti.
Gli interessi economici
Parlando degli interessi economici, la cosa fondamentale da capire è solo una: che mentre quelli di chi difende le fonti fossili tradizionali sono puramente “conservativi” – si mira cioè a conservare ciò che già esiste -, quelli legati alla transizione energetica sono sistemici e “rivoluzionari” al tempo stesso – si mira cioè ad innescare un nuovo salto tecnologico ed industriale, e soprattutto un nuovo ciclo di accumulazione capitalistica. Se si comprende questa cosa non sarà difficile capire quali dei due interessi è, specie in tendenza, il più forte. 
 
Avere ben presente questa realtà non significa affatto sposare gli “interessi conservativi” contro quelli innovativi e sistemici. Significa invece un’altra cosa: porre la necessità di un punto di vista autonomo ed alternativo alle dinamiche del capitalismo, un punto di vista socialista su questa gigantesca questione.
 
Partiamo allora da un punto fermo. Il sottoscritto è per realizzare, nel più breve tempo possibile, il passaggio alle energie rinnovabili. Ho scritto della necessità e della ragionevole realizzabilità di questo passaggio certo assai più di tutti i miei critici messi insieme. E, nel mio piccolo, ho sostenuto questa posizione fin dalla fine degli anni settanta. La transizione energetica va dunque realizzata, ma non perché il disastro climatico sia alle porte – cosa che abbiamo visto ad abundantiam non essere vera – bensì perché è necessario combattere l’inquinamento e preservare materie prime (si pensi al petrolio ed alla petrolchimica) utili anche in futuro.
 
Ma c’è modo e modo di realizzare questa transizione. E per elaborare un punto di vista socialista occorre anzitutto averne chiara l’immane portata. 
 
Non sto qui a citare le stime sul business della transizione energetica. Per comprenderne le dimensioni basti pensare alla dismissione di tutte le centrali termoelettriche, alla loro sostituzione con nuovi impianti, dunque (senza considerare per ora il nucleare) alla gigantesca produzione di pannelli fotovoltaici e turbine eoliche, alla sostituzione integrale dell’attuale parco automobilistico con quello nuovo con motori elettrici, ai nuovi sistemi di rifornimento. Ma non basta. Mentre dovranno scomparire pozzi petroliferi e gasiferi, miniere di carbone, oleodotti, gasdotti e raffinerie (con i relativi problemi di bonifica), nasceranno inevitabilmente nuove e più potenti linee per il trasporto dell’energia elettrica, dunque nuove stazioni di trasformazione, eccetera, eccetera. 
 
Non solo, se alcune materie prime perderanno quasi del tutto la loro importanza, con conseguenze devastanti per interi stati, altre diventeranno ancora più preziose: si pensi al rame per l’elettrificazione integrale del sistema energetico, al litio ed al cobalto per le potenti batterie delle auto (e più avanti dei camion, degli autobus, e già si pensa agli aerei).
Da questa sommaria descrizione emergono in tutta evidenza sia problemi di ordine geopolitico, che di natura ambientale e sociale. Su quelli ambientali voglio ricordare tre cose. La prima è che anche le centrali rinnovabili hanno il loro impatto sull’ambiente, si pensi ad esempio alle pale eoliche che sarà sempre più necessario posizionare in mare. La seconda è che il consumo di materie prime continuerà, anche se in termini generali in misura assai ridotta rispetto ad oggi. Cosa che però non varrà per i già citati litio e cobalto, che vedranno invece impennare i consumi. Giusto per dare un’idea, se nelle batterie degli smartphone troviamo 20 grammi di cobalto, in quelle delle auto elettriche si arriva a 15 kg. Detto in altri termini, una macchina elettrica vale in cobalto 750 smartphone. E visto che parliamo di batterie, ecco il terzo problema da segnalare: quello del loro smaltimento.
 
Detto questo, giusto per ricordarci che non esistono soluzioni miracolistiche ad impatto zero, la mia opinione resta assolutamente favorevole alla transizione energetica inclusa l’auto elettrica, purché ci si ricordi che quest’ultima è davvero più ecologica solo a condizione che il sistema di produzione dell’elettricità sia stato nel frattempo interamente decarbonizzato.
 
Ma le nostre ragioni, ambientalmente e socialmente motivate, non sono le stesse delle gigantesche forze sistemiche che spingono alla transizione energetica, in primo luogo con l’ingannevole narrazione dei “cambiamenti climatici”. Ma cos’è allora che muove i dominanti?
Un interessante articolo di Alessandro Visalli
Poco dopo il famoso 15 marzo, Alessandro Visalli ha scritto un interessante articolo che può aiutarci nel nostro ragionamento. Visalli non entra nel merito della teoria dell’AGW, dunque non la mette in discussione ed anzi sembra avallarla. Lo fa però con una certa prudenza, perché avverte anch’egli l’insostenibilità della narrazione dominante. Ma questa è la parte meno interessante dello scritto. Tralasciando qui le conclusioni (sulle quali ci sarebbe da discutere), la questione centrale che Visalli pone è un’altra, ed è esattamente la stessa del titolo del nostro articolo: perché lo fanno?
 
L’autore, partendo dallo schema interpretativo di Giovanni Arrighi sui cicli di accumulazione del sistema capitalista, giunge ad inquadrare l’attuale campagna sul clima nella spinta verso una nuova fase di «espansione del sistema-mondo allo scopo di trovare “terre vergini” nelle quali siano presenti opportunità più convenienti». 
Si tratterebbe, in altri termini, di risolvere la crisi superando l’attuale fase terminale finanziaria del precedente ciclo espansivo, creando le condizioni per un nuovo ciclo che per avviarsi ha bisogno di investimenti produttivi in qualche modo forzati dall’esterno, attraverso una dialettica tra gli interessi degli agenti economici (i capitalisti) e la logica di potenza del soggetto che si impone in quel ciclo come centro del sistema.
 
In questa dinamica c’è dunque un elemento economico (l’uscita dalla crisi), ma anche uno politico (la definizione del nuovo centro), laddove il determinarsi del secondo elemento è condizione per la piena realizzazione del primo. Ma affinché questo processo possa andare a buon fine, dice Visalli, occorre che gli “spiriti animali” del capitalismo – sempre portati a guardare solo i guadagni del giorno dopo – vengano indeboliti da un’emergenza che li metta momentaneamente a tacere. Detto in altro modo, quel che occorre al capitalismo è che – almeno per un periodo – gli interessi generali del sistema (dunque gli stessi interessi di classe dei dominanti visti nel loro insieme) prevalgano sugli interessi immediati dei singoli capitalisti.
 
Quale potrà essere allora l’emergenza da utilizzare a tale scopo? Questa è la sua ipotesi: 

«La quadra, come fu negli anni cinquanta la guerra fredda, può venire dalla ‘distruzione del pianeta’. In questo modo i capitali possono forzatamente essere impiegati in investimenti guidati dallo Stato, ma salvaguardanti l’iniziativa privata. In conseguenza nella parte diffusa della ‘manutenzione territoriale’ e della ‘economia circolare’ si impiegano i ‘superflui’, combattendo il sottoconsumo occidentale, e la capacità produttiva si riconverte riducendo la sovracapacità e la sovrapproduzione. Una quadra perfetta per quello che Minsky chiamava “Keynesismo privatizzato”». Quindi: «La riconversione ecologica e slogan come “Non c’è più tempo”, svolgerebbe questa funzione strutturale vista dal punto di vista delle élite».

Ma c’è un altro passaggio di Visalli che mi pare utile segnalare. Poiché la lotta per conquistare il centro del sistema è anche lotta per l’egemonia, ecco che entra in gioco un potere addizionale di cui dobbiamo tenere conto:

«La questione è che l’egemonia mondiale si ottiene quando alla capacità di governance delle forze sistemiche si aggiunge la leadership, che come dicono Arrighi e Silver in “Caos e governo del mondo”: “si fonda sulla capacità del gruppo dominante di presentarsi, ed essere percepito, come portatore di interessi generali” (p.30), questa capacità porta un potere “addizionale”. Gruppo dominante e gruppi subordinati in qualche modo concordano che la direzione nella quale il primo dirige le forze è a vantaggio comune. Il sistema è gestibile, dunque, senza ricorrere alla pura e semplice forza».

Bene, in queste righe c’è esattamente l’ipotesi che stiamo sostenendo, individuando nella questione climatica (ed ovviamente nella sua gestione) uno snodo di portata strategica per l’intero sistema capitalista. Questo significa che si debba allora esser contro alla transizione energetica? Ovviamente no, e questo vale (al di là delle diverse valutazioni della teoria dell’AGW) tanto per Visalli (il cui pensiero spero e credo di aver riportato correttamente) quanto per il sottoscritto.
Chi guiderà la transizione energetica?
Per un punto di vista socialista sulla questione
Si pone adesso un piccolo problema: chi guiderà questa transizione? Certo, chi la sta guidando ad oggi è fin troppo evidente. E poiché le forze socialiste sono non deboli, ma debolissime ai quattro punti cardinali, poco c’è da illudersi sulla capacità di incidere sul tema. Ma come affermare almeno un diverso punto di vista socialista sulla questione?
Il tema è talmente vasto che conviene qui limitarsi a segnalare le questioni principali. In primo luogo si tratta di sostenere una transizione energetica che non solo non includa un rilancio del nucleare, ma che ne determini invece la definitiva chiusura (ma su questo torneremo più avanti). In secondo luogo le fonti rinnovabili vanno sostenute ed incentivate, ma con grande attenzione sia al loro impatto (che comunque c’è) sia alle speculazioni di ogni tipo che un passaggio fatto all’insegna del “non c’è più tempo” porterebbe inevitabilmente con se. In terzo luogo – e qui si va oltre il settore energetico in senso stretto – bisogna dire di no ad ogni intervento artificiale sul clima (no dunque alla geoingegneria, ma anche di questo parleremo più avanti). In quarto luogo, i costi di questa gigantesca transizione dovranno essere fatti ricadere sui ceti più abbienti, tutelando invece in pieno le classi popolari. In quinto luogo, contro il “Keynesismo privatizzato“, bisogna affermare il controllo e la proprietà pubblica (dunque dello Stato) dell’intero sistema energetico.
 
Attenzione, però, questo punto di vista socialista potrà emergere solo ad una imprescindibile condizione: che si contesti con decisione la narrazione dominante sul clima e dunque la teoria dell’AGW. E’ questo un punto ostico quanto decisivo, dato che se invece si accetta la narrazione del “non c’è più tempo“, i dominanti avranno gioco facile a far passare ogni porcheria, a scaricare sui più deboli i costi dell’intera operazione, a favorire gli interessi delle grandi corporation del settore energetico e non solo. Di più, avranno buon gioco pure nel prevedibile rilancio del nucleare.
Di nuovo sul nucleare
Ne abbiamo già parlato nel primo articolo di questa serie: attualmente il nucleare è in naftalina, ma potrebbe venire facilmente riesumato qualora si accettasse davvero il folle “non c’è più tempo” della propaganda sul clima
Il perché è presto detto. Il passaggio alle rinnovabili è possibile, oltre che desiderabile, ma richiederà un certo numero di decenni. Viceversa, qualora accettassimo la narrazione dominante sul clima, tutto quel tempo non ci sarebbe. L’unica cosa da fare sarebbe la rapida elettrificazione integrale del sistema energetico (per la gioia delle grandi multinazionali dell’auto), contestualmente ad un’altrettanto rapida nuclearizzazione del sistema elettrico (per la felicità dei signori dell’atomo), un processo nel quale le rinnovabili potrebbero aspirare solo ad un ruolo complementare, ma non sostitutivo come è invece necessario. 
 
Alla fine di questo processo avremmo sì meno CO2 (la cui effettiva incidenza sul clima è tutta da accertarsi), ma un ben più alto rischio nucleare (la cui pericolosità milioni di essere umani hanno invece già accertato nella realtà). E’ davvero il caso di rischiare di finire dalla padella alla brace? La risposta mi pare fin troppo scontata.
Gli interessi politici della narrazione dominante
Già parlando degli interessi economici abbiamo visto come questi si intreccino con importanti interessi politici. Tra questi ultimi bisogna distinguere tra i grandi interessi (sistemici) ed i “piccoli interessi” dei vari governi nazionali e locali.
 
Liquidiamo subito questi ultimi, perché meno importanti dei primi, anche se talvolta pure questi “piccoli interessi” sono davvero irritanti. Tutti avranno notato come ormai al più piccolo stormir di foglie si grida all’uragano, e se per caso una zona si allaga è certo che lì ha colpito il male assoluto: quel “cambiamento climatico” tanto sfuggente quanto terrorizzante. In questo modo i “bravi” governanti possono sempre autoassolversi. Una zona si è allagata? Nessuno parlerà più della cattiva politica del territorio, della sua progressiva cementificazione, tanto a spiegar tutto basterà l’immaginifica “bomba d’acqua” subito invocata dai media. In città una pianta è caduta (ma oggi nel linguaggio mediatico si dice “crollata”, quasi fosse un edificio!) colpendo a morte un passante? La colpa non è della cattiva manutenzione alle aree verdi, magari dovuta pure ai tagli imposti dall’Europa (non sia mai!), ma del fatto che i colpi di vento son diventati quasi tutti dei tornado. E si potrebbe continuare con gli esempi.
 
Ma veniamo ora ai ben più importanti interessi sistemici. Cosa c’è di meglio dell’allarme climatico per rilanciare una globalizzazione in crisi? Cos’è in fondo il modello di funzionamento dell’IPCC di cui ci siamo occupati, se non una prova tecnica di governo mondiale? D’altronde, qualora accettassimo la teoria dominante, è chiaro che nuove e rilevanti cessioni di sovranità statuale si renderebbero necessarie. Questo modello è utile alle classi dominanti perché serve anche a tecnicizzare la politica, a “depurarla” da ogni residuo di democrazia. Non vedere questo aspetto, tanto più da parte di chi vorrebbe porsi in alternativa all’attuale sistema, è semplicemente intollerabile. Un modo di essere ciechi anche se si hanno dieci decimi dall’oculista.
 
Ma c’è di più. L’attuale narrazione climatica potrebbe portarci non solo verso un sistema nei migliore dei casi ademocratico. Essa potrebbe condurci addirittura verso forme dispotiche del tutto nuove, basate sul controllo del clima attraverso qualche applicazione della geoingegneria. 
Attenzione alla geoingegneria! 
Sono forse diventato un complottista? No, se ne scrivo non è per una lettura notturna di qualche misterioso sito dedito alla dietrologia, bensì per un articolo apparso sull’autorevole rivista (si fa per dire) le Scienze. «Clima: ultima chiamata», questo il titolo di copertina del numero di aprile di questa rivista. Bene, ho subito pensato, forse ci sarà qualche novità. Oppure, nella peggiore delle ipotesi, ci verrà solo riproposta la solita solfa degli ultimi tempi. Invece no. Né l’una né l’altra, le Scienze ha infatti deciso di andare oltre. Ce lo spiega subito il sottotitolo: «Ridurre le emissioni non basta più. Per limitare l’aumento della temperatura dovremo anche eliminare dall’atmosfera la CO2 accumulata finora». 
Siamo cioè alla tesi della urgente necessità delle cosiddette “emissioni negative”. Una cosa assurda, dato che ove si ponesse davvero fine alle emissioni industriali (e prescindendo qui dalla variabilità di quelle naturali, di cui abbiamo parlato nel quinto articolo, ma che i sostenitori dell’AGW nemmeno prendono in considerazione), il problema della CO2 si risolverebbe progressivamente da solo, dato che la sua permanenza in atmosfera è comunque limitato nel tempo.
 
Ma di cosa si tratta esattamente? L’articolo a pag. 46 ha un titolo sobrio, roba da scienziati attenti a non impressionare: «L’ultima speranza». Avete capito bene: l’ultima speranza. Insomma, la rivista si è portata avanti col lavoro. Anche in questo caso è interessante il sottotitolo: «Riusciremo a eliminare dall’atmosfera abbastanza CO2 da rallentare o addirittura invertire il cambiamento climatico?». Invertire? Si proprio “invertire”, come se qualcuno sapesse che la temperatura giusta per il pianeta è quella, che ne so, del 1860 piuttosto che quella del 1917 (effettivamente a me più simpatica). Avete capito dove si vuole arrivare?
 
L’autore, Richard Conniff, riferisce di alcuni studi sul tema ed elenca 7 possibili metodi per la cattura della CO2. Di questi solo uno è naturale: la riforestazione delle foreste abbattute e l’afforestazione, ciò la trasformazione in foreste di terreni oggi non alberati. Troppo facile, troppo naturale, ma soprattutto troppo poco redditizio per i moderni stregoni della CO2. Gli altri 6 metodi sono invece del tutto artificiali, ma uno in particolare interessa all’autore, e di conseguenza incuriosisce pure noi. 
 
Vediamolo da vicino. L’idea è quella della cattura diretta della CO2 dall’atmosfera tramite macchinari che dopo aver aspirato l’aria ne estrarrebbero chimicamente l’anidride carbonica per poi iniettarla nel sottosuolo, con l’obiettivo di stoccarla in via definitiva a profondità piuttosto elevate. Al momento, un simile macchinario (peraltro di potenza ridottissima) esiste solo in Islanda, ma quel che conta è l’idea. 
 
Conniff riferisce quindi alcuni dati basati sulle stime di chi studia questa possibilità. Secondo questi “esperti” si potrebbero eliminare in questo modo da 10 a 40 miliardi di tonnellate di CO2 dall’atmosfera all’anno. Poiché il costo di questa cattura andrebbe da 100 a 300 dollari a tonnellata, avremmo un business annuo compreso tra i mille ed i dodicimila miliardi! Ma non sbellicatevi dalle risate, che il meglio ha da venire. Queste simpatiche macchine consumano ovviamente energia, ma quanta esattamente? Secondo l’articolista per eliminare un milione (milione, non miliardo) di tonnellate di CO2 servirebbe la quisquilia di una potenza elettrica da 300 a 500 megawatt. Dunque, calcoliamo noi, per smaltire da 10 a 40 miliardi di tonnellate servirebbe da un minimo di 3 milioni (300×10.000=3.000.000) ad un massimo di 20 milioni di megawatt (500×40.000=20.000.000). Giusto per avere un’idea la potenza elettrica complessiva installata in Italia è pari a 117mila megawatt, dunque per soddisfare i folli progetti di costoro ci vorrebbe da un minimo di 25 ad un massimo di 170 Italie. Devo aggiungere altro?
 
Ora, dopo aver mostrato l’assurdità di certe riviste tutte protese a salvare il pianeta, dunque affidabilissime più di ogni altra fonte, resta però un fatto assai inquietante. L’idea del controllo del clima è un progetto al quale si sta effettivamente lavorando. Al momento non possiamo sapere con quale esito, ma si sta lavorando al disegno di un pianeta ridotto alla stregua di un appartamento climatizzato. Ma chi avrà le chiavi di questo mega-termostato del futuro? Ma naturalmente un bel governo mondiale democratico di un pianeta finalmente senza confini, diranno subito i globalisti di ogni risma… Come no, ma certo che è a questa prospettiva che stanno lavorando, mica sarete diventati complottisti pure voi?
La paura come strumento di controllo sociale
Ho parlato già abbastanza della funzione del moderno catastrofismo (non solo quello climatico) nel sesto articolo. Viviamo in effetti un’epoca strana, dove all’ottimismo esagerato del periodo precedente – l’idea piuttosto ingenua di un infinito progresso lineare per quanto diseguale – che tuttavia alimentava la sinistra, si è sostituito un pessimismo antropologico senza precedenti. Questo pessimismo è il nemico giurato di ogni speranza di cambiamento. Proprio per questo piace tanto alle èlite, oggi evidentemente non più in grado (a differenza del passato) di offrire una positiva narrazione a lieto fine dell’umana vicenda.
Sta di fatto che la paura è diventata il principale ingrediente di ogni discorso sul futuro. E’ così al bar come nei media. Nei discorsi dei politici come in quelli degli intellettuali. Infine sono arrivati gli scienziati con il loro carico da 90 del “global warming”.
 
Attraverso la paura si possono controllare le menti, istillando fra l’altro un diffuso senso di colpa, ad esempio quello verso le nuove generazioni, da cui è difficile liberarsi. A questo punto, però, la narrazione sistemica mostra una curiosa contraddizione. Da un lato la cultura dominante consiglia vivamente agli uomini di ridursi allo stato di meri consumatori in competizione tra loro – guai ad avere altri “grilli” nella testa, di cambiare il mondo poi non se ne deve proprio più parlare. Dall’altro, questo uomo-consumatore viene invece criminalizzato in quanto inquinatore. 
Il cerchio magico consumi-paura-nuovi consumi
Parrebbe questa una contraddizione insanabile, ma l’apparenza non deve ingannare. Anche la criminalizzazione contribuisce infatti a ridurre l’uomo alla sola dimensione del consumo. Ma mentre questo schema è perfettamente interclassista, dato che inquina la Ferrari ma pure la Panda, esso sembrerebbe però senza soluzione, visto che un consumo (per quanto minimo) vi sarà sempre e comunque. Come venirne fuori allora?
 
Sulla paura indotta dalla narrazione dominante sul clima sicuramente qualche psicologo non troppo indottrinato potrebbe dirci cose molto più profonde ed interessanti delle mie. Io mi limito quindi a riprendere e concludere il discorso sui consumi, che un suo interesse comunque ce l’ha.
 
Colpevolizzato e ridotto nella sua gabbia, all’uomo-consumatore-colpevole non sembrerebbe concessa altra via se non quella di… nuovi consumi. Vuoi superare i tuoi sensi di colpa e sentirti migliore degli altri? Cambia la tua vecchia auto diesel e passa all’elettrico, lascia la tua vecchia casa e costruiscine una nuova “ambientalmente sostenibile”, cambia la caldaia a metano che quella di ultima generazione emette meno CO2, sostituisci quanto prima il tuo frigorifero, la lavatrice e la lavastoviglie, che gli elettrodomestici che hai consumano troppo… E potremmo continuare a lungo, visto che abbiamo già la moda “ecosostenibile”, l’alimentazione “ecosostenibile”, il turismo “ecosostenibile”. Insomma, alla fine il cerchio magico consumi-paura-nuovi consumi si chiude alla grande, e l’anti-consumismo alimentato a CO2 si rovescia nel suo contrario, un’ultra-consumismo a trazione ecologica. Non c’è che dire: per il capitalismo in crisi una bella boccata d’ossigeno.  
Conclusioni
Siamo così arrivati alla conclusione di questa serie di articoli sui “cambiamenti climatici”. Chi ha avuto la pazienza di leggere avrà capito il senso di queste riflessioni. Le conclusioni a cui siamo giunti sono disseminate nei tanti punti che abbiamo toccato. Si tratta naturalmente di conclusioni provvisorie, dato che una discussione vera sulla teoria dominante è ben lungi dall’aprirsi. Questo fatto non deve scandalizzare: il martellamento mediatico è troppo potente e le forze che dovrebbero esercitare la critica troppo deboli. Tuttavia, un maggiore sforzo teso a superare tanto la pigrizia mentale, quanto questo penoso stato di subalternità, male non farebbe.
 
Per quanto mi riguarda chiudo sintetizzando in sei punti le conclusioni del lungo ragionamento svolto: 
1. La narrazione dominante sul clima, incentrata su un interessato catastrofismo, va respinta.
2. La teoria dell’AGW fa infatti acqua da tutte le parti, ed i fatti la smentiscono alla grande.
3. Dietro alla narrazione del punto 1 ed alla teoria del punto 2 si celano gli enormi interessi economici, politici e di controllo sociale che abbiamo esaminato in questo articolo.
4. La necessaria lotta per l’ambiente e per la salute non va perciò confusa con la questione climatica; occorre anzi sviluppare una critica ambientalista della teoria dell’AGW.
5. La ricerca sul clima mantiene ovviamente tutta la sua importanza e deve essere sviluppata, ma essa sarà credibile solo quando verrà tolta di mano ad istituzioni controllate dalle èlite come l’IPCC.
6. La scelta di ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili (fino al loro totale superamento) va perseguita fino in fondo, ma secondo criteri politici e sociali opposti al disegno dei dominanti, ed in base a criteri ambientali che impediscano il passaggio dalla padella delle fonti fossili alla brace del nucleare.
Queste conclusioni sono decisamente controcorrente. A dispetto delle sue incongruenze, il “pensiero unico climatico” appare ancora oggi inattaccabile. Del resto, la tipica forma mutevole in cui esso si presenta – passando sempre più spesso dal “riscaldamento globale” agli inafferrabili e non meglio definiti “cambiamenti climatici” – non è certo quella di una teoria scientifica, perlomeno non nel senso di Popper, bensì quella di una moderna religione che nessuno può discutere. Fra l’altro una religione che “battezza” i bambini già in tenera età, come si è visto col loro disinvolto utilizzo (magari in buona fede, ma poco cambia) nelle manifestazioni del 15 marzo. 
 
Significativamente, in tempi in cui si parla di fascismo anche quando si discute di sport, a nessuna anima candida di sinistra è venuto in mente che, al di là dei diversissimi scopi e della diversissima situazione, quell’utilizzo delle scolaresche delle elementari, in sfilate per lo più organizzate e benedette dalle autorità politiche, poteva ricordare certe manifestazioni del ventennio. Certo, i giovani “Balilla” portavano un moschetto giocattolo a tracolla, quelli di oggi cartelli apparentemente innocui a “difesa del pianeta”, ma questo giustifica forse l’attuale strumentalizzazione dei buoni sentimenti di ragazzi e bambini?
 
Detto questo, avrò certamente scandalizzato qualcuno. Ben venga lo scandalo, se potrà servire a far ragionare sulla natura totalitaria della narrazione dominante sul clima.
 
Ad ogni modo, quel che avevo da dire l’ho detto e qui mi fermo. Solitamente il tempo (talvolta anche quello meteorologico) è galantuomo. Chissà che non lo sia anche stavolta.
7 – fine

 




CLIMA, MARXISMO, SOVRANISMO E CATASTROFE di Mauro Pasquinelli

[ 14 maggio 2019 ]

Continua il dibattito sul cosiddetto “Global Warming”. Segnaliamo i precedenti interventi.
Di Leonardo Mazzei— Clima 1 – E se fosse la lobby nucleare? (18 marzo 2019). Clima 2 – Quelli che non se la bevono(25 marzo 2019). Clima 3 – Nessuna catastrofe in vista (1 aprile 2019). Clima 4 – La bufala dell’aumento degli “eventi estremi” (11 aprile 2019). Clima 5 – Tutta colpa della CO2?(26 aprile) – La critica di Mauro Pasquinelli: Clima: catastrofe ineluttabile (29 aprile) – La risposta di Mazzei: Clima 6: catastrofismo e socialismo (6 maggio).
Di seguito la controreplica di Mauro Pasquinelli.
17 valide ragioni per respingere le ipotesi di Leonardo Mazzei
Premessa
Ringrazio Leonardo, per l’attenzione che ha dedicato alle mie riflessioni, per il tono cortese e pacato delle sue argomentazioni, ma devo purtroppo marcare una distanza sempre maggiore tra le mie e le sue posizioni. L’excursus temerario che Leonardo ha tentato, inoltrandosi sul terreno filosofico dei rapporti uomo natura, dell’antropocentrismo, ha aperto un solco ancora più profondo che cercherò di chiarire in queste riflessioni.
La discussione si va via via arricchendo di nuovi contenuti che trascendono lo stesso argomento del Riscaldamento Globale (d’ora in avanti RG), da cui è scaturita. Sarebbe ingenuo e superficiale sottrarsi ad un confronto serrato su questioni che sostanziano le nostre scelte di vita e persino la nostra concezione del mondo.
Mi perdoni Mazzei, di cui ho sempre avuto stima, per la sfrontatezza, la radicalità e la perentorietà di certe mie affermazioni! Ma la cortina fumogena che lui ha alzato su questo solco, per impedirne lo sguardo profondo, va assolutamente diradata!
Concreto unilaterale e riduzionismo specialistico
1)  Voglio sgombrare subito il terreno da un equivoco filologico-nominalistico.  La chiarezza lessicale è un’arma fondamentale, è il primo step di ogni analisi!
Per catastrofe non si intende il day after nucleare, il diluvio universale, una distopica apocalisse o la fine della vita sulla terra. Anche se nessuno, soprattutto oggi, può escludere a priori che simili scenari si possano materializzare. Si intende invece ciò che è ben descritto nel grande dizionario Utet:

“Conclusione imprevista e tragica di un evento, esito disastroso di un piano, di una azione di una impresa, grave sciagura, mutazione radicale ed improvvisa, passaggio subitaneo da una condizione di benessere ad una di miseria e di rovina; profondo e doloroso rivolgimento, disastro improvviso che colpisce un paese, una città, una famiglia, un’attività industriale o commerciale, anche la salute di una persona”. (1)

Se fissiamo l’attenzione solo sul clima, e sull’aumento di un grado della temperatura da qui a 30 anni, astraendolo meccanicamente dal tutto, come fa Mazzei, non ci sarà catastrofe evidente e percettibile. Si poteva risparmiare la montagna di grafici.  Ma questo è un modo non dialettico di osservare i fenomeni. E’ una metodologia tipica, non me ne voglia Leonardo, di coloro i quali, secondo Max Weber, sono affetti da “idiotismo specialistico”.

Sarebbe come se in sociologia, per fare una analisi di classe, mi soffermassi solo sull’andamento dei salari, senza considerare tutte le altre variabili correlate (disoccupazione, livello di coscienza, conflitto di classe, movimenti di sciopero, saggio di profitto, crisi etc…)
Se invece l’evento x Clima al tempo h, lo lego ad a (deforestazione) b (inquinamento) c (rifiuti) k (declino della biodiversità) z (radioattività) etc l’evento clima assume connotati completamente differenti. Esco dal piano statico e specialistico, su cui staziona Leonardo, per entrare in quello storico-dialettico! Vedo finalmente la connessione dinamica degli eventi, il flusso relazionale degli avvenimenti, nella loro filogenesi.
Marx fu molto chiaro su questo punto nella sua introduzione alla critica dell’economia politica. (2) Non si può capire l’evento x (popolazione), l’evento (y) salari, l’evento z (profitti) analizzandoli separatamente e staticamente. Occorre invece vederli come parte di un tutto, di una totalità dialettica in movimento, facendo ricorso alla potenza dell’astrazione. Dal concreto all’astratto, dall’astratto al concreto. Questo è il percorso che ci avvicina alla verità dei fenomeni.
L’astrazione principale usata in Das Kapital da Marx era la categoria del valore-lavoro-astratto da cui deduce il capitale come valore in movimento (non oggetti in possesso al capitalista), lo sfruttamento come valore estorto dal capitalista all’operaio, il salario come valore dei mezzi di sussistenza, la crisi come crollo o caduta del processo di valorizzazione.
Mazzei invece è sempre transitato, in 8 puntate, dal concreto al concreto (dal clima al clima) senza mai legare questo concreto ad altri concreti, per avere infine un quadro chiaro della totalità! Leonardo può offrirci alla vista altri mille grafici (faccio notare che Marx non ne ha messo nessuno nei suoi scritti economici) ma è sempre fermo al concreto unilaterale, al riduzionismo specialistico! Quindi non afferra per questa via la verità, a noi tanto cara!
Mazzei non si avvede che il riduzionismo metodologico, il concreto-concreto, il weberiano “idiotismo specialistico” rappresenta un puntello ideologico del pensiero unico dominante, contro cui combattiamo da una vita!  Le profetiche parole di Engels calzano a pennello in questo caso:

“Nella natura non esistono avvenimenti isolati. Ogni fatto agisce sull’altro e viceversa. Il più delle volte è proprio la dimenticanza di questo movimento in tutte le direzioni, di questa azione mutua, che impedisce ai nostri scienziati di vedere chiaro nei più semplici fenomeni”. F. Engels Dialettica della natura, Editori Riuniti.

Sconcerto totale

2) Quando ho visto apparire in questo Blog uno studio sul clima mi sono detto: Finalmente!!  Era da tempo immemorabile che non si dedicava spazio su SOLLEVAZIONE all’analisi dell’ecocatastrofe! Poi clima 2, clima 3, clima 4, clima 5, clima 6, clima 7 in una serie interminabile che trattiene il fiato, per dimostrare che il capitalismo è sostenibile col Clima! Mi ha assalito lo sconcerto totale! Tutta questa montagna di dati per partorire questo topolino politico?

Chiedo a Mazzei: non era forse il caso di dedicare prima sette puntate a quello che, eufemisticamente, lui chiama “i tanti rivoli non comunicanti della catastrofe”? Per poi, eventualmente, concludere con le “rassicurazioni” sul clima, ammesso che ci possano essere rassicurazioni senza la fine del capitalismo predatorio? Il primo dovere di un “professionista” della critica del capitalismo è incendiare il dibattito, non fare opera di pompieraggio. E’ metterne a nudo le contraddizioni, non sminuire e mettere tra parentesi quelle che agli stessi capitalisti oggi appaiono evidenti.
Cui prodest
3)   La prima domanda che mi sono posto è stata quindi Cui prodest queste “rassicurazioni” di Mazzei sul clima? Cammin facendo, tra un commento e l’altro, Mazzei lo esplicita.
A volte sente l’urgenza di smascherare i presunti manipolatori di Greta, intenta a farsi fotografare con il Papa, Juncker etc, a volte avverte una forte ammaliante simpatia per la pletora di scienziati che non hanno “abboccato all’inganno del RG”. Ma ne ha citati solo due Rubbia e Zichichi. Quest’ultimo famoso per aver sostenuto la panzana creazionista biblica e attaccato la teoria di Darwin, a suo avviso incompatibile con la Bibbia e col metodo scientifico galileiano (risate galattiche!). Se non ci credete andate su Youtube e digitate Zichichi Darwin.
In altri passaggi Mazzei ci ricorda che l’élite globalista e cosmopolita spinge sul RG per sbloccare trilioni di euro verso la Green Economy. E magari dico io!!! Che vogliamo tenerci il fossile a vita?
Mazzei tira anche in ballo la rivolta dei Gilet Gialli, scoppiata a partire dagli aumenti delle tasse sul diesel. Gilet Gialli che non sono un blocco monolitico e in alcune frange, ci ricordano:
“Fine del mondo fine del mese, stesso fine stessa lotta”.
Ciò nondimeno vogliamo ragionare sul lento declino dei Gilet Gialli dovuto anche alla loro incapacità di agganciarsi al sentire comune sulla catastrofe ecologica, di creare egemonia sulle tematiche ambientali soprattutto tra le nuove generazioni (2 milioni di giovani in Francia hanno aderito al Free friday)? No non si può, il tema è tabù per Mazzei!
Personalmente sono favorevole ad una tassa sul diesel a condizione che lo Stato incentivi, con finanziamenti a fondo perduto, auto non inquinanti. Cosa che si è ben guardato dal fare il servo euroinomane Macron!  Ma i soldi per Notre Dame li ha trovati subito!

Ora che c’era, per dar manforte alla sua narrazione traballante, Leonardo poteva tirare in ballo anche il Venezuela la cui economia si regge proprio sull’export di petrolio. Perché limitare il consumo di petrolio se questo paese martoriato si regge sulla produzione dell’oro nero?  Ma sappiamo che il Venezuela firmò, nel 1995, insieme a Cuba, gli accordi di Kyoto sul clima e che il più grande alleato del Venezuela bolivariano, Fidel Castro, è stato grande sostenitore della teoria RG (3).  (Non perdetevi in nota 4 le dichiarazioni del comunista Fidel Castro, più catastrofista del sottoscritto). Faccio notare en passant che a Cuba ci sono addirittura ministeri governativi dedicati alla lotta al riscaldamento globale. Lo sa questo Mazzei?

Ma torniamo in medias res. In estrema sintesi secondo Mazzei il RG è un’arma di distrazione di massa dell’imperialismo per soggiogare i popoli. Un po’ come l’abbattimento delle Twin Tower. Io lo chiamo auto-abbattimento, ma Mazzei, ahimè, involontariamente crede sempre alla versione ufficiale della Casa Bianca.  Quella di Bush all’epoca della caduta delle torri, quella di Trump oggi sul RG… eppure si è sempre dichiarato anti-americanista sin dalla fondazione dei comitati Iraq-libero.

Signori miei ci stiamo avvicinando al cuore della cortina fumogena sollevata da Mazzei. Occorre diradarla per vederci meglio!

Intanto faccio notare che solo il 10% dei climatologi sostiene le tesi negazioniste (Zichichi e Rubbia non sono climatologi) il 90% invece, come ci ricorda Naomi Klein (4) e Noam Chomsky (5), è favorevole alla teoria del RG. Tutti pagati dall’imperialismo? Tutti agenti del complotto? Sarebbe una follia solo pensarlo.  Come ci ricorda Luca Mercalli, il più importante climatologo italiano, (6):

“I sospetti sul riscaldamento globale datano già dal 1896 quando Svant Arrhenius, lo svedese nobel per la chimica, fu il primo a sostenere (in tempi non sospetti ndr) che bruciando carbone l’umanità avrebbe contribuito ad aumentare la temperatura della terra. Allora la CO2 atmosferica ammontava a 294 parti per milione, (oggi è arrivata a 411 ndr) i suoi calcoli furono confermati nel 1931 dal fisico americano E. O. Hulburt del Naval Research Laboratory, sebbene a questa notizia non seguisse alcuna reazione. Nel 1938 l’ingegnere inglese Guy S. Callendar pubblicò uno studio nel quale affermò che l’aumento della temperatura causato dalla CO2, era già misurabile dagli osservatori meteorologici. Nel 1956 Gilbert Plass, fisico canadese esperto in Spettroscopia degli infrarossi, avvertì la comunità scientifica del rischio di riscaldamento globale. La CO2 era intanto salita a 313 parti per milione”. Gli anni 1960-70 furono più freddi e misero in dubbio queste pionieristiche ricerche, anche se nuovi dati sul possibile riscaldamento emergevano via via, come il primo modello di similazione matematica del clima che Syukuro Manabe del Geophysical Fluid Dynamics Laboratory di Princeton, pubblico nel 1967. Bisognerà attendere i calori dei primi anni 80 perché il problema dei cambiamenti climatici di origine antropica torni sulla scena con rinnovata importanza grazie al contributo di climatologi come Stephen Schneider e Jim Hansen fino alla costituzione da parte dell’Onu dell’intergovernmental Panel on Climate Change e al complicato processo decisionale che ha portato alla ratifica degli accordi di Kyoto del 1997 e alla sua entrata in vigore nel 2005”.

Quindi caro Mazzei, questa teoria RG ha una lunga storia. C’era qualcosa prima di Greta!
Strike: RG e mondialismo delle élites
4) Siamo agli accordi di Kyoto sulla riduzione delle emissioni di gas serra. Correva l’anno 1995. Siamo ancora lontani dal fantomatico “complotto di questi mesi, ordito dalle èlites globaliste obamiane, clintoniane e sorosiane sul RG”, dietro la maschera di una ragazzina (che non era ancora nata)!  Chi firma gli accordi di Kyoto? Lo sottoscrivono e ratificano 142 paesi di cui solo 39 industrializzati, il resto tutti paesi poveri del terzo e quarto mondo (tra cui Cuba di Castro e Venezuela di Chavez). (7).
Tra le nazioni che non sottoscrivono il protocollo di Kyoto spiccano gli Stati Uniti che lo firmano solo nel 1998 ma non lo ratificano mai!
Insomma Cuba contro Washington anche sull’RG! La narrazione di Mazzei scricchiola ancora!
Il Canada firma ed è stato il primo paese ad uscire dagli accordi.
Chi governava gli Usa nel 1995? Bill Clinton! Strike!! Lo stesso paese dove nasce il Neoliberismo di Ronald Reagan che dilagherà a livello mondiale dopo il crollo del muro di Berlino! Lo stesso paese che a parti invertite, con i Repubblicani di Trump alla Casa Bianca, si ritirano dagli accordi di Parigi nel 2017, accordi resosi necessari perché la maggioranza dei paesi non rispettava le quote stabilite a Kyoto.

Ma il botto arriva ora: Obama non ha mai rispettato le quote e non ha mai ratificato gli accordi di Kyoto!

Insomma caro Leonardo, la tua tesi centrale ne esce a pezzi! La patria del neoliberismo, il paese guida dell’occidente imperialistico, il cuore pulsante dell’elitismo globalista e mondialista non solo non è dietro la teoria del RG ma l’ha sempre osteggiata e finanche negata! Il perché lo spiega magistralmente Naomi Klein (8):

“Ho scoperto che quando i conservatori duri e puri negano il cambiamento climatico non stanno solo proteggendo le migliaia di miliardi di dollari minacciati da un intervento sul clima.  Stanno anche difendendo qualcosa di ancora più prezioso per loro: un intero progetto ideologico, il neoliberismo, il quale sostiene che il mercato ha sempre ragione, le regole sono sempre sbagliate, il privato è bello e il pubblico è brutto, e ancor più brutte sono le tasse che finanziano i servizi pubblici…..Il neoliberismo è una forma estrema di capitalismo che ha iniziato a diventare dominante negli anni 80 del secolo scorso, sotto R. Reagan e M. Thatcher, ma è dagli anni 90, ideologia regina delle élite mondiali, indipendentemente dallo schieramento politico. Comunque i suoi adepti più rigorosi e dogmatici li puoi trovare lì dove il movimento è nato: nella destra statunitense…Che cosa c’entra il neoliberismo col generalizzato rifiuto della destra di credere che sia in corso un cambiamento climatico, un rifiuto molto radicato nell’amministrazione Trump? Parecchio. Perché possiamo affrontare il cambiamento climatico, soprattutto a questo stadio, soltanto con una azione collettiva che limiti pesantemente il comportamento di colossi come ExxonMobil e Goldman Sachs. Richiede investimenti nella sfera pubblica, nelle nuove reti energetiche, nel trasporto pubblico, nelle ferrovie leggere e nell’efficienza energetica, su una scala inedita dalla seconda guerra mondiale. E può succedere solo alzando le tasse ai ricchi e alle grandi imprese, gli stessi che Trump è deciso ad inondare di generosi tagli fiscali e scappatoie alle regole”.

Comincia ad emergere una contro-narrazione di segno completamente opposto a quello abbozzato da Leonardo. Ci stiamo avvicinando alla soluzione dell’enigma. Alla riparazione del cortocircuito concettuale in cui si dipana la tortuosa analisi di Mazzei.
Guerra dei numeri

5)  Mazzei non nega il Riscaldamento Globale e ammette che un buon 15% di esso è dovuto a fattori antropici. Per me è quanto basta per convincermi che il capitalismo è tendenzialmente incompatibile con il Clima. Per Mazzei No. Vogliamo massacrarci nella guerra dei numeri? 15% come dicono i negazionisti? 30% come affermano i serristi? Ma a noi, critici irriducibili del capitalismo, quanto conviene dividerci in questa guerra dei numeri?   In questa querelle infinita e che nessuno studio scientifico potrà mai certificare sperimentalmente al centesimo? Ciò che invece dovremmo sostenere è che il 15% può passare a 20, 30 e 50 se rimane questo modello di sviluppo basato sul fossile e

sull’anarchia capitalistica! Questo dovremmo urlare da parziali osservatori, critici feroci del capitalismo e propulsori del conflitto! Tutto il resto è un monologo sedativo da addetti ai lavori nei piani alti di qualche centro studi …o del ministero dell’ambiente di Trump!

La media di Trilussa
6) Dalla rivoluzione industriale ad oggi la temperatura media è aumentata di 1 grado, non di due gradi ci ricorda giustamente Mazzei. Peccato che Mazzei sottace un dato incontrovertibile, che rende men sicure le sue ipotesi rassicuranti. La crescita della temperatura media nel nord del pianeta più industrializzato è vicino a 1,5 gradi, mentre nelle altre zone del sud, privo di industrie, è inferiore ad 1 grado. La media di Mazzei rassomiglia pari pari alla media di Trilussa, è 1 ma c’è chi ha zero polli e chi ne ha due!  Se la temperatura si è alzata percentualmente di più nelle zone più industrializzate ciò è la conferma del Riscaldamento Globale scatenato da fattori antropici legati alla CO2 e all’emissione di gas serra. Questo lo capisce anche una “Gretina” ed i 142 paesi che hanno firmato gli accordi di Kyoto, compresi Cina, Bolivia, Cuba, Corea, Venezuela etc. Ma Mazzei qui tace! E gli conviene far pensare che anche Cina, Bolivia, Cuba, Corea, Venezuela sono vittime del complotto dell’élite globalista dei Bill Gates, Soros ed Obama per estendere nucleare, green economy e geo-ingegneria!
CO2
7) Leonardo, come ho già evidenziato nelle mie precedenti riflessioni, tende troppo spesso ad affermare un concetto e poi a negarlo, annullandone gli effetti. Ve ne do due ulteriori prove. La CO2, prima evidenziata come responsabile del 15% del Riscaldamento Globale viene derubricata nel suo ultimo contributo come ininfluente, visto che in altre epoche geologiche c’era più CO2 di oggi, con climi addirittura più freddi.  Devo ricordare a Leonardo che 600 milioni di anni fa, la CO2 era sicuramente superiore ma non c’era forma di vita sulla terra e tutte le volte che la CO2 è aumentata, insieme ad altri gas serra come il metano, in epoche geologiche successive ed in seguito a prolungate e imponenti eruzioni vulcaniche, ciò ha provocato profondi squilibri planetari, aumenti della temperatura di 5 gradi, inondazioni, estinzioni di massa, diffusione di insetti etc. Se in alcune fasi geologiche con presenza di vita sulla terra, la temperatura si è tenuta più bassa di oggi anche in presenza di CO2 altissima (1000 parti per milione, oggi siamo a 410, nella rivoluzione industriale a 233) ciò è dovuto ad eventi solari, differenti inclinazioni dell’asse terrestre, ora non presenti.  Oggi la crescita della CO2 può tramutarsi in una bomba esplosiva perché si intreccia a fenomeni antropici devastanti come deforestazione, desertificazione dei terreni agricoli, rifiuti tossici, acidificazione degli oceani, buco nell’ozono, perdita enorme di biodiversità, radioattività, non presenti in epoche geologiche passate.
Catastrofe e catastrofismo
8)  Leonardo afferma e nega anche in un altro punto cruciale della replica alle mie critiche.  Infatti scrive:

“Nessuno di noi sottovaluta la questione ambientale. Né sottovaluta la sua natura sistemica. E’ proprio l’esatto contrario: proprio perché riteniamo che essa sia parte essenziale della catastrofe sociale prodotta dal capitalismo, specie nella sua attuale fase neoliberista, pensiamo che sia necessario elaborare una visione autonoma all’altezza dei tempi”.

Qui il disastro ambientale è parte della catastrofe sociale prodotta dal capitalismo!
In polemica con Luca Mercalli esclama:

“Ma se la narrazione catastrofista di un certo ambientalismo — tra l’altro sempre alleato delle élite, sia che si parli di economia, di globalizzazione o della gabbia europea — non ha funzionato, forse bisognerebbe chiedersi il perché. Ed il perché sta nei fatti: perché la catastrofe costantemente annunciata non solo non c’è stata, ma si comincia (magari confusamente) ad intuire che quella narrazione fa acqua da tutte le parti”.

Leggiamo più sotto:

“…Bisogna però stare attenti, perché una cosa è la catastrofe, altra cosa il catastrofismo”.  

Che Mazzei combatte con tutte le sue forze!

Insomma un guazzabuglio da cui non se ne esce!  La catastrofe prima c’è e poi, rispondendo a Mercalli, sparisce!
Caro Mazzei non facciamo i catastrofisti, aspettiamo che la catastrofe ci tolga definitivamente il respiro e parafrasando Toro Seduto:

“Quando i pesci saranno tutti morti, quando non ci saranno più bisonti nella prateria, quando la terra arida non darà più i suoi frutti, solo allora potremmo accorgerci che il denaro non servirà più a nulla e solo allora il catastrofismo avrà un senso”.

Se arriva uno tsunami sulle capanne, chi vive in un palazzo di cemento armato potrà sempre dire di non essere catastrofista, a differenza della famiglia seppellita dal fango.
Chi osserva il bombardamento di Baghdad, Belgrado e Gerusalemme potrà sempre pensare di osservare un videogiochi, accarezzando il proprio umore ottimistico e non catastrofista.
Purtroppo l’homo sapiens (sic?) tende a diventare empatico e catastrofista solo quando vive la stessa tragedia.
Il riscaldamento di un grado della temperatura degli oceani, la desertificazione, la deforestazione, hanno fatto estinguere milioni di pesci, di uccelli, di vertebrati ed invertebrati. Ma essi ahimè non hanno voce per esprimere il proprio catastrofismo!
Allora caro Mazzei ben venga il catastrofismo se questo serve a lanciare un disperato grido di allarme sulla perdita della bellezza, della biodiversità, della vita. Chi osserva con un moto della coscienza disinteressato e freddamente razionale è emotivamente morto, ha perduto l’anima come il Faust di Goethiana memoria.
Se vogliamo essere tra quelli che suonano il violino mentre il Titanic si inabissa, siamo libero di farlo, ma non diamo lezioni a chi cerca disperatamente per se e per gli altri una ultima scialuppa di salvataggio!!
Sviluppi lineari e accelerazioni

9) Scrive Mazzei:

“Il capitalismo reale della nostra epoca è anch’esso socialmente catastrofico, ma questa catastrofe sociale è per il momento diluita in tanti dispersi rivoli….  “Se nella Russia del 1917 la guerra imperialista è stata decisiva nel determinare le condizioni oggettive della rivoluzione, questo è per il banale motivo che la catastrofe era fin troppo reale: morti, sangue, fame, povertà”.

Qui Mazzei sottolinea che il catastrofismo dei bolscevichi (ricordo lo scritto di Lenin alla vigilia della rivoluzione “La catastrofe imminente e come lottare contro di essa“, oppure l’analisi dell’imperialismo come putrefazione del capitalismo etc) era giustificato perché tutti i rivoli della catastrofe si concentravano nel tempo e nello spazio fino a produrre la rottura rivoluzionaria! Oggi però, secondo Mazzei, ogni catastrofismo è ingiustificato perché i rivoli della catastrofe sono più diluiti nel tempo e nello spazio!
C’è la plastica nei mari, se ne accorgono solo nei Caraibi.  C’è la desertificazione, se ne accorgono solo gli agricoltori nei tropici. C’è la CO2? ma è quasi impercettibile, che dramma è!! …C’è lo scioglimento dei ghiacciai, ma ci vorrà un secolo almeno! Si estinguono le balene e gli orsi polari chi se ne accorge!! 9 milioni di morti per inquinamento nel 2018 ma ognuno muore per conto suo. C’è la fame nel mondo, ma la vediamo solo in televisione. 150 miliardi di animali uccisi negli allevamenti intensivi ogni anno, ma i macelli non hanno pareti di vetro, che sarà mai! Questo e altro ancora ma tutti questi rivoli per Mazzei non fanno sistema-catastrofe.

Ma l’ecosistema si basa su un delicato equilibrio biologico in cui ogni parte è legata al tutto e il tutto a sua volta reagisce sulle parti. Spesso questi legami nuovi sviluppano eventi non lineari, accelerazioni e rapidizzazioni verso nuovi equilibri e salti caotici, che Mazzei esclude dal suo universo concettuale.  Mazzei è fermo allo sviluppo lineare e separato degli eventi.

Ti tolgo un piede oggi ti deformo la faccia domani, ti strappo gli occhi e i denti dopodomani ti schianto gli organi… quando tempo ancora per dire che il corpo di un uomo è ancora il corpo di un uomo e non una sua orribile, deformante caricatura? Ma se il più che probabile esito della crescita infinita, della hybris umanoide, è fare del pianeta una sua orribile caricatura quale ragione trova Mazzei nell’essere così ottimista e poco catastrofista?  Vede forse la rivoluzione alle porte? No non la vede, anzi la vede lontanissima e forse sempre più sfumata nei secoli a venire!
Impronta ecologica
10) Mazzei ritorna più volte sul tema della catastrofe, affermando e negando, lanciando il sasso e nascondendo la mano.  In polemica con Marx da lui sbrigativamente etichettato come “crescitista”, prima sentenzia giustamente che nel capitalismo vige una contraddizione insanabile tra illimitatezza della accumulazione e limitatezza delle risorse naturali, da Marx, secondo Leonardo, non compresa. Scomoda anche il concetto di entropia …   Poi notifica che non dobbiamo allarmarci per la catastrofe imminente. Incorre quindi in un cortocircuito concettuale. Se la contraddizione è insanabile come può Mazzei pensare che non porta ad un punto di rottura catastrofico? E quale sarebbe per Mazzei questo punto di rottura? La scomparsa di tutte le risorse naturali e delle specie viventi?
Leonardo tergiversa, mena il can per l’aia, poiché non prende in considerazione un concetto che ha sempre taciuto per non pregiudicare la sua analisi: il concetto di impronta ecologica. E’ perdonabile questo “eloquente silenzio” su un parametro su cui discutono tutti, anche i bambini delle elementari? No certo che non lo è.

L’impronta ecologica è un indicatore complesso utilizzato per valutare il consumo umano di risorse naturali rispetto alla capacità delle terra di rigenerale. Nel calcolo entra anche il rapporto tra quantità di rifiuti prodotta e capacità della terra di assorbirli. Se in passato ci si domandava quante persone potevano essere sostenibilmente insediate in un territorio, l’impronta ecologica al contrario si domanda quanto territorio e quante risorse naturali sono necessarie per sostenere quella data popolazione (secondo il suo

determinato stile di vita e di consumo). Ebbene secondo questo complesso indicatore oggi possiamo dire, con buona approssimazione, che stiamo accumulando un debito verso le risorse naturali, sempre crescente. Ci vogliono 1,7 pianeti per sostenere il nostro stile di vita.

Per meglio capire questo concetto, che a prima vista sembra paradossale, immaginiamo la terra come una cipolla fatta di differenti sfoglie. Uno stile di vita sostenibile, come lo è stato fino alla rivoluzione industriale, non esauriva neanche la prima sfoglia della cipolla. Negli ultimi duecento anni invece abbiamo cominciato ad intaccare le prime sfoglie interne delle risorse, create dalla terra in milioni di anni. Per sostanziare ancora meglio il concetto è stato introdotto il parametro chiamato l’Earth Overshoot day (EOD) che indica il giorno nel quale l’umanità consuma interamente le risorse prodotte dal pianeta nell’intero anno. Nel 2018 l’EOD è caduto il primo agosto. Dopo il primo agosto siamo in debito con la terra! Un debito che pagheranno le generazioni future.  Nel 1971 l’EOD cadeva il 21 dicembre, nel 2000 il 23 settembre, nel 2016 il 3 agosto, nel 2017 il 2 agosto. Siamo in progressione lineare.  Si calcola che proseguendo questo andamento nel 2050 ci vorranno due pianeti per sostenere il nostro livello di produzione e di consumi.
Se Mazzei avesse inserito questi parametri nel suo ragionamento (temo che non li condivida o li consideri come armi di distrazione dell’oligarchia) le sue ipotesi rassicuranti ed ottimistiche avrebbero già assunto un segno diverso e decisamente più catastrofista!
C’è un legame diretto tra impronta ecologica, disuguaglianza delle ricchezze, geo-economia e riscaldamento globale. Non tutti i paesi inquinano allo stesso modo.  Quanto più ci avviciniamo ai paesi industrializzati tanto più cresce l’impronta ecologica, tanto più si innalza la temperatura climatica. Su questo occorre sviluppare un approccio marxista. Ponendo pari ad 1 l’impronta ecologica di sostenibilità la maggior parte dei paesi del terzo mondo si colloca al di sotto di uno, mentre i paesi centrali imperialistici stazionano abbondantemente sopra il livello di sostenibilità. Gli Stati Uniti sono i peggiori avvicinandosi alla quota massima di 2 (consumano il doppio di ciò che la terra è capace di ricreare annualmente).  Sono gli stessi paesi che possiedono il 20% della popolazione mondiale e drenano l’80% delle risorse! Ma per |Mazzei questi dati non destano alcun segnale di pericolo. La barca prosegue il suo cammino e non va alla deriva!
Antropocentrismo e rapporto uomo natura
(11)  Sul tema cardinale dell’antropocentrismo Mazzei, come è suo solito, evita di prendere una posizione netta, si pronuncia e non si pronuncia. Ma leggendo tra le righe è possibile capire che si colloca contro i critici dell’antropocentrismo, al punto tale che se la prende con la natura, per i disastri da essa causati contro la specie umana nel periodo olocenico (eruzioni vulcaniche, cambiamenti climatici, meteoriti, Mar di Marmara, Mar Nero, tumori etc). Insomma Mazzei di nuovo trova normale dedicare spazio e tempo alla “natura matrigna che tanto inganna e travolge i figli suoi” (Leopardi) ma non dedica mai 10 righe ad un singolo aspetto dell’ecocatastrofe prodotta nel Capitalocene!
Trova addirittura il coraggio di accusare di nichilismo chi oggi “divinizza” madre natura per proteggerla dalle ferite crescenti inferte dal bipede antropomorfo. Leggere per credere:

“Marx non solo non condannava quest’opera di trasformazione della natura, ma la considerava la vera e propria cifra della grandezza umana. Niente a che fare quindi col pessimismo antropologico che unisce le sette protestanti ai nichilisti di ogni tipo, passando per certo ecologismo francamente reazionario”.

A Mazzei che esalta il Dio-uomo contrapponendolo al Dio-natura rispondo con le parole di Marx;

“Il lavoro è il padre, la terra è la madre di ogni ricchezza sociale”. (9)

Se la sconsiderata esaltazione, operata da Mazzei, del primato dell’uomo e della crescente antropomorfizzazione della natura poteva essere giustificata in epoca rinascimentale e illuminista, oggi è solo un crimine ideologico! E allora viva San Francesco, che celebrava madre natura, sorella luna e fratello lupo. Viva San Francesco che dal buio del medioevo è ancora capace di rischiarare le coscienze dei Mazzei dei nostri tempi.

Avete capito fin dove si è spinto il caro Mazzei?  Non solo a negare la pericolosità del RG, ma a vedere nell’antropomorfizzazione della natura, che nell’epoca del capitalismo assoluto si rovescia nella sua devastazione, nella sua totale reificazione e sottomissione, una cifra della grandezza umana. Siamo al delirio narcisistico!

Scomodando Costanzo Preve e in contraddizione col suo antropocentrismo, (di nuovo il ritornello prima affermo e poi nego) si spinge fino al punto di sentenziare, salomonicamente, che il buono e il cattivo è presente in natura nella stessa misura che nell’uomo, perché l’uomo è natura allo stesso modo di una tigre e una pianta.

“C’è poi un altro punto decisamente spiacevole. Non diversamente dalla natura umana, pure quella extra-umana ha aspetti buoni come cattivi. Diceva Costanzo Preve (vado a memoria, ma il succo è questo), che “per comprendere che la natura non è di per sé buona basta guardare negli occhi i bambini ricoverati in un reparto di oncologia infantile”.

Poi però in un altro passaggio nega quello che ha appena detto:

“Certo, il salto di qualità che ha avuto luogo con la rivoluzione industriale e con il capitalismo non è neppure paragonabile a quanto avvenuto prima”.

E conclude:

“Tutto questo, ma si potrebbe continuare a lungo, ci dice essenzialmente alcune cose: che l’equilibrio fra uomo e natura va effettivamente cercato per tutelare al meglio le condizioni che consentono la vita; che dunque il capitalismo (incompatibile con la natura per la sua voracità che lo obbliga alla crescita infinita) va superato; che il nuovo equilibrio, pur se superiore all’attuale, mai potrà essere perfetto sia per la contraddittorietà della natura umana, che per le tanti variabili in gioco in quella extra-umana”. 

Consiglio a Leonardo di fare pace con se stesso in modo da evitare tutte queste incongruenze discorsive. Lui lancia grandi provocazioni e poi alla fine si ispira al senso comune più ordinario. Il suo bastiancontrarismo sul clima finisce per omologarlo ad un tedioso pensiero neo-conservatore e social-darwiniano sulla natura e sul rapporto uomo-natura.  Leonardo è diventato talmente anticonformista che approda ad un abbraccio mortale con Hobbes e Spencer.
Se buono e cattivo fosse presente in natura nella stessa proporzione che nell’uomo non avremo bisogno di superare il capitalismo. Se auspichiamo un cambio rivoluzionario del sistema è perché notiamo che il cattivo ha preso il sopravvento assoluto sul buono, gli equilibri eco-sistemici sono stati drammaticamente alterati, al punto che il bipede antropomorfo ha in mano un’arma nucleare che gli consente di distruggere l’ecosistema decine di volte, e sta intaccando irrimediabilmente le prospettive delle generazioni future. Cosa che normalmente non fa madre-natura che ci offre vita e spesso ripara i danni che noi gli arrechiamo.
Ma ritorniamo al tema dell’antropocentrismo. Voglio essere estremamente chiaro (ne ho parlato qui e qui). Oggi l’homo sapiens non è più antropocentrico ma delirantemente egocentrico, perché non si pone   neanche il problema della sua sopravvivenza come specie. Sta segando il ramo su cui è seduto! L’arma dell’intelligenza gli serve più per accumulare, depredare, devastare che per conservare gli equilibri naturali. Ogni specie animale e naturale è programmata per rispondere all’istinto di sopravvivenza di se stessa! E’ mossa dall’eros! Noi oggi, come specie, sembriamo assaliti dalla pulsione opposta, da Thanatos, da un istinto di morte generalizzato!
Per questo sostengo che occorre passare da una visione del mondo antropocentrica ad una eco-centrica.
L’uomo non si è sempre comportato da padrone assoluto della natura. Le prime comunità preistoriche ponevano e rappresentavano se stesse nel grembo del creato non al di sopra di esso. L’universo simbolico e le prassi mistiche delle religioni totemiche si sostanziavano in sacrifici per ingraziarsi le soverchianti forze di madre terra; trasformavano animali in totem sacri e tabù intoccabili (il gatto per gli egizi, la mucca per gli indiani, il maiale per le primitive tribù arabe).

La visione del mondo antropocentrica si sviluppa in epoca post-preistorica, e post gilanica, durante le invasioni indoeuropee e con lo sviluppo della civiltà umana. La metamorfosi è ben evidenziata da Riane Eisler (10) nel suo libro il Calice e la Spada, con il passaggio dal culto della Dea Madre al culto di un Dio maschile guerriero e dispotico, perfetto rispecchiamento dell’uomo -maschio che tiene sottomessa la natura ed altri uomini con prassi predatorie sempre più invasive.

In Occidente l’antropocentrismo viene santificato e magnificato nella narrazione biblica della Genesi che pone tutti gli animali e i vegetali al servizio esclusivo dell’uomo. L’uomo, maschio, padre di famiglia diventa padrone esclusivo della terra, e il suo Dio monocratico viene plasmato e nominato a sua immagine e somiglianza.
L’apogeo filosofico dell’antropocentrismo si ha nel 600, con la metafisica di Cartesio che divide il mondo in modo dualistico tra res cogitans e res extensia. Al vertice pone il pensiero che è libero e illimitato (res cogitans) e alla base la res extensia, dove include gli stessi animali dotati, oggi si sa, di coscienza e di sensibilità, ma per Cartesio e la successiva cultura occidentale, semplici articolazioni meccaniche, senza spirito e senza anima, della materia inerte.
Olocene, antropocene o Capitalocene?
(11) Veniamo ad un nodo dirimente della narrazione di Leonardo, che fa emergere un’altra sua plateale contraddizione discorsiva. Infatti Leo da una parte santifica il primato e la grandezza dell’uomo, nel processo di inarrestabile antropomorfizzazione della natura (attribuendolo scorrettamente a Marx). Spingendosi fino a sostenere che oggi la natura non è più natura ma natura antropomorfizzata, natura plasmata e ridotta a misura d’uomo (sic…chi è il paladino della Hybris, dell’illimite crescitismo, Mazzei o Marx?). Dall’altra respinge quello che è diventato il concetto più importante del pensiero ecologista contemporaneo: l’antropocene.
Antropocene è un termine coniato negli anni ottanta dal biologo Eugene F. Stoermer che nel 2000 fu adottato dal Premio Nobel per la chimica Paul Crutzen nel libro Benvenuti nell’Antropocene.
Il termine indica l’epoca geologica attuale, nella quale all’essere umano e alla sua attività sono attribuite le cause principali delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche.
Il lemma almeno inizialmente non sostituiva il termine corrente usato per l’epoca geologica attuale, Olocene, ma serviva semplicemente ad indicare l’impatto negativo che l’Homo Sapiens ha sull’equilibrio del pianeta. Tuttavia più recentemente le organizzazioni internazionali dei geologi stanno considerando l’adozione del termine per indicare appunto una nuova epoca geologica in base a precise considerazioni stratigrafiche, alla drastica caduta dei livelli di biodiversità etc.

Mazzei non lo esplicita chiaramente ma è ben evidente che contesta, o quantomeno non assume la periodizzazione di Antropocene, per tenersi quella di Olocene. Ma come non era lui quello che esaltava il primato dell’uomo nel processo di antropomorfizzazione della natura?  Si era lui, ma in questo caso la categoria di Antropocene, siccome assume nel pensiero ecologista una valenza di impatto negativo dell’uomo sulla natura, può risultare fuorviante ai fini delle rassicurazioni ottimistiche di Mazzei sul RG. Ecco un esempio di come il politico, o meglio l’interesse di bottega politica può precipitare l’individuo in una catena di autocontraddizioni logiche che lo portano a negare, non solo verità scientifiche, ma quello che lui stesso ha affermato un attimo prima.

Per quanto mi riguarda io invece, a differenza di Paul Crutzen, assumerei il termine di Capitalocene come ha fatto lo storico dell’ambiente Jason W. Moore (nel suo libro Antropocene o Capitalocene? Edito da Ombre Corte 2017). E ciò per meglio identificare e periodizzare l’impatto distruttivo dell’uomo sulla natura.  Fino alla rivoluzione industriale, cioè fino all’esplosione del capitalismo, i sapiens erano fondamentalmente sostenibili, con una impronta ecologica pari a zero. Non è l’uomo in astratto che ha fatto precipitare l’ecocatastrofe ma l’uomo storico organizzato nella forma capitale-lavoro.
Siamo alla chiusura del cerchio che Mazzei voleva far diventare quadratura del cerchio! Con il Capitalocene iniziano a salire i gas serra e tutti gli altri indici di distruttività ecosistemica. Come finirà? Temo che nel lungo periodo arriveremo al bivio storico-geologico: o estinzione della specie o fine del capitalocene per via rivoluzionaria!
Marx, Engels e l’ecologia
(13)  Per dare maggiore enfasi alla sua meta-narrazione climatica, Mazzei è costretto persino a svigorire e sminuire l’originario ecologismo di Marx ed Engels, presentandoli come fautori di un progressismo illimitato delle forze produttive.
Mazzei ironizza pure su una frasetta del 1846, l’unica che prende a testimonianza, in cui Marx, in polemica con Proudhon, spiega erroneamente che aria e acqua sono risorse infinite.
Se Marx fosse quello descritto da Mazzei, nella sua reductio ad unicum, un crescitista, illuminista, positivista Comtiano sarebbe stato già archiviato dalla storia e i suoi libri non li avrebbe letti più nessuno. Ma fortunatamente l’affresco del pensiero marxiano è molto più complesso e non si riduce ad una tela squarciata, di Fontaniana memoria!
Faccio notare che la parola ecologia è stata coniata nel 1866, dopo la prima uscita del Capitale, dallo scienziato tedesco Ernst Haeckel (1834-1919) nel libro Generelle Morphologie der Organismen.  Quindi aver mostrato Marx, da parte mia, come ecologista ante-litteram è più che legittimo.
Mazzei così scrive:

“Chi mi critica afferma poi che Marx sarebbe stato un “ecologista ante-litteram”. Ahimè, questa asserzione è falsa. Certo non mancano nel Capitale, come in altri scritti, le note in cui Marx denuncia i danni prodotti dallo sviluppo dissennato dell’industria capitalistica non solo all’ambiente (aria e acqua), ma alla salute, anzitutto quella degli operai. Ma basta questo a farlo passare per “ecologista”? No, non basta”. 

Invito il lettore a leggersi per esteso le sottostanti citazioni che ho preso dalle opere di Marx ed Engels e farsi un idea, da solo, se Mazzei ci racconta una bugia pure su questo versante. Alcune di queste sentenze sembrano scritte oggi e potrebbero benissimo impreziosire un manifesto eco-socialista dei tempi moderni!

“Dal punto di vista di una più elevata formazione economica della società la proprietà privata del globo terrestre da parte dei singoli individui apparirà così assurda come la proprietà privata di un uomo da parte di un altro uomo. Anche una intera società, una nazione e anche tutte le società di una stessa epoca prese complessivamente, non sono proprietarie della terra. Sono soltanto i suoi possessori, i suoi usufruttuari e hanno il dovere di tramandarla migliorata, come boni patres familias, alle generazioni successive”. (11)

“…Con la preponderanza sempre crescente della popolazione urbana che la produzione capitalistica accumula in grandi centri, essa accumula da un lato la forza motrice storica della società dall’altra turba il ricambio organico tra uomo e terra, ossia il ritorno alla terra degli elementi costitutivi della terra consumati dall’uomo sotto forma di mezzi alimentari e di vestiario. Turba dunque l’eterna condizione naturale di una durevole fertilità del suolo. Cosi

distrugge insieme la salute fisica degli operai urbani e la vita intellettuale dell’operaio rurale.” (12)
“…Ogni progresso nell’agricoltura capitalistica costituisce un progresso non solo nell’arte di rapinare l’operaio ma anche nell’arte di rapinare il suolo: Ogni progresso nell’accrescimento della sua fertilità per un dato periodo di tempo, costituisce insieme un progresso della rovina delle fonti durevoli di questa fertilità. Quanto più un paese, per esempio gli Stati Uniti, parte dalla grande industria come sfondo del proprio sviluppo, tanto più rapido è questo processo di distruzione. La produzione capitalistica sviluppa quindi la tecnica e l’integrazione del processo di produzione sociale solo minando al contempo le fonti da cui sgorga ogni ricchezza: la terra e l’operaio” (13)
“…Ad ogni passo ci viene ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa, ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle in modo appropriato”.  (14)  
“…La religione e la ricchezza si fondavano nelle società precapitalistiche su un dato rapporto con la natura, nella quale ogni forza produttiva si risolve”. (15)

“…Nella natura non esistono avvenimenti isolati. Ogni fatto agisce sull’altro e viceversa. Il più delle volte be’ proprio la dimenticanza di questo movimento in tutte le direzioni, di questa azione mutua, che impedisce ai nostri scienziati di vedere chiaro nei più semplici fenomeni. L’animale si limita ad usufruire della natura esterna, ed apporta modificazioni ad essa solo con la sua presenza; l’uomo la rende utilizzabile per i suoi scopi modificandola: la domina. Questa è l’ultima essenziale differenza tra gli uomini e gli animali, ed è ancora una volta il lavoro che opera questa differenza.Non aduliamoci troppo tuttavia per la nostra vittoria umana sulla natura. La natura si vendica di ogni nostra vittoria. Ogni vittoria ha infatti in prima istanza, le conseguenze sulle quali avevamo fatto assegnamento; ma in seconda e terza istanza ha effetti del tutto diversi, imprevisti, che troppo spesso annullano a loro volta le prime conseguenze.  Ad ogni passo ci viene ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa ma che noi le apparteniamo come carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo. Tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle in modo appropriato” (16)   

In una lettera ad Engels Marx ebbe a scrivere pure sul clima:

 “E’ molto interessante il libro di Fraas (1847) clima e regno vegetale nel tempo, per la dimostrazione che in epoca storica clima e flora cambiano. Egli è darwinista prima di Darwin e fa sorgere le specie stesse in epoca storica… Questo uomo è eruditissimo come filologo e lo è altrettanto come chimico e agronomo.  La conclusione è che la produzione non dominata consapevolmente lascia dietro di sé dei deserti. Di nuovo quindi una inconsapevole tendenza socialista. Bisogna esaminare accuratamente tutte le cose recenti e recentissime sull’agricoltura. La scuola fisica si oppone a quella chimica” (17)

Infine a Leonardo, che esalta il primato dell’uomo sulla natura, attribuendolo a Marx, gli ricordo quanto quest’ultimo scrisse:

“In primo luogo il lavoro è un processo che si svolge fra l’uomo e la natura, nel quale l’uomo per mezzo della propria azione, media, regola e controlla il ricambio organico fra se stesso e la natura: contrappone se stesso, quale una tra le potenze della natura, alla materialità della natura. Egli mette in moto le forze naturali appartenenti alla sua corporeità, braccia e gambe, mani e testa, per appropriarsi i materiali della natura, in forma usabile per la propria vita”. (Das Kapital vol. I, pag. 23 Marxismo ed ecologia).

Per Marx quindi l’uomo è uno tra le potenze della natura, composto di forze naturali (mani, braccia, testa) e media e regola, o quanto meno dovrebbe farlo, il ricambio organico tra se e la natura, tra l’io e il non-io avrebbe detto Fichte. Questa è la corretta impostazione del problema, non quella antropocentrica che dualisticamente separa l’uomo dalla natura e lo pone in contrasto con essa. Non c’è dubbio che Marx è un eco-centrico!  Con la c al posto della g.
Marx e la catastrofe
(14) Mazzei non si fa mancare nulla, e nel tentativo finale di fiaccare la mia critica, pensando di darle il colpo di grazia, estrae dal cilindro anche il presunto anti-catastrofismo della teoria di Marx. Così scrive:

“E’ teoricamente legittimo ritenere che il capitalismo sia destinato, motu proprio, a collassare su se stesso precipitando l’umanità in un’ecatombe universale. Non lo è affatto attribuire questa tesi a Marx. Sul quale a me pare più corretto sostenere semmai il contrario, ovvero che al cuore della sua concezione filosofica vi sia una teleologia progressiva della storia (di impronta hegeliana), per cui ineluttabile destino del contraddittorio sviluppo capitalistico sia il socialismo, con la classe operaia come soggetto deputato non solo a seppellire il capitale, ma a far da levatrice dell’avvenire socialista. Concezione che proprio la storia mi pare si sia incaricata di smentire, ponendo in questo modo un problema teorico di non poco conto alle forze rivoluzionarie”.

Mazzei stavolta evita di portare citazioni a conforto della sua tesi, per il semplice motivo che non ne esistono, mentre è vero il contrario, che ce ne sono molteplici a testimonianza del carattere si rivoluzionario ma anche catastrofista della teoria di Marx. I due attributi, come tutti possono capire, non sono affatto in antitesi, ma consustanziali. Infatti da cosa può emergere l’ineluttabilità di una rivoluzione se non da una altrettanto ineluttabile e propedeutica catastrofe?  Non voglio scomodare la teoria della caduta tendenziale del saggio di profitto che, pur se limitata da controtendenze, è destinata per Marx a imporsi nel lungo periodo e ad estinguere, in un processo sempre più distruttivo, le condizioni di valorizzazione del capitale.
Iniziamo dal Manifesto del partito comunista del 1848:

“…La storia di ogni società finora esistita è la storia di lotta di classi…una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta.” (18)  

Socialismo o barbarie, patria o muerte, questo dualismo attraversa come un refrain il pensiero rivoluzionario degli ultimi due secoli cominciando da Fourier passando per Marx, Kautsky, Rosa Luxemburg, Lenin Trotsky e per finire con Castoriadis che gli intitola pure

una rivista negli anni 50: Socialismo o Barbarie. Ma noi la barbarie non la vediamo più anche se ci scorre davanti agli occhi. E’ forse per questo siamo diventati meno socialisti e più integrati!?

Proseguo con le parole di Marx 10 anni dopo il Manifesto:

“…Non appena il massimo sviluppo delle forze produttive di una data formazione sociale è raggiunto, l’ulteriore sviluppo si presenta come decadenza, e il nuovo sviluppo comincia da una nuova base”. (19)

 “…Queste contraddizioni del capitale conducono a esplosioni, cataclismi, crisi in cui una momentanea sospensione del lavoro e la distruzione di gran parte del capitale riconducono violentemente quest’ultimo al punto da cui può nuovamente procedere…tuttavia queste catastrofi che ricorrono regolarmente, conducono alla loro ripetizione su scala più larga e infine al rovesciamento violento del capitale”. (20)  
… “Apres moi le deluge (dopo di me il diluvio) è il motto di ogni capitalista e di ogni nazione capitalista. Quindi il capitale non ha riguardi per la salute e la durata della vita dell’operaio, quando non sia costretto a tali riguardi dalla società”.  (21)
“…Sotto la proprietà privata capitalistica queste forze produttive non conoscono che uno sviluppo unilaterale, per la maggior parte diventano forze distruttive, e una quantità di tali forze non può trovare nel regime della proprietà privata alcuna applicazione”. (22)

Engels nell’Antiduhring:

“Fourier difronte alle chiacchiere sulla infinita perfettibilità umana, mette in rilievo il fatto che ogni fase storica ha il suo ramo ascendente ma anche il suo ramo discendente e applica questo modo anche al futuro di tutta l’umanità. Come Kant introdusse nella scienza naturale la futura distruzione della terra, così Fourier introduce nel pensiero storiografico la futura distruzione dell’umanità” (23) 

Più chiaro di così si muore. Ma siccome sono pignolo e strabordante ci ficco anche la teoria dell’immiserimento crescente del proletariato come conseguenza della legge assoluta dell’accumulazione capitalistica. Vi evito la citazione che potete trovare nel primo volume del capitale.
Antropocentrismo e sovranismo
(16)   Il percorso del ragionamento di Mazzei, sinuoso ed insinuante, configura una dimensione dell’essere umano come padrone e dominatore della natura matrigna, in contrasto radicale con gli ammonimenti di  Engels che ci ricorda: “noi non dominiamo la natura, noi le apparteniamo come carne e sangue e cervello, e viviamo nel suo grembo…” “Non aduliamoci troppo…la natura si vendica”.
Ma se il rischio dell’anticonformismo di Mazzei sta proprio nell’adularsi troppo come homo sapiens; allora temo che il suo concetto di sovranismo democratico mostri i vizi del suo antropocentrismo: un sovranismo antropocentrico, indifferente persino alle sorti del clima, prigioniero di una gabbia concettuale che flette il rapporto natura-uomo verso un dualismo servo-padrone. (25)
Un sovranismo limitato solo dalla democrazia degli umani e che fa di questi ultimi il sovrano difronte ad una natura vegetale ed animale totalmente suddita è dentro la metafisica occidentale che ha obliato l’essere. Come giustamente pensava Heidegger!

Se noi apparteniamo alla natura e viviamo nel suo grembo senza adularci, bisogna conferirle tutta la dignità che le spetta, a partire dalla riscrittura di tutti i codici. Sulla nostra costituzione dovremo scrivere: La sovranità non appartiene al popolo, ma

appartiene al popolo in armonia con la natura. La natura e gli animali non sono più oggetti ma soggetti come noi. Non sono mezzi ma fini da salvaguardare.

Come ci ricorda l’eco-comunista Marx non siamo i proprietari della terra ma solo i suoi usufruttuari e abbiamo il dovere di tramandarla migliorata, come boni patres familias, alle generazioni future.
La scrittura di Mazzei
(17) La scrittura di Mazzei, del prima affermare e poi negare, del detto e del non detto, della contraddizione logica, getta il lettore in un prostrante paralisi concettuale. Essa mi ricorda un certo sentenziare colto e dotto bertinottiano che decentrava il flusso discorsivo su questioni minime sindacali spostando sempre l’ineluttabile rottura nell’al di là, come fa il prete con il regno di Dio.  Si perde così il respiro anti sistemico scivolando verso una Weltanschauung  e un flusso semantico, un lessico sostanzialmente pompieristico, ammorbidente, come il Perlana.
La sua seduzione è nella magia di una analisi fatta di grafici che sembrano aumentare esponenzialmente la potenza analitica e di verita’, ma alla fine offuscano la vista persino del dato immediato. Mi ricorda gli economisti neoclassici che inzuppavano i loro libri di curve e di equazioni senza mai aver afferrato il concetto di crisi, o averne previsto le sue dinamiche.
Siamo in un universo simbolico lontano dell’Eschaton e Katechon cristiano-marxista e tutto interno ad una torsione togliattiana e crociana, della filosofia della prassi e del concetto di egemonia in Gramsci.   La distanza che Mazzei proclama e rimarca dalla sinistra-sinistrata non è poi così distante! E’ il suo controcanto spostato su contraddizioni che a lui sembrano più surdeterminanti (Euro-non euro, Nucleare non nucleare, Greta non Greta, globalismo-sovranismo)!  Non che queste non siano importanti ma non esauriscono l’universo concettuale di un rivoluzionario, e se assolutizzate lo comprimono e lo isteriliscono!

Rimuovendo il comunismo da ogni orizzonte e presentando la catastrofe come non mai imminente, Mazzei vuol rassicurarci che non c’è mai una fine per il politico, per la conquista dell’egemonia o per la sua simulazione. C’è una metamorfosi ininterrotta che si protrarrà nei secoli, un progresso lineare per la conquista del potere a colpi di egemonia e maggioranze parlamentari, con sollevazioni da supporto. La natura non suonerà mai la campana a morto per il sistema, che tutto sommato è “sostenibile” e catastrofico solo per rivoli… vita natural durante!

Ma se il capitalismo è, come scrive Mazzei, “un sistema estremamente dinamico”, e auto-risorgente, neanche l’uomo suonerà mai la sua campana a morto. Cedendo un po’ di diritti qua un po’ là, tassando un po’ qua un po’ là, trasferendo reddito da una parte all’altra della popolazione, mai il problema si porrà, non solo della sesta estinzione, ma dello “sterminio” del potere di classe e del capitalismo. L’uomo, come l’animale addomesticato, può amare le proprie catene senza mai spezzarle definitivamente!
La meta-narrazione di Mazzei è rassicurante, ma rassicurante per chi? Per un ceto medio che vive nelle cittadelle imperialiste, che piange bene nella sua valle di lacrime, che posticipa sempre a domani i drammi da risolvere oggi, che la catastrofe la vede sullo schermo tv…e al massimo brontola “poveretti quelli che la subiscono”!
In campo psicologico il discorso di Mazzei sul clima ci rimanda alla sfera del rimosso. Ma mentre il rimosso freudiano è il reprimere la pulsione per adeguarsi al sistema dominante dei valori, con ciò attivando il sintomo nevrotico, Mazzei rimuove il problema clima-catastrofe per cedere ad un desiderio legittimo di chi ha dedicato tutta la sua vita onestamente alla politica. E’ il desiderio della meta-narrazione politica che si protrae ad libitum, al di là delle generazioni e dei secoli. Ma questa meta-narrazione perde sempre di più il fascino dell’utopia, del non-luogo dell’emancipazione, per presentarsi infine come amministrazione dell’esistente. Di qui l’enfasi posta Trontianamente e Crocianamente sull’autonomia del politico, della politica elevata al di sopra di tutto, al di sopra della stessa filosofia.
E se la politica non fosse più nella politica, se essa si riducesse a simulazione, se la realtà stessa fosse uccisa dal virtuale  spalancando le porte all’altra catastrofe complementare a quella ambientale, la catastrofe dell’uomo ridotto a puro simulacro di se stesso, dell’uomo reso oramai antiquato dalla tecnica ? Si aprono scenari vertiginosi che noi umani non possiamo neanche immaginare e che ridurranno forse il vecchio modo di fare ed intendere la politica ad archeologia preindustriale.
“Se aneliamo ancora a un mondo senza padroni, cominciamo ad eliminare i loro servi, a partire da noi” (26). A partire dai nostri stili di vita con impronta ecologica insostenibile. A partire dalle nostre narrazioni fasulle che sono altrettanti puntelli ideologici del pensiero dominante…
Ho scritto queste pagine nella consapevolezza che non serviranno ad intaccare le granitiche certezze di Leonardo ma almeno a seminare il  dubbio socratico tra i nostri lettori. Nella speranza che esse non facciano la fine del poeta inglese J. Keats che ha scritto sulla sua tomba: “Qui giace uno il cui nome è stato scritto nell’acqua”

NOTE

(1)  Grande dizionario della lingua italiana Utet, 1971, pag. 873
(2) K. Marx introduzione a per la critica dell’economia politica. Il capitale vol. 2, Einaudi 1975, pag. 1140-1174
(3)  Fidel Castro, [Fidel Castro, Conferenza ONU su ecosistema e sviluppo, 12 giugno 1992]
F. Castro scrive: «Un’importante specie biologica corre il rischio di sparire per la rapida e progressiva liquidazione dalle sue condizioni naturali di vita: l’uomo.
Ora prendiamo coscienza di questo problema quando é quasi tardi per impedirlo. È necessario segnalare che le società consumistiche sono le fondamentali responsabili dell’atroce distruzione dell’ecosistema. Sono nate dalle antiche metropoli coloniali e dalle politiche imperiali che, a loro volta, hanno generato il ritardo e la povertà che oggi colpiscono l’immensa maggioranza dell’umanità. Con solo il 20% della popolazione mondiale, consumano i due terzi dei metalli ed i tre quarti dell’energia prodotte nel mondo. Hanno avvelenato i mari e i fiumi, hanno inquinato l’aria, hanno indebolito e perforato la cappa di ozono, hanno saturato l’atmosfera di gas che alterano le condizioni climatiche con effetti catastrofici che incominciamo già a soffrire. I boschi spariscono, i deserti si estendono, migliaia di milioni di tonnellate di terra fertile vanno ogni anno a fermare il mare. Numerose specie si estinguono. La pressione delle popolazioni e la povertà conducono a sforzi disperati per sopravvivere, anche a costo della natura. Non è possibile incolpare di questo i paesi del Terzo Mondo, colonie ieri, nazioni sfruttate e saccheggiate oggi da un ordine economico mondiale ingiusto. La soluzione non può essere impedire lo sviluppo di coloro che più ne hanno bisogno. La realtà è che tutto ciò che oggi contribuisce al sottosviluppo ed alla povertà costituisce una flagrante violazione dell’ecologia. Decine di milioni di uomini, donne e bambini muoiono ogni anno nel Terzo Mondo in conseguenza di questo, più che in ognuna delle due guerre mondiali. Lo scambio disuguale, il protezionismo ed il debito estero aggrediscono l’ecologia e propiziano la distruzione dell’ecosistema. Se si vuole salvare l’umanità da questa autodistruzione, bisogna distribuire meglio le ricchezze e le tecnologie disponibili sul pianeta. Meno lusso e meno sperpero in pochi paesi affinché si abbia meno povertà e meno fame su gran parte della Terra. Non più trasferimenti al Terzo Mondo di stili di vita ed abitudini di consumo che rovinano l’ecosistema. Rendiamo più razionale la vita umana. Applichiamo un ordine economico internazionale giusto. Utilizziamo tutta la scienza necessaria per uno sviluppo sostenuto senza inquinamento. Paghiamo il debito ecologico e non il debito estero. Scompaia la fame e non l’uomo. Quando le supposte minacce del comunismo sono sparite e non rimangono più pretesti per guerre fredde, corse agli armamenti e spese militari, che cosa impedisce di dedicare immediatamente queste risorse a promuovere lo sviluppo del Terzo Mondo e a combattere la minaccia di distruzione ecologica del pianeta? Cessino gli egoismi, cessino gli egemonismi, cessino l’insensibilità, l’irresponsabilità e l’inganno. Domani sarà troppo tardi per fare ciò che avremmo dovuto fare molto tempo fa».
(4)  Naomi Klein, Shock Politics, Feltrinelli 2017
(5) Noam Chomsky, Verso il precipizio, Irruzioni 2018
(6)  Luca Mercalli, Non c’è più tempo, Einaudi 2018 pag. 156
(8) N. Klein ibidem, pag. 91-92
(9) Marxismo ed ecologia, pag. 24
(10) Riane Eisler, Il calice e la spada, edizioni Rubettino
(11) Karl Marx Il capitale 3 VI.46, tratta dal libro Marxismo ed ecologia a cura di Tiziano Bagarolo, Nuove edizioni internazionali, pag. 3
(12)  ibidem pag. 30
(13)  ibidem pag. 30
(14)  F. Engels, Dialettica della natura, da Marxismo ed ecologia   pag. 39
(15)  K.Marx, Grundrisse vol. I pag. 528-529, Einaudi 1976
(16)   F. Engels, Dialettica della natura, in Marxismo ed ecologia pag. 39
(17)  K. Marx, lettera a F. Engels del 25 marzo 1868. Ibidem pag. 34
(18)  K. Marx Manifesto del partito comunista, Opere complete, Editori Riuniti, vol. 6, pag. 486
(19) K. Marx, Grundrisse, Einaudi 1976, vol. 1 pag. 529
(20)  K. Marx, Grundrisse, ibidem vol. 2 pag. 770
(21)  K.Marx Il capitale, vol. 1,
(22)  K.Marx e F. Engels, L’ideologia tedesca, in Marxismo ed ecologia op. cit.  pag. 20
(23)  F. Engels, Antiduhring, in Marxismo ed ecologia, opera cit. pag. 35
(24)
(25) A questo proposito mi  sembra corretto riportare il commento di Rosso e Nera in calce al mio primo studio sul clima: “E’ corretto dire che invece le teorie di Mazzei vanno d’accordissimo con uno pseudo naturalismo sovranista di destra: lo Stato, detentore del monopolio della violenza, del controllo, di ogni bene presente nella sua regione di influenza del globo (un Sovrano del periodo monarchico assolutista quasi), non deve essere limitato dalla sua libera e sovrana potenza da alcuna forza esterna (che sia il proletariato, una borghesia dalla coscienza verde, o i padroni transazionali della finanza) nella sua libera espressione di dominio in quanto espressione del popolo tutto costituito in soggetto collettivo.
Come ogni negazionismo, Mazzei ha bisogno del paradosso di alcuni sostenitori della tesi affermativa per suggestionare l’interlocutore: così come i neo-nazisti negano l’esistenza delle camere a gas perché Israele fa una politica imperialista, così Mazzei nega l’esistenza dei cambiamenti climatici perché il gretinismo ambientalista è evidentemente un’operazione mediatica prodotta a tavolino.
(26) V. I. Lenin, Sull’orgoglio nazionale dei grandi russi, 12 dicembre 1914



CLIMA 6: CATASTROFISMO E SOCIALISMO di Leonardo Mazzei

[ 6 maggio 2019]

Marxismo ed ecologia, “neutralità” della scienza, rapporto uomo natura, catastrofismo e socialismo. Avrei voluto trattare queste ed altre questioni più avanti, ma la critica di Mauro Pasquinelli a quanto sin qui scritto, mi spinge ad anticipare questi temi. L’intervento di Mauro —che ringrazio per l’attenzione prestata — è estremamente utile, dato che esprime chiaramente quello che è il comune sentire a sinistra. Un confronto è dunque necessario.


I precedenti interventi sul cosiddetto “riscaldamento globale” — Clima 1 – E se fosse la lobby nucleare? (18 marzo 2019). Clima 2 – Quelli che non se la bevono(25 marzo 2019). Clima 3 – Nessuna catastrofe in vista (1 aprile 2019). Clima 4 – La bufala dell’aumento degli “eventi estremi” (11 aprile 2019). Clima 5 – Tutta colpa della CO2?(26 aprile)

*  *  *
Naturalmente per confrontarsi bisogna pure ascoltarsi. E ci si ascolta meglio se, al di là delle opinioni di partenza che inevitabilmente ci condizionano, si è mossi dal desiderio di capire come stanno realmente le cose, qual è la verità. Purché lo si pratichi avendo ben presenti tanto i limiti oggettivi, quanto – ahimè – quelli soggettivi, cercare la verità resta sempre il migliore dei metodi.
Ad ogni modo – e senza alcuna ridicola presunzione – non credo che questa ricerca vada lasciata ai soli scienziati. Altro non fosse perché sappiamo, da una vita ormai, che la scienza non è affatto neutrale. E se questo è vero in generale, figuriamoci su una questione dalle enormi ricadute economiche e politiche come quella dei “cambiamenti climatici”.
 
Prima di iniziare vorrei comunque “rassicurare” Mauro. Nessuno di noi sottovaluta la questione ambientale. Né sottovaluta la sua natura sistemica. E’ proprio l’esatto contrario: proprio perché riteniamo che essa sia parte essenziale della catastrofe sociale prodotta dal capitalismo, specie nella sua attuale fase neoliberista, pensiamo che sia necessario elaborare una visione autonoma all’altezza dei tempi. Il che richiede, fra le altre cose, una capacità di lettura e di critica radicale di ogni narrazione sistemica, in modo da non cadere nella trappola dei dominanti, che vorrebbero sul banco degli imputati non il loro sistema, bensì l’umanità intera in maniera indistinta.

 

Innanzitutto quattro cose
Prima di andare ai nodi di fondo posti da Mauro, mi pare giusto segnalare come nel suo articolo vi siano alcuni dati completamente sbagliati, diverse inesattezze su quanto da me scritto, una discreta confusione sullo “stato del pianeta”, un eloquente silenzio su alcune decisive questioni.
Gli errori
Gli errori sono a mio avviso parecchi, ma ne segnalo tre piuttosto evidenti. Il primo: secondo Mauro «sappiamo che dalla rivoluzione industriale ad oggi (la temperatura) è cresciuta di circa due gradi». Non è così. Secondo tutti i principali studi sulla materia, di certo secondo i dati generalmente assunti come ufficiali (vedi qui la NASA), questo aumento è stato di 0,8 °C. Non poco, ma solo il 40% dei 2 °C pretesi… Del resto, se così non fosse, se davvero fossimo cioè arrivati ai 2 °C di aumento, che senso avrebbero gli obiettivi indicati dall’Accordo di Parigi del 2015, che prevedono di «mantenere l’aumento medio della temperatura mondiale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali come obiettivo a lungo termine»… puntando comunque a «limitare l’aumento a 1,5 °C»?
 
C’è poi un secondo errore, dato che non è affatto vero che «tutte le proiezioni indichino un aumento della temperatura di 4 °C da qui a 100 anni». Ed ancor meno vero è che tali proiezioni sarebbero condivise «sia dai serristi che dai negazionisti». E’ vero invece, e questo può aver generato l’errore, che l’IPCC ha sfornato per anni proiezioni al 2100 con dei range assurdi. Ad esempio, nel 2001 l’aumento previsto al 2100 andava da 1,4 a 5,8 °C in più rispetto alla temperatura del periodo pre-industriale, ma già nel 2007 la “previsione” veniva corretta con un range di aumento tra 1,8 e 4 C°. Questi range hanno una chiara funzione, quella di consentire alla stampa di spararne di tutti i colori, assumendo sempre come buona l’ipotesi massima e non specificando mai che il dato base è quello del 1860. Del resto, più si alza la temperatura e più si fa notizia… Sta di fatto, però, che negli ultimi anni, probabilmente perché i suoi catastrofistici modelli previsionali vengono sempre smentiti dalla realtà, lo stesso IPCC è stato costretto ad una maggior prudenza in materia. Mentre vere previsioni “ufficiali” al 2100 non se ne sparano più, la soglia della catastrofe è adesso spostata ad un aumento di 2 °C dal periodo preindustriale. Ma quanto valgono poi queste previsioni? Nel 2014 il Rapporto IPCC AR5 prevedeva che si sarebbe raggiunta la soglia di 1,5 °C di aumento nel 2020. Adesso – vedi il punto A.1 della Relazione speciale 2018 – l’IPCC rivede la sua previsione (e son passati solo quattro anni!) ritenendo “probabile” che quell’aumento venga raggiunto tra il 2030 ed il 2052. Insomma, prima la catastrofe diventa una semi-catastrofe, poi siccome neppure questa arriva, la si sposta decisamente più avanti nel tempo. Un modo di procedere che ricorda tanto l’annuncio della Fine del Mondo tipico delle sette millenariste. 
 
Un terzo errore riguarda l’alternanza tra glaciazioni e fasi interglaciali. Qui la tesi di Mauro è racchiusa in una polemica domanda che mi rivolge. Dato che – egli dice – siamo in una fase interglaciale che dovrà sfociare inevitabilmente in una nuova glaciazione tra qualche millennio, come si spiega la tendenza al rialzo della temperatura degli ultimi duemila anni? A parte il fatto che esistono studi (vedi le figure 9 e 10 del terzo articolo) che, nell’alternanza di fasi fredde e fasi calde (tra cui l’attuale) mostrano comunque una tendenza generale al raffreddamento negli ultimi millenni (ed anche negli ultimi duemila anni), qui l’errore più grave è un altro.

Glaciazioni e fasi interglaciali negli ultimi 450mila anni

Come si può vedere dalla figura sopra, che riporta dati degli ultimi 450mila anni (sempre ottenuti con le famose carote di ghiaccio), non solo la durata dei periodi tra una glaciazione e l’altra è piuttosto variabile, ma il picco di temperatura della nostra fase interglaciale è di 1-2  gradi più basso rispetto alle fasi interglaciali precedenti. Nessuno può dunque asserire che oggi – non ci fosse la maledetta CO2 e soprattutto il maledettissimo uomo – si andrebbe dritti come fusi verso «una nuova glaciazione tra qualche migliaio di anni». Questa tesi è davvero forzata e la domanda di Mauro decisamente mal posta.
Le inesattezze
Anche le inesattezze su quanto da me effettivamente sostenuto sono diverse, ma non è il caso di essere troppo formali. Avviene sempre così quando c’è la giusta passione per le proprie convinzioni, e capiterà di sicuro anche a me di forzare questo o quell’aspetto. C’è però nel testo in oggetto un’inesattezza che è impossibile passare sotto silenzio.
 
Scrive infatti Mauro che: «Mazzei, nel suo conteggio, ha inserito solo la CO2 e non ha incluso (surrettiziamente forse?) la crescita degli altri gas serra come metano e ossido di azoto, presenti in natura, ma la cui concentrazione è salita sensibilmente negli ultimi 200 anni». Ora, come chiunque può facilmente verificare leggendo il mio quinto articolo, questo è semplicemente falso. Nella prima parte del calcolo ho considerato solo la CO2 (perché questa è l’ossessione mainstream), poi ho inserito — fra l’altro sovrastimandoli per scelta — tutti gli altri gas serra, tra i quali ovviamente il metano. Penso che questa inesattezza di Mauro sia dovuta solo ad una distrazione. Bastava leggere con un minimo di attenzione e perlomeno non mi si sarebbe accusato di barare con i dati. 
Un’incredibile confusione
Volendo sostenere l’attualità della catastrofe Mauro scrive: 

«Nel novecento abbiamo sfiorato tre volte la discesa verso gli inferi, nella prima e nella seconda guerra mondiale, ma soprattutto nella guerra fredda che ci ha portato ad un passo dalla catastrofe nucleare (Cernobyl, guerra di Corea, crisi dei missili a Cuba) ed ancora oggi è dislocato nel mondo un potenziale nucleare che potrebbe distruggere Gaia almeno 10 volte! 1 miliardo di persone vive sotto la soglia della sopravvivenza. Milioni di civili uccisi nelle ultime guerre dal 1991 ad oggi. Centinaia di migliaia di profughi e sfollati. Desertificazione e inquinamento che avanza. Centinaia di migliaia di specie di animali e vegetali si sono estinte per “cause antropiche”. 9 milioni di persone morte per malattie legate all’inquinamento nell’ultimo anno (dati Oms)».

Lasciando qui perdere alcune questioni di dettaglio, tutto vero! Vere le guerre, la povertà, l’incubo nucleare, l’inquinamento ed i suoi terribili effetti. Tutto vero, ma che c’azzecca tutto ciò con i “cambiamenti climatici”? Non dovremmo invece chiamare in causa per tutto questo il capitalismo e l’imperialismo? Che forse senza “cambiamenti climatici” questa inseparabile coppia di criminali sarebbe più mite e compassionevole?
 
So che su questo Mauro sarebbe d’accordo con me. Ma sta di fatto che, in maniera evidentemente del tutto involontaria, egli finisce per darmi ragione anche laddove vorrebbe darmi torto. Se l’elenco delle tragedie elencate coincide con i più tipici misfatti del capitalismo e dell’imperialismo, è evidente che quella del clima è più che altro una catastrofe immaginaria della quale non si riesce in effetti a portare prova alcuna. 
 
E dico questo perché anche sulla desertificazione ci sarebbe da discutere, visto che questo processo – che non è tuttavia globale come si vorrebbe far credere – ha come prime responsabili le multinazionali che hanno imposto alle popolazioni locali metodologie e tipologie di coltivazioni diverse da quelle tradizionali. Ancora una volta il profitto, non il clima, è il vero motore del problema.   
Un eloquente silenzio
Mauro si dice basito perché: «proprio nel punto più alto della crisi di civiltà di questo sistema, della contraddizione epocale capitalismo natura, Mazzei ci ricorda: attenzione non c’è nessuna catastrofe in corso!». E chi ha detto questo? La catastrofe sociale del capitalismo reale c’è ed è evidente, così pure l’accentuarsi della sua contraddizione con la natura e l’ambiente. Il cuore di questa insanabile contraddizione sta nel fatto che mentre quello capitalistico è un sistema che non si reggerebbe in piedi senza una crescita all’infinito, le risorse del pianeta sono per definizione finite. Questa opposizione tra finito ed infinito non ha soluzione, anche se da qui ad immaginarsi che il decisivo cataclisma sia dietro l’angolo ce ne corre.
 
Ad ogni modo, nessun problema. Quando ho deciso di occuparmi dei “cambiamenti climatici”, cioè del principale tabù religioso della nostra epoca, sapevo benissimo che me ne avrebbero dette di tutti i colori, compresa ovviamente l’accusa di fare il gioco del capitalismo. Sul punto la mia tesi è naturalmente del tutto opposta: fa il gioco del sistema chi accetta la narrazione dominante sul clima, dato che essa ha il compito di colpevolizzare l’intero genere umano, per assolvere il sistema e le oligarchie che ne occupano il vertice.
 
A questo proposito sono io a fare una domanda a Mauro: come mai non dice nulla sull’assordante campagna delle forze sistemiche, tutto raccolte a sostenere all’unisono la teoria dominante dei “cambiamenti climatici”? E’ un fatto di cui ci siamo accorti solo noi? Ma se non è così, si pensa forse che questa campagna sia sincera, disinteressata, mossa da vero amore per le sorti dell’umanità? Questa sì che sarebbe una notizia!
 
C’è poi un’altro silenzio: come mai nessuna delle argomentazioni che ho portato sui piatti forti della teoria dell’AGW – temperature, livello dei mari, eventi estremi – è stata minimamente presa in considerazione? Ho forse scritto delle stupidaggini così grosse? O non sarà che quegli argomenti sono solidi assai? Perché non si dice nulla, ad esempio, sulla questione degli eventi estremi, dove mi sembra di aver dimostrato che non solo non vi è un aumento (né una maggiore intensità), mentre è semmai vero il contrario?  
 
Ecco, questo silenzio sui concreti dati di fatto a me sembra assai più eloquente delle critiche che vengono espresse. 
Alcuni nodi di fondo
Dopo queste risposte ad alcuni specifici passaggi dell’articolo di Mauro Pasquinelli, mi pare doveroso provare a sintetizzare per punti quelli che sono a mio avviso i nodi fondamentali. Nodi che, come ho detto in premessa, avrei voluto affrontare nell’articolo conclusivo di questa serie, ma che invece anticipo qui. Da questo punto in avanti il riferimento all’intervento di Mauro è in un certo senso strumentale, dato che le problematiche in ballo vanno ben oltre il suo scritto, che rimane però un’utile “memoria” dei temi e dei concetti che proverò ad affrontare.
1. Marx 
Mauro inizia la confutazione di quanto da me scritto sul clima tirando in ballo Marx. Egli non solo afferma che Marx sarebbe stato un “ecologista ante-litteram”, ma sostiene in modo lapidario che «Chi non vede nella teoria marxista questa vena crollista e catastrofista è meglio che lasci perdere e si dedichi ad altre letture!».
Due proposizioni francamente molto discutibili. Se in generale occorre essere molto prudenti a leggere il passato con le lenti del presente, ciò vale a maggior ragione per Marx. Egli, infatti — in opposizione tanto agli economisti borghesi, che ai filosofi idealisti — ha sempre teso a storicizzare i diversi fenomeni sociali e più in generale umani, compresi quelli che appaiono volteggiare nella stratosfera metafisica.
E’ teoricamente legittimo ritenere che il capitalismo sia destinato, motu proprio, a collassare su se stesso precipitando l’umanità in un’ecatombe universale. Non lo è affatto attribuire questa tesi a Marx. Sul quale a me pare più corretto sostenere semmai il contrario, ovvero che al cuore della sua concezione filosofica vi sia una teleologia progressiva della storia (di impronta hegeliana), per cui ineluttabile destino del contraddittorio sviluppo capitalistico sia il socialismo, con la classe operaia come soggetto deputato non solo a seppellire il capitale, ma a far da levatrice dell’avvenire socialista. Concezione che proprio la storia mi pare si sia incaricata di smentire, ponendo in questo modo un problema teorico di non poco conto alle forze rivoluzionarie.
 
Chi mi critica afferma poi che Marx sarebbe stato un “ecologista ante-litteram”. Ahimè, questa asserzione è falsa. Certo non mancano nel Capitale, come in altri scritti, le note in cui Marx denuncia i danni prodotti dallo sviluppo dissennato dell’industria capitalistica non solo all’ambiente (aria e acqua), ma alla salute, anzitutto quella degli operai. Ma basta questo a farlo passare per “ecologista”? No, non basta. 
 
Diversi sono i passi nel Capitale — ma il primo lo troviamo già in Miseria della filosofia (la nota durissima critica a Proudhon) — in cui Marx afferma che per aria e acqua non vale la regola della scarsità: «dall’appropriazione di acqua e aria non deriva un danno per nessuno perché ne resta sempre abbastanza, essendo esse illimitate». Oggi non solo sappiamo che acqua e aria non sono risorse illimitate, ma conosciamo le leggi della termodinamica e dell’entropia, che Marx evidentemente non prese in considerazione. La qual cosa non è certo una colpa per un uomo della sua epoca, anche perché Rudolf Clausius introdusse il concetto di entropia nel 1864. 
 
Volendo potremmo tediare il lettore con una serie sterminata di citazioni che ci farebbero apparire Marx come un portabandiera, non solo del massimo sviluppo delle forze produttive, ma dei processi di industrializzazione e modernizzazione, che egli considerava la conditio sine qua non del progresso e dell’emancipazione sociale. Oggi, solo oggi, sappiamo che non è così.
 
A questo punto mi si potrebbe dire che al contempo Marx ebbe modo di mettere in guardia — ad esempio ne L’ideologia tedesca — che sotto la guida del capitale le forze produttive potevano diventare forze distruttive. Vero. Ma allora smettiamo una buona volta di tirare Marx per la giacca, di farlo passare per profeta che tutto aveva previsto, e vediamo finalmente di camminare sulle nostre gambe, se ne siamo davvero capaci.
 
E’ vero, poi, che Marx considerava (giustamente) la natura come madre di ogni ricchezza. Tuttavia, egli era ben lungi dal divinizzarla come fa un certo ecologismo. Anche qui potremmo ricorrere a varie citazioni, ma lo evitiamo. Quel che non possiamo dimenticare è che Marx  sottolineava — di contro a certi naturalisti idealisti, in questo caso sì ante litteram — che, salvo le zone ancora incontaminate e selvagge, la natura reale con cui abbiamo a che fare, è da millenni una natura antropomorfizzata, umanizzata, trasformata dall’impronta che l’uomo gli ha indelebilmente impresso. Inutile dirlo, Marx non solo non condannava quest’opera di trasformazione della natura, ma la considerava la vera e propria cifra della grandezza umana. Niente a che fare quindi col pessimismo antropologico che unisce le sette protestanti ai nichilisti di ogni tipo, passando per certo ecologismo francamente reazionario.
2. La scienza 
Inopinatamente, mi ritrovo ad essere accusato di scientismo. Questo semplicemente perché ho provato ad affrontare il tema dei “cambiamenti climatici” prendendolo sul serio. In realtà, non credo affatto che l’unico vero sapere sia quello scientifico, ma non penso ci si possa confrontare con una teoria come quella dell’AGW, senza provare ad entrare nel merito dei suoi principali “piatti forti”.
 
In ogni caso quest’accusa è oltremodo curiosa, dato che la scienza ufficiale è tutta schierata sulla teoria dei “cambiamenti climatici”. Eppure, quelli come Mauro sembrano non rendersene conto. Lasciamo perdere Greta ed il circo mediatico che le fa da contorno. Quel che qui deve interessarci, perché è questo il vero fatto politico-culturale che conta, è che tutto l’ambientalismo di sinistra più o meno tradizionale si beve fino all’ultima goccia la narrazione dominante sul clima. Nessun dubbio, nessun rilievo, nessuna aggiunta: tutti insieme per la salvezza del pianeta! (Tra parentesi: che se così fosse non si capisce davvero perché non dovrebbe “salvarsi”).
 
Questa cosa è assai intrigante. Gli stessi ambienti che non esitano a mettere in discussione altre “verità” scientifiche, dalla bontà dei vaccini a quella dell’energia atomica, nulla hanno da dire sulla teoria dell’AGW nonostante le sue evidentissime falle. Ma non solo non hanno nulla da dire, pretenderebbero anche che nessun altro lo facesse. Che se lo fa è un “negazionista”. Un impressionante totalitarismo del pensiero che dovrebbe far riflettere.
Che la scienza non sia neutrale è persino fastidioso doverlo ripetere. Che in gioco siano enormi interessi pure. Restando al caso del clima, cos’è poi l’IPCC (dai cui studi, dati e tabelle tutto si muove) se non un autentico caso da manuale di una scienza asservita al potere politico ed economico?
Tratterò quest’ultimo tema nel prossimo articolo, ma quel che è certo è che non c’è motivo alcuno di rinunciare alla critica. Angelo Baracca, un fisico da sempre schierato con le battaglie ambientaliste, ha voluto scrivere su questo una “Lettera aperta di uno scienziato ai giovani di Fridays For Future“. Baracca, pur non contestando la teoria dell’AGW, ha voluto in qualche modo mettere in guardia da un atteggiamento acritico rispetto ad essa.
Questo un passaggio della lettera:

 

«Io tuttavia nella mia attività scientifica, e nel mio impegno sociale, ambientale e pacifista (due cose che non ho mai separato) mi sono trovato in moltissime occasioni a contrappormi alla grande maggioranza dei miei colleghi. Da quando ho imboccato la professione scientifica ho sempre contestato che la Scienza sia neutrale rispetto alle condizioni sociali, economiche, culturali — rispetto al potere tout court (del resto, metà degli scienziati lavorano per la guerra) — e ho criticato, in termini concreti, il concetto di una oggettività intrinseca, o di verità assolute. Porto un esempio molto concreto, che ho vissuto in prima persona. Se negli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso si fossero seguiti i pareri prevalenti degli scienziati e ingegneri, in Italia avremmo ancora programmi nucleari attivi. Il referendum del 1987 che di fatto chiuse i programmi nucleari italiani fu vinto a dispetto dei pareri che dominavano fra gli scienziati».

Dunque, egli ci dice, poiché la scienza non è neutrale, bisogna sempre diffidare del concetto di una “oggettività intrinseca” e delle verità assolute. Cose che dovrebbero essere scontate in certi ambienti. Dovrebbero, ma non lo sono.
3. Uomo e natura
Il tema del rapporto dialettico tra uomo e natura è vecchio quanto il pensiero umano, ed è indiscutibilmente complesso. Nella teoria dell’AGW, ma ancor più nella sua volgarizzazione di sinistra, esso si presenta invece nei termini netti della contrapposizione tra il Bene e il Male, laddove il Bene è la natura ed il Male l’uomo.
 
So di aver tagliato le cose con l’accetta, ma talvolta è necessario per cogliere l’essenza di una cosa. Ovviamente l’uomo fa parte della natura, il che rende un po’ ardua una simile concezione. E difatti nessuno si esprimerebbe in pubblico nei termini che provocatoriamente ho scelto, ma penso che il succo del problema sia esattamente questo.
 
Ma se l’uomo è un tassello della natura, cos’è in effetti quest’ultima? Volendo stare al tema, qual è la natura che vogliamo (giustamente) conservare? E quanto è “naturale” questa natura? Non c’è qui divagazione alcuna, dato che sfido chiunque a dire quale dovrebbe essere la temperatura media “naturale”, l’altezza dei mari “naturale”, il “naturale” regime delle piogge, eccetera. Potremmo forse fare un’eccezione per la CO2, anche se pure quest’ultima in epoche passate si è naturalmente elevata a livelli dieci volte quelli attuali.
 
In realtà, chiunque fosse davvero chiamato a poter decidere sui valori di cui sopra, avrebbe come principale riferimento non un’astratta natura, bensì quella piccolissima quota della biomassa (di cui rappresenta in termini di peso solo lo 0,01%) denominata “genere umano”. Questa è la realtà, anche se da un punto di vista “democratico” tutto ciò può apparire sommamente ingiusto, dato che non solo i vegetali rappresentano l’82% del totale, ma pure i batteri hanno un 13%. Insomma, Silvio non se ne dispiaccia, ma son comunque sopra le percentuali di Forza Italia!
 
Scherzi a parte, l’idea di scindere e contrapporre uomo e natura è folle assai. Non solo perché l’uomo fa parte della natura, ma perché quest’ultima è decisamente antropizzata da ben prima che muovesse i primi passi la rivoluzione industriale. L’agricoltura, l’allevamento, la regimazione delle acque, le bonifiche, le antiche reti di comunicazione, le abitazioni e le città: l’uomo interagisce profondamente (e non sempre negativamente, diciamolo) con la natura ormai da diversi millenni. Giusto per fare un esempio, la prima emissione antropica di un gas serra come il metano è quasi certamente riconducibile alle prime coltivazioni di riso, iniziate nell’attuale Cina meridionale circa 7mila anni fa.
 
Certo, il salto di qualità che ha avuto luogo con la rivoluzione industriale e con il capitalismo non è neppure paragonabile a quanto avvenuto prima. Ma resta il fatto che la natura del 6mila a.C. non era quella dell’anno zero, che a sua volta era diversa da quella dell’anno mille, eccetera, eccetera. Poi, per giunta — qui tutto si muove — oltre all’uomo, la “natura naturale” ci ha sempre messo del suo. Pensiamo, ad esempio, al catastrofico cambiamento naturale avvenuto solo 7.500 anni fa quando le acque del Mediterraneo, attraverso il Mar di Marmara, sfondarono verso quello che fino ad allora era un lago 120 metri più basso, che diventerà in quel modo l’attuale Mar Nero. Un’immane cataclisma per le popolazioni rivierasche che lì risiedevano, mentre ad oggi non risulta neppure una sola persona sfollata per il tanto temuto innalzamento dei mari di natura antropica.
 
C’è poi un altro punto decisamente spiacevole. Non diversamente dalla natura umana, pure quella extra-umana ha aspetti buoni come cattivi. Diceva Costanzo Preve (vado a memoria, ma il succo è questo), che “per comprendere che la natura non è di per sé buona basta guardare negli occhi i bambini ricoverati in un reparto di oncologia infantile”.
 
E, visto che si parla di malattie, come non notare che se volessimo ripristinare un ipotetico stato di natura, una delle prime cose da fare sarebbe certamente l’abolizione con decretazione d’urgenza dell’intera medicina? Attenzione dunque alle semplificazioni, attenzione alle visioni manichee, attenzione alla criminalizzazione del genere umano in quanto tale.
 
Tutto questo, ma si potrebbe continuare a lungo, ci dice essenzialmente alcune cose: che l’equilibrio fra uomo e natura va effettivamente cercato per tutelare al meglio le condizioni che consentono la vita; che dunque il capitalismo (incompatibile con la natura per la sua voracità che lo obbliga alla crescita infinita) va superato; che il nuovo equilibrio, pur se superiore all’attuale, mai potrà essere perfetto sia per la contraddittorietà della natura umana, che per le tanti variabili in gioco in quella extra-umana. 
4. La questione dell’antropocentrismo
Strettamente connesso al punto precedente, veniamo adesso al tema dell’antropocentrismo. Mi soffermo su questa questione per segnalare un curioso paradosso. Quando, quaranta-cinquanta anni fa, la cultura ecologista cominciò ad uscire dalla ristretta nicchia dov’era fin lì confinata, uno dei suoi temi cardine era appunto la critica dell’antropocentrismo, l’idea che in nome della natura l’uomo dovesse liberarsi da una concezione (religiosa, ma non solo) che lo vuole in sostanza come il padrone (o quantomeno il gestore designato) della Terra.
Non entro qui in quella discussione. Quel che è però difficile non vedere oggi, sempre in merito alla questione del clima, è come questa opposizione all’antropocentrismo mentre si è da un lato incattivita, dall’altro ha finito per rovesciarsi in una sorta di antropocentrismo al cubo. Attribuire all’uomo ogni responsabilità sulle cose della natura, ritenere che solo esso possa in qualche modo “rimettere le cose a posto“: non è forse questa una forma estrema di quell’antropocentrismo che pure si vorrebbe combattere? Uno svilimento davvero vile di quella natura che si vorrebbe mettere al centro di tutto?
Il punto qui è semplice: se vogliamo impostare correttamente il rapporto tra uomo e natura, bisogna sì tener presente la forza (spesso distruttiva: nucleare, inquinamento, sfruttamento selvaggio delle risorse, eccetera) dell’uomo; ma al tempo stesso bisogna avere chiaro qual è la forza, talvolta ancora più potente, della natura.
 
Innumerevoli sono i fattori naturali, interni ed esterni, che influenzano il clima del pianeta, qualche volta modificandolo drasticamente. Tra quelli esterni, abbiamo più volte parlato del Sole, con riferimento alle macchie solari ed alle variazioni del suo campo magnetico. Ma, per fortuna raramente assai, sappiamo bene quale può essere l’effetto devastante dell’impatto di grandi meteoriti. Tra i fattori interni è certo il ruolo fondamentale delle periodiche variazioni orbitali della Terra, ma dobbiamo anche considerare l’attività vulcanica, come pure il mutevole meccanismo delle correnti oceaniche.
 
Tutte forze enormi, tutte in servizio permanente effettivo, anche se fortunatamente alcune di queste si manifestano in intervalli di tempo molto grandi. Giusto per fare un esempio, tra 70mila e 75mila anni fa l’uomo si trovò a far fronte allo scherzetto dell’esplosione del vulcano Toba, nella parte settentrionale dell’isola di Sumatra. L’effetto sull’atmosfera e sul clima fu così devastante che secondo alcuni la specie umana venne ridotta ad alcune migliaia di individui sull’intero pianeta.
 
Come si vede, anche la natura sa fare i suoi danni! Almeno questo cerchiamo di ricordarcelo sempre. Già, si dirà, ma al momento non dobbiamo fare i conti con qualche Toba, la variazione dell’orbita del pianeta dovrebbe essere lontana, e in quanto ai meteoriti nulla sappiamo: perché parlare allora di sconvolgimenti così lontani da noi e dalle nostre attuali emergenze?
 
Ecco, questo modo di ragionare vorrebbe portarci ad immaginare una natura almeno temporaneamente pacificata, fondamentalmente stabile, che solo la “bestia” umana può alterare e sconvolgere. Purtroppo le cose non sono andate così neppure nell’attuale periodo olocenico, nel quale periodi più caldi e più freddi, più secchi e più piovosi, si sono continuamente alternati. Talvolta, specie con le siccità, risultando assai importanti, se non addirittura decisivi per il declino e la fine di alcune civiltà: dall’Egitto alla Mesopotamia, da Micene e dal regno degli Ittiti ai Maya. Ma se il regime delle piogge è sempre stato più importante dell’andamento termico (cosa di cui sarebbe bene ricordarsi anche oggi), pure le basse temperature della Piccola Era Glaciale risultarono assai sconvolgenti soprattutto per le società del Nord Europa. 
 
Per chi fosse interessato, un bel campionario di esempi di questo tipo — tutti in epoca olocenica a “CO2 fissa” — lo si può trovare in Storia culturale del Clima di Wolfgang Behringer, uno studioso certo non pregiudizialmente contrario alla teoria del “global warming“. Una lettura assai istruttiva per tutti coloro che immaginano (come nel caso di Mauro) un equilibrio naturale così perfetto che basterebbe “il battito delle ali di una farfalla” per innescare i più grandi cataclismi planetari.
5. Chi dissente è di “destra”?
Quasi alla fine del suo scritto, Mauro tira fuori quella che vorrebbe essere l’arma decisiva: «Potrei portare a supporto delle mie tesi lo sconveniente: tutta la maleodorante destra sovranista mondiale da Trump ad Afd tedesca sostiene le tesi negazioniste. Marine le Pen addirittura scrive “La teoria del riscaldamento globale è un complotto comunista”». Che dire? Non mi dedico agli scritti della Le Pen, ma le cose stanno effettivamente così. E allora? Quali lezioni dovremmo trarre da tutto ciò? 
 
Il fatto è che il problema non è a destra, è a sinistra. A destra vi è un po’ di tutto: c’è una maggioranza che aderisce alla teoria dominante (esattamente come a sinistra), c’è chi invece la guarda con maggior scetticismo, c’è chi la combatte in virtù di una visione ultra-industrialista ed anti-ecologica, e c’è pure chi la contrasta in nome della propria visione religiosa. A sinistra invece cosa c’è, se non un branco di pecore in attesa della Fine dei Tempi
 
Il tentativo che stiamo facendo non intende affermare una verità assoluta di cui non disponiamo. Esso vorrebbe invece aprire un dibattito anche a sinistra. Cioè nel luogo dove un tempo il pensiero critico albergava. Dove oggi, viceversa, tirar fuori un’idea degna di questo nome è un’impresa quasi disperata. E’ evidente, infatti, come anche in materia di clima il “politicamente corretto” faccia le sue vittime h24, 365 giorni all’anno. La prova provata che sia proprio così sta nell’uso del termine “negazionista”, come se dire di no, o anche solo mettere in dubbio parti della narrazione dominante, fosse un reato da punirsi con l’ostracizzazione immediata. 
 
Premesso che prima di parlare di destra e sinistra, bisognerebbe sempre chiedersi da che parte stanno i dominanti — e sappiamo bene come essi sostengano al gran completo la teoria dell’AGW, la qual cosa non crea però alcun disturbo neppure nella sinistra più estrema — accusarci di stare in compagnia delle tesi della destra è il miglior servizio che si possa rendere a lorsignori.
 
La verità è che la nostra critica, proprio perché non è di destra, proprio perché è anticapitalista, proprio perché è antioligarchica, proprio perché mira a svelare certi interessi, proprio perché vorrebbe arrivare ad una critica ambientalista della teoria dell’AGW, spiazza più di ogni altra cosa le pigre certezze di chi scambia l’IPCC per la nuova Internazionale e Greta Thunberg per una guerrigliera rivoluzionaria del nuovo millennio.
6. Il catastrofismo è un trucco, pardon una “strategia comunicativa” (per gentile ammissione di Luca Mercalli) 
Le catastrofi fanno parte del nostro mondo. Avvengono di continuo e ne capitano di tutti i tipi. Ma il catastrofismo non è la razionale messa nel conto della loro possibilità/probabilità. Esso è invece la spettacolarizzazione di ogni fenomeno, che abbina con tecnica sopraffina l’enfatizzazione dell’evento alla scomparsa di ogni riflessione sulle sue cause e sulla sua portata. Che nella società dello spettacolo un simile meccanismo funzioni alla perfezione è perfino ovvio.
 
Quanto detto vale in generale, ma qui ci interessano invece due questioni in particolare: il catastrofismo climatico e (lo definisco così giusto per intendersi) il “catastrofismo di sinistra”.
Che esista un catastrofismo climatico, alimentato dai media, dalle élite e dagli scienziati del settore lo abbiamo già visto nei precedenti articoli. Che esso sia smentito dalla realtà dei fatti pure. Quali interessi vi si celino dietro cercheremo invece di capirlo nella prossima puntata.
 
E’ interessante osservare come questo catastrofismo delle élite si sposi alla perfezione con quello ambientalista di sinistra. Prendiamo il caso di un personaggio come Luca Mercalli. Il presidente della Società meteorologica italiana è persona simpatica, la sua critica al dominio di quella che definisce “economia della crescita” è condivisibile, come pure quella al modello ed alla cultura consumista. Dov’è allora che casca l’asino?
 
In una sua intervista a Linkiesta, in occasione delle manifestazioni del 15 marzo, due sono le cose che balzano agli occhi. La prima, è che dopo aver espresso una giusta critica alla società in cui viviamo, la sua proposta risiede unicamente in un invito al cambiamento degli stili di vita. E’ sbagliato questo invito? Assolutamente no, e personalmente lo condivido in toto. Esso diventa però del tutto fuorviante se lì ci si ferma, come fa il Mercalli. C’è infatti un problema grande come una casa: questo invito non può essere rivolto indifferentemente alle persone, senza considerare le diverse condizioni di vita ed i diversissimi livelli di reddito nel pianeta reale del 2019.
 
E’ la questione di classe, signori cari! Giusto per fare un piccolo esempio rivelatore, nell’intervista il Mercalli non se la prende tanto con il trasporto aereo, ma con i voli low cost che li rende (colpevolmente, si direbbe) accessibili alla povera gente. Una cosa, del resto, bisogna averla chiara. Che se noi adottassimo quel punto di vista, in Francia dovremmo schierarci non con i Gilet Gialli, bensì con Macron. E non parliamo poi di quel che dovremmo chiedere agli africani!
Ma c’è una seconda cosa clamorosa assai in quel che afferma il noto meteorologo col papillon. Sintetizzando efficacemente il suo pensiero Linkiesta così titola la sua intervista «L’ambientalismo deve terrorizzare: se non ci svegliamo adesso, siamo davvero nei guai». Avete letto bene, «l’ambientalismo deve terrorizzare». Ma naturalmente tutto ciò è a fin di bene… Ecco come ce lo spiega Mercalli, rispondendo a chi gli chiede se spaventare sia il miglior modo per rendere consapevoli:

«Non sappiamo più quale sia il modo migliore di comunicare questa emergenza. Perché finora in quarant’anni di ambientalismo nessun metodo ha funzionato. Né spaventare, né minimizzare, né proporre soluzioni. In questo momento siamo privi di strategie comunicative. Altrimenti avremmo già risolto il problema negli anni Ottanta. Quindi vale tutto. È giusto spaventare perché la situazione è drammatica».

Riflettiamo. «E’ giusto spaventare». E perché? «Perché siamo privi di strategie comunicative». Quindi? «Quindi vale tutto». Ma tutto cosa, anche le balle? In tutta onestà qui non si sa se ridere o se piangere. Come può un uomo di scienza ragionare in questo modo? Di fatto quella di Mercalli è una doppia confessione: primo, stiamo esagerando volutamente; secondo, ciò nonostante la gente non ci crede più di tanto.
 
Ora, se la situazione fosse tanto drammatica come egli dice, perché ci sarebbe bisogno di esagerare? Se così fosse basterebbe mostrare dati e fatti reali, non proiezioni all’infinito corrette da un anno all’altro. E qui c’è la ragione del perché, al fondo, il catastrofismo vince ma non convince. Il catastrofismo vince nell’immediato perché lo spettacolo è più potente della scienza. E se poi una certa scienza si sposa con lo spettacolo su certi fini, il gioco è fatto. Tuttavia lo spettacolo ha inevitabilmente le sue pause, ed in quelle fasi i neuroni lavorano probabilmente meglio, facendo sì che alla fine il catastrofismo più di tanto non convinca. 
 
Ma se la narrazione catastrofista di un certo ambientalismo — tra l’altro sempre alleato delle élite, sia che si parli di economia, di globalizzazione o della gabbia europea — non ha funzionato, forse bisognerebbe chiedersi il perché. Ed il perché sta nei fatti: perché la catastrofe costantemente annunciata non solo non c’è stata, ma si comincia (magari confusamente) ad intuire che quella narrazione fa acqua da tutte le parti.
Incautamente Mercalli fa riferimento all’ultimo quarantennio. Dico incautamente, perché forse qualcuno ricorda ancora qual era il refrain catastrofista immediatamente prima di allora. Anche negli anni settanta il catastrofismo climatico esisteva, solo che anziché sul caldo esso si fondava sul grande gelo in arrivo. Giusto per fare un esempio, vediamo cosa scriveva in quegli anni l’ecologista americano Kenneth Watt:

«Il mondo è stato decisamente freddo per circa vent’anni [Giusto, e nonostante la CO2 in aumento come abbiamo visto nel terzo articolo — ndr]. Se le tendenze attuali continuano, il mondo sarà, nel 1990, circa quattro gradi più freddo della temperatura media globale, ma di undici gradi ancora più freddo nel 2000. Questo è più o meno il doppio di quello che occorrerebbe per farci sprofondare in un’era glaciale».

Che ne dite? Non vi pare che le cose siano andate in maniera lievemente diversa? Ma quel che ci dovrebbe far riflettere è il passaggio «se le tendenze attuali continuano», che è esattamente lo stesso modo di argomentare dell’IPCC e di tutti i catastrofisti al seguito. L’unica differenza è che adesso si è passati dal freddo al caldo… Meditate gente, meditate.
 
Su un punto però le preoccupazioni dei freddisti erano perfino più fondate di quelle dei caldisti. Pare infatti che il freddo uccida anche oggi assai più del caldo. Uno studio della prestigiosa rivista Lancet (ripreso in Italia dal Corriere della Sera del 21 dicembre 2016) non lascia dubbi in proposito. Secondo questo studio, il 7,71% delle morti esaminate (oltre 74 milioni in tutto il mondo) sarebbe collegato alla presenza di “temperature non ottimali”. Più esattamente, il 7,29% sarebbe dovuto a temperature fredde; lo 0,42% a temperature calde. In conclusione, tra le vittime della temperatura, il 94,5% sarebbe morto per il freddo, il 5,5% per il caldo. 
 
A differenza dei catastrofisti, questi dati non ci portano a proporre di intervenire rapidamente sul “termostato planetario” per alzare ancora di un po’ la temperatura, ma evidentemente la loro catastrofe bollente ancora non si vede.
7. Catastrofismo non fa rima con socialismo
L’accusa di Mauro l’abbiamo già citata: ma come, la crisi del sistema è al culmine, e tu dici che tutto va bene? Ma è “al culmine” per quale motivo? Per i concreti disastri sociali del neoliberismo o per un’ipotetica crisi climatica fondata su una teoria catastrofista tutta da dimostrarsi? La questione non è di lana caprina, perché se la teoria dell’AGW fosse giusta allora Mauro avrebbe ragione. In caso contrario avrebbe torto marcio. Vie di mezzo non ce ne sono, perché l’idea che contro il capitalismo tutto possa “far brodo” non regge proprio. Da qui l’importanza di provare a capire come stanno davvero le cose.
 
Abbiamo già visto come Marx tutto fosse fuorché un catastrofista. E’ chiaro tuttavia come le finestre rivoluzionarie (che qui intendo in senso molto ampio) si aprono sempre in corrispondenza delle grandi crisi sistemiche. Crisi che proprio per la loro portata non sono mai solo economiche, ma anche politiche, istituzionali e culturali. Nulla può escludere, dunque, che il precipitare di una grave crisi ambientale, innescando uno o più degli aspetti di cui sopra, possa risultare decisiva nell’aprire una nuova possibilità al socialismo.
 
Bisogna però stare attenti, perché una cosa è la catastrofe, altra cosa il catastrofismo. Se nella Russia del 1917 la guerra imperialista  è stata decisiva nel determinare le condizioni oggettive della rivoluzione (per quelle soggettive il discorso è notoriamente più complesso), questo è per il banale motivo che la catastrofe era fin troppo reale: morti, sangue, fame, povertà.
 
Il capitalismo reale della nostra epoca è anch’esso socialmente catastrofico, ma questa catastrofe sociale è per il momento diluita in tanti dispersi rivoli. Essa produce perciò malcontento e disincanto, dissenso e spinte populiste che sarebbe folle non raccogliere, ma per il momento nulla che possa davvero assomigliare all’apertura di una finestra rivoluzionaria. E’ però possibile, per certi aspetti perfino probabile, che l’attuale crisi sistemica finisca per sfociare in situazioni oggettivamente rivoluzionarie (sempre intese in senso lato). Ma quando queste situazioni si verificheranno non ci sarà alcun bisogno del catastrofismo, visto che la concreta catastrofe, concentratasi in questo o quel punto geografico, sarà di per se auto-evidente.
 
Per ricostruire una prospettiva socialista oltre alla passione ci vuole la teoria, oltre all’utopia serve pure il realismo. A mio modestissimo parere tutti questi ingredienti possono fondersi solo in un “pensiero positivo” fondato sulla speranza e sulla possibilità. Fondato cioè su un progetto razionale, che sia avvertito come tale dai più. Viceversa, forse mi sbaglierò, non credo minimamente che quel processo di fusione possa fondarsi sulla paura. Questo perché, mentre la crudezza della catastrofe può suscitare quella formidabile spinta alla ribellione che è parte della natura umana, il Mondo delle Ombre del catastrofismo spinge esattamente nella direzione opposta, quella di affidarsi al potere costituito del momento.
 
In ogni caso, ci sarà pure una ragione se al potere l’allarmismo e le catastrofi piacciono. Uscendo ora dal discorso sul clima, proviamo a pensare ai tanti annunci di catastrofi epocali degli ultimi anni in materia sanitaria. Mucca pazza, Sars, Aviaria: messe assieme hanno prodotto un numero di vittime a livello mondiale inferiore a quello causato ogni anno dalla normale influenza. Eppure ogni volta la catastrofe sembrava alle porte. Che dire poi, tornando al clima, delle continue allerte meteo per ogni pioggerella?
 
Mi sembra strano che questo atteggiamento del potere non venga colto da chi è abituato all’esercizio della critica. E si è mai visto un potere che alimenta teorie e narrazioni che lo possano davvero danneggiare? Ecco, su questo l’invito alla riflessione non sarà mai troppo forte.
 
Ciò detto, è chiaro che se davvero pensassimo che la catastrofe climatica possa essere un pericolo concreto, ognuno di noi avrebbe il dovere — morale prima ancora che politico – di dare il proprio contributo per impedirla.
 
Ma al momento la catastrofe climatica non c’è. Né si annuncia all’orizzonte. Il che non vuol dire che non si debba prestare attenzione ad un possibile pericolo. Quel che qui contestiamo non sono certo gli studi, ma un catastrofismo talmente infondato, talmente sproporzionato, da potersi spiegare solo con altri ed inconfessabili fini. Un catastrofismo che, se adottato da chi vorrebbe combattere il sistema, alla fine non farà altro che squalificarlo per la sua subalternità. 
 
Quel catastrofismo, più che un alleato del socialismo, potrà essere invece una potente giustificazione dell’autoritarismo. Non tanto, penso, nelle forme che ha assunto in passato questa modalità di esercizio del potere, quanto piuttosto nell’andare a rafforzare con decisione l’attuale tendenza ad un sistema ademocratico, cioè fondato su un governo nelle mani di una ristretta oligarchia. In conclusione, il catastrofismo non fa minimamente rima con il socialismo. 
 
Con tutto questo non mi illudo certo di aver incrinato le certezze di Mauro, né dei tanti altri “Mauri” il cui pensiero va comunque rispettato, anche se così diverso dalle convinzioni di chi scrive. Ma aver almeno aperto un dibattito è già un piccolo risultato che non era scontato in partenza. Speriamo che sia solo un inizio.
(6 – continua)

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CLIMA: CATASTROFE INELUTTABILE di Mauro Pasquinelli

[ 29 aprile 2019 ]

Gli interventi di Leonardo Mazzei sul cosiddetto “riscaldamento globale” — Clima 1 – E se fosse la lobby nucleare? (18 marzo 2019). Clima 2 – Quelli che non se la bevono (25 marzo 2019). Clima 3 – Nessuna catastrofe in vista (1 aprile 2019). Clima 4 – La bufala dell’aumento degli “eventi estremi” (11 aprile 2019). Clima 5 – Tutta colpa della CO2? (26 aprile) — hanno suscitato apprezzamenti e critiche.

Tra le critiche pubblichiamo quella appena giunta in redazione.

LA TEORIA DEL RISCALDAMENTO GLOBALECRITICA DEL NEGAZIONISMO 
in risposta a Leonardo Mazzei


Prima di iniziare vorrei inviare un caldo ringraziamento all’amico Maurizio Fratta che mi ha accompagnato in questo studio con preziosi suggerimenti. Invito altresì il lettore a non perdere la lettura delle note dove ho trasferito lunghe citazioni che avrebbero appesantito il testo.

Scriveva Marx nell’incipit alla critica del programma di Gotha:

«Il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza. La natura è la fonte dei valori d’uso (e in questi consiste la ricchezza effettiva!) altrettanto quanto il lavoro, che, a sua volta, è soltanto la manifestazione di una forza naturale, la forza lavoro umana». [1]

e nella sua opus magna fu categorico:

«Il capitale nel suo sviluppo mina le due sorgenti principali della ricchezza: la natura e l’uomo». [2]

Voce del verbo minare, dal grande dizionario Utet: “costituire un elemento che determina il venir meno, la decadenza, la disgregazione di una determinata condizione”.

Basterebbero già queste due asserzioni per fare di Marx un ecologista ante-litteram. Ma il genio di Treviri, si spinse oltre: il capitale nel suo sviluppo provoca crisi sempre più catastrofiche, è la contraddizione in processo che cresce, avanza, ritorna su stessa, agisce come controtendenza ma alla fine non può eludere il suo esito finale funesto e tragico.

Chi non vede nella teoria marxista questa vena crollista e catastrofista è meglio che lasci perdere e si dedichi ad altre letture!

Nel novecento abbiamo sfiorato tre volte la discesa verso gli inferi, nella prima e nella seconda guerra mondiale, ma soprattutto nella guerra fredda che ci ha portato ad un passo dal catastrofe nucleare (Cernobyl, guerra di Corea, crisi dei missili a Cuba) ed ancora oggi è dislocato nel mondo un potenziale nucleare che potrebbe distruggere Gaia almeno 10 volte!

1 miliardo di persone vive sotto la soglia della sopravvivenza,
Milioni di civili uccisi nelle ultime guerre dal 1991 ad oggi,
Centinaia di migliaia di profughi e sfollati
Desertificazione e inquinamento che avanza
Centinaia di migliaia di specie di animali e vegetali si sono estinte per “cause antropiche”.
9 milioni di persone morte per malattie legate all’inquinamento nell’ultimo anno (dati Oms)

Chi dice che questi dati non configurino una catastrofe o non è in buona fede, o non li vede perché vive al riparo da tutto!

Le 5 riflessioni di Leonardo Mazzei sul Riscaldamento globale, a me che vengo da una tradizione di pensiero marxista, (e in essa vedo dei limiti filosofici che ho discusso QUI, QUI e QUI) mi hanno lasciato basito, con l’amaro in bocca perché, proprio nel punto più alto della crisi di civiltà di questo sistema, della contraddizione epocale capitalismo natura, Mazzei ci ricorda: attenzione non c’è nessuna catastrofe in corso! Il catastrofismo lo vede solo Greta Thumberg e la frazione globalista della elite che la manipola per sbloccare trilioni di dollari nel nucleare o nella “green economy”.

Qui ho semplificato facendo torto a Mazzei. So che Leonardo sviluppa un ragionamento più complesso sulla relazione Clima-catastrofe concludendo che uno 0, di crescita della temperatura da qui alla nostra dipartita in trenta anni non fa venire giù il mondo. Tuttavia dilungandosi in 5 puntate e concentrando il focus su questa relazione e mettendo tra parentesi in 4 o 5 righe gli eventi disastrosi, a volte affermando a volte negando, passa il messaggio che non c’è nessuna catastrofe in corso. Il capitalismo tutto sommato è compatibile con il clima, come se il clima non fosse parte della natura, il termometro della sua malattia terminale.

La sua è una bellissima relazione, corredata di dati e grafici, che poteva essere scritta ai piani alti di qualche università o centro studi di azienda multinazionale. Ma vedo in essa troppa presunzione scientista, troppa dotta imparzialità, troppo asettico distacco. Non vi leggo il mordente rivoluzionario, la critica marxiana dell’ecologia politica! È un caso che non affronta mai il discorso sull’antropocene o sull’impronta ecologica? No non è un caso perché altrimenti sarebbe passato automaticamente il messaggio che lui voleva evitare, il catastrofismo!

Critica metodologica e teoria del caos
Quindi, prima di passare alle questioni di merito e analitiche sollevate da Mazzei, gli sottopongo questa critica metodologica: vero è che le variazioni del clima non si misurano in anni ma in secoli e quindi risultano a noi impercettibili ma, come ci insegna la dialettica e la stessa geologia, mutamenti epocali non si giudicano in anni ma in decenni e secoli. La realtà non è a compartimenti stagni, ogni parte è legata al tutto da azioni, reazioni e controreazioni. Il clima non sta nell’iperuranio, è parte della natura e come dismostrerò subisce gli influssi negativi e positivi dell’azione dell’uomo sull’ambiente. Non solo: cambiamenti quantitativi anche di piccole proporzioni possono determinare salti qualitativi, eventi a catena e fenomeni di rapidizzazione o di accelerazione di cui Mazzei non ha assolutamente tenuto conto. [3]

Come insegna la recente teoria del caos (o delle catastrofi) quando la quantità si trasforma in qualità basta un battito di farfalla in Indonesia per scatenare un uragano negli Stati Uniti. Quando l’acqua arriva alla temperatura di 99 gradi è sufficente uno zero virgola per farla passare dallo stato liquido allo stato gassoso. Quando il terremoto si alza di 0,5 nella scala Richter può decidere della vita o della morte.

Lo abbiamo visto con il fallimento della Lehman Brothers che ha scatenato il ciclone della crisi finanziaria del 2007-2008. Tutto è partito da un evento locale circoscritto agli Stati Uniti, determinato dalla crisi dei mutui subprime, e alla fine abbiamo avuto il secondo grande crollo del sistema finanziario mondiale, trilioni di dollari andati in fumo e il sistema bancario mondiale salvato grazie all’iniezione di altri trilioni di dollari, con eventi a catena di cui siamo tutti vittime.

Questioni di zero virgola?


Il boccone grosso della tesi pronunciata da Mazzei, non si sa perché, lo ha scritto nella sezione 5. Eravamo tutti in attesa. Da semplici calcoli matematici egli giunge alle seguenti conclusioni:

«Cosa ne vien fuori da questo calcolo? Abbiamo visto come nell’aumento della temperatura il peso dell’attività solare è certamente superiore al 50%, ma noi prudentemente ci fermiamo al 50% esatto. Stabilito questo primo passaggio, non sta scritto da nessuna parte che il restante 50% sia interamente attribuibile all’effetto serra, ma noi generosamente lo concediamo. Abbiamo anche visto, però, che solo il 15% dell’effetto serra è riconducibile alla CO2. Sulla quota antropica della CO2 esistono davvero i pareri più distanti. Mentre i serristi vogliono far credere che esso sia pari al 100%, tra i critici si arriva a stimare percentuali dall’1 al 5%. Bene – giusto per le ragioni prudenziali che abbiamo detto – assumiamo qui che tutto l’aumento della CO2 degli ultimi due secoli e mezzo (125 ppm, pari al 31% del totale) sia interamente di natura antropica». Ora, dopo questa concessione decisamente esagerata ai teorici dell’AGW, qual è il risultato finale? Eccolo qui: 0,50 (percentuale aumento temperatura attribuita all’effetto serra) x 0,15 (quota dell’effetto serra riconducibile alla CO2) x 0,31 (quota antropica del 100% sull’aumento della CO2) = 0,023 = 2,3%. Avete capito bene: 2,3%. Dunque, tradotto in gradi centigradi, tenuto conto dell’aumento registrato di 0,8 °C nel periodo 1880-2018, abbiamo un’incidenza antropica sulla temperatura pari a 0,018 °C (2,3/100 x 0,8 = 0,018). Insomma, un dramma» 

Rispondo si è un dramma!! E spiego perché
Intanto partiamo da questo grafico:


Andamento della temperatura negli ultimi 2000 anni secondo diversi studi: l’andamento degli ultimi 1000 anni è noto come hockey stick per via della somiglianza con la forma di un bastone da hockey.

In climatologia, nell’ambito dei mutamenti climatici, la controversia dell’hockey stick è un dibattito informale in seno alla comunità scientifica tra i sostenitori del riscaldamento globale di natura antropica e quelli del riscaldamento globale naturale (i cosiddetti “scettici”) i quali prendono a riferimento il grafico dell’andamento globale della temperatura media globale negli ultimi 1000 anni per dimostrare la loro tesi.

Secondo questo grafico, dato per buono sia dai serristi che dai negazionisti, ricavato da studi paleoclimatici a partire da serie storiche, si evidenzia che l’andamento della temperatura negli ultimi 2000 anni subisce un andamento ciclico con la presenza del periodo caldo medievale, di un successivo raffreddamento durato fino alla rivoluzione industriale e del riscaldamento di fine millennio. Ma come tutti potete notare il picco del 2016 supera la serie ciclica dei duemila anni dello 0,6% di grado centigrado, che non sarà difficile far risalire a cause di natura antropica.

Non voglio tediarvi con calcoli matematici e vado al sodo. Intanto Mazzei, nel suo conteggio, ha inserito solo la CO2 e non ha incluso (surrettiziamente forse?) la crescita degli altri gas serra come metano e ossido di azoto, presenti in natura, ma la cui concentrazione è salita sensibilmente negli ultimi 200 anni non per generiche cause antropiche, ma a causa di un dissennato modello di crescita capitalistico. Sappiamo inoltre che il metano come gas serra è più potente della CO2 e che la sua presenza è cresciuta nell’ordine di un 20-25% a causa degli orribili allevamenti intensivi di animali, destinati a far crescere tumori agli uomini (Oms ci dice che la seconda causa di tumori al mondo dopo il fumo è il consumo di carne rossa).

Quindi la misura di 0,018% gradi centigradi, come quota “antropica” al surriscaldamento, è da rifare e sicuramente è molto più elevata. 


Vogliamo dare una mano al capitalismo sminuendo i suoi effetti distruttivi solo per dimostrare che Greta è Gretina?

Qualche anno fa uscì uno studio dal titolo “6 gradi” di Mark Lynas. [4] In sostanza la tesi era che se la temperatura terrestre subisse un aumento di 6 gradi da qui a 100 anni (e sappiamo che dalla rivoluzione industriale ad oggi è cresciuta di circa due gradi) si avrebbe come risultato una catena di eventi catastrofici che porterebbero alla probabile estinzione della specie umana e della maggior parte di specie animali e vegetali. Il polmone del pianeta terra, la foresta amazzonica, già sotto attacco per via della massiccia deforestazione, subirebbe il colpo finale con una più che probabile estesa essicazione. Lo scioglimento dei ghiacciai farebbe aumentare il volume degli oceani e quindi la loro espansione termica. Massicce dosi di metano si libererebbero in atmosfera dai poli artici ed antartici. Le temperatura altissime della fasce tropicali spingerebbero centinaia di milioni di uomini ad emigrare nella fasce più temperate a sud e nord del pianeta (fenomeno già in corso). Sarebbe una catastrofe apocalittica. Saremmo alla accelerazione finale ed irreversibile della catastrofe, ciò che Mazzei non mette nel computo. [5]

Tutte le proiezioni — e su queste concordano sia serristi che negazionisti —danno come probabile aumento della temperatura quota 4 gradi da qui a 100 anni, stante l’attuale modello di crescita basata sul fossile. La preoccupazione che aleggia come uno spettro è che raggiunti i 4 gradi si inneschi un processo di accelerazione della crescita della temperatura (rapidizzazione) dovuto all’espansione termica degli oceani, al massiccio rilascio di metano dal Permafrost artico, etc. Allora lo 0,1 di quota antropica sul riscaldamento globale potrebbe essere il battito delle ali di farfalla che scatena l’uragano. Lo 0,1 che fa passare l’acqua dallo stato liquido a quello gassoso. È allora si che lo 0, di Mazzei sarebbe un dramma e un dramma di proporzioni inimmaginabili. Come lo 0, dei mutui sub prime sugli esiti della crisi finanziaria mondiale. Oppure lo 0, della scala Richter.

Glaciazioni ed estinzioni di massa

In epoche geologiche del passato questo pianeta ha assistito a 5 estinzioni di massa dovute al susseguirsi di eventi climatici catastrofici (glaciazioni, epoche interglaciali) esplosioni di vulcani, scontri con meteroiti. Quella dei dinosauri è stata la più clamorosa e quella che ha colpito di più l’immaginario collettivo. Ebbene sembra che i dinosauri siano scomparsi a causa della collisione del pianeta con un meteorite, che ha determinato un innalzamento della temperatura terrestre per molti anni e la distruzione del loro habitat naturale. Supponiamo di essere nel 2100 e di aver raggiunto quota 4 gradi di aumento della temperatura, molto vicini alla quota apocalittica di 6 gradi. Saremo alle soglie di una situazione irreversibile in cui lo 0, può far precipitare tutto verso una già incipiente sesta estinzione! Quale dovrebbe essere il ruolo del sapiens? Mettere in atto tutte le tecnologie possibili per abbassare la temperatura, e cambiare il modo di produzione e i rapporti sociali, se questo diventasse lo step necessario alla sopravvivenza della specie.

Anche se la quota antropica al riscaldamento globale fosse pari a zero la decisione umana di abbassare la temperatura di un grado potrebbe evitare l’irreparabile per la vita in questo pianeta. Come nel caso di un terremoto devastante costruire case antisismiche ci mette al riparo dalla morte sotto le macerie. Invece noi oggi cosa facciamo in relazione al Clima? Esattamente l’inverso: aiutiamo il terremoto ad accrescere le macerie, spingiamo in alto la temperatura fino al punto di non ritorno. Ecco perché ritengo che le riflessioni di Mazzei oltre ad essere un piatto ricco per i Trump che si ritirano dagli accordi di Kyoto, sortiscono l’effetto di deresponsabilizzarci, magari da Mazzei sicuramente non voluto.

Parafrasando Papa Bergoglio: non sono i terremoti ad uccidere ma l’uomo che costruisce male le proprie abitazioni, possiamo scrivere: non sarà probabilmente il clima ad uccidere ma il modo in cui la specie sapiens (per ora solo demens) saprà alterarlo o fronteggiarlo!

Scrive Mazzei nel suo terzo studio “tutta colpa della CO2?”

«E’ lavorando su curve di questo tipo che si è arrivati ad individuare, nell’alternanza di fasi fredde e fasi calde, una generale tendenza al raffreddamento – cioè verso una probabile nuova glaciazione».


le temperature dall’ultima glaciazione ad oggi

Tutti i geologi e climatologi, serristi o negazionisti, concordano sul fatto che ci troviamo in una fase interglaciale, che alcuni chiamano Olocene, altri più attendibili Antropocene (primo fra tutti il premio nobel che lo ha battezzato) [6] e che preluderà, tra qualche migliaio di anni, ad una nuova glaciazione. Se ciò è assunto come dato quasi incontrovertibile, Mazzei mi dovrebbe spiegare come mai nella serie ciclica del clima degli ultimi duemila anni, (vedi grafico sopra) invece di avere una tendenza al ribasso della temperatura media se ne ha una al rialzo! Con nuovi picchi in aumento da qui a 200 anni. Dopo che nei precedenti 4.000 la tendenza è stata al ribasso! Si va verso una nuova glaciazione o verso il suo contrario?

La ragione è politica?


Insomma Mazzei non nega che ci sia il riscaldamento globale e che anche se in minima parte sia determinato da cause antropiche (sic) ma esclude che esso abbia effetti catastrofici a breve termine. Secondo lui le elitè dominanti si sono interamente votate al catastrofismo per sbloccare trilioni di dollari dormienti e per instaurare una dittatura mondiale delle elité.

Scrive Mazzei

«Giustamente dici che mi preoccupo di una possibile “resurrezione” del nucleare. E’ così, ma non è solo questo. Anche a voler prescindere dagli altri interessi economici (che ci sono e sono corposi), il problema più grande è politico: il possibile uso della cosiddetta “emergenza climatica” per arrivare a forme più stringenti – e di necessità profondamente ademocratiche, dunque fondamentalmente autoritarie se non proprio totalitarie – di un governo mondiale delle èlite globaliste. Elite evidentemente illuminate da…Greta Thunberg».

Nella storia del capitalismo non si era mai verificato che per porre in atto innovazioni tecnologiche “rivoluzionarie” o nuovi cicli di accumulazione del capitale, quest’ultimo facesse ricorso ad armi di distrazione di massa. Tale espediente è stato utilizzato per giustificare le guerre agli occhi del popolino, come è stato nel caso delle torri gemelle (a proposito sto aspettando ancora uno studio accurato in 5 puntate sulla bufala delle torri abbattute da Bin Laden) e della guerra in Iraq o per la reductio ad Hitlerum di Milosevic e Gheddafi, ma mai per impiantare la macchina a vapore o introdurre su scala allargata l’elettrificazione o la new economy. L’Innovazione avanza e basta; e si diffonde se riesce a trovare finanziatori, a battere la concorrenza di mercato, a ridurre i costi di produzione e innalzare i profitti. Paesi come la Cina, gli Stati Uniti, la Germania, la Francia e la Russia (solo per citare i più potenti) hanno già il nucleare. Non hanno bisogno di referendum per convincere il popolo. Se devono aggiornarlo e perfezionarlo, come chiede Bill Gates, lo fanno e basta!

Quanto alla paura di un governo mondiale esso esiste già e le politiche sono quelle neoliberiste, sovradeterminate dal FMI, dalla Banca Mondiale, dalla Ue in accordo con Russia e Cina! 

Mazzei teme forse un’altra ipotesi: che l’eco-catastrofe planetaria ponga all’ordine del giorno misure globali che cozzano contro ipotesi sovraniste nazionali. Ma su questo non ci si può fare nulla. Come non si puo evitare la tendenza alla guerra connaturata al capitalismo! Negare il problema per scongiurare il globalismo è come chiudere gli occhi davanti all’adulterio della moglie per salvare il matrimonio!! Se un governo populista di sinistra prende piede in Italia e solo in Italia esso non potrà certo evitare la catastrofe ambientale alimentata da altri 100 paesi che seguono Trump. Come non può evitare le radiazioni se scoppia una centrale nucleare in Francia. Come marxisti o post marxisti, ma sempre rivoluzionari, non dovremmo edulcorare le contraddizioni catastrofiche del capitalismo ma semmai portarle alla luce, spingerle al paradosso, ed usarle come grimaldello per reclamarne l’archiviazione storica!
Conclusioni

Potrei aggiungere altre dosi di critica come il fatto che Mazzei parla di Olocene e non di Antropocene o che non accenni mai alla questione fondamentale dell’impronta ecologica o del debito ecologico che l’umanità sta accumulando nei confronti di un pianeta allo stremo, malato terminale.

Potrei fare una lista lunghissima di disastri ambientali, di 100.000 specie di animali estinte per cause antropiche e che confermano la generale tendenza alla catastrofe e alla probabile sesta estinzione di massa.

Potrei citare eventi estremi come la strage di alberi dello scorso anno nel bellunese mai vista in migliaia di anni in Occidente, Tornado come quelli a Terracina di qualche mese fa, la crescita preoccupante di incendi boschivi, e che smentiscono le ipotesi “ tutto va bene madama la marchesa” …non c’è legame tra inquinamento ed eventi estremi.

Potrei citare recenti studi che testimoniano la stabilità della temperatura negli altri pianeti del sistema solare.

Potrei portare a supporto delle mie tesi lo sconveniente: tutta la maleodorante destra sovranista mondiale da Trump ad Afd tedesca sostiene le tesi negazioniste. Marine le Pen addirittura scrive “La teoria del riscaldamento globale è un complotto comunista”.

Potrei soffermarmi a lungo sulla avanzante deforestazione in primis quella amazzonica: senza le piante, fine dell’ossigeno e iperproduzione di gas serra CO2 con incremento di temperatura ed effetto serra fuori controllo (new scientist B. Holmes 2013). [7]

Nel 2014 Stuart Primm della Duke university ha stimato il tasso di estinzione sulla terra pari a 0,1 specie estinte per milioni di specie per anno. Il tasso odierno sarebbe mille volte superiore, mentre i modelli per il prossimo futuro ne indicherebbero uno fino a 10.000 volte più alto del normale. Mai nella storia del pianeta, anche durante le più catastrofiche estinzioni di massa, sono stati raggiunti tassi così elevati.

Mi fermo qui per ragioni di spazio anche per non tediare ulteriormente il lettore!

Concludo come ho iniziato, con Karl Marx. Facendo osservare a Mazzei, e non me ne voglia, che il suo tentativo rimane prigioniero della gabbia feticistica evidenziata da Marx nel primo volume del capitale. In sostanza Mazzei fa passare per legge naturale (il riscaldamento climatico) ciò che ha una evidente fondamento sociale nell’anarchico e dissennato sistema di crescita infinita del capitale. Invece di assestare un nuovo colpo al capitale finisce, ahimé, per naturalizzarlo! Un neo-malthusianesimo alla rovescia in cui sembra dirci: il clima non soffre, venite avanti, riproducetevi, c’è posto per tutti nel caos infinito e nella crescita illimitata del capitalismo! Chi vivrà vedrà!

NOTE

(1) K. Marx critica del programma di Gotha 1875. opere scelte editori riuniti 1974

(2) K. Marx, il capitale vol 1, Einaudi 1978

(3) Mark Lynas sei gradi, allarme riscaldamento globale. Ed National Geographic.

“In alcuni casi sono state trovate prove di variazioni molto rapide, come alla fine del Permiano, quando si verificò la più devastante estinzione di massa registrata sul pianeta. Un cataclisma legato probabilmente ad alcuni fenomeni di retroazione positiva che potrebbero spiegare gli andamenti non lineari delle variazioni climatiche registrate in passato, aprendo scenari inquietanti per il nostro prossimo futuro”.

(4) Mark Lynas ibidem In questo libro l’autore raccoglie un’ampia documentazione scientifica per illustrare i possibili scenari relativi alle modifiche che il cambiamento climatico in atto potrebbe apportare alle varie zone del pianeta, il tutto diviso per intervalli crescenti di temperatura, rimanendo all’interno di quanto previsto da rapporti ufficiali dell’Intergovernmental Panel on Climate Change.

Partendo dall’ipotesi più favorevole, quella di un aumento di 1 °C, e passando a considerare scenari via via peggiori, fino ad un rialzo stabile di 6 C°, vengono mostrati i possibili effetti sui fragili equilibri che mantengono l’attuale aspetto del pianeta. Con le modifiche della circolazione marina ed atmosferica ci troveremmo a fronteggiare lo spostamento delle zone ad elevata piovosità sempre più a nord, con una progressiva espansione delle zone aride tropicali, ed una conseguente riduzione di aree adatte alle produzioni agricole su cui il genere umano conta per il proprio sostentamento. Piovosità che comunque, anche dove sufficiente per quantità, potrebbe assumere carattere più irregolare e presentarsi con fenomeni sempre più estremi, compromettendo così la regolarità dei raccolti. Fino alla comparsa di uragani in zone mai prima interessate da questi eventi, che comunque diverrebbero sempre più violenti dove già ora imperversano, superando le scale attuali. La riduzione in atto dei ghiacciai di tutto il mondo aumenterebbe i processi erosivi già osservati in Europa durante l’estate del 2003, con serie ripercussioni per gli animali che vivono in quei delicati ambienti. Con effetti simili a quelli che devono affrontare gli abitanti delle foreste equatoriali, i cui corrispondenti sottomarini, le barriere coralline, sono già da tempo interessate da crisi che si manifestano sotto forma di sbiancamenti massivi. E con la diminuzione del pH degli oceani dovuto all’aumento della CO2 la vita per questi ed altri organismi che posseggono gusci di carbonato di calcio diverrebbe impossibile, colpendo gravemente anche i componenti del fitoplancton, fonti di nutrimento essenziali per gli altri organismi marini. Un effetto, quello dell’alterazione di ambienti fondamentali per organismi impossibilitati ad adattarsi a variazioni troppo rapide, che accelererà inevitabilmente l’attuale tasso di estinzione di specie animali e vegetali, privandoci di una biodiversità preziosa ed insostituibile. La scomparsa definitiva dei ghiacciai d’alta quota eliminerebbe inoltre le riserve di acqua potabile per molte aree urbane situate in zone vulnerabili, portando ad una drastica riduzione della portata di corsi d’acqua e bacini naturali ed artificiali, il che condurrebbe ad una competizione tra esigenze d’uso civile, agricolo ed energetico. Un processo di scioglimento che per quanto riguarda le masse glaciali situate ai poli e nelle zone circumpolari richiederebbe – anche nello scenario più grave – parecchi secoli, comportando un lento ma progressivo innalzamento del livello dei mari, ma che già nelle fasi iniziali colpirebbe atolli di limitata estensione ed altezza come Tuvalu rendendoli inabitabili, costringendo le popolazioni che ci vivono all’esodo. Negli scenari peggiori, il livello degli oceani crescerebbe di molti metri sopra l’attuale, invadendo estese zone oggi densamente abitate, salinizzando terreni e falde acquifere, rendendoli inutilizzabili per l’uomo. Condizioni che la terra ha già affrontato in passato, durante ere in cui eventi naturali hanno prodotto fenomeni simili a quelle che prevedono gli attuali modelli, con una differenza fondamentale: i tempi molto più lunghi. L’ultimo capitolo cerca di individuare possibili strategie per sfuggire alle logiche attuali, che a dispetto di risoluzioni ed impegni di organizzazioni internazionali e Stati, vedono la produzione di CO2 aumentare invece che diminuire. Un trend che sembra rendere inutile qualsiasi scelta, facendo apparire inevitabili i peggiori scenari prospettati nel libro. L’autore ritiene sia ancora possibile agire, nell’ottica di limitare i danni, adottanto una serie di approcci certamente difficili da far accettare ad un mondo che ha fame di energia e risorse, ma che rischia di pagare a caro prezzo la miopia delle sue scelte.

(5) Elizabeth Kolbert la sesta estinzione, biblioteca editori associati tascabili 2014. La Kolbert scrive a pag 142 : “ Per via della quantità di CO2 in surplus, il PH della superficie oceanica ègiàprecipitato, da un valore medio di circa 8,2 a uno di 8,1. Come per la scala Richter usata per valutare l’entita’ di un sisma, la scala PH èlogaritmica, e quindi anche una differenza numerica cosi’ lieve rappresenta, nel mondo reale, un cambiamento davvero considerevole. Un calo dello 0,1 significa che adesso gli oceani hanno una acidita’ del 30% maggiore rispetto a quella del 1800. Dando per scontato che l’uomo continuera’ a bruciare combustibili fossili, gli oceani continueranno ad assorbire Diossido di Carbonio e diventeranno sempre più acidi. In uno scenario delle future emissioni definibile di “ordinaria amministrazione”, il ph della superficie oceanica sara’ pari a 8,0 giàa meta’ di questo secolo, e precipitera’ a 7,8 prima di fine secolo. A questo punto gli oceani saranno 150 volte più acidi di quanto non fossero all’inizio della rivoluzione industriale”.

(6) J.R. McNeill Peter Engelke, la grande accellerazione, una storia ambiental dell’antropocene dopo il 1945. L’antropocene ègiàcominciato e precisamente da quando l’uomo ha cominciato ad interferire con le sue azioni su alcuni dei sistemi fondamentali della terra, come il ciclo del carbonio e quello dell’azoto, e l’impatto umano sul pianeta e la sua biosfera ha raggiunto livelli mai toccati in precedenza. Sebbene sia inutile cercare di individuare un punto preciso, i dati in nostro possesso portano ad indicarlo con ogni probabilita’ intorno alla meta’ del xx secolo, tra il 1945 e il 1950.

(7) J.R. McNeill Peter Engelke, ibidem. Secondo una stima, ad esempio, la perdita totale di foresta tropicale nella seconda meta’ del novecento sarebbe pari a 555 milioni di ettari, un’area appena più grande di meta’ della Cina” pag 85